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Introduzione
Il presente lavoro ha come oggetto il principio della doppia
sentenza conforme nel processo matrimoniale canonico.
Il primo capitolo espone la ricostruzione storica dello stesso
principio a partire dal Decreto di Graziano fino ai nostri giorni.
Il 3 novembre del 1741, Benedetto XIV con la costituzione Dei
miseratione, introdusse nel giudizio matrimoniale canonico la
necessità della duplice decisione giudiziaria conforme.
Il Pontefice ne fece oggetto di attenzione legislativa in quanto,
i tribunali e i giudici con estrema facilità e molto spesso impreparati e
animati da eccessiva benevolenza, elargivano pronunce di nullità in
processi frettolosi ed approssimativi.
Per contrastare questa situazione, con la stessa costituzione
Dei miseratione, fu introdotta nel processo matrimoniale canonico la
figura pubblica del Matrimoniorum Defensor investito dell’importante
funzione di proporre obbligatoriamente appello contro la prima
sentenza dichiarativa della nullità del vincolo coniugale.
Il principio della duplice decisione giudiziaria conforme trova
la sua consacrazione nella codificazione pio-benedettina promulgata
da Benedetto XV con la costituzione apostolica Providentissima mater
ecclesia del 27 maggio 1917 (can. 1986-1987).
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Il Codice del 1917 confermò la figura del Matrimoniorum
Defensor che assunse la denominazione, ancora oggi attuale, di
Defensor Vinculi, precisando le sue attribuzioni nell’ambito del
processo matrimoniale, tra le quali fu primariamente confermato
l’impulso ad attivare obbligatoriamente la fase di appello contro la
prima sentenza dichiarativa della nullità..
Il principio della doppia sentenza conforme è stato infine
recepito nella codificazione promulgata da Giovanni Paolo II con la
costituzione apostolica Sacrae Disciplinae Leges del 25 gennaio 1983.
Il vigente Codice di diritto canonico ha esonerato
dall’obbligatorietà dell’appello il difensore del vincolo, relegando tale
iniziativa processuale alla sua mera discrezionalità e disponendo
semplicemente la trasmissione d’ufficio al tribunale di appello
(nell’ottica di un’azione di controllo necessaria) relativamente alle
cause matrimoniali concluse con una pronuncia affermativa di nullità
del matrimonio.
In diritto canonico il passaggio in giudicato di una sentenza si
concretizza mediante la doppia conforme, cioè quando tra le
medesime parti, relativamente allo stesso petitum e alla stessa causa
petendi, vi sono due decisioni giudiziali identiche. Il codice attribuisce
alla cosa giudicata la stabilità che possiede solo il diritto, ritenendo la
pronuncia direttamente non impugnabile.
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La normativa della res iudicata non si applica alle cause circa
lo stato delle persone in quanto, trattandosi di diritti intimamente
legati alla persona, sono sempre suscettibili di un nuovo esame.
Infatti, nelle cause spirituali (come quelle matrimoniali) in cui vi è un
pericolo per la salvezza eterna dell’anima, l’esigenza di verità viene a
prevalere sull’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche.
Pertanto si è approfondito in tale lavoro, il significato della
salus animarum: finalità generale del diritto canonico e suprema lex
della Chiesa.
La salus animarum si pone quale principio direttivo e
ispiratore della giustizia dei Tribunali Ecclesiastici, in quanto il fine
immediato o prossimo del diritto canonico è comporre le sue norme e
istituzioni in modo tale che siano indirizzate al supremo fine pastorale
della salvezza delle anime. La Chiesa non può non tener conto della
missione salvifica, anche se tale riferimento a nozioni ecclesiali non
devono portare ad uno svuotamento della stessa giuridicità.
Da questa analisi è emersa la necessità di formare la coscienza
del giudice in ogni suo aspetto, dalla sua formazione umana, morale,
teologica, intellettuale alla conoscenza della scienza iuris e inoltre la
coscienza nella conoscenza esatta delle norme canoniche per la loro
retta applicazione, in quanto in tal modo la giustizia umana rifletterà la
verità oggettiva e quindi la stessa giustizia divina. Infatti, la verità cui
deve giungere il processo se non si basa sulle disposizioni normative
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alla luce delle quali devono essere valutati i singoli mezzi istruttori,
rimane una verità semplicemente probabile, scaturita da una certezza
soggettiva ed esclusivamente emozionale del giudice: una certezza che
non ha nulla a che vedere con la necessaria e sufficiente certezza
morale richiesta per l’emissione di una giusta sentenza, prima
manifestazione della salus animarum. Si evidenzia quanto sia difficile
il raggiungimento della verità oggettiva nelle cause relative alla nullità
del vincolo matrimoniale, e che quindi è necessario un profondo
impegno da parte del giudice e, ancora prima, una grande
professionalità ed esperienza radicate su una puntuale preparazione
teologico - canonica.
