1
PREMESSA
In una recente intervista Philip Roth, uno dei più importanti scrittori viventi, ha
affermato che, nel giro di qualche anno, leggere romanzi diventerà un‘azione quasi
religiosa – «cultic» – praticata da ben poche persone. La previsione di Roth si basa sulla
convinzione che il libro come oggetto e la scrittura come mezzo siano da considerarsi
oramai anacronistici: «the book can‘t compete with the screen. It couldn‘t compete
beginning with the movie screen. It couldn‘t compete with the television screen and it can‘t
compete with the computer screen, I don‘t think. And now we have all those screens so
against all those screens I think the book can‘t measure up». Leggere un romanzo dal
canto suo richiede «a certain kind of concentration, focus, devotion to the reading. If you
read a novel in more than two weeks, you don‘t read the novel really». E al giorno d‘oggi
queste qualità e il tempo necessario per applicarle, conclude Roth, sono sempre più difficili
da trovare e avere.
1
Tuttavia trovare un pubblico di lettori all‘altezza era già un problema che Joseph
Conrad avvertiva ai primi del Novecento e che non fa dunque che ripresentarsi nell‘età
contemporanea, se possibile, ulteriormente aggravato, essendo il pubblico odierno
perennemente a corto di tempo e di capacità di concentrazione e potendo contare su
migliaia di schermi che offrono qualsiasi tipo di informazione e di svago.
Per ovviare a questo ―eterno‖ problema e, soprattutto, per risolvere le sue croniche
difficoltà economiche, Joseph Conrad dette alle stampe nel 1907 The Secret Agent, opera
che rappresenta il tentativo dello scrittore polacco di deviare dai suoi soggetti abituali per
approdare su un territorio narrativo allora molto in voga, quale la detective story e la spy
story. Che i modelli siano da rintracciarsi in questi ambiti lo dimostra la storia stessa del
romanzo.
Mr Verloc è un agente segreto al soldo di una potenza straniera infiltrato in un
gruppo di anarchici londinesi. Tuttavia Mr Verloc possiede anche un‘attività di copertura –
gestisce un negozio di merci equivoche – e una vera famiglia. È infatti sposato con Winnie
e vive nella casa adiacente al negozio con Stevie, il fratello della moglie – un ragazzo con
deficit mentali – e con la suocera invalida. La sua tranquilla esistenza viene stravolta
1
Il riferimento è all‘intervista del 21 Ottobre 2009 con Tina Brown durante il programma The
Beast Bar. Il video dell‘intervista è recuperabile all‘indirizzo:
http://www.thedailybeast.com/articles/2009/10/21/philip-roth-unbound-the-full-interview.html
2
quando l‘Ambasciata straniera per la quale segretamente lavora gli impone di organizzare
un attentato all‘osservatorio di Greenwich allo scopo di ―svegliare‖ l‘opinione pubblica
inglese e obbligarla ad affrontare più duramente la minaccia anarchica. Mr Verloc affida al
cognato il compito di posizionare la bomba ma Stevie inciampa azionando
involontariamente l‘ordigno la cui esplosione lo uccide riducendolo in mille brandelli.
Grazie a un inatteso indizio rinvenuto sul luogo del fallito attentato, la polizia nella persona
del Vicecapo riesce a ricostruire l‘intera vicenda. Mr Verloc è così costretto a raccontare la
verità a sua moglie che, accecata dal dolore per la perdita dell‘amato fratello, accoltella il
marito uccidendolo. Presa dal panico, Winnie scappa ma la sua fuga è effimera. Il
compagno Ossipon, uno degli amici anarchici del marito, si offre di aiutarla con lo scopo
però di intascarsi i soldi che Mr Verloc aveva provveduto a ritirare dalla banca. Derubata e
abbandonata Winnie si uccide lanciandosi in mare da un traghetto.
Nel plot sembra dunque esserci tutto ciò di cui il grande pubblico era e di cui, tutto
sommato, è ancora oggi affamato: intrighi, omicidi, suicidi, indagini e così via. E tuttavia il
grande pubblico non rispose. Ma non fu l‘unico. Se il ―mercato‖ ignorò fondamentalmente
l‘ennesimo sforzo creativo di Conrad anche la critica intellettuale espresse un giudizio
tutt‘altro che favorevole a proposito di questo lavoro così singolare rispetto a quello che
sembrava essere il canone conradiano. E d‘altra parte, ancora oggi, il giudizio della critica
su The Secret Agent è ben lontano dall‘essere totalmente positivo e oscilla piuttosto su
posizioni tra loro assai diverse se non addirittura antitetiche: vi è infatti chi ritiene The
Secret Agent un lavoro mediocre e poco riuscito; vi è chi lo considera invece uno dei
migliori risultati dell‘arte narrativa di Conrad. Tutto ciò, di fatto, ha poi impedito a The
Secret Agent di appropriarsi, col tempo, di quello status di «classicità» che garantisce, o
dovrebbe garantire, una quota di lettori disposti, per obbligo scolastico o per spinta
personale, a confrontarsi con il testo.
