5
Introduzione
L’elaborato si occupa di indagare le motivazioni alla base del consumo d’acqua da bere
in Italia. L’obiettivo è quello di dimostrare la centralità della comunicazione nel formare e
modificare il sistema di credenze, opinioni e atteggiamenti, concentrandosi sul ruolo delle
imprese, della pubblica amministrazione, dei cittadini e sulla loro responsabilità nei confronti
della società.
Al centro della tesi, emerge il tema dell’acqua come idea di Bene Comune da salvaguardare,
tema di estrema rilevanza in questi ultimi mesi
1
, ma soprattutto il tema del consumo d’acqua
da bere in Italia, le sue diverse problematiche, iniziative e attori.
Su questo tema giocano un ruolo fondamentale, spesso in contrapposizione l'uno con l'altro, il
marketing dei privati, il marketing sociale delle pubbliche amministrazioni e i singoli cittadini
che, di fronte all'impotenza di queste ultime, si organizzano tra di loro.
Nel corso dell'elaborato si dimostrerà che il consumo d’acqua in Italia prima di tutto ha radici
culturali e non è basato esclusivamente su reali motivi tecnici legati alla qualità dell’acqua degli
acquedotti italiani
2
. Si cercherà quindi di capire il perché delle scelte dei consumatori e dei
cittadini italiani. Si verificherà anche che al giorno di oggi, si sta diffondendo sempre di più una
consapevolezza dell’essere cittadino. Oggi, i cittadini non vogliono più essere dipendenti e
vittime del settore privato e dall’altra parte si ritrovano di fronte all’inefficienza (nella maggior
parte dei casi) della loro pubblica amministrazione. Nel caso del consumo d’acqua, ciò che è
più evidente è l’assenza di comunicazione da parte della pubblica amministrazione. Da una
parte, le aziende imbottigliatrici diffondono messaggi pubblicitari volti a sedurre i consumatori,
dall’altra i cittadini sembrano non disporre di sufficienti informazioni riguardo la qualità
dell'acqua e degli acquedotti. Questo divario di comunicazione, ovviamente, ha conseguenze
dirette sui consumi, sulle spese e sull'ambiente. L'elaborato vuole anche però descrivere quelle
incoraggianti iniziative, sia pubbliche che private, che possono contribuire in maniera
determinante a modificare il comportamento dei consumatori, perché un cambiamento nei
consumi d'acqua da parte degli italiani sta avendo luogo e le pubbliche amministrazione
devono essere le protagoniste.
1
La ricerca si svolge nel 2011, anno del referendum in italia contro la privatizzazione dell’acqua pubblica
e la positibilità di trarne profitto.
2
Per acquedotto si intende l’insieme delle strutture attraverso cui l’acqua, partendo dai punti di
captazione e passando attraverso una serie di trattamenti, viene inviata alle utenze finali.
6
Nella prima parte si analizzerà il tema del Bene comune, soggetto ad un'accesa
discussione tra posizioni ottimiste ed entusiaste e posizioni più scettiche. Saranno in
particolare prese in considerazione le opinioni di Hardin, Malthus e Chomsky. Essi
evidenzieranno l’importanza di un ritorno all’idea di collettività, indispensabile quando si parla
di Bene Comune. Saranno approfondite in particolare le tematiche ambientali, il ruolo e la
responsabilizzazione dei consumatori, e sarà anche dato uno sguardo generale sullo stato della
risorsa Acqua. Successivamente si introdurrà il caso del Referendum del 12 e 13 giugno 2011, e
si cercherà di capire la costruzione di un movimento cittadino come quello del movimento
Acqua Bene Comune. Per ciò e per appronfondire maggiormente la ricerca, sarà interessante
basarsi sul racconto di Andrea Caselli, rappresentante del movimento nella Regione Emilia-
Romagna. Questa analisi permetterà di introdurre il tema delle nuove tecnologie in relazione
alla diffusione dell’idea di Bene Comune.
