occupazionali che possono determinare la scelta individuale di commettere o
non commettere reati.
Sulla base dei risultati ottenuti, nel secondo capitolo si discute l'ipotesi di
ricerca, basata sul presupposto che un aumento degli investimenti nel capitale
umano possa portare ad una riduzione dell'ammontare di reati.
Ciò conduce ad analizzare nel terzo capitolo, attraverso l’analisi di fonti
secondarie, diverse tipologie di esperienze di investimento nel capitale umano
attuate all’estero e di dimostrare che esse possono essere uno strumento di
prevenzione della criminalità.
Il quarto capitolo è dedicato allo studio degli investimenti nel capitale
umano attuati in Trentino, al fine di esaminare l’ipotesi che il basso tasso di
disoccupazione e di criminalità di questa provincia siano dovuti all’alto livello
di capitale umano. In chiusura di capitolo si propone, infine, un modello per la
verifica di questa ipotesi.
Le fonti da me utilizzate nell’elaborazione della tesi, comprendono
numerosi articoli di riviste criminologiche, sociologiche ed economiche. In
aggiunta mi sono avvalsa di saggi e pubblicazioni di organizzazioni e
Dipartimenti governativi esteri riguardanti gli interventi preventivi di alcuni tra
i Paesi più all’avanguardia in questo settore.
In particolare, per il terzo capitolo, mi sono avvalsa di esperimenti
reperiti presso siti Internet e Dipartimenti di Giustizia americani, grazie anche
alla gentile collaborazione del Prof. Peter Reuter e del suo collaboratore Robert
Apel.
Molti dei documenti utilizzati per la stesura del quarto capitolo sono stati
raccolti presso organizzazioni ed enti trentini, in particolare l’Agenzia del
Lavoro, il Servizio Addestramento e Formazione Professionale, la Federazione
Trentina delle Cooperative.
L’importanza del materiale reperito attraverso Internet, ha suggerito di
dedicare una sezione della bibliografia ai siti più importanti in materia di
prevenzione della criminalità.
Vorrei infine esprimere la mia gratitudine nei confronti della Dott.ssa
Flavia Bianchi e del Dott. Roberto Cornelli per il supporto materiale e morale
durante la stesura della tesi.
Ringrazio inoltre i miei genitori e mia sorella Giulia per la pazienza e per
l’incoraggiamento senza il quale questa tesi non sarebbe nata.
Introduzione
Disoccupazione e criminalità
La relazione tra disoccupazione e criminalità rappresenta uno degli
argomenti più dibattuti della criminologia contemporanea. Alla base di questa
relazione vi è la convinzione di senso comune che all'aumentare del numero
dei disoccupati cresca anche il tasso di criminalità, in quanto i soggetti che non
hanno un lavoro hanno molto tempo a disposizione ed hanno bisogno di
denaro. Inoltre la presenza di masse di disoccupati che vagano per le strade
crea allarme sociale tra i cittadini.
La relazione tra disoccupazione e criminalità, tuttavia, è tanto data per
scontata a livello di opinione pubblica quanto dibattuta a livello scientifico. Gli
studi criminologici
1
che hanno analizzato questa connessione sono pervenuti a
conclusioni deboli, molto criticate e spesso controverse.
Il dibattito sull'esistenza di una relazione tra disoccupazione e criminalità
sta assumendo un ruolo di grande attualità da quando, negli Stati Uniti, si
stanno verificando due fenomeni contemporaneamente: l'espansione
economica e la riduzione dei tassi di delinquenza
2
. Stando ad un articolo del
1
Per una sintesi di questi studi si veda J.Q. Wilson, P.J. Cook, "Unemployment and Crime.
What is the Connection?", in The Public Interest, n. 79, Spring 1985.
2
Si veda l'introduzione a M. Barbagli (a cura di), Perché è diminuita la criminalità negli
Stati Uniti?, Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 7-50; e S. Nasar, K.B. Mitchell, "Booming Job
Market Draws Young Black Men into Fold", in The New York Times, New York, Sunday,
23
rd
May, 1999.