Di fronte ad un pubblico di lettori in costante e, secondo Roth, irreversibile
decrescita e comunque assai più distratto e volubile di quello con cui doveva fare i conti
Conrad, appare quindi difficile, oggi più di allora, giustificare la lettura e la necessità di
analisi di un romanzo come The Secret Agent che passò praticamente inosservato tra i suoi
stessi contemporanei, che non può vantare un attestato di valore unanimemente condiviso
da parte della critica, che non può fregiarsi a ragione dell‘etichetta di «classico» in grado di
esercitare tuttora un po‘ di fascino e di attrazione.
3
Detto ciò appare ovvio che l‘obiettivo del presente lavoro non possa certo essere
quello, pretenzioso, di giungere a una conclusione circa il vero valore dell‘opera – magari
conferendole proprio quello status di classicità di cui si diceva poc‘anzi – o di voler a tutti
costi dimostrare un‘attualità di forme e contenuti, che pure è presente, ma che non può
esaurire in sé l‘eventuale importanza del testo.
L‘obiettivo sarà piuttosto quello di cercare di comprendere il reale significato e lo
scopo artistico di un‘opera indiscutibilmente controversa che, nella felice intuizione di
Richard Ambrosini, si pone tutt‘al più come «an anti-classic, a novel which, born to exploit
a ―popular‖ genre, has widened the scope of literary forms posited at the time and still
today as something other from a ―classic‖».
2
Per affrontare un testo di tale genere si è deciso di analizzare individualmente
quelle che sembrano essere le sue componenti fondamentali – lo spazio, il tempo, le ―voci‖
– pur nella consapevolezza che nel romanzo, come in tutti i romanzi, queste si fondono in
un sistema complesso il cui funzionamento e i cui effetti sono impossibili da suddividere
nella singolarità dei suoi costituenti. Tuttavia, se l‘analisi procede per fattori singoli, il
risultato sembra mostrare una coerenza e una unità di significati che riflettono la coerenza
e l‘unità del progetto narrativo di Conrad.
Così, il primo capitolo tenta di collocare The Secret Agent all‘interno della vita e
della produzione narrativa di Joseph Conrad seguendo le varie manifestazioni, nelle sue
opere precedenti, di quelle stesse componenti che saranno poi oggetto di analisi
approfondita a proposito del romanzo in questione. Si è cioè osservato come lo spazio delle
ambientazioni e le ―voci‖ presenti nei testi cambino, di romanzo in romanzo, assumendo
forme e significati differenti sino a giungere a una realizzazione inedita e irripetibile
proprio nella Londra e nei personaggi di The Secret Agent.
Il secondo capitolo sposta l‘attenzione sull‘opera del 1907 soffermandosi
diffusamente sulle coordinate spazio-temporali – inestricabilmente legate tra loro – entro
le quali è inscritta la Londra conradiana «a monstrous town more populous than some
continents and in its man-made might as if indifferent to heaven's frowns and smiles; a
cruel devourer of the world's light».
3
2
R. Ambrosini, The Secret Agent: an anti-classic in Merope, Edizioni Tracce, Chieti, 1996, p.130
3
J. Conrad, The Secret Agent : a simple tale, Penguin Books, Harmondsworth, 1994 , p. 10.
4
Il terzo capitolo analizza invece quelle che sembrano essere le voci fondamentali
del romanzo e, prestando particolare attenzione a quella del narratore, tenta di ricavare il
codice comunicativo che sorregge l‘intera impalcatura.
Infine, il quarto capitolo riflette, partendo dal titolo e dal sottotitolo, sul modo in cui
Conrad intendeva presentare la sua opera e in cui, probabilmente, sperava fosse letta.
Nello svolgere il lavoro si è scelto di attenersi il più possibile al testo stesso dal
momento che, nonostante il plot e gli innegabili modelli di riferimento, The Secret Agent
pare sfuggire a una catalogazione di genere. Non è un giallo, non è una spy story, non è un
romanzo sociale e, con ogni probabilità, non è nemmeno un classico. Conrad, nella
speranza di conciliare le sue esigenze d‘artista con le sue esigenze di mercato, sembra aver
dato vita a un‘opera che è, di fatto, una miscela di forme, modelli e anche effetti diversi.
