COMUNICARE L’IMPRESA CON LA CULTURA: RELAZIONI VIRTUOSE E SCENARI COMPETITIVI
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INTRODUZIONE
Due realtà profondamente diverse, per vocazione e sensibilità, come quella
imprenditoriale e quella culturale, possono dialogare tra loro ed eventualmente
collaborare, in un‟ottica di reciproco interesse?
In più, tali collaborazioni possono davvero essere appetibili per le imprese in un
momento storico come quello attuale di profonda recessione, la cui portata ha
richiamato alla memoria le conseguenze di un tristemente noto Giovedì Nero, di
esattamente settant‟anni fa
1
?
Queste sono soltanto alcune delle domande che hanno spinto chi scrive ad
approfondire l‟ analisi delle dinamiche che possono qualificare la collaborazione tra
il sistema imprenditoriale ed il comparto culturale, argomento molto complesso alla
luce dello scenario competitivo attuale: l‟instabilità economico-finanziaria degli
ultimi anni ha sensibilmente contribuito ad una generale stasi dei mercati mondiali,
aggravato da un senso di incertezza e di sfiducia da parte dei consumatori che non ha
risparmiato neppure le imprese.
Per cui, accanto alle iniziative di tipo tattico, volte cioè ad interventi a breve
termine, che agiscano soprattutto sui rendiconti ed i bilanci finanziari, si ripropone
per le organizzazioni la necessità di dare ampio spazio ad un approccio strategico, in
grado di qualificare l‟ attività imprenditoriale e connotarla positivamente per
generare valore nel lungo periodo.
In linea con questo approccio, ciò che sembra si stia affermando nell‟attuale
situazione del mercato è la necessità di innovare, e definire nuove strade per
mantenere
e accrescere la competitività, in una congiuntura così delicata, nella quale può avere
successo solo chi proporrà e perseguirà una gestione attenta delle risorse, volta a
1
Il riferimento è alla crisi economica scoppiata nel 1929, con il crollo della borsa di New York, che ,
a partire dagli Stati Uniti, si diffuse velocemente in tutti i principali mercati mondiali con tragiche
conseguenze per l‟ economia globale dei decenni immediatamente successivi.
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massimizzare l‟efficienza aziendale, evitando gli sprechi, ed in più si dimostrerà in
grado di implementare una politica aziendale aperta a nuovi stimoli creativi, che
possano dar realmente un valore aggiunto all‟azienda, in quanto sistema umano e
sociale, oltre che economico-finanziario.
È esattamente questa la premessa concettuale che dimostra, a mio avviso, quanto
l‟ attuale contesto storico possa costituire terreno fertile per la ricerca di nuovi
significati ed inedite associazioni tali da qualificare positivamente le imprese,
rendendole realmente aperte a contaminazioni con realtà anche profondamente
differenti, ma non per questo inconciliabili.
In quello che si mostra come un vero e proprio processo di significazione, si
analizzerà il ruolo critico che può essere rivestito proprio dalla leva culturale, con il
suo ampio bagaglio di associazioni e contenuti, che può ulteriormente qualificare l‟
impresa, permettendole di definire e presentare se stessa su di un mercato sempre più
globale, dove la necessità di associare ad un brand dei forti valori identitari
costituisce ormai una necessità.
In particolare, la presente analisi ha scandagliato le potenzialità competitive
derivanti da una proficua interazione tra il mondo delle imprese ed i differenti
soggetti, pubblici e non, che a vario titolo operano nell‟ ambito culturale.
Questa interazione può creare i presupposti per sfruttare, traslando un concetto
sviluppato da Panofsky
2
, quel processo “semioforo” tipico delle produzioni culturali
ed artistiche, applicato però al mondo imprenditoriale.
Questo non implica, ovviamente, un uso indiscriminato e strumentale della sfera
culturale secondo un approccio utilitaristico, così come sostiene anche De Maio
3
in
un suo articolo, che vede nella cultura “un semplice repertorio simbolico da
saccheggiare ed utilizzare a piacimento nella costruzione di corporate identities
sempre più articolate e pervasive”.
2
Il concetto di bene semioforo (portatori di segni) è un concetto che Erwin Panofsky, storico dell‟ arte
tedesco famoso anche per i suoi studi in campo iconologico, ha sviluppato nell'ambito della filosofia
dei beni simbolici. Egli infatti sosteneva che l‟arte fosse un bene semioforo, portatore, grazie alla sua
forma materializzata, di un segno estetico riconosciuto in uno specifico cosmo e contesto culturale".
Cfr. Panofsky E., Il significato delle arti visive, Einaudi,Torino, 1997.