Nella seconda parte sarà incentrata sul consumo d’acqua in Italia. Verrano presentati i
diversi tipi di consumo e i motivi alla base di essi. Partendo da queste constatazioni, si
analizzeranno gli aspetti dello stato dell’informazione nella società attuale, introducendo il
tema della società del rischio sviluppata dagli studi di Beck e Giddens. Tramite questa analisi
verranno formulate le ipotesi di ricerca, ossia il fatto che il consumo d’acqua in Italia sia
correlato principalmente ad un grado di informazione, o più spesso, di non informazione in una
società dove il cittadino-consumatore si ritrova in un contesto d’informazione sempre più
aperto e “caotico”. Si avrà modo di dimostrare che questo contesto ha creato, e crea ancora,
confusione ed è alla base di scelte di consumo che per anni sono state basate non
sull’informazione, la ragione e la consapevolezza, ma sull’attenzione, l’individualismo e
l’iperconsumo.
Nella terza parte si approfondirà il tema, introducendo i diversi concetti di
comunicazione ambientale, green marketing e green washing, ma anche il concetto di
marketing sociale. Si vorrà dimostrare che grazie all’utilizzo di queste tecniche di
comunicazione e marketing è ancora possibile incoroggiare ad un consumo consapevole e più
rispettoso dell’ambiente. Particolare attenzione sarà rivolta a tre casi di analisi che riguardano i
principali attori coinvolti nel tema del consumo d’acqua: i produttori (il caso Sant’Anna), i
distributori (il caso Coop e la relativa campagna di informazione “Acqua di casa mia”) e i
gestori della rete idrica (il caso Publiacqua e le relative iniziative appoggiate dal Comune di
Firenze). Si ha avuto modo di approfondire l’analisi attraverso le testimonianze di Claudio
Mazzini, responsabile sosteniblità, innovazione e valori Coop Italia e Ornella Farani,
responsabile dello Sportello EcoEquo presso il Comune di Firenze.
7
Prima parte: il Bene Comune, un’idea da costruire insieme
Capitolo 1.1 - Il Bene Comune: tra mito e pessimismo della ragione
Prima di entrare nel merito del discorso sembra più che utile dedicare alcune pagine al
concetto di Bene Comune. Quando si parla di Bene Comune ci si riferisce generalmente ad uno
specifico bene che è condiviso da tutti i membri di una specifica comunità.
Ma dare una definizione di Bene Comune, o anche solo di Bene, oggi risulta particolarmente
difficile. Il fatto che oggi viviamo in un caotico sistema-mondo in cui la vita di valori o categorie
che fino a questo punto della storia dell’umanità venivano considerate come acquisite (tutela
dei diritti umani, pace, libertà, ecc) vanno a estinguersi rende sempre più difficile la definizione
dell’idea di Bene Comune.
In questo capitolo si introdurrà il concetto della tragedia dei Beni Comuni sviluppato da Garrett
Hardin, il quale sostiene che i concetti di benessere e di ricchezza sono stati ridotti a quelli di
benessere personale e di ricchezza individuale. In un secondo tempo, si evidenzierà
l’importanza di concetti quali la collettività, la cittadinza attiva, responsabile e consapevole per
rivalutare l’idea di Bene Comune.
1.1.1 - La tragedia dei Beni Comuni
La popolazione, come disse Malthus
3
, per natura tende a crescere “geometricamente”
o, come dovremmo dire oggi, esponenzialmente. In un mondo finito, ciò significa che la parte
dei beni disponibili per ciascuno deve diminuire in modo costante. Il numero di abitanti cresce
sempre di più, ma i beni da condividere sono sempre di meno (petrolio,spazi verdi, cibo, ecc),
oppure di stessa quantità (terra, aria, acqua). E lì sta la tragedia. Ogni uomo è prigioniero di un
sistema che lo obbliga e lo spinge ad accrescere illimitatamente i propri beni, in un mondo che
è limitato. La rovina è la destinazione verso la quale tutti gli uomini si affrettano, ciascuno
perseguendo il proprio massimo interesse in una società che crede nella libertà di accesso ai
Beni Comuni. È quindi necessario che per questi beni e per la loro corretta gestione si
pervenga ad una funzionale definizione dei diritti di proprietà (cfr pp. 8 e 9).