Così, The Secret Agent contiene certamente ingredienti della detective e della spy story ma
questi convivono con una varietà di elementi che, con gradazioni e intenzioni differenti,
provengono da molte altre fonti: da un certo romanzo naturalista, dal giornalismo popolare,
dall‘indagine politico-sociale, dal romanzo urbano e così via. Probabilmente l‘eterogeneità
di questa miscela non è del tutto estranea allo sfortunato destino che il romanzo ebbe, tra
pubblico e critica, alla sua uscita. Oggi, essendo maggiormente abituati allo svuotamento e
alla contaminazione delle forme più svariate, un tipo di opera come The Secret Agent può
essere invece più facilmente compresa e apprezzata tanto per la sua struttura quanto per la
visione del mondo che sembra emergerne.
Ciò che infatti il ―nostro occhio postmoderno‖ sembra cogliere al termine di questa
analisi che scompone The Secret Agent nei suoi fattori costitutivi essenziali – spazio,
tempo, ―abitanti‖ – è proprio l‘immagine di un mondo coerente nella sua mediocrità e
inumanità che il romanziere, l‘autore Conrad, non riconosce più come suo. La grande
assenza di questo romanzo sembra essere, in effetti, la voce stessa di Conrad che, di fronte
alla modernità, pare volersi tirare in disparte lasciando alle corde vocali del narratore –
cioè di una sua creazione letteraria – l‘intero compito di descrivere e raccontare. Eppure se
la voce non è sua, lo sguardo è pur sempre quello di Conrad e tale si mostra nel raffinato
gioco ironico di un narratore che, lasciando trasparire i suoi difetti e la sua mentalità, lascia
anche implicitamente affiorare l‘occhio critico dell‘autore che tali difetti e tale mentalità ha
―notato‖ e vuole far notare. In questo senso è la figura stessa dell‘agente segreto, della spia,
a essere pregna di significati. Di fronte a un mondo avvertito oramai come straniero,
l‘autore non può più mostrarsi direttamente ma, come una spia, ha bisogno di fare il doppio
5
gioco: si nasconde dietro una voce e una personalità che non sono sue sperando che le
informazioni e il messaggio raggiungano ugualmente il loro destinatario.
Ma qual è il giudizio che emerge di questo mondo che l‘autore visita sotto mentite
spoglie? Da quanto detto appare evidente che una risposta certa non può esistere. La
visione di Conrad si riflette infatti in quella del narratore e in quelle dei tanti personaggi
perdendo di intensità e chiarezza. Eppure tante volte il mondo di The Secret Agent viene
espressamente giudicato e sempre attraverso un‘attribuzione non certo positiva. Tra la voce
narrante e quelle dei personaggi, il mondo viene variamente etichettato come «rough»,
«not easy», «bad», «‘ard», «difficult», «limp», ricco di contraddizioni e di vane speranze.
Tuttavia, forse – si è ovviamente nel campo delle ipotesi –, il giudizio più corretto e
corrispondente all‘idea di Conrad è un altro. Queste varie definizioni – duro, cattivo, ostile,
difficile – contengono tutte una intenzione più o meno valutativa dietro la quale si può
nascondere una volontà o una speranza di correzione o redenzione. La definizione proposta
dal Vicecapo – che, sotto certi punti di vista e forse non a caso, è il personaggio più simile
a Conrad
4
– ha invece una sfumatura differente. Durante il colloquio con il Segretario di
Stato, il Vicecapo esprime la sua opinione circa la necessità di fare piazza pulita delle
ingerenze degli stati stranieri nella gestione degli affari interni di una nazione. Ma questa è
– e lo sa bene – una utopia. Bisogna fare i conti con la realtà e la realtà è che si vive in «an
imperfect world».
Orbene, questo giudizio, espresso quasi en passant, non è una denuncia, un grido
indignato che richiede una risposta o una mobilitazione. È piuttosto una presa d‘atto della
situazione, è già una dichiarazione di resa. Il mondo di The Secret Agent è ―imperfetto‖ e
tale resterà dall‘inizio alla fine, nessuno riuscirà a modificarlo. Il narratore che ce lo
descrive ne fa parte. L‘autore che l‘ha creato lo vede, per così dire, dalla finestra e lo
osserva, impotente e straniero, con lo sguardo di chi, come quel Vicecapo che l‘ha così
definito, si sente «more at home in the tropics than in Britain». Il lettore contemporaneo,
infine, lo legge attraverso pagine scritte più di un secolo fa e lo può riconoscere
inquietantemente simile al proprio dimostrando così la capacità di certi libri di
sopravvivere anche in epoche per così dire ostili.
