Introduzione Il percorso di ricerca intrapreso tenta di analizzare la figura professionale del
mediatore e produrre una serie di possibili soluzioni volte a favorire l’approccio
all’estesa e ricca sfera della mediazione giuridico-penale. Il primo riferimento alla
figura professionale del mediatore interculturale si trova nella L. n. 40 del 6.3.1998
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,
che riconosce il diritto al supporto linguistico agli stranieri che entrano in contatto
con istituzioni e servizi pubblici, quali tribunali, commissariati di polizia, questure,
strutture sanitarie, istituzioni scolastiche, enti locali, servizi sociali e così via. La
necessità di una preparazione adeguata a ricoprire tale ruolo è stata avvertita fin dagli
inizi degli anni ’90 da Associazioni private 2
ed Enti locali che hanno istituito i primi
corsi per mediatori linguistico-culturali e hanno contribuito alla definizione del ruolo
svolto dal mediatore e della relativa qualificazione 3
.
Le definizioni attribuite a questa figura variano da un’istituzione ad un’altra,
si parla di: mediatore culturale, mediatore interculturale, mediatore linguistico-
culturale, operatore di madre lingua, interprete linguistico-culturale ed iniziano a
farsi largo anche espressioni quali interprete di comunità e interprete per i servizi
sociali. Le competenze richieste per coprire un tale ruolo sono diverse: 1) conoscenza
della ‘società’, ovvero, delle tradizioni, degli usi e costumi delle società in questione;
2) capacità comunicative, che includono sia il linguaggio verbale che quello non
verbale; 3) capacità tecniche, che vanno in funzione allo status di una persona
all’interno di una società e comportano la capacità di adottare comportamenti adatti
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Legge nota come ‘Turco-Napolitano’:“Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero”, art. 40, primo comma, lettera d: “Lo Stato, le regioni, le province e i comuni […]
favoriscono […] la realizzazione di convenzioni con associazioni regolarmente iscritte nel registro di
cui al comma 2 per l’impiego all’interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di
soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali al fine di agevolare i
rapporti tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti a diversi gruppi etnici, nazionali,
linguistici e religiosi”.
2
Tra le più attive citiamo il COSPE (cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti) di Firenze e il
CIES (Centro Informazione Educazione allo Sviluppo) di Roma.
3
Per la formazione interculturale realizzata da istituzioni universitarie e associazioni che operano
nella fascia della scuola dell’obbligo e nei servizi dell’infanzia si rimanda all’articolo di Lorenzo
Luatti, 2004.
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ad ogni situazione; 4) capacità sociali, riguardanti la conoscenza delle norme
dell’interazione sociale. Queste competenze culturali consentono al mediatore,
qualunque sia la sua denominazione specifica, di svolgere un ruolo importantissimo;
egli oltre a tradurre e interpretare linguisticamente, media tra due culture diverse ,
quella della società d’accoglienza (cultura dominante) e quella minoritaria dell’utente
straniero (cultura svantaggiata), esplicitando il substrato di norme giuridiche,
consuetudini e convenzioni relative al paese ospitante.
Graziella Favaro, ci fornisce una breve analisi del mediatore linguistico-
culturale affermando che esso interviene su tre piani. Il primo è quello orientativo-
informativo: essendo il tramite tra l’utente straniero e l’istituzione italiana, ci si
attende che svolga un ruolo d’accoglienza, informazione e orientamento; il secondo
piano è quello linguistico-comunicativo, ovvero traduzione di documenti scritti,
interpretariato durante colloqui, facilitazione linguistica ed esplicitazione di messaggi
verbali e non; il terzo piano è quello psicologico-relazionale che consiste nella
prevenzione e gestione di conflitti, analisi dei bisogni impliciti ed espliciti,
collaborazione con l’istituzione alla ricerca di risposte e soluzioni. In Italia, il
mediatore linguistico-culturale è generalmente uno straniero che vive nel nostro
paese e che condivide con l’immigrante non solo lingua e cultura, ma l’esperienza
del faticoso inserimento nella società italiana, riuscendo a orientarsi nei meandri
degli iter burocratico-amministrativi e sociali. Tali mediatori, sovente, non hanno
alcuna formazione specifica, sia per carenze organizzative dell’ente preposto che per
necessità finanziarie. Ma dal 2001 con la Riforma universitaria che istituisce il corso
di laurea triennale di primo livello in Scienze della mediazione linguistica, numerosi
atenei italiani hanno avviato corsi di formazione in questa disciplina 4
.