3
Thomas Robert Malthus è stato un economista e demografo inglese. La teoria demografica di Malthus
sostiene il ricorso al controllo delle nascite per impedire l'impoverimento dell'umanità.
8
Come ricorda Garrett Hardin
4
, “usare i beni comuni come pozzo nero non provoca un danno
pubblico in condizioni di scarsa popolazione, dal momento che non c’è alcun “pubblico”; lo
stesso comportamento in una metropoli è intollerabile. Centocinquant’anni fa, un uomo delle
Grandi Pianure americane poteva uccidere un bisonte, tagliargli la sola lingua per cena e
scartare il resto dell’animale. Anche così facendo, non si comportava da vero e proprio
sprecone. Oggigiorno, quando rimangono solo poche migliaia di bisonti, inorridiremmo di
fronte ad un comportamento simile”.
Per Garrett Hardin il sunto più semplice di questa analisi dei problemi di popolazione
dell’uomo è questo: la proprietà comune, se è giustificabile, è giustificabile solo in condizioni di
bassa densità di popolazione. Quando la popolazione umana è cresciuta, in un modo o
nell’altro si è dovuta abbandonare la pratica della proprietà comune.
I concetti di benessere e di ricchezza sono quindi stati ridotti a quelli di benessere personale e
di ricchezza individuale. La nozione di ricchezza collettiva non sembra più far parte,
spontaneamente, del bagaglio culturale della gente. Ciò che fu, fino a non molto fa, il “tesoro
pubblico”, cioè le finanze pubbliche, oggi è considerato piuttosto come una forma di esproprio
operato dai poteri pubblici sulla ricchezza individuale dei cittadini.
Per Riccardo Petrella e Rosario Lembo
5
, la maggioranza delle classi dirigenti è riuscita ad
imporre una visione utilitarista e corporativa della società basata su due principi fondatori:
Il primo: non esiste più o esiste sempre di meno, il cittadino che gode di diritti quali
l’acqua, l’alloggio, la salute, l’educazione, gratuitamente, dove i costi sono coperti dalla
collettività e finanziati attraverso la fiscalità. Il livello di qualità della vita e l’accesso ai diversi
beni dipendono sempre più dal potere di acquisto individuale. Da qui il ritorno, o
l’accentuazione delle ineguaglianze strutturali fra le persone e i gruppi sociali nell’accesso alla
salute, alla sicurezza di vita, all’educazione, documentato in tutti i paesi ricchi, in primis negli
Stati Uniti.
Secondo principio: l’accesso ai suddetti beni e servizi deve operare in un contesto di
“liberi” scambi di merci e di servizi in “liberi” mercati concorrenziali internazionali, prodotti e
gestiti da imprese private, prima pubbliche, sempre di più governate da imperativi di natura
finanziaria (ottimizzare il ritorno sugli investimenti e quindi generare profitto) la cui
determinazione è decisa dai “liberi” mercati finanziari mondiali. Lo spirito che anima il sistema
attuale è la competitività, cioè la rivalità per la conquista dei mercati e quindi l’esclusione dei
4
Nel suo famoso The Tragedy of the Commons, Published in Science N°162, December 13, 1968.
5
In L’Italia che fa acqua, documenti e lotte per l’acqua pubblica contro la mercificazione del bene
comune, Napoli 2006, pagina 11.