New York Times
3
, il boom economico ha portato i tassi di disoccupazione
americani a livelli minimi e sono stati i soggetti meno scolarizzati, con scarse
competenze professionali e di razza nera, cioè gli individui spesso soggetti a
periodi di disoccupazione prolungata, i più avvantaggiati da questa crescita. In
effetti, i soggetti con queste caratteristiche socio-economiche sono quelli che,
secondo la letteratura, sono più propensi a commettere reati. Questa
constatazione giustificherebbe la relazione tra crescita economica e riduzione
della criminalità.
La situazione è tuttavia più complicata di quella che apparentemente
sembra. La crescita dell'economia americana ha portato ad un innalzamento del
livello di occupazione ma, quello che spesso non si dice, è che anche
l'occupazione è cambiata. Sono, infatti, aumentati gli impieghi temporanei, i
contratti part-time ed il lavoro interinale. Di qui l'esigenza di capire se la
riduzione della criminalità ed il calo della disoccupazione non siano solo
fenomeni che accadono simultaneamente ma se tra essi vi possa essere una
relazione più profonda.
Ma cosa succede in Italia? Nel nostro Paese il numero di delitti
denunciati è calato sensibilmente nella prima metà del decennio, per poi salire
leggermente e poi cominciare una tendenziale diminuzione; dal 1990 al 1999 i
delitti denunciati ogni 100.000 abitanti sono diminuiti del 6,6%
4
.
Il rapporto I.S.Fo.L.
5
del 2000 evidenzia che l'occupazione in Italia è in
sostanziale crescita, sono aumentate le forme di impiego non tradizionali anche
3
S. Nasar, K.B. Mitchell, op. cit. supra a nota 2.
4
Elaborazioni Transcrime su dati ISTAT e Ministero dell'Interno. Per ulteriori informazioni
si rimanda alla tabella 4.4 del capitolo 4.
5
C. Bensi, S.D. Rosati, M.R. Colella, A. Buzzanca, G. Scarpetti, Sintesi rapporto ISFOL
2000, Ufficio stampa I.S.Fo.L. Reperibile all'indirizzo Internet
http://www.ilsole24ore.com/art.jhtml?artid=16367#k4k.
se le occupazioni a tempo determinato e full-time sono ancora predominanti.
L'espansione dell'occupazione ha tuttavia favorito non i disoccupati di lunga
durata bensì gli individui inattivi
6
.
Il mercato del lavoro sta dunque cambiando molto anche in Italia, la
disoccupazione sta diminuendo ed anche la criminalità è in leggero calo. Quali
fattori fanno sì che il numero di disoccupati di lungo periodo rimanga invariato
anche all’aumentare dell’occupazione? E questo che effetti ha sulla
commissione di reati? In sintesi, quali sono le condizioni affinché il mercato
del lavoro sia uno strumento di prevenzione del crimine? A queste domande si
cercherà di rispondere nel corso della trattazione.
6
Ovvero coloro i quali non si dichiarano né occupati, né in cerca di occupazione, come, per
esempio gli studenti, le casalinghe e i pensionati.
Capitolo primo
Fattori economici e criminalità
Introduzione
L'obiettivo del capitolo è illustrare la relazione tra fattori economici e
criminalità. In merito a questa relazione ha particolare rilievo la dimostrazione
di come una parte della criminalità dipenda dalla condizione occupazionale
degli individui sul mercato.
Nell’ambito di questa relazione si trattano solo quei crimini che sono
determinati da situazioni di svantaggio economico.
Il legame tra economia e criminalità viene studiato attraverso l’analisi di
fattori, strutturali e congiunturali, che possono causare la commissione di reati.
Dalle ricerche emerge che, entro la relazione tra economia e criminalità,
il reddito è una delle variabili intervenienti più importanti nel processo di
motivazione al crimine.
Dato che il reddito è influenzato dalla condizione occupazionale di un
individuo, si analizza la relazione che intercorre tra questa e la criminalità. La
situazione occupazionale è una variabile dicotomica che viene studiata in
relazione alle sue modalità: occupazione e disoccupazione, al fine di
individuare i fattori che intervengono a far sì che la disoccupazione porti alla
criminalità, e che l'occupazione funga, invece, da deterrente.