4
È in effetti il personaggio che sembra incarnare l‘educazione inglese più positiva. Dai modi
educati ma risoluti è quello che più si avvicina alla volontà di andare «to the bottom of this affair».
Inoltre, come lo stesso Conrad, giunge in Inghilterra dopo anni di lavoro nelle colonie esotiche.
6
UN ROMANZO PER TRE VITE
1. PREMESSA
«Dati biografici: io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore
contano solo le opere. (Quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o
li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all‘altra.»
5
Così, nel 1964, Italo Calvino esprimeva la sua idiosincrasia nei confronti della
tendenza di qualunque tipo di biografia a rendere una vita fissata e oggettivata in una serie
di notizie e date.
Al di là dell‘opinione che ciascun autore può possedere riguardo alla necessità e
alle modalità con cui eventualmente raccontare (o veder raccontata) la propria esistenza, la
citazione di Calvino appare utile per muoversi nell‘oramai sterminato campo delle
biografie dedicate a Joseph Conrad . Difatti essa, oltre a ricordare che vita e opere di un
autore appartengono a due piani diversi, benché non privi di collegamenti (il caso di
Conrad è, in tal senso, emblematico), mostra con quanta attenzione e, per così dire,
diffidenza è necessario considerare ogni prima fonte di ricostruzione biografica, cioè tutto
ciò che un autore dice e scrive di sé.
Conrad non scrisse mai una sua autobiografia definitiva come fecero alcuni suoi
contemporanei, da Haggard a Kipling, fino a Wells. Tuttavia ci ha lasciato una serie di
testimonianze di prima mano, lettere e saggi autobiografici, che a un attento esame hanno
mostrato come lo scrittore fosse solito manipolare date e ricordi, talvolta contraddicendosi
a distanza di tempo. Jocelyn Baines , uno dei massimi biografi di Conrad, lo afferma senza
mezzi termini: «there are aspects of Conrad‘s version which are hard to reconcile with the
known facts or are directly contradicted by them. […] Conrad‘s inaccuracy of memory was
notorious among those who knew him. Moreover, in his autobiographical writings it was
Conrad‘s aim to recreate a true impression of events rather than accurately to reproduce the
facts.»
6
In effetti persino le opere più autobiografiche di Conrad come The mirror of the sea
(1906), A personal record (1908), Notes on life and letters (1921) non riescono a restituire
un affidabile ritratto dell‘uomo e dello scrittore. Da questi scritti si ricava piuttosto una
5
Lettera a Germana Pescio Bottino del 9 Giugno 1964 in Italo Calvino, Lettere 1940-1985, a cura
di Luca Baranelli, introduzione di Claudio Milanini, A. Mondadori, Milano, 2000.
6
J. Baines, Joseph Conrad: a critical biography, Weidenfeld & Nicolson, London, 1960.
7
personalità che tende a divenire personaggio che spesso si riveste di un‘aura solenne la
quale affonda le radici nella fanciullezza polacca, si costruisce durante la vita in mare e si
realizza compiutamente nell‘alta missione di artista durante gli anni inglesi. Marvin
Mudrick, pensando alla concezione di realtà che si desume dai romanzi e racconti di
Conrad, fornisce una stimolante motivazione a quest‘aria di inaffidabilità che si respira nei
suoi lavori autobiografici: «The writer for whom reality appears, characteristically, as a
trick of the imagination does not scruple to modify it for his own artistic and private
purposes».
7
Raramente infatti si riesce a cavare da questi scritti il lato più umano e pratico
dello scrittore, le sue difficoltà finanziare, il rapporto con la moglie e i figli. Ci si trova di
fronte invece a situazioni e persone che sembrano destinati più a confluire nella struttura di
un racconto o romanzo che a comporre un quadro di frammenti di vita vissuta. In A
personal record, per esempio, Conrad si sofferma sì su alcuni momenti chiave della sua
vita passata – l‘infanzia in Polonia, il rapporto con lo zio-tutore Tadeusz, le esperienze
marinare – ma ad essi è attribuito un significato emblematico che spesso trascende la
semplice esperienza individuale. La vita in mare, per esempio, ci viene sempre descritta
come un grande periodo di ammaestramento letterario sia per i «materiali narrativi» che
avrebbe offerto sia per la capacità che si apprende sulle navi di cogliere impressioni,
emozioni, suoni e movimenti. Sembra dunque che le immagini del passato siano
interpretate dal Conrad maturo come scene simboliche in grado di ricostruire ex post la vita
precedente come un percorso propedeutico per la futura vita da scrittore. È proprio da
questo punto di vista che interesserebbero gli scritti autobiografici di Conrad. Essi
sembrerebbero utili cioè non per ricostruire l‘uomo ma l‘artista. In questo senso la forma
che Conrad dà ai suoi ricordi appare più significativa della loro esattezza dal momento che
ci permette di cogliere la sua concezione della scrittura e dell‘arte.