9
perdenti e di tutti coloro (individui, città, regioni, paesi) il cui potere d’acquisto non permette
di ottenere il rendimento sugli investimenti al livello ottimale dettato dai mercati finanziari. La
competitività è diventata il principio di selezione dei migliori che legittima il clima di “guerre
economiche” in cui si trovano le nostre società.
In questi ultimi anni, quindi, il patrimonio pubblico è stato al centro di alcune importanti
operazioni di cosiddetta “finanza creativa”
6
che hanno sollevato un vivace dibattito su come
gestire i beni della collettività. Dato che il governo sta riducendo i fondi, le istituzioni pubbliche
sono costrette in misura sempre maggiore a ricorrere ai finanziamenti dei privati.
L’assunzione dominante è che, per effetto della libertà di accesso, prevarranno comportamenti
opportunistici o comunque dannosi per l’interesse generale, cosicché l’esito sarà certamente
l’inefficienza e probabilmente la “tragedia”. Per questo si raccomanda una soluzione
istituzionale diversa che, a seconda dei casi (e delle caratteristiche di escludibilità), può essere
rappresentata dalla privatizzazione o dalla gestione pubblica. Ma il problema dei beni pubblici
non deve essere pensato in termini di titolarità: ossia ponendo il problema di chi sia il
proprietario della cosa. Idealmente, questi beni appartengono a tutti ed è necessario pensare
al problema non tanto alle cose in sé ma dall'utilità che da esse può scaturire. Nella discussione
sull’alternativa tra proprietà pubblica e privata, un tema particolarmente discusso è appunto
quello dei commons. Infatti, quando determinati beni sono liberamente accessibili, secondo
l’analisi economica del diritto, si verifica una condizione simile a quella descritta nel “dilemma
del prigioniero”
7
: sono le condotte non cooperative e l’individualismo che prevalgono. Tutti, ad
esempio, tendono a tirare al proprio amo il maggior numero possibile di pesci, a cacciare la
fauna nei boschi, e a sfruttare gli altri bene della foresta; ma così facendo determinano la
progressiva scomparsa delle risorse. Per definire questa situazione, Garrett Hardin coniò la
fortunata formula della “tragedia dei comuni”. Questa si determina ogni volta che il libero
accesso ai beni collettivi genera fenomeni di “sovraconsumo” che conducono al deperimento
delle risorse. Di qui la necessità di limitare il libero accesso e l’uso senza regole delle risorse.
La proprietà pubblica e la regolamentazione amministrativa tramite gli strumenti propri del
6
Ossia, privatizzazioni, cartolarizzazioni, fondi immobiliari, trasformazioni di enti pubblici in spa.
7
Il dilemma del prigioniero è un gioco ad informazione completa proposto negli anni
cinquanta da Albert Tucker come problema di teoria dei giochi. Oltre ad essere stato approfonditamente
studiato in questo contesto, il "dilemma" è anche piuttosto noto al pubblico non tecnico come esempio
di paradosso. Il dilemma può essere descritto come segue. Due criminali vengono accusati di aver
commesso un reato. Gli investigatori li arrestano entrambi e li chiudono in due celle diverse impedendo
loro di comunicare. Ad ognuno di loro vengono date due scelte: confessare l'accaduto, oppure non
confessare. Viene inoltre spiegato loro che:
1. Se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena;
l'altro viene però condannato a 7 anni di carcere.
2. Se entrambi confessano, vengono entrambi condannati a 6 anni.
3. Se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a 1 anno.
10
“command and control”, in astratto, possono costituire una valida soluzione. Esse, infatti, sono
in grado di limitare l’accesso a determinati beni evitandone così il sovraconsumo. Lo stesso
Hardin, con riguardo ai grandi parchi nazionali, per evitare lo sperpero delle risorse, suggeriva,
in alternativa alla privatizzazione, di mantenerle in proprietà pubblica, ma affidando al potere
pubblico il compito di stabilire chi aveva diritto ad accedervi secondo meccanismi differenziati.
