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Le parole non bastano
È molto facile imbattersi, ogni giorno, in uno sguardo scontroso o in un sorriso, spesso però si passa
oltre senza interrogarsi circa il significato di quell‟espressione o gesto. Questo perché la
comunicazione non verbale pur rivestendo grande importanza nella sfera del linguaggio umano è
tenuta poco in considerazione, spesso sottovalutata. Fino a poco tempo fa non si pensava fosse
possibile conoscere i pensieri e l‟anima dell‟altro se non attraverso le parole, in realtà ogni sguardo,
ogni movenza, ogni abito scelto con cura parla di noi, anzi urla.
È impossibile non comunicare.
La comunicazione infatti è parte integrante della vita quotidiana di tutti i giorni. Essa ci permette di
vivere in comunione con gli altri, in società, di esprimere le nostre emozioni e stati d‟animo, di
relazionarci con gli altri. Nel reciproco scambio comunicativo ogni persona cerca di affinare al
meglio le tecniche a sua disposizione per apparire il più positivamente possibile agli occhi
dell‟altro. Come afferma Goffman nel suo scritto più celebre la vita quotidiana come
rappresentazione ogni individuo nel corso della sua vita gioca una lunga recita teatrale nella quale
impersona uno o più ruoli e li veste a seconda delle situazioni. Il ruolo infatti, come afferma
Margaret Archer è qualcosa che scaturisce dalla peculiarità dell‟identità personale di ognuno di noi,
è il frutto delle esperienze effettuate in relazione al mondo naturale, pratico e sociale. Non possiamo
parlare di identità sociale, e quindi di ruolo, se non riferendoci direttamente e dialetticamente
all‟identità personale poiché quest‟ultima non è né originaria né precedente rispetto quella sociale.
Come affermato, inscenare un ruolo significa “metterci del proprio” e quindi tutto ciò che concerne
con la propria personalità. Alcuni ruoli ad esempio nel corso del tempo hanno subito modifiche
apportate direttamente da persone particolarmente carismatiche come la figura del critico televisivo
mutata da V . Sgarbi, da posizione marginale a posizione centrale della scena. Tutto questo implica
una notevole capacità di attenzione ai singoli particolari che caratterizzano quella determinata parte
ed è soprattutto grazie al linguaggio dei segni che possiamo esplicitarla e renderla nota a tutti: il
camice bianco è il simbolo che denota la scientificità medica (ad esempio: il farmacista, il medico,
l‟infermiere); un sorriso appartiene alla sfera dell‟amicizia e dell‟affetto; le mani aperte rivolte
verso l‟alto implicano religiosità; una troppa vicinanza spaziale è indice di uno stretto rapporto per
lo più di carattere amoroso. E così si potrebbe continuare all‟infinito. Ogni ruolo è caratterizzato da
una gamma di segni e simboli che costituiscono la comunicazione non verbale. Grazie a tre scienze,
la cinesica, la prossemica e la paralinguistica, è possibile decodificare i vari segni che costituiscono
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l‟intero mondo della comunicazione non verbale. Nello specifico, la cinesica è la scienza che nasce
grazie al contributo dell‟antropologo Ray L. Birdwhistell e si occupa dello studio dei movimenti
corporei; la prossemica, introdotta da Edward T. Hall, studia l‟utilizzo dello spazio e le distanze
mantenute all‟interno di una comunicazione; infine la paralinguistica, frutto dell‟operato di G.
Trager, studia le particolarità e le modulazioni della voce.