Nel nostro caso, l‟ impresa può avvantaggiarsi di tale naturale attività di significazione per i propri fini
comunicativi.
3
De Maio E., Il contratto estetico tra Arte e Economia, Febbraio 2005.
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8
Obiettivo di questa trattazione è quindi spingersi verso una ridefinizione del rapporto
impresa-cultura, oltre le classiche forme di collaborazione che le vedono
semplicemente giustapposte, sottolineando gli ampi margini di sviluppo ancora
sottovalutati, in un‟ottica di mutuo scambio di valore, secondo quella che può essere
definita “una relazione di fertilizzazione incrociata”
4
.
Per comprendere realmente la portata di questo processo, quindi, in una prima
sezione si approfondiranno le caratteristiche degli attori principali, per comprendere
i rispettivi percorsi evolutivi che dimostrano le basi concettuali su cui si innestano le
nuove dinamiche prospettate.
Così, nel primo capitolo l‟ attenzione sarà concentrata principalmente sul “sistema
impresa”, così da circostanziare la richiesta di revisione degli assetti e delle
dinamiche organizzative e comunicative che sempre più spesso viene formulata per
risollevare il settore industriale dall‟ attuale en passe (purtroppo spesso con la
convinzione che la semplice dichiarazione di intenti sia sufficiente a risolvere le
problematiche esistenti, come una sorta di deus ex machina).
Tale necessità bensì poggia le sue basi su un processo molto più complesso, una
“rivoluzione silenziosa” che riguarda il diverso rapporto tra Impresa e Individuo: un
cambiamento in atto già dagli anni ‟90, che hanno visto un individuo-consumatore
prendere sempre più consapevolezza di sé
5
e del suo ruolo nell‟atto di acquisto,
esigente ed attento all‟attività delle imprese, e alle ripercussioni che questa ha sulla
società.
In particolare, si tratteranno approfonditamente le dinamiche che caratterizzano il
conseguente processo di significazione, sempre più importante per qualificare l‟
impresa: le continue evoluzioni dei contesti competitivi spingono l‟impresa
necessaria
mente verso un ripensamento totale di se stessa, dei messaggi e dei significati che
vuol comunicare su se stessa ai vari interlocutori (stakeholder) che costituiscono il
suo sistema vitale. Ma intercettare pubblici altamente diversificati e recettivi, implica
4
Così come viene sostenuto anche da Rigaud in Porta lontano investire in cultura, Bondardo
Comunicazione (a cura di), il Sole24Ore, Milano, 2000
5
Si definisce un nuovo paradigma di consumo, nel quale l‟individuo esercita un ruolo più attivo e
meno deferente nei confronti dell‟impresa, spinto da bisogni non più solo di carattere funzionale ma
anche emotivo e valoriale: “è l’era della postmodernità”. G. Fabris, Il nuovo consumatore: verso il
postmoderno, Franco Angeli, 2003.
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per l‟azienda la messa a punto di nuovi strumenti e canali di comunicazione inediti
ed originali, che agiscano migliorandone la percezione, e di riflesso l‟ Immagine, non
solo nel breve periodo, ma soprattutto (e preferibilmente) a lungo termine.
Si cerca un legame che trascenda preferibilmente il mero rapporto commerciale,
quindi, ma che investa anche la sfera sociale dell‟ impresa nel suo legame con il
territorio e le comunità locali. È in questo nuovo scenario che la cultura emerge come
fenomeno sociale diffuso, una sorta di collante che permette di generare nuovi
significati e riferimenti.
Essa permette di arricchire l‟impresa con contributi in termini di idee, esperienze,
e impulsi tali da catalizzare nuove forme di socialità. Ecco che si delinea per l‟
impresa un interessante connubio con il sistema culturale che, pur richiamando
immediatamente alla memoria le antiche forme di mecenatismo, le trascende aprendo
la strada ad un rapporto molto più ampio e ricco di possibili applicazioni.
Ma per sostenere un‟ ottica di mutuo scambio risulta fondamentale una
panoramica del “sistema culturale”, che avrà luogo approfonditamente nel secondo
capitolo, con specifico riferimento al contesto italiano, per comprenderne i principali
attori, i meccanismi e gli ambiti di intervento più profittevoli, in grado di generare
valore per entrambe le parti coinvolte.
Conoscere il potenziale partner, infatti, permette di comprendere come intervenire
efficacemente ed efficientemente, traendo vantaggio dai suoi punti di forza e
trovando soluzione alle sue debolezze.
Del resto il settore culturale italiano, dal canto suo, presenta non poche
problematicità, prima fra tutte la scarsezza di risorse rispetto alla grandezza e
complessità del patrimonio da salvaguardare, ed alle numerose iniziative culturali
che di volta in volta vengono implementate sul territorio nazionale.