La professione del mediatore ha un forte contenuto sociale, dove
considerazioni etiche e deontologiche pongono questioni cruciali quali la neutralità e
l’equidistanza rispetto ai suoi interlocutori. Tale professione espone il mediatore ad
un notevole stress fisico e psicologico. In situazioni conflittuali o umanamente
drammatiche egli deve imparare a schermarsi dall’altrui aggressività e dall’altrui e
4 Cfr. G., Favaro, M., Fumagalli, Capirsi diversi idee e pratiche di mediazione interculturale, Carocci,
Roma, 2004.
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propria emotività. Oltre all’aspetto psicologico, c’è l’aspetto motivazionale che è
ugualmente importante. La carica comunicativa ed empatica è requisito
fondamentale per svolgere tale professione. Queste qualità, comunque, oggi non sono
ancora pienamente riconosciute e remunerate. Questo fa si che i dibattiti su questo
tema siano tutt’ora aperti.
Questa tesi si compone di tre parti principali. La prima comprende una breve
analisi della mediazione linguistico-culturale, per fornire un quadro introduttivo
sull’attività del mediatore e sui suoi contesti operativi. La seconda parte,
‘mediazione giuridica’, ‘processi penali’ e ‘ipotesi di formazione’ entra nel vivo
dell’analisi, raccogliendo informazioni approfondite sulla professione del mediatore
in ambito giuridico, sul suo operare all’interno dei tribunali, analizzando
dettagliatamente la sua figura e fornendo ipotesi di formazione.
La terza ed ultima parte, il linguaggio giuridico e la terminologia giuridica ,
affronta il tema complesso della lingua del diritto e delle sue peculiarità
nell’approccio sia testuale che comunicativo da parte del traduttore-interprete,
spostando l’attenzione anche all’esteso contesto linguistico dell’UE ed
all’elaborazione di un lessico comunitario che possa fronteggiare problemi dati dal
plurilinguismo. Ne scaturisce un contributo utile per un mediatore linguistico che si
accinge ad operare in campo giuridico e giudiziario, poiché fornisce una ricca
disamina terminologica ed esempi di possibili difficoltà di natura sia linguistica che
culturale a cui si può andare in contro e soluzioni per affrontarle.
In conclusione, il messaggio che emerge è che chi aspira ad un ruolo del
genere deve possedere una grande flessibilità e la capacità di acquisire rapidamente
una metodologia di lavoro ed una preparazione ad hoc specializzandosi nel settore,
dal momento che la giustizia rappresenta uno degli ambiti più articolati nonché
delicati che coinvolgono l’individuo.
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1. La mediazione linguistico-culturale: una definizione Le società umane sono attraversate da mutamenti che da decenni incidono
radicalmente sul tessuto sociale, politico ed economico delle singole nazioni.
Abitudini culturali, stili di vita, ambienti naturali e strutture sociali sono sottoposti a
trasformazioni, per via di meccanismi propri della globalizzazione economica. Le
grandi migrazioni internazionali, con il movimento di milioni di esseri umani dalle
aree economicamente svantaggiate del globo verso i paesi tecnologicamente più
avanzati, costituiscono uno degli aspetti più evidenti e complessi del profondo
cambiamento in atto negli equilibri geografici, politici e demografici del pianeta.
Limitando il nostro sguardo al solo continente europeo, i fenomeni migratori non
coinvolgono più soltanto i paesi storicamente meta di flussi di immigrati come il
Belgio o la Germania. Alla tradizionale migrazione verso i paesi industrializzati del
nord Europa si è affiancato infatti, recentemente, un fatto innovativo che coinvolge i
paesi dell’Europa meridionale, i quali da terre di migrazione, si sono trasformati in
importanti aree di immigrazione. Di fronte all’intensificarsi di questo fenomeno, a
partire dai primi anni novanta, è stata adottata una politica migratoria più restrittiva
nei confronti di migranti e profughi. Ma la regolamentazione dei nuovi arrivi non
risolve tuttavia le questioni relative agli immigrati, ai profughi ed ai beneficiari di
asilo politico già insediati stabilmente nei paesi di accoglienza.