Tracciare un corretto e preciso profilo biografico di Joseph Conrad è invece altra
cosa e non è un‘operazione semplice. E non certo perché manchino materiali. Da una parte,
come si è detto, si hanno una serie di fonti d‘autore che però necessitano di controlli e
precise contestualizzazioni, dall‘altra – si potrebbe dire nonostante la difficoltà – ci si trova
di fronte a un numero sterminato di ritratti biografici tentati da amici, familiari e studiosi
8
.
7
M. Mudrick, Introduction, p.2, in M. Mudrick (a cura di), Conrad : A Collection of Critical
Essays, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1966.
8
Ci si riferisce a Ford Madox Ford e alla sua biografia artistica Joseph Conrad: a personal
remembrance e alle biografie della moglie e dei figli. Jessie Conrad, sposata nel 1896, pubblica nel
1926 Joseph Conrad as I knew him, Borys Conrad nel 1970 My father: Joseph Conrad, John
8
Né questo sorprende data l‘importanza dell‘autore e, soprattutto, il fascino di una esistenza
che, come ripetuto da ogni biografo, si compose di almeno tre vite
9
: l‘infanzia in Polonia
(dal 1857, anno della nascita in un paesino ucraino, al 1874, anno in cui s‘imbarca a
Marsiglia), i venti anni passati in mare girando il mondo come marinaio e ufficiale di varie
navi fino al 1894 e, infine, in Inghilterra, gli anni dell‘attività di scrittore che svolse sino
alla morte avvenuta nel 1924.
Non occorre ricordare che si tratta di una tripartizione di comodo e che l‘esistenza
di un autore – o di una qualsiasi persona – non è strutturabile in compartimenti stagni. Pur
tuttavia essa appare utile per rintracciare un cammino ordinato, al di là di interpretazioni
teleologiche, in una personalità tanto complessa e prodiga di informazioni per quanto
riguarda la sua attività artistica quanto schiva e riservata per quanto riguarda la sua vita
prettamente privata.
Se tre sono dunque le vite universalmente riconosciute a Joseph Conrad, molte di
più, come anticipato, sono le biografie dedicategli. È importante puntualizzarlo poiché
queste ultime, insieme agli ancor più numerosi studi critici, costituiscono una fitta selva di
documenti entro cui è spesso difficile ritagliarsi un percorso non scontato. Già nel 1981
Cedric Watts metteva in guardia da questo pericolo delineando un ironico identikit dei testi
di critica conradiana : «The author‘s introduction will defend the need for yet another book
by explaining that Conrad is very problematic, indeed paradoxical; the subsequent chapters
will briskly précis, explain, and evaluate the most important novels and tales; and in a
conclusion the author will explain that in resolving the paradox he has defined the secret of
Conrad‘s strenght. (The book will be approximately 220 pages long)»
10
.
Per tentare di sfuggire a quell‘effetto di «repetition of the familiar»
11
di cui parla
Watts converrà allora rinunciare alla tentazione di ripercorrere cronologicamente l‘intero
itinerario esistenziale di Conrad. In effetti, già tanti sono i testi ai quali ci si può rivolgere
per una sua ricostruzione esaustiva: basterà qui citare Jocelyn Baines e il suo fondamentale
Joseph Conrad: a critical biography, Joseph Conrad: the three lives di F. R. Karl e, in
ambito italiano, il più recente contributo di Richard Ambrosini, Introduzione a Conrad.
Conrad nel 1981 Joseph Conrad: times remembered. La produzione biografica accademica è
sterminata. Un utile resoconto per orientarsi è offerto da Carlo Pagetti in C.Pagetti, Joseph Conrad,
La nuova Italia, Firenze, 1985, pp. 21-39.
9
Emblematico in tal senso è F.R.Karl, Joseph Conrad: the three lives,Faber&Faber, London, 1979.
10
C.Watts, R. A. Gekoski's "Conrad: The Moral World" [review] in Yearbook of English Studies
Volume 11 p. 341.
11
Ibidem