Tale problematica spinge inevitabilmente ad un‟ apertura verso soggetti terzi che
possano intervenire per sopperire a queste lacune: è il caso proprio dei privati. Ma
questa dinamica non può che porre il settore culturale di fronte ad un ulteriore
riassetto, prospettando la necessità di rinnovare le proprie strutture interne: un primo
passo in tal senso è stato rappresentato dal crescente processo di managerializzazione
che ha interessato i principali enti culturali, dimostrando come anch‟ essi debbano
curare la propria offerta ed il proprio posizionamento rispetto ai competitor.
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Ma il processo di collaborazione tra imprese e mondo culturale è molto più
complesso di ciò che appare ad una prima rapida analisi: l‟ intervento dei privati si
estrinseca in numerose possibilità.
Nel terzo capitolo si provvede ad analizzare queste dinamiche di collaborazione
che trascendono dal tradizionale sostegno finanziario di stampo filantropico.
Dopo aver analizzato, provando a creare una sorta di analisi SWOT
6
, gli elementi
strategici legati alla scelta della leva cultura per implementare una forma di
investimento, ci si soffermerà sulla sfera prettamente operativa. Si analizzeranno,
quindi, non solo gli ambiti di intervento tradizionali, ma anche le nuove pratiche che
si prospettano per chi intende investire in cultura, nella sua accezione più ampia del
termine, il tutto in un‟ ottica di generazione di valore che non solo investa i due attori
principali (Impresa e Cultura appunto) ma, di riflesso, anche la società civile, di cui
essi sono parte integrante.
L‟ impresa che “fa cultura”, ha la possibilità di associare se stessa a dei valori
forti, che comunicherà sia all‟esterno (opinione pubblica, mercati di riferimento,
istituzioni) che al suo interno (personale lavoratore, partner operativi).
Questo genera inevitabilmente un circolo virtuoso fatto di messaggi forti e
distintivi, che, se ben gestito e monitorato, parla di un impegno sociale reale e
concreto, e non solo di una mera operazione di immagine. E questa, a mio parere,
può essere una possibilità molto più efficace, oltre che efficiente, per agevolare la
costruzione e la salvaguardia di una reale credibilità imprenditoriale che può
facilmente tradursi anche in ritorni economici più cospicui.
Un consumatore che, a parità di prezzo e qualità, ha la possibilità di scegliere tra i
prodotti di un‟ azienda nota per il suo impegno nella promozione sociale e culturale
ed una impresa generica, inevitabilmente risulterà ben disposto verso la prima
piuttosto che la seconda.
6
Si tratta di uno strumento di pianificazione strategica usata per valutare i punti di forza (Strengths),
debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un progetto in
un'impresa o in ogni altra situazione in cui un'organizzazione o un individuo deve prendere una
decisione per raggiungere un obiettivo.
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Tali riflessioni, in realtà, come si provvederà ad illustrare approfonditamente,
trovano conferma anche in dati empirici
7
che dimostrano, nonostante le difficoltà
economiche di cui abbiamo già accennato, l‟ esistenza di un trend di crescente
sensibilità, da parte degli individui, nei confronti della cultura intesa non come
semplice forma di “consumo” limitatamente al tempo libero, ma come elemento
determinante della crescita dell‟ intero sistema economico. Ricadute importanti,
quindi, non solo nel mercato culturale ma anche in altri settori produttivi.
Dai vari dati raccolti, però, sembra che molte realtà internazionali abbiamo
compreso questa connessione e cerchino di svilupparla attraverso la creazione di
innovative politiche culturali con risultati decisamente eloquenti: i paesi che negli
ultimi anni si stanno distinguendo per qualità ed efficacia delle loro iniziative di
cooperazione culturale, sfruttando un‟ adeguata sinergia tra pubblico e privato, sono
anche quelle che occupano le prime posizioni nella classifica globale della
competitività (in primis, è il caso dei Paesi Scandinavi, Regno Unito, paesi di lingua
tedesca, Stati Uniti, solo per citarne alcuni). Ciò dimostra come cultura e
competitività, e quindi profitto, non siano necessariamente antitetici come si
potrebbe pensare.
Cosa accade invece nel nostro Paese? I risultati sono significativi anche in questo
caso: nonostante le grandi potenzialità, l‟ Italia paga un approccio “residualistico”
alle politiche culturali, da parte della Pubblica Amministrazione, senza una vera e
propria strategia di base, che di certo non fa bene alla già limitata competitività nel
nostro Paese
8
.