L’immagine di Hardin, tuttavia, è diventata rapidamente un potente ed efficace argomento in
favore della privatizzazione, in ciò accompagnato dalla dimostrazione di una pluralità di casi in
cui la cattiva amministrazione pubblica avrebbe storicamente condotto al ciclico ripetersi di
“tragedie”. Soltanto la ripartizione dei beni comuni e la loro assegnazione pro quota ai singoli
in regime di proprietà privata, infatti, consentirebbero di “internalizzare” le esternalità
8
.
1.1.2 - Tornare ad essere dei cittadini attivi
Il teorico della comunicazione statunitense, Noam Chomsky
9
, incoraggia a
riappropriarsi di strumenti e spazi che consentano di essere realmente cittadini e non solo
sudditi e obbedienti consumatori. Perché dopo aver aperto gli occhi, costruire il bene comune
è ancora possibile.
Chomsky, riposiziona quindi il cittadino al centro delle dinamiche di decisioni e l’incoraggia a
partecipare attivamente alla vita politica per ricostruire e riproporre una idea di bene comune.
Anche Aristotele dava per scontato che una democrazia dovesse essere pienamente
partecipativa (con alcune significative eccezioni, come le donne e gli schiavi) e che dovesse
porsi come obiettivo il bene comune. Per poter raggiungere un simile scopo, la democrazia
doveva garantire una relativa uguaglianza, “il possesso di beni in quantità misurata e
adeguata” e “un benessere duraturo” per tutti. In altre parole, Aristotele era consapevole che
in presenza di enormi disuguaglianze sociali non è possibile parlare seriamente di democrazia.
Tocca quindi alla collettività farsi carico di tutti i servizi relativi ad un bene al quale hanno tutti
diritto di accesso e, quindi, coprire i costi associati attraverso la finanza pubblica. I costi per
garantire i diritti umani e sociali ricadono sulla responsabilità della collettività, di tutti i membri
della comunità, attraverso il “tesoro pubblico” rappresentato dalla fiscalità e dai prelievi sulla
ricchezza collettiva. L’obiettivo è quindi quello di creare un senso di comunità che permette di
poter condividere certi valori, per consentire all’intera collettività di accettare di contribuire al
8
In economia una esternalità si manifesta quando l'attività di produzione o di consumo di un soggetto
influenza, negativamente o positivamente, il benessere di un altro soggetto, senza che quest’ultimo
riceva una compensazione (nel caso di impatto negativo) o paghi un prezzo (nel caso di impatto positivo)
pari al costo o al beneficio sopportato/ricevuto.
9
In: Chomsky, N., a cura di David Barsamian, D., Il bene comune.
11
mantenimento, al buon funzionamento e alla salvaguardia di questi Beni.
La cultura non consiste soltanto nel formare individui con valori intrinseci, ma anche formarsi
ad una visione “comune” del problema: si parte fin dall’inizio dalla consapevolezza di un
legame tra le persone, e si ragiona in termini di “noi”.
La qualità dello sviluppo della terra intera dipende sicuramente da automobili, computers e
frigoriferi (i classici beni privati), ma molto più da beni comuni come i gas serra, l’acqua, l’aria,
da cui dipendono poi anche automobili, computers e frigoriferi,ecc.
Occorre allora, più che mai con urgenza, tenere in forte considerazione anche un altro tipo di
economia, che abbia come scopo la salvaguardia dei beni comuni come risorsa scarsa
prioritaria per la collettività e il suo benessere, e non soltanto l’uso frenetico delle risorse.
In tutto ciò la politica, quella vera, può e deve ritornare ad esercitare un ruolo centrale di
controllo e indirizzo, prima che gli effetti dei nostri consumi e delle nostre azioni producano
ulteriori danni. Si deve quindi, prendere coscienza che facciamo parte di un sistema-mondo,
nel quale ogni persona, e ogni comportamento e azioni hanno delle ripercussioni che possono
avere caratteristiche positive o negative.