Alla fine del capitolo si dimostra il legame esistente tra educazione e
criminalità attraverso l’analisi di come il livello d'istruzione di un individuo
regoli le opportunità occupazionali alle quali egli può accedere.
1.1 Economia e criminalità
La criminalità è un fenomeno sociale influenzato anche da fattori
economici di ordine contingente o strutturale.
Tra i primi “si annoverano le crisi economiche (recessione,
disoccupazione, inflazione); i periodi di rapido sviluppo economico; le guerre
ed i periodi di rapido mutamento sociale che di solito le seguono. Tutti questi
fattori sono di per sé ambigui, cioè possono operare sia nel senso di accrescere
che nel senso di ridurre il tasso di criminalità”
7
. Essi influiscono, cioè, sulla
motivazione e sulle opportunità contingenti di breve periodo a commettere
crimini.
Al contrario, i fattori strutturali incidono sulla propensione criminale di
lungo periodo, traggono origine dalla struttura sociale ed è “pressoché
7
L. Gallino, Dizionario di sociologia, UTET, Torino, 1993, p. 185.
impossibile rimuoverli con interventi diretti delle forze di governo, e non
scompaiono quasi mai a causa della loro dinamica autonoma”
8
.
Questi fattori comprendono le variazioni nella struttura di classe, lo
sviluppo di forme di anomia, situazioni di conflitto culturale, fenomeni di
rapida urbanizzazione, fenomeni di segregazione e marginalizzazione,
inefficienza delle forze di polizia o del sistema giudiziario, presenza di valori a
giustificazione degli atti criminosi
9
.
La situazione economica è correlata alla criminalità sia come fattore
strutturale che congiunturale. Nel primo caso la struttura economica è un
fattore statico ed influisce sulle cause profonde della criminalità, nella seconda
ipotesi è un fattore dinamico in quanto le variazioni della congiuntura
economica, ovvero il ciclo economico, spiegano le cause contingenti della
commissione di fatti delittuosi.
Questa suddivisione riguarda non solo l’eziologia del crimine, ma si
riflette anche sulle tipologie di reato e sulle soluzioni preventive da adottare.
La relazione tra fattori economici e criminalità varia, perciò, a seconda che
questi siano strutturali o congiunturali.
La tradizione marxista si occupa dei fattori strutturali sostenendo che la
situazione economica delle classi più svantaggiate è causa di criminalità. Già
secondo Engels lo stato di depressione economica nel quale vivevano gli
operai a lui contemporanei, avrebbe contribuito a rendere le persone
svantaggiate più propense al crimine
10
.
8
L. Gallino, op. cit. supra a nota 7, p. 184.
9
L. Gallino, op. cit. supra a nota 7, pp. 184-185.
10
J. Braithwaite, Inequality, Crime and Public Policy, Routledge & Kegan Paul, London,
1979, pp. 65-66.
Questa ipotesi è stata approfondita da Bonger
11
, il quale, analizzando
alcune delle caratteristiche del sistema di produzione capitalistico, nota che
esso ha contribuito a generare forme di egoismo nella società. L’egoismo non
avvantaggia i soggetti più deboli economicamente, ma li induce a reagire ad
una situazione considerata ingiusta deviando dalle norme e dai valori accettati
dalla società, cioè commettendo crimini.
Tra i criminologi che hanno sviluppato teorie in merito alla reazione
sociale connessa al crimine, vi sono Merton e Agnew. Il primo ha elaborato
una teoria che spiega il comportamento di un individuo attraverso un sistema
di fini e di mezzi
12
. Secondo Merton la società pone dei fini, degli obiettivi,
conformi ai valori sociali, desiderabili dai suoi appartenenti e stabilisce una
serie di mezzi per raggiungere questi obiettivi.
Ad esempio, il fine più desiderabile nella società americana è, per
Merton, il successo ma non tutti possiedono gli strumenti per raggiungerlo. In
particolare, gli individui appartenenti alle classi più povere ed emarginate
dispongono di mezzi insufficienti per raggiungere l’obiettivo del successo,
cosicché questi soggetti possono cercare di affermarsi attraverso strumenti, o in
ambiti, non leciti.