Emerge, quindi, un grave e preoccupante gap competitivo, in termini di gestione e
valorizzazione del patrimonio artistico-culturale italiano rispetto ad altre realtà
nazionali, oltre ad una scarsa capacità da parte del sistema Italia di permettere un
ulteriore sviluppo del nostro paese
9
.
7
Interessante in queste attività di monitoraggio, i report del World Values Survey, stilato dalla
World Values Association, sulle dinamiche socio-culturali nei vari Paesi del mondo, con una cadenza
quinquennale. Qui il periodo di riferimento è 2000-2005.
8
Il settore culturale italiano presenta numerose problematiche: accanto alla ben nota piaga sulla
gestione dei fondi per la tutela e la promozione culturale da parte delle istituzioni culturali, vi sono
anche difficoltà di comunicazione e dialogo tra i vari soggetti coinvolti nelle varie iniziative, oltre alle
evidenti conseguenze finanziarie del periodo di crisi , in termini di affluenza e partecipazione, così
come per tutto il settore dell‟ entertainment.
9
L‟analisi deriva dal recente rapporto “Il valore dell‟arte: una prospettiva economico-finanziaria”,
presentato dalla società di consulenza PricewaterhouseCoopers, Milano, Maggio 2009.
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12
I margini di crescita sono comunque ancora elevati per tutto il settore, attraverso
investimenti mirati “che possano generare un processo virtuoso tale da coinvolgere
con ricadute positive tutta una serie di settori sinergici quali agricoltura,
infrastrutture, artigianato, industria ed altri servizi”
10
.
Si tenterà perciò di declinare il concetto stesso dell‟ “investire in cultura”: ampio
spazio verrà riservato ad alcuni modelli di gestione e a nuovi strumenti in grado di
valorizzare ulteriormente l‟ intervento dell‟ impresa nel comparto culturale.
Nel quarto capitolo, in particolare, l‟attenzione si concentrerà su come stia
evolvendo l‟ambito degli strumenti a disposizione delle imprese per intervenire
direttamente nel settore culturale, quindi senza alcun tipo di intermediazione.
La prima parte del capitolo verrà interamente dedicata all‟ analisi della pratica più
comune nell‟ ambito degli investimenti culturali: le sponsorizzazioni.
A partire dalla sua definizione ed analisi, come una delle componenti del
marketing mix, si procederà delineando i vantaggi concreti che nel corso del tempo,
ne hanno permesso un rapido impiego e sviluppo, in alternativa ad altre possibilità
creative come la pubblicità classica.
E‟ però innegabile che anche questo mezzo abbia mostrato, nella pratica, evidenti
limiti, rendendo necessaria una riflessione circa le modalità di intervento e i rapporti
tra i partner coinvolti nell‟ iniziativa culturale.
Si tenterà, quindi, nella seconda parte del capitolo, di interpretare i nuovi trend
che permettono di procedere oltre la mera sponsorizzazione, troppo spesso ridotta ad
una semplice giustapposizione di marchi, senza l‟elaborazione di un coerente
messaggio di fondo che crei un‟effettiva associazione di valori e di significati forti ed
identitari, oltre che un adeguata profittabilità.
A tal proposito un interessante stimolo che proviene proprio dal nostro paese è
costituito dall‟esperienza del Sistema Impresa e Cultura, associazione non profit che
si propone di valorizzare e diffondere l‟investimento in cultura come leva
competitiva per le imprese italiane.
In virtù di ciò, già dal 1997 questa associazione assegna un importante
riconoscimento, il Premio Impresa e Cultura appunto, mettendo in luce e
incoraggiando così le imprese piccole, medie e grandi che investono in cultura,
10
Ibidem
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13
superando la pratica della sponsorizzazione occasionale a favore di progetti
continuativi e coerenti con la missione aziendale, capaci di coniugare risultati
aziendali a ritorni in chiave di valorizzazione del territorio, crescita sociale ed
innovazione.
Possono, così, realizzarsi i presupposti per interventi diversificati, rivolti non solo
alla salvaguardia del patrimonio culturale antico, la memoria civile di un paese, ma
anche, e soprattutto aggiungerei, alle nuove espressioni culturali. Largo spazio,
quindi, a ciò che la nuova generazione di artisti ha da dire, esprimere e comunicare.
Ecco, quindi, che assumono nuovo valore queste recenti forme di mecenatismo d‟
impresa volte a sostenere le nuove realtà del panorama artistico nazionale ed
internazionale
11
.
Tra le ulteriori opportunità, si analizzerà il sempre più imponente sviluppo di
nuove realtà collaborative, come le Partnership che ripensano il rapporto tra
istituzione culturale ed investitore, in un‟ottica di mutuo scambio e partecipazione
continuativa al progetto culturale.