Per quanto riguarda l’attenzione per l’acqua in Italia, se si va al di là dei temi ambientalisti e del
importante opera di sensibilizzazione ed educazione civica delle giovani generazioni condotta
dal mondo della scuola, è un fenomeno recente. Comincia a svilupparsi nella seconda metà
degli anni ’90. Essa si afferma in reazione ad un deterioramento eclatante della politica, del
vivere insieme e della “res publica”, nel contesto di una diffusa mercificazione e privatizzazione
dei beni comuni.
Per il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo
10
, nel caso dell’acqua per la vita “non ci sono
“venditori” né “consumatori” ma cittadini, esseri umani, che hanno diritto alla vita e cittadini
responsabili della collettività che a nome della comunità devono garantire a tutti, grazie anche
all’uso delle risorse finanziarie comuni l’accesso all’acqua potabile e, altre sì, gran parte
dell’acqua per la produzione di quei beni, come il cibo, anch’essi essenziali e insostituibili per la
vita”.
Da una parte si osserva dunque, un individualismo crescente che porta all’esclusione di una
grande parte della popolazione mondiale e a un divario sempre maggiore tra ricchi e poveri. A
10
In, Petrella, R., Lembo, R., L’Italia che fa acqua, documenti e lotte per l’acqua pubblica contro la
mercificazione del bene comune, Napoli 2006, p.3.
12
ciò si aggiungono degli effetti negativi che questo atteggiamento e questo tipo di economia
hanno sulla nostra terra. Dall’altra parte invece, in opposizione all’individualismo, si sviluppa
una certa forma di utopia, che vede nella distribuzione dei beni comuni e nell’uguaglianza nella
ripartizione delle risorse, l’unica strada da percorrere per tornare ad un sistema-mondo
ragionevole e duraturo.
Da questo quadro emerge come l'idea di bene comune non sia stata tenuta sufficientemente
in considerazione. Nel corso degli ultimi anni si sta indubbiamente assistendo ad un
cambiamento. Numerosi sono i segnali positivi che evidenziano una rivalutazione del concetto
di bene comune e nel corso dell'elaborato si presenteranno una serie di iniziative a
dimostrazione di ciò (cfr. terza parte).
13
Capitolo 1.2 - L’ambiente: ad un passo della consapevolezza
Quando si parla di Bene Comune, si può far riferimento a molteplici tipi di beni, tra i
quali: l’informazione, la cultura e l’ambiente. In riferimento a questo elaborato, è necessario
interessarsi all’ambiente, che rappresenta un Bene Comune fondamentale per l’intera
collettività. Si cercherà in queste pagine di capire in quali condizioni versa l’ambiente, come
viene percepito, quali sono i problemi, le soluzioni, ma si vedrà anche che l’ambiente è un
tema sempre più d’attualità e una delle questioni di maggior rilevanza per l’opinione pubblica.
1.2.1 - Un individualismo che favorisce l’inquinamento
La tragedia dei beni comuni si presenta di nuovo nel problema dell’inquinamento e
dell’ambiente, ma questa volta in modo invertito
11
. In questo caso non è questione di sottrarre
qualcosa alla gestione comune, ma di immettere e produrre nuovi elementi, con un impatto
fortemente negativo sull'ambiente
12
. I calcoli degli utili sono gli stessi di prima. L’uomo
razionale scopre che la sua parte del costo determinato dai rifiuti che scarica nei terreni
comuni è inferiore al costo che gli comporterebbe il depurare quei rifiuti prima di scaricarli. Dal
momento che questo vale per tutti, l'uomo è condannato a deteriorare il suo stesso “nido”,
fino a quando smetterà di comportarsi come libero imprenditore indipendente dalla
collettività e individualista. La tragedia dei beni comuni intesi come un paniere può essere
evitata dalla proprietà privata o da qualcosa di formalmente simile. Ma l’aria e l’acqua che ci
circondano non possono essere prontamente recintate, per cui la tragedia dei beni comuni
trattati come pozzo nero deve essere impedita con mezzi differenti, quali leggi coercitive o
sistemi di tassazione che rendano più economico per gli inquinatori il depurare i propri
inquinanti piuttosto che scaricarli così come sono. In realtà, il particolare concetto di proprietà
privata, che induce a non esaurire le risorse positive della Terra, favorisce l’inquinamento. Il
proprietario di una fabbrica posta sulla riva di un torrente trova spesso difficile comprendere le
ragioni per le quali non è un diritto naturale intorbidare le acque che fluiscono oltre i confini
della sua proprietà. La legge, spesso per non dire sempre, è indietro rispetto ai tempi. Per
adattarsi a questi nuovi aspetti della questione delle proprietà comuni richiede rappezzamenti
e adattamenti.