Abbandonata l’illusione di un’immigrazione temporanea, i paesi post-
industriali si trovano a dover ri-progettare le proprie società in uno scenario
plurilingue, multietnico e multiculturale. La complessità delle relazioni, spesso
conflittuali, generate dall’incontro e dalla convivenza di soggetti portatori di
patrimoni linguistici e tradizioni culturali eterogenee, sollecita dunque interventi
volti a favorire l’accoglienza, l’inserimento e l’integrazione degli stranieri nei nuovi
contesti socioculturali, giuridici ed economici, ma ciò senza imporre necessariamente
l’omologazione ai modelli del paese di accoglienza e la perdita delle proprie radici.
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Negli ultimi vent’anni, si è sviluppata nelle società occidentali un’ampia
riflessione sul concetto di mediazione, intesa come strumento di intervento e di
approccio costruttivo alle tensioni ed ai conflitti che possono nascere nei contesti di
vita e di lavoro, nonché in ambito giuridico e penale. Nel nostro paese, l’espressione
‘mediazione culturale’ è apparsa nei primi anni novanta in concomitanza con
l’intensificarsi del flusso migratorio di popolazioni molto distanti culturalmente dai
nostri usi e costumi e con il presentarsi di bisogni inediti, di difficoltà di
comunicazione, di malintesi e di veri e propri conflitti tra i nuovi arrivati e la società
italiana. Sebbene non sia stata ancora elaborata una definizione univoca del concetto
di mediazione culturale, come risulta anche dalla varietà di termini usati per
indicarla: mediazione interculturale, mediazione linguistico-culturale, interpretariato
sociale e così via, né vi sia una specifica normativa nazionale in materia, l’unico
riferimento esplicito ai mediatori culturali in una legge nazionale è contenuto nella L.
40/1998 (Turco-Napolitano).
È possibile identificare tre fasi del processo di mediazione culturale; essa si
configura innanzitutto come un’attività volta a rendere più agevole la comunicazione
tra soggetti appartenenti a diversi universi linguistici e culturali, indipendentemente
dall’esistenza di situazioni di tensione e di conflitto. Il processo di mediazione
consiste, a questo livello, nel facilitare il superamento degli ostacoli comunicativi
verbali e non verbali e nel favorire la conoscenza reciproca dei rispettivi codici e
sistemi di valori. In secondo luogo, il concetto di mediazione fa riferimento all’area
della risoluzione di conflitti tra la famiglia immigrata e la società di accoglienza o
all’interno della famiglia stessa. In terzo luogo, la mediazione culturale implica l’idea
di un processo di cambiamento in cui l’integrazione viene raggiunta attraverso
l’elaborazione fra i nativi e gli immigrati di nuove norme condivise.
Vista la molteplicità delle funzioni della mediazione, merita attenzione lo
‘spazio’ occupato dal mediatore. Ovvero ci si chiede da che parte esso stia, se a
fianco dell’utente straniero, oppure a fianco dell’operatore, o cerca invece di
mantenere un’uguale distanza tra i due interlocutori. Così vengono a delinearsi tre
diverse possibilità: il mediatore che media, che si schiera, oppure che facilita la
relazione.
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Il mediatore che ‘media’ si pone come ‘ponte’ fra le due parti, ha il compito di
dare voce alle domande, ai bisogni e al punto di vista dell’utente. L’obiettivo è quello
di favorire la comunicazione, prevenendo o segnalando malintesi e fraintendimenti,
stabilendo punti di accordo e di contatto, chiarendo le esigenze degli operatori e le
domande degli utenti. È una risorsa per l’utente, il quale viene informato,
accompagnato, messo in relazione, ma è, allo stesso tempo, anche una risorsa per
l’operatore e il servizio, poiché rende esplicite le domande e i punti di vista e traduce
e riformula indicazioni e risposte. Cura quindi i legami nei due sensi: dall’utente al
servizio e dal servizio all’utente.