Esempi, questi, di come debba essere inteso l‟investimento culturale oggi e nel
futuro prossimo: una relazione che possa essere fruttuosa non solo per l‟ Impresa, e
la sua connotazione valoriale, ma anche per lo stesso sistema culturale, che sempre
più spesso necessita dell‟intervento privato per continuare nella propria attività.
In virtù di ciò, nell‟ultimo capitolo si approfondirà il ruolo sempre più centrale
che va rivestendo nelle relazioni pubblico - privato un soggetto giuridico diverso, un
nuovo canale indiretto che sempre più spesso viene scelto anche da imprese profit
per intervenire in attività sociali molto diversificate: il soggetto giuridico della
fondazione.
Perché le fondazioni? Ebbene, la scelta di inserire questa tipologia organizzativa
non è casuale: sempre più spesso, negli ultimi anni, nascono nuove realtà
organizzative senza scopo di lucro, quindi con finalità pubbliche, su iniziativa di
privati e/o con la partecipazione di enti pubblici. Si tratta di enti che possono vantare
11
Soltanto per citare un esempio, è esplicativa l‟ esperienza di una nota azienda produttrice di caffè, la
Illy. All‟ interno di una composita campagna di comunicazione, nota per le serie di Tazzine d‟Artista,
in un‟ ottica di atto estetizzante e quindi memorabile di consumo, diede il via ad attività di sostegno
all‟ arte contemporanea, attraverso la sponsorizzazione dell‟ Italian Program del noto PS1, ovvero il
conferimento di una borsa di studio ad un giovane artista italiano per il programma di residenza
annuale presso l‟ importantissimo museo americano di arte contemporanea.
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in molti casi un innegabile peso istituzionale, diventando essi stessi catalizzatori di
nuove forme di progettualità in grado di coinvolgere realtà organizzative molto
diverse tra loro.
Si approfondirà, così, la natura delle fondazioni, le caratteristiche statutarie e
soprattutto gli ambiti di intervento. Dopo una breve panoramica sulle tipologie
principali di fondazioni, a partire da quelle di origine bancaria, che sono comunque le
più diffuse sul territorio (oltre che le più munifiche, come si vedrà) l‟ analisi
affronterà in particolare il fenomeno delle fondazioni di impresa, che rappresentano
una sorta di prolungamento della mission aziendale, con una chiara vocazione e
specializzazione per l‟investimento e la promozione di iniziative di rilevanza sociale,
oltre che economica.
L‟analisi, pur incentrandosi sulla situazione italiana, non mancherà di rapportare
l‟ esperienza italiana al contesto internazionale, per analizzarne criticamente gli
interventi e la possibile valenza comunicativa, valoriale e sociale.
Il quadro speculativo, poi, provvederà ad affrontare un ulteriore tipologia di
fondazione, la c.d. fondazione partecipativa, che per le sue caratteristiche si propone
come sintesi del modello organizzativo ideale per far fronte efficacemente alle
continue e diversificate sfide che gli scenari attuali e futuri prospettano.
In particolare, in virtù della trasversalità dell‟attività che caratterizza queste realtà
sociali, verrà analizzato il relativo quadro giuridico ed il ruolo normativo di tali
organizzazioni così diversificate a dimostrazione di come sia esteso e condiviso l’
interesse verso queste tipologie di attività ed iniziative che se ben gestite possono
creare numerose opportunità di sviluppo per tutti gli operatori (imprese, fondazioni,
altre organizzazioni non profit, istituzioni culturali ed enti territoriali) a vario titolo
coinvolti, con una comune generazione di valore, in linea con le richieste da parte
dei vari pubblici di reali atteggiamenti socialmente responsabili.
Le declinazioni di collaborazione possibili possono, quindi, creare interessanti
tentativi di convergenza, con effetti positivi per l‟intero contesto socio-culturale:
penso, per fare qualche esempio, al recupero e alla riconversione di intere zone
cittadine, abbandonate o in cattive condizioni che vengono restituite alla comunità;
alle collaborazioni nelle attività di restauro per una nuova fruizione delle opere
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stesse; alle attività di sensibilizzazione e collaborazione con gli enti istituzionali e
museali.
In quest‟ottica, la relazione “pubblico-privato” assume un ruolo molto più critico,
che solo recentemente ha conosciuto, nel nostro paese, buoni trend di crescita, ad
ulteriore dimostrazione del cospicuo ritardo rispetto ad altre realtà europee. Ma
ancora cospicuo è il lavoro da svolgere per dimostrare quanto possa essere utile per l‟
impresa intraprendere lungimiranti “politiche culturali” in grado di catalizzare uno
sviluppo competitivo generale.