La strain theory di Agnew
13
spiega che se un soggetto riceve, come
conseguenza delle sue azioni, delle ricompense non proporzionate a quanto
egli si aspetta, può provare sentimenti di angoscia e frustrazione. Nel lungo
11
A.W. Bonger, Criminalità e condizioni economiche, UNICOPLI; Milano, 1982, pp. 159-
192.
12
J. Braithwaite, op. cit. supra a nota 10.
13
R. Agnew, “Foundation for a General Strain Theory”, in Criminology, vol. 30, n. 1,
February 1991, pp. 48-87.
periodo questa insoddisfazione può creare rabbia e tensione nei confronti di
una società che permette un sistema di remunerazioni così “ingiusto”.
Commettere un reato può servire ad alleviare l’angoscia, a vendicarsi o
semplicemente a sfogare la propria indignazione.
Considerare il sistema sociale come causa strutturale del crimine, implica
riconoscere che la commissione di reati possa essere motivata, oltre che dal
beneficio che se ne può trarre, anche dal valore "simbolico" che esso può
assumere per l’individuo. Il reato rappresenta pertanto anche uno strumento di
reazione sociale.
La motivazione, anche non economica, che spinge alla commissione di
crimini, rende difficile l’identificazione della tipologia di reati commessi da
questi soggetti. Considerato tuttavia il significato di reazione sociale, tali reati
generalmente assumono una connotazione violenta.
La spiegazione del crimine di Bonger si basa su una sorta di
determinismo economico: la condizione di svantaggio nel quale sono tenute le
classi più povere crea le condizioni affinché esse commettano crimini contro la
società alla quale appartengono.
La constatazione che i fattori economici strutturali influenzano la
motivazione alla commissione di reati, pone problemi in termini di
prevenzione. La prevenzione della criminalità, dipendente dallo svantaggio
economico delle classi sociali più povere, potrebbe essere attuata solo
modificando la struttura sociale. In questo senso la riduzione delle disparità
economiche tra classi può contribuire alla rimozione della criminalità dovuta a
fattori economici strutturali.
Tuttavia, cambiare la struttura sociale potrebbe essere insufficiente in
quanto le aspettative non soddisfatte, che Agnew indica alla base della
motivazione criminale, sono fattori soggettivi e non oggettivi. Si potrebbe
perciò verificare l’ipotesi che, pur riducendo gli squilibri economici tra classi
sociali, permangano aspettative insoddisfatte a motivare la commissione di
reati.
Krahn, Hartnagel e Gartrell
14
hanno condotto un’analisi su dati
INTERPOL riguardanti i tassi di omicidio di diversi Paesi. Gli autori hanno
notato che il tasso di omicidi per 100.000 abitanti è di molto superiore nelle
società più ricche che in quelle più povere. Ciò potrebbe derivare dal fatto che
nei Paesi economicamente più prosperi, nonostante si riducano le differenze tra
classi sociali, le aspettative di successo e ricchezza siano migliori perché
percepite essere alla portata di tutti.
Lo studio sopra riportato conferma che la rimozione delle cause
strutturali del crimine potrebbe non risolvere il problema della criminalità
dovuta a variabili economiche strutturali, in quanto la percezione dello
svantaggio sociale è un fattore soggettivo.
Per quanto riguarda i fattori economici congiunturali, essi influenzano
l’andamento della criminalità agendo sul sistema di motivazioni e di
opportunità criminali. In questo caso sono le fluttuazioni dell’economia e non
la struttura economica a causare un aumento del numero dei reati. Se
l’aumento del tasso di criminalità sia dovuto all’espansione o alla recessione
dell’economia è un fatto ancora molto dibattuto.
14
Krahn H., Hartnagel T.F., Gartell J.W., "Income Inequality and Homicide Rates: Cross
National Data and Criminological Theories", in Criminology, vol. 24, n. 2, May 1986.