Il problema dell’inquinamento è una conseguenza dell’esponenziale crescita della
11
Garrett Hardin, The Tragedy of the Commons, Published in Science N°162, December 13, 1968.
12
Gli scarichi fognari, chimici, radioattivi, termici nelle acque; fumi dannosi e pericolosi nell’aria e cartelli
pubblicitari che distraggono ed esteticamente poco gradevoli, ecc.
14
popolazione
13
. Essa non era di grande importanza quando c’erano pochi uomini sulla terra che
producevano pochi rifiuti e causavano poco inquinamento. Ma col crescere della densità della
popolazione, i processi di riciclo chimico e biologico naturali sono stati sovraccaricati,
rendendo così necessaria una ridefinizione dei diritti di proprietà. Si parla quindi di nuovo di
esternalità. Occore anzitutto che lo Stato (cfr.par.1.2.3), sin da subito, adotti pesanti sanzioni
per chi più danneggia l’ambiente e preveda un loro progressivo inasprimento, attribuendo al
mondo della produzione l’assunzione degli oneri relativi a tutti i costi ecologici che genera
l’attività economica, e di cui questa invece non si fa carico riversandoli sulla società,
contabilizzandoli a secondo delle esternalità prodotte dalla singola impresa o sotto forma di
ecotasse. Questo richiama il principio della responsabilità estesa del produttore. I prezzi delle
merci non includono quasi mai o in misura soltanto simboliche, e in prospettiva è colpa grave, i
costi del degrado ambientale che il prelievo delle risorse naturali comporta.
Ulrich Beck si chiede se viviamo in una società “io-centrica”?
14
Se si presta ascolto agli slogan
dilaganti nel dibattito pubblico si potrebbe pensare proprio così: la dissoluzione della
solidarietà, il declino dei valori, la cultura del narcisismo, l’edonismo arrivista e così via. Da
questo punto di vista, la società si nutre di risorse morali che è incapace di ripristinare; la
trascendentale “ecologia dei valori”, nella quale sono radicate l’idea di comunità, la solidarietà,
la giustizia e in definitiva, la democrazia, sembrava ed era in declino negli ultimi anni: la
modernità sta mettendo alla prova i propri stessi indispensabili presupposti morali. Ma da
un’altra parte si nota un forte ritorno di questi concetti (cfr.cap. 1.4). Per Beck, “gli individui si
sono adattati al futuro più di quanto non lo abbiano fatto le istituzioni sociali e i loro
rappresentanti”
15
. Per cui è necessario che queste istituzioni sociali si attivano e riescano ad
avviare nuove dinamiche per compensare questo ritardo e tornare al centro dei procedimenti
sociali (cfr.cap. 3.4). I nuovi comportamenti, quindi, dimostrano di essere la risultante di una
raggiunta consapevolezza, e non soltanto di norme o limiti che vengono imposti dall’esterno.