Come sostenuto anche da Federculture, nel IV Rapporto sull‟andamento del
settore culturale, italiano ed europeo, se l‟Europa vuol essere realmente competitiva,
non può concentrare le sue energie soltanto sullo sviluppo dell‟ industria tecnologica,
del resto facilmente imitabile da gran parte dei nuovi competitor internazionali, in
particolare pensiamo agli aggressivi Paesi del Sol Levante
12
.
Essa ha la possibilità di sviluppare e valorizzare anche altri settori, non replicabili
e non de localizzabili, che possono realmente creare un differenziale competitivo
sostanziale, tra questi un ruolo centrale può essere costituito dalla leva culturale.
Ecco, quindi, che l‟obiettivo di questa trattazione ne risulta ulteriormente
rafforzato: accanto al bisogno di una maggior sensibilizzazione delle istituzioni
pubbliche al tema della promozione culturale, può affermarsi con buone prospettive
di successo un‟ulteriore strategicità imprenditoriale nelle pratiche di investimento in
cultura, a dimostrazione di come creare le basi per un proficuo intervento di soggetti
economici nel settore della cultura si possa realizzare, con ricadute positive per
l‟intera collettività.
12
Basti pensare al primato detenuto nel settore IT da paesi emergenti come Giappone, Cina, India, che
possono contare su condizioni di produzione e distribuzione molto più vantaggiose, manodopera a
basso costo e quindi una politica di prezzi decisamente più competitiva.
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1. IL SISTEMA IMPRESA, DAL POSTMODERNO AD
OGGI: DINAMICHE
La storia ci ha abituato, nel corso dei secoli, ad un numero pressoché incalcolabile di
sconvolgimenti di varia natura, che hanno costretto il genere umano ad adattarsi alle
mutate condizioni createsi ed a realizzare, da queste, nuove possibilità di crescita e di
sviluppo.
Parlare di “corsi e ricorsi storici”, citando Giambattista Vico
13
, potrebbe essere in
parte d‟aiuto per comprendere questo aspetto: a fronte di un‟ evoluzione progressiva
di una civiltà, sopraggiunge ciclicamente, in mancanza di innovazione e sviluppo, la
crisi dell‟ intero sistema con un consequenziale regresso generale.
Ebbene, questa teoria può far riflettere, almeno in parte ovviamente, su quanto sta
attualmente accadendo a livello globale.
Le principali potenze economiche mondiali stanno faticosamente cercando di
risollevarsi da una crisi economica che, per la gravità delle conseguenze, ricorda
molto da vicino il crollo della Borsa di Wall Street che nel lontano 1929 frenò
bruscamente la tumultuosa ascesa economica degli Stati Uniti sulla scena
internazionale.
13
Il napoletano Giambattista Vico (1668-1744), fu il primo filosofo a fare della storia una scienza,
Vico formulò la teoria secondo cui il corso della storia umana procede in corsi e ricorsi, ma sempre in
un continuo progresso. In altre parole, la storia è fatta di periodi di progresso e periodi di regresso (i
„ricorsi‟) ma anche i periodi di decadenza possiedono in nuce le potenzialità di miglioramento. Un
famoso esempio di Vico contenuto nel suo “La Scienza Nuova” (1725) ne è la riprova: l‟ apogeo
dell‟Impero Romano, sostiene il filosofo, fu un periodo di indubbio progresso dell‟umanità, a cui fece
seguito l‟evitabile regresso, cioè il Medioevo. Eppure, il medioevo non può essere considerato un
periodo totalmente negativo. Non si torna mai a un livello culturale precedente a quello dell‟età
classica, e il medioevo stesso possiede elementi che saranno alla base del nuovo progresso avvenuto
con il Rinascimento (ad esempio, sempre nelle parole di Vico, la letteratura medievale possiede opere
del calibro della Divina Commedia di Dante Alighieri).
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17
Esplosa negli Stati Uniti nell‟ agosto del 2007
14
, essa affonda le sue radici in una
deleteria politica creditizia nazionale, che infatti l‟ha resa nota anche come “crisi dei
mutui subprime”
15
, coinvolgendo velocemente, per effetto dell‟ economia
globalizzata, anche i mercati internazionali. L'incertezza che velocemente si è diffusa
ha reso, così, i mercati mondiali estremamente cauti e volatili, rendendo molto più
difficoltoso ottenere crediti. La crisi dei mutui subprime, specifica del mercato
statunitense, si è trasformata in una crisi finanziaria di portata mondiale.