Ferri
15
è stato il primo a prendere in esame la relazione tra cicli
economici e reati. Egli, studiando il tasso di criminalità in Francia tra il 1826 e
il 1878, dimostra che, in quel periodo, la quantità di reati aumenta
congiuntamente al miglioramento della situazione economica. Tuttavia l’autore
non fornisce una spiegazione scientifica e plausibile di questa relazione.
La connessione viene spiegata da Brenner nel 1976, attraverso un’analisi
comparata di variabili economiche e criminali tra Stati Uniti, Inghilterra e
Galles, Scozia e Canada
16
. Per gli anni che vanno dal 1900 al 1973, egli studia
la relazione tra variabili economiche, quali tasso di disoccupazione, prodotto
nazionale lordo pro capite, tasso annuale di aumento dei prezzi, e variabili
criminali, quali delitti noti alla polizia, rinvii a giudizio, numero di condannati
e ingressi in carcere.
Lo studio di Brenner evidenzia che le variabili economiche e quelle
criminali sono tra loro strettamente correlate.
17
Tra le variabili economiche è il
tasso di disoccupazione a determinare una variazione maggiore nella quantità
di reati, spiegando nel 50-60% dei casi l’andamento del tasso di criminalità.
L’aumento del tasso di disoccupazione è, secondo Brenner, causato da un
incremento dei prezzi, a sua volta dovuto ad una crescita dell’inflazione.
15
E. Ferri, “Studi sulla criminalità in Francia dal 1986 al 1878”, in Annali di statistica, serie
2, vol. 21, 1991. Citato in T. Bandini, U. Gatti, M.I. Marugo, A. Verde, Criminologia,
Giuffrè Editore, Milano, 1991, p. 416.
16
H. Brenner, “Effects of the Economy on Criminal Behaviour and the Administration of
Criminal Justice in the U.S., Canada, England and Wales and Scotland” in UNSDRI,
Economic Crises and Crime, United Nations Social Defence Research Institute, Rome, 1976.
Citato in T. Bandini, U. Gatti, M.I. Marugo, A. Verde, op. cit. supra a nota 15, p. 423.
17
Le variabili economiche spiegano oltre il 90% della variabilità delle variabili criminali. La
variabilità è una misura dello scostamento di una distribuzione dalla media. Se la variabile
dipendente (criminalità) fosse completamente spiegata dalla indipendente (indici economici),
la variabilità sarebbe del 100%. Una variabilità del 90% indica, dunque, che gli indici della
criminalità dipendono quasi completamente dagli indici economici.
L’andamento della criminalità è influenzato dal ciclo economico: ciò
equivale ad affermare che la motivazione a commettere reati è determinata da
fattori economici congiunturali.
I risultati a cui è giunto Brenner hanno ispirato molti ricercatori, che si
sono proposti di studiare e verificare la relazione tra fasi economiche e
criminalità.
Il Consiglio d’Europa
18
ha analizzato l’andamento di alcuni reati, del
sistema di giustizia penale e di alcuni indicatori di condizioni economiche a
partire dal 1963 in Gran Bretagna, Francia e Germania. La necessità di
confrontare le statistiche sulla criminalità e sui sistemi di giustizia penale di
diversi Paesi, ha reso necessario uniformare quanto più possibile i dati
nazionali, al fine di neutralizzare le disparità dovute ai differenti metodi di
raccolta.
L’ipotesi di partenza della ricerca del Consiglio d’Europa è che il tasso di
criminalità sia legato a variazioni della crescita economica e del sistema di
giustizia penale.
Questo studio non porta a risultati statisticamente significativi, né per
quanto riguarda le relazioni tra le variabili del modello, né per quello che
concerne i segni delle relazioni. L’analisi dimostra che il numero totale di reati
riportati dalla polizia è correlato al prodotto nazionale lordo negativamente in
Germania e Francia, positivamente in Gran Bretagna. Analogamente, il
numero di reati ha una relazione con il tasso di disoccupazione positiva in Gran
Bretagna e Germania, negativa in Francia. Questi risultati, oltre ad essere
discordanti, presentano una scarsa significatività statistica.
18
European Committee on Crime Problems, Economic Crises and Crime, Council of Europe,
Strasbourg, 1985, pp. 67-84.