Se da un lato però il linguaggio del corpo enfatizza il ruolo recitato nella nostra commedia,
dall‟altro potrebbe essere utilizzato come arma a doppio taglio disturbandola. Causa di tutto questo
è il carattere prevalentemente involontario della comunicazione non verbale. Essa può suggerire
infatti atteggiamenti contrari rispetto a quelli messi in atto, stati d‟animo diversi da quelli
manifestati, opinioni differenti da quelle espresse. Per questo è necessario analizzare la componente
non verbale del linguaggio, per cercare di arrivare a cogliere quanto più in profondità le vere
intenzioni, emozioni e pensieri di una persona; ciò che vuole effettivamente comunicarci. La
ragione di questo procedimento risiede nel fatto che una cosa se non è comunicata non esiste, quindi
anche una persona può essere “invisibile”. Allo stesso modo comunicare male o negativamente agli
altri ciò che noi siamo implica la possibilità di “perdere la propria faccia”. Goffman infatti
metaforicamente parlando afferma che ogni individuo nel vivere la propria vita gioca una
rappresentazione teatrale, fatta di ribalta e quinte ovvero di azioni pubbliche e azioni private. In
questo gioco ogni persona cerca di fare trasparire la parte migliore di sé, ma questo implica uno
sforzo di attenzione e concentrazione costante che non è sempre possibile attuare ventiquattro ore al
giorno, sette giorni a settimana. Basti pensare ad un momento in cui una persona per un motivo od
un altro si trovi ad essere arrabbiata e non abbia voglia di sorridere né parlare con nessuno. Per
questo motivo possiamo cogliere dei “vuoti” o, per restare nell‟ambito teatrale, delle “pause” di
questa rappresentazione che ci offrono elementi concreti circa la vera personalità degli attori, anche
se non necessariamente questo lato è peggiore della facciata offerta pubblicamente. Cogliere queste
pause però non è semplice in quanto è necessario analizzare a fondo la componente non verbale
della comunicazione, parte che, come precedentemente affermato, è per lo più involontaria. Il
linguaggio del corpo, nella vita di tutti i giorni, occupa una quantità decisamente superiore rispetto a
quella occupata dal linguaggio verbale. Ray L. Birdwhistell ha rilevato che la componente verbale
della comunicazione tra due interlocutori è inferiore al 35% e che più del 65% è invece di natura
non verbale. Inoltre l‟autore afferma che normalmente, in una giornata, non parliamo per più di
dieci o dodici minuti ed una frase media non dura più di dieci secondi e mezzo. Ancora,
l'antropologo Albert Mehrabian ha stabilito che solamente il 7% di tutte le informazioni che ci
arrivano da un discorso passa attraverso le parole; il restante si divide in un 38% che ci perviene dal
tono della voce e dalle qualità dei suoni che emettiamo, ed un 55% che arriva dai segnali di
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espressioni del viso, sguardi, gesti delle mani, toccamenti, andature, posture e gestione degli spazi.
Diversamente dalle parole, la cui funzione primaria è quella di scambiare informazioni e solo
secondariamente emozioni, il linguaggio non verbale serve specificamente a manifestare i nostri
stati d‟animo, la nostra personalità. La comunicazione non verbale però non è sinonimo di
menzogna circa ciò che una persona è, in quanto può offrire una realtà diversa da quella che
vediamo, ma è comunque un mezzo per riuscire a smascherare determinate rigidezze
comportamentali, categorizzazioni generali e copiature. Per questo ho voluto scrivere una tesi che
avvalori l‟ipotesi goffmaniana secondo la quale ogni individuo porta una o più maschere nella vita
che lo rendono adeguato ad ogni situazione. Concretamente infatti possiamo vedere il signor
Antonio Rossi nelle vesti di un medico incorruttibile e professionale alle ore dieci della mattina e lo
stesso in qualità di padre affettuoso e generoso alle quattro del pomeriggio, ma al contempo non
sempre la recita del proprio ruolo funziona perfettamente. Non sempre si sarà cortesi e disponibili
con i propri pazienti, non sempre si sorriderà ai propri figli.
Affermare che è impossibile non comunicare significa introdurre il pensiero dello psicologo
austriaco Paul Watzlawick secondo il quale ogni essere vivente comunica qualcosa nel momento
stesso in cui è sensibile all'ambiente circostante. Di conseguenza le parole come i gesti o i silenzi
hanno il valore di un messaggio. Ogni comportamento, anche di totale passività, quindi, comunica
qualcosa del rapporto che intercorre tra due o più persone. Sussiste perciò l'impossibilità di non-
comunicare. Anche la semplice fisicità di un individuo comunica di se stesso ad un altro,
quantomeno l‟esserci. È possibile comunicare sia verbalmente che non verbalmente. Da un lato la
comunicazione verbale comprende le parole emesse dalla bocca di un attore sociale; dall‟altro la
comunicazione non verbale comprende la gestualità corporea e la mimica facciale, l‟utilizzo dello
spazio da parte di chi sta comunicando, il tono, il timbro e l‟altezza della voce, la scelta di trucco e
abbigliamento e le percezioni sensoriali. Entrambe sono molto importanti, ma con la comunicazione
non verbale possiamo cogliere ciò che non ci è dato invece cogliere con la comunicazione verbale.
Si pensi, ad esempio, ad una situazione nella quale ascoltiamo una persona affermare “mi serve un
abito nuovo” e la stessa situazione invece osservata: nel primo caso è possibile percepire solamente
che a una determinata persona serve un vestito nuovo, nel secondo caso invece è possibile cogliere
molti aspetti nascosti dal solo ascolto di quella frase: il modo in cui la frase viene affermata, se solo
perché si sta guardando una vetrina in cui è presente un bell‟abito oppure perché si stanno
invidiando delle persone ben vestite; la mimica facciale e del corpo, quindi l‟arrossire per la
vergogna di indossare un abito che non è all‟altezza del contesto oppure l‟invidia verso qualcuno; il
vestito indossato, se particolarmente consumato o comunque ancora in buono stato ecc.