Nel secondo capitolo l’interesse è rivolto all’analisi del
concetto di giudicato e la sua valenza nelle cause matrimoniali.
La situazione derivante da una sentenza matrimoniale
eseguibile, cioè quella che non può essere impugnata direttamente
mediante l’appello ma solo indirettamente mediante la nova causae
propositio, implica una necessaria, sebbene non assoluta stabilità e
certezza, che ha portato un ampio settore dottrinale a parlare di
giudicato formale o quasi giudicato. L’inappellabilità verrebbe quindi
ad identificarsi con il giudicato formale. In tal modo verrebbero
armonizzate le esigenze di giustizia e di stabilità giungendo ad un
prudente equilibrio secondo cui, nelle cause matrimoniali, l’esigenza
di giustizia che impone un necessario adeguamento del dispositivo
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della sentenza (verità formale) alla realtà delle cose (verità materiale o
sostanziale) è garantita dal non passaggio in giudicato materiale della
sentenza, mentre l’esigenza di stabilità è assicurata dalla
inappellabilità (giudicato formale) della doppia conforme e dai limiti
relativi all’impugnazione di questo provvedimento.
La dottrina concettualizza due tipi di giudicato: costitutivo e
dichiarativo. Considerata la natura costitutiva del giudicato di origine
romanistica è sembrato più consono denominarlo giudicato materiale
e, di conseguenza designare giudicato formale quello eseguibile, ma di
natura meramente dichiarativa e impugnabile con la nova causae
propositio.
L’analisi giurisprudenziale inerente al concetto di conformità,
ha interessato la seconda parte di questo capitolo e tutto il successivo
incentrando l’attenzione non solo sulle varie impostazioni e
concezioni teoriche ma anche su casi pratici di conformità formale e
sostanziale.
Il codice del 1983 al canone 1641 precisa che per aversi
conformità deve sussistere identità: delle parti, del petitum e della
causa petendi. Precisamente la conformità tra due sentenze esige
l’identità dell’unico elemento variabile, ossia la causa petendi,
essendo necessariamente identici i coniugi e il petitum (vincolo
matrimoniale della cui validità si discute).
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La giurisprudenza rotale distingue tra conformità formale delle
decisioni e conformità sostanziale o equivalente.
Sono formalmente conformi due sentenze che si basano sullo
stesso capo di nullità.
Conseguentemente si considerano formalmente difformi due
sentenze se la causa petendi intesa come capo di nullità è distinta.
Secondo autorevole dottrina e giurisprudenza adesso recepite
in un importante documento quale la Dignitas Connubii del 25
gennaio del 2005, debbono considerarsi equivalentemente ossia
sostanzialmente conformi le decisioni che, sebbene indichino il capo
di nullità con una diversa denominazione, si fondano sugli stessi fatti
che hanno causato la nullità del matrimonio e sulle medesime prove.
Quello che si richiede ai fini della conformità sostanziale è che
i diversi capi di nullità siano quantomeno legati da un nesso di
causalità e traggano origine da uno stesso frammento di vicenda
umana, da un episodio o una situazione di vita vissuta che ha assunto
un’efficacia determinante nell’alterazione che si è prodotta nel
processo di adesione al matrimonio. Naturalmente l’evento o
complesso di fatti a cui fare riferimento deve essere quello che si pone
più direttamente a fondamento della nullità. Deve essere il fatto
principale idoneo di per sé, e autonomamente, a dare luogo all’effetto
giuridico rappresentato dalla nullità del matrimonio. Tale fatto deve
essere distinto dal fatto secondario o semplice, il quale nel processo è
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giuridicamente rilevante non per sé stesso, ma in quanto concorre a
dare la prova del fatto principale.
Di conseguenza, tale orientamento scostandosi già a priori dal
capo di nullità come parametro per l’identificazione della conformità
tra due sentenze, utilizza a tal fine un altro criterio di maggiore
larghezza ossia il fatto giuridico qui identificato con la causa petendi.
La dichiarazione della conformità equivalente di due sentenze
è stata chiesta frequentemente al Tribunale della Rota Romana per
motivi di economia processuale, cioè per rendere più spedita ed agile
la trattazione delle cause matrimoniali. Il giudice ecclesiastico che
giudica in nome della Chiesa deve tener conto dei motivi supremi del
suo ufficio ed osservare la sostanza delle norme. Egli deve tener conto
del bene delle anime e decidere senza inutile dilazione. In base a
questo ragionamento è lecito dichiarare due sentenze anche soltanto
equivalentemente conformi.