L‟ opinione pubblica, dal canto suo, si divide in merito al dibattito circa l‟ imperante
crisi economica e delle possibili concause che ne hanno aggravato gli effetti: si parla
di crisi del sistema capitalistico, di sbagliata gestione delle risorse, di investimenti fin
troppo temerari i cui sfavorevoli effetti si ripercuotono a livello globale
16
, creando un
pericoloso effetto-domino che coinvolge inevitabilmente l‟ intera collettività.
Un quadro così complesso caratterizzato da una diffusa incertezza costringe
inevitabilmente i vari attori economici a rivedere le proprie attività e le pianificazioni
strategiche future, abbandonando le più audaci condotte passate per far posto ad una
logica di gestione più oculata, responsabile ed attenta.
14
Secondo Robert Manning, direttore del “ Center for consumer financial services” del Rochester
Institute of Technology, tale crisi in realtà avrebbe avuto modo di attecchire in una fase già critica per
l‟ economia americana, risalente alla fine della bolla delle dot-com (e quindi già alla fine del 2000).
All‟ imponente distruzione di ricchezza risalente a questo periodo, dovuta al ribasso del Nasdaq e
all‟eccessiva allocazione di capitali nel comparto tecnologico, non è però seguita una recessione
dell‟economia reale di altrettanta gravità a causa dell‟aumento sconsiderato del prezzo degli immobili,
ossia della creazione di una seconda bolla, quella immobiliare appunto, considerata la reale
responsabile dell‟ attuale recessione.
15
In realtà l‟ attuale recessione possiede l'origine nell' indiscriminata erogazione di mutui con un tasso
d‟interesse molto basso per i primi anni e un brusco aumento nei successivi (i subprime appunto)
anche a clienti non in possesso delle necessarie garanzie per usufruirne. Il tutto in virtù dell‟ enorme
sviluppo immobiliare americano di quegli anni, che aveva spinto ad aumentare la domanda
immobiliare (e quindi i rispettivi prezzi). Allo stesso tempo le banche e le altre istituzioni finanziarie
si proteggevano da ogni rischio attraverso il sistema delle cartolarizzazioni, ossia rivendendo i mutui
subprime “impacchettati” in strumenti di investimento, soprattutto obbligazioni, che a loro volta
venivano “rimpacchettate” in altri strumenti di investimento, essenzialmente ad investitori istituzionali
e da questi a spesso ignari risparmiatori. Purtroppo il forte calo del mercato immobiliare statunitense
(dovuto ad una sua quasi completa saturazione) causò il crollo di tutto questo fragile sistema: reso
impossibile per molti proprietari rispettare gli impegni finanziari contratti, di conseguenza ci fu un
netto aumento dei sequestri di immobili nel mercato dei mutui subprime. In questo contesto molti dei
principali istituti che erogavano mutui subprime dovettero cessare l'attività o avviare la procedura di
fallimento. Le ripercussioni per l‟ Europa furono immediate, a causa dell' interconnessione dei mercati
finanziari globali, ed in particolare per il suddetto fenomeno delle cartolarizzazioni che avevano
coinvolto anche investitori esteri, contribuendo a far dilagare ulteriormente la crisi.
16
Recente è la notizia di una nuova bolla speculativa che ha colpito l‟ impero immobiliare e
finanziario del Dubai, generando ulteriore sconcerto nei mercati finanziari mondiali.
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18
Nel tentativo di fronteggiare una situazione di crisi però, le imprese sono spesso
inclini a commettere errori e a erodere inconsapevolmente la loro posizione
competitiva oltre che la loro redditività.
Un intervento limitato ad arginare i costi non è tuttavia sufficiente: “da un lato molte
aziende hanno adottato già dalla crisi del 2001 una rigida disciplina dei costi,
dall'altro maggiore automazione e produttività hanno diminuito i potenziali di
riduzione dei costi stessi”
17
.
Risulta quindi necessario intervenire congiuntamente su diverse leve strategiche, che
possano influire direttamente ed indirettamente sul profitto d‟ impresa.
Senza entrare nel merito delle possibili soluzione di carattere economico- finanziario
che possono essere sfruttate, la tendenza attuale a riformulare l‟ attività d‟ impresa
secondo nuovi asset strategici può rappresentare un‟ indubbia opportunità che
soltanto una crisi di tale proporzioni avrebbe potuto favorire.