Il mediatore ‘che si schiera’, prende invece le parti dell’utente, considerato
più debole e vulnerabile rispetto alla capacità di formulare domande e di ottenere
risposte adeguate. In questo secondo caso, la richiesta di un intervento di mediazione
può venire dagli utenti stessi, che si rivolgono al connazionale più esperto e meglio
inserito per essere accompagnati, aiutati, sostenuti nella relazione con il servizio e gli
operatori.
Nel terzo caso, il mediatore ‘traghettatore’ che facilita l’accesso e l’uso di un
servizio o di una risorsa per tutti, è ugualmente schierato, ma a fianco dell’operatore.
Il suo compito è quello di far passare messaggi e indicazioni che si riferiscono al
funzionamento, a regole implicite del servizio, al ‘non detto’ che regola le relazioni e
definisce le norme.
In alcuni casi è possibile distinguere le diverse funzioni del mediatore e la
posizione nella quale si colloca. In altri, invece, la funzione di ‘ponte’ e
‘traghettatore’ tra i due poli della relazione, si alterna a quella di ‘avvocato’
dell’utente straniero.
Vi sono alcuni enti che, per loro natura e per i servizi che erogano, si
avvalgono per lo più di mediatori linguistici e interpreti ‘tecnici e fedeli’.
Negli sportelli dell’anagrafe comunale, ad esempio, è necessario che i termini
e i documenti in uso, siano presentati a chi non è italofono in maniera corretta e
fedele. In altri ambiti, come quello sanitario, il ruolo che il mediatore è chiamato a
svolgere è quello di interprete affidabile di diagnosi, prescrizioni, informazioni
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mediche, ma ha anche funzioni di rassicurazione, approfondimento e agisce come
contenimento dell’ansia.
La comunicazione mediata richiede inoltre tempi lunghi e dilatati. I turni di
parola, le attese, le domande reciproche di approfondimento esigono ritmi più lenti
per consentire a ciascuno di prendere la parola. Il mediatore quindi ha, per il tempo
del colloquio, il ‘potere linguistico’ che gli deriva dalla possibilità di muoversi fra i
due spazi linguistici definendo il ritmo e la circolarità della parola. Oltre alla
tempistica, la mediazione richiede anche capacità di attesa da parte dell’alloglotta,
nel tollerare la non comprensione, i vuoti di significato, durante la conversazione
esolingue che può avvenire tra mediatore ed operatore. Nello spazio da attesa, si può
comunque affinare lo sguardo e cogliere con maggiore attenzione gli spazi non
verbali, il linguaggio del corpo, la postura, gli sguardi, i gesti, i movimenti, il tono
della voce.
Oltre il colloquio a tre, la comunicazione mediata necessita anche di spazi e
tempi a due, ovvero, tra operatore e mediatore. Prima del colloquio ci si deve
scambiare informazioni, definire i bisogni e le eventuali richieste e situazioni che
devono essere chiarite. Inoltre, dopo il colloquio è necessario che operatore e
mediatore trovino il modo di confrontarsi, per esprimere dubbi, domande,
interpretazioni e per definire insieme le mosse successive 5
.
Dal punto di vista linguistico, vi possono essere varie definizioni per
inquadrare le diverse funzioni svolte dal mediatore.
Per le funzioni di ‘tramite e ponte’ si utilizzano spesso i termini:
- mediatore linguistico-culturale;
- mediatore culturale;
- mediatore interculturale;
- mediatore del conflitto.
Per le funzioni di ‘portavoce e difensore’ del gruppo di minoranza:
- mediatore etnico;
- mediatore di comunità;
- operatore comunitario;
5 Ibidem.
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- leader o rappresentante del gruppo;
- agente di sviluppo comunitario.
Per le funzioni di ‘traghettatore’, che si esprimono soprattutto attraverso la
traduzione e la facilitazione linguistica e sociale:
- mediatore linguistico;
- interprete sociale;
- traduttore;
- facilitatore linguistico.