Ai mutamenti nel vissuto e nelle pratiche del consumo nel modificare il contesto in analisi, si
somma l’emergenza ambientale, il riscaldamento del pianeta, ma anche tanti inquietanti
fenomeni di degrado che creano nuove criticità ma allo stesso tempo nuove consapevolezze. È
opinione diffusa l’avvicinarsi del momento in cui verrà lanciato l’allarme rosso, ormai il rischio
di implodere non è uno scenario collocato in un futuro sia pure prossimo, ma già visibilmente
in corso.
13
In questo caso si fa di nuovo riferimento alla teoria di Malthus.
14
Beck, U., La società del rischio, Asterios, Trieste 2001.
15
Ivi, p. 20.
15
1.2.2 - Il ruolo e la responsabilizzazione dei consumatori
16
La crescita economica è stata, per la gran parte della popolazione e comunque
nell’immaginario collettivo, sinonimo e/o presupposto di benessere generalizzato. Ma questa
crescita ha provocato dei drammatici risvolti ambientali.
Oggi, anche per quelli che sostengono uno sviluppo ad ogni costo è doveroso, o forse soltanto
politicamente corretto, far seguire il termine sostenibilità. In effetti, fra i fattori che stanno
generando un profondo ripensamento sui modelli di consumo, quelli relativi alle
problematiche ambientali e ad un diverso rapporto con la natura, rivestono un ruolo davvero
cruciale. Si parla sempre di più di “effetto serra” e di riscaldamento globale, di deforestazione e
cementificazione, dell’emergenza dei rifiuti, ecc.
È nel corso degli anni Ottanta che la società dei consumi registra una straordinaria
accelerazione verso la globalizzazione e di conseguenza verso una società caratterizzata dal
“iperconsumo”. Nonostante questa accelerazione si nota un orientamento nuovo, rivolto a
scelte socialmente responsabili e ambientalmente compatibili. I consumi appaiono cioè, nelle
recenti ma dilaganti espressioni, anche come una nuova e promettente frontiera di impegno
politico. Una riabilitazione del consumatore, se non addirittura del consumo, sembra oggi più
che necessaria. Sta prendendo forma una nuova figura, quella che potremmo definire del
“consumatore-cittadino”: persona sempre più informata e attenta ai valori ambientali ed etici
insiti negli acquisti di ogni giorno. La relazione tra stili di vita e consumi nella società in cui
viviamo è assai stretta. Lo stile di vita sottende l’adozione, anche se non sempre consapevole e
razionalizzata, di modi di pensare e di comportarsi simili in gran parte degli ambiti della vita
sociale e individuale. È nelle scelte di consumo che si concretizza e diviene visibile uno stile di
vita. Leonardo Becchetti osserva come “attraverso le scelte di responsabilità sociale, i cittadini
possono tornare a essere i protagonisti delle scelte socio-economiche del sistema in cui vivono,
votando ogni giorno con le proprie azioni di consumo e di risparmio per uno sviluppo
ecologicamente e socialmente sostenibile e per il cambiamento di direzione del sistema
economico dall’obiettivo della crescita a quello finale della felicità”
17
.
Le imprese, quindi, possono e debbono interpretare un ruolo di primissimo piano instaurando
anche con il consumatore un proficuo rapporto di partnership (cfr. cap. 3.3).
16
I dati esposti in questo paragrafo provengono da Fabris, G., La società post-crescita, consumi e stili di
vita, Egea, Milano 2010. Le ricerche a cui si fa riferimento nel testo sono state effettuate negli anni a
GPF nell’ambito del Monitor 3SC su campioni rappresentativi della popolazione (interviste personali,
2500 casi) per una pluralità di committenti; e da Epistme (1000 casi, interviste face to face) pr Sana e
Federbio e per Consumer Forum (1000 casi, metodo CATI, rilevazione dati Ipsos).
17
In Fabris, G., La società post-crescita, consumi e stili di vita, Egea, Milano 2010, p.68.