Il riconoscimento della conformità equivalente diventa
espressione della carità pastorale del giudice che interpreta la norma
giuridica tenendo conto del suo scopo ultimo, la salute delle anime,
non sufficientemente garantita nel caso di una sua applicazione
meramente tecnica.
Pacificamente è accettato il principio secondo il quale il
fondamento ultimo per la concessione della conformità equivalente è
l’equità canonica che permette un’interpretazione larga del canone
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1641 per rendere più spedita la definizione dello stato giuridico delle
persone nelle cause matrimoniali.
Ne consegue che la concessione dipende dalla discrezione dei
giudici che sono liberi di concederla o negarla. La dichiarazione della
conformità sostanziale costituisce piuttosto l’eccezione e non la
regola. Diventa quasi una grazia che ognuno può chiedere ma nessuno
deve pretendere di ricevere, sebbene nel caso concreto ricorrono tutte
le condizioni comunemente richieste dalla giurisprudenza per la
conformità sostanziale.
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CAPITOLO I
STORIA DELLA DOPPIA SENTENZA CONFORME
NEL PROCESSO MATRIMONIALE CANONICO
1.1 Dal Decreto di Graziano alla costituzione Dei miseratione di
Benedetto XIV
Il principio della doppia sentenza conforme introdotto da
Benedetto XIV il 3 novembre 1741 con la costituzione Dei
miseratione, è stato successivamente codificato nel Codex 1917
(cann.1986-1987) e infine recepito dal Codex 1983 (cann.1682,1684).
Tuttavia, Francesco Salerno ha sostenuto che la doppia sentenza
conforme nel processo matrimoniale canonico ha dei precedenti nella
legislazione e nella dottrina medievali. Questi ultimi sarebbero fondati
sul semplice ed incontestabile rilievo di una coincidenza della
motivazione del provvedimento benedettino, che ha introdotto il
principio, con le motivazioni per le quali si è preteso, nel periodo
medievale, una collegialità sui generis del giudizio nelle cause
matrimoniali nonchè il non passaggio in giudicato delle relative
sentenze
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Dai passi che riguardano l’argomento emerge che nel processo canonico
medievale si aveva una collegialità in senso improprio, ossia ricorrevano casi
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Come è noto nel diritto della Chiesa, già Graziano
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iniziò a
distinguere fra sentenza e cosa giudicata. Il Maestro affermava che
l’omesso ricorso all’organo giudicante superiore, entro dieci giorni,
avrebbe condotto alla formazione del iudicatum; come pure di
giudicato si poteva parlare in caso di una sentenza d’appello
confermativa di una precedente. In linea con la dottrina grazianea si
pose la normativa successiva che, in modo uniforme, distinse fra
giudicato e sentenza, e subordinò la formazione del giudicato alla
mancata proposizione dell’appello ovvero alla conferma in ulteriore
grado di una sentenza. I civilisti, in un primo tempo e diversamente
dalla dottrina canonica, ritennero che il giudicato nasceva
contestualmente all’emanazione della sentenza, sì da giungere ad una
identificazione dei due concetti solo idealmente distinti. Si rifacevano
in ciò al sistema romanistico dell’ordo in cui ogni sentenza, che fosse
formalmente perfetta e che fosse il risultato di un procedimento
corretto, acquisiva, nel momento stesso della pronuncia e per il solo
giudicati da una pluralità di giudici che non costituivano un vero collegium e non
agivano collegiatur: essi decidevano in modo autonomo, ed il giudicato definitivo si
aveva da una comparazione dei contenuti delle singole decisioni, cfr. SALERNO F.,
Doppia conforme nel processo matrimoniale canonico: ipotetici precedenti
medievali, in AA.VV., Verità e definitività della sentenza canonica, Libreria Editrice
Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 9 e 17.
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Graziano, monaco camaldolese del XII secolo, fu autore di una grande raccolta
di testi canonistici, intitolata Concordia discordantium canonum o, come prevalse
nell’uso, Decretum Gratiani destinato a diventare la pietra angolare del Corpus iuris
canonici. Con quest’opera, che pare composta fra il 1140 e il 1142, furono poste le
fondamenta di un indirizzo giuridico, distinto da quello teologico fino ad allora
prevalente, nello studio e nella sistemazione delle istituzioni della Chiesa, cfr.
AA.VV., Dizionario Enciclopedico Italiano, Ed. Treccani, Roma 1995, p.421.