Ma le diverse funzioni e i ruoli occupati dal mediatore sono spesso
compresenti e sovrapposti ed è difficile distinguerli. In alcune situazioni, infatti,
come nei piccoli centri, il mediatore disponibile sul territorio diventa un ‘tuttofare’ e
interviene in servizi diversi con un ventaglio di compiti molto ampio. In altri casi,
invece, come nelle città più grandi, le sue funzioni diventano più ‘mirate’,
rispondendo alle esigenze del servizio e degli utenti. Due sono quindi le
caratteristiche che intervengono per delineare in linea di massima lo spazio ed il
ruolo occupati dal mediatore: le caratteristiche del luogo in cui opera (centro piccolo
o grande) ed il tipo di servizio nel quale è inserito (sociale, sanitario, educativo,
scolastico e così via)
6
.
1.1 Ruolo e formazione del mediatore linguistico-culturale Secondo il CNEL 2000 (Organismo Nazionale di coordinamento per le
politiche di integrazione sociale degli stranieri) al mediatore viene chiesto di: a.
svolgere interpretariato linguistico-culturale e decodificare i codici culturali che
sottostanno al linguaggio; b. favorire la conoscenza e l’uso appropriato dei servizi; c.
informare e rendere consapevoli gli operatori sulle logiche e sui codici culturali della
persona straniera; d. accompagnare l’utente nella mediazione con le diverse
istituzioni e nel confronto con gli usi e costumi italiani; e. aiutare servizi e operatori
nativi nell’analizzare nuovi bisogni e individuare interventi più adeguati. Nelle
istituzioni italiane esiste più o meno una distinzione tra ‘interprete’ e ‘mediatore’:
6 G., Favaro, M., Fumagalli, op. cit., Carocci, Roma, 2004, pp. 37-38.
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dall’interprete ci si aspetta una conoscenza linguistica nella traduzione e dal
mediatore una conoscenza delle culture ed una competenza nel facilitare le relazioni.
Di conseguenza, il ruolo del mediatore è generalmente assegnato ad un membro di
un gruppo minoritario, che ne conosce la cultura ed è al tempo stesso inserito nella
cultura maggioritaria, mentre l’interprete deve possedere una competenza
professionale nella traduzione, sia scritta che orale. L’interprete-mediatore si trova a
ricoprire un ruolo molto complesso che oscilla fra quello del ‘facilitatore’ linguistico
a quello del mediatore culturale e sociale e può essere considerato in tal senso un
mediatore linguistico-culturale 7
.
In Italia non esiste ancora, se non in alcune regioni del Centro-Nord, una
normativa che definisca il ruolo, la funzione ed il curriculum formativo del mediatore
culturale, una figura professionale ancora in fase nascente, nata negli ultimi dieci
anni a partire da interventi e percorsi formativi attuati da enti pubblici o del privato
sociale nell’ambito delle relazioni interculturali. Anche all’estero il confronto su ruoli
e funzioni è ancora in corso. Ma proprio grazie alle esperienze maturate dai primi
servizi di mediazione attivati in Italia è possibile identificare con una certa precisione
il profilo ed una serie di funzioni fondamentali dei mediatori culturali. Alcuni
stranieri, con un vissuto migratorio alle spalle, ma dotati di un ottima conoscenza
della lingua, della cultura e delle istituzioni italiane, aiutano operatori e utenti dei
servizi a superare le difficoltà linguistiche e gli equivoci generati dalla diversa
appartenenza culturale, non limitandosi alla mera traduzione ma promuovendo la
conoscenza reciproca di abitudini e valori, chiarendo i presupposti e le ragioni alla
base di una richiesta o di un rifiuto, illustrando il senso dei codici comunicativi
utilizzati, supportando una relazione positiva tra soggetti di culture diverse per
evitare conflitti e discriminazioni. Per consentire pari opportunità nell’accesso ai
servizi pubblici, i mediatori culturali si fanno anche carico di spiegare agli immigrati
la struttura e le modalità di funzionamento delle istituzioni cui si rivolgono, i diritti e
i doveri degli utenti, le competenze ed i limiti di un servizio, le normative e le
legislazioni vigenti nel paese di accoglienza.
7 L., Gavioli, La mediazione linguistico-culturale, Guerra Edizioni, Perugia, 2009, pp. 22-23.
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