L‟ attuale recessione può assumere, quindi, una valenza del tutto nuova, divenendo
stimolo e spinta ad un cambiamento nell‟ ambito dell‟attività imprenditoriale: per
sopravvivere in un contesto così instabile ed incerto, l‟ impresa non può che puntare
sulla ricerca, l‟ innovazione ed una maggiore flessibilità. Deve essere in grado di
percepire come cambia il mercato di riferimento e cambiare con esso, reinventando
e, perché no, riconvertendo la propria offerta in virtù delle esigenze che si
manifestano, e soprattutto ottimizzando le risorse esistenti prima di ricorrere a tagli
sconsiderati oltre che impopolari (pensiamo alla politica dei licenziamenti facili o
delle dismissioni di interi impianti produttivi). Un impegno in tal senso presenta
sicuramente degli enormi vantaggi e pone al riparo da critiche e tensioni che possono
minacciare profondamente l‟ impresa stessa
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Cfr. Come reagire alla crisi, articolo tratto da "L'IMPRESA", num. 2/2009, a cura di Mcs
Consulting.
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Un esempio fra tutti che può chiarire questo concetto è costituito dalla polemica che per molti mesi
ha imperversato sui media, non solo italiani ma anche internazionali, relativamente ai super stipendi
dei manager di grandi imprese. Ebbene, in tal caso a fronte di una crisi economica di portata epocale,
un simile trattamento economico, spesso immeritato, per i grandi manager rappresenta un evidente
paradosso, cosi come lo stesso presidente statunitense Barack Obama ha avuto modo di denunciare
oltre un anno fa. Un caso fra tanti è quello risalente ad diversi mesi fa quando l‟ Aig, gruppo
assicurativo ex numero uno al mondo, per sopravvivere ai contraccolpi della recessione non esitò a
chiedere l‟ intervento del governo, ricevendo aiuti pari a ben 170 miliardi di dollari. Parallelamente, i
vertici del gruppo annunciarono l'elargizione di 165 milioni di dollari di bonus ai suoi dirigenti.
(Tratto da LaRepubblica, Obama contro i bonus ai manager. 16 Marzo 2009)
COMUNICARE L’IMPRESA CON LA CULTURA: RELAZIONI VIRTUOSE E SCENARI COMPETITIVI
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Accanto a politiche operative, quindi, l‟ impresa non può assolutamente permettersi
di trascurare anche l‟aspetto comunicativo legato alla sua attività.
Un soggetto economico, che mira a massimizzare il profitto, così come afferma la
dottrina specifica, attraverso le relazioni con i suoi interlocutori non può non
considerare, oltre alla massimizzazione del capitale economico, anche una maggiore
attenzione al cd. “capitale sociale”
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d‟ impresa, che contribuisce sempre di più alla
redditività aziendale.
Questo processo di revisione e riposizionamento dei fattori strategici per un‟ efficace
politica imprenditoriale, non è frutto esclusivo delle criticità contingenti, ma trae le
sue origini da un processo evolutivo decisamente più antico e complesso: come parte
integrante del tessuto sociale, l‟ impresa risente delle trasformazioni ad essa
circostanti, rendendo necessaria, di riflesso, una metamorfosi generale anche di se
stessa. In tal senso, la funzione dell‟attuale crisi è stata di accelerare ulteriormente un
processo di per sé inevitabile.
1.1. L’impresa in tempo di crisi, da semplice attore economico ad
attore sociale tout-court
Nella sua accezione più tradizionale, l‟ impresa viene considerata “un' attività
economica organizzata, diretta alla produzione e allo scambio di beni e servizi,
esercitata professionalmente dall'imprenditore, volta alla creazione di ricchezza, non
solo attraverso la produzione di beni e servizi (agricola, industriale ed artigiana), ma
anche attraverso esercizi commerciali, di trasporto, bancari ed assicurativi”
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.
Pur tenendo presente questa importante nozione, di stampo economico-giuridico, è
utile osservare come “il soggetto impresa” sia divenuto nel tempo protagonista di
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Il concetto di capitale sociale ha visto in letteratura diverse definizioni: inizialmente lo si è
identificato come l‟ insieme di “relazioni interpersonali informali essenziali anche per il
funzionamento di società complesse ed altamente organizzate” (Jacobs, 1961); ma l‟ approccio attuale
vede una doppia lettura: da una parte, l‟ impronta individualista di Coleman, che parla di un “insieme
dei legami sui quali una persona o un gruppo può contare per realizzare i propri obiettivi”(Coleman,
1990), e dall‟ altra l‟ ottica relazionale collettivista di Putnam, che considera il capitale sociale come
“l‟ insieme di quel clima relazionale di fiducia, di appartenenza, di senso civico collettivo che
permette il buon funzionamento delle istituzioni e di progetti di tipo economico”. (Putnam, 1993).
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Art. 2555 e Art. 2082 del C.C.