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INTRODUZIONE
Il problema del debito estero dei paesi in via di sviluppo si è andato
accentuando a partire dagli anni Settanta, esplodendo in tutta la sua
drammatica urgenza negli anni Ottanta con la crisi messicana del 1982 cui
seguirono le crisi di altri paesi dell’America Latina. La rilevanza economica e
politica assunta dal fenomeno, che coinvolge direttamente o indirettamente più
di cento Stati per una quota complessiva di debito pari a quasi 3000 miliardi di
dollari, richiede una particolare attenzione da parte della comunità
internazionale. Le crisi debitorie hanno acuito le già difficili condizioni che
questi paesi devono affrontare, dato che la necessità di fronteggiare il debito
vincola le loro poche risorse prodotte destinandole all’assolvimento degli
obblighi piuttosto che ai programmi di sviluppo soprattutto in campo sociale,
della sanità e dell’istruzione. Le conseguenze di avere enormi crediti da
ripagare per i paesi indebitati sono estremamente problematiche: a causa degli
interessi dovuti si crea una spirale per cui il debito aumenta con il passare del
tempo, anche se viene regolarmente pagato, e i governi non hanno mai a
disposizione denaro per il benessere dei cittadini e per la costruzione di un
solido futuro economico e sociale per la nazione.
Per affrontare pienamente questa problematica è stato necessario
affrontare un lavoro retrospettivo storico con l’obiettivo di porre in rilievo le
principali caratteristiche dei più importanti forum internazionali di discussione
del debito estero, ossia il Club di Parigi, il Fondo Monetario Internazionale e
la Banca Mondiale. Non è, infatti, pensabile riuscire a comprendere
pienamente come la politica influenzi il lavoro di queste istituzioni senza
conoscere il loro operato in materia di debito estero.
Nel primo capitolo s’introduce brevemente la malformazione genetica
che affligge i mercati finanziari internazionali, problema che ha comportato la
nascita del cd. “peccato originale”. L’utilizzo di un termine così irriverente
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esemplifica perfettamente l’enorme onere che questo particolare fenomeno
impone sulle economie dei paesi in via di sviluppo che ne sono afflitti,
essendo essi sottoposti a perenni rischi in grado di aumentare in misura
esponenziale l’ammontare del debito estero che hanno contratto, fino a
costringerlo all’insolvenza. Dunque, le ricorrenti crisi del debito, che
rappresentano la principale debolezza dei paesi in via di sviluppo e la causa
della loro instabilità economica, nascono da questo difetto congenito dei
mercati finanziari – il c.d. “peccato originale” – assurgendo, di fatto, a
rappresentare il dilemma strutturale dei nostri tempi.
Dopo aver analizzato e compreso la causa della “malattia” che minaccia
lo sviluppo economico dei paesi in via di sviluppo, s’introduce l’argomento
dei vari metodi informali e ad hoc che nel tempo hanno cercato di aiutare
questi paesi bisognosi, ed è a questo punto imprescindibile un’analisi della
nascita e dell’evoluzione storica del Club di Parigi, forum informale dei
principali Stati creditori attivo dal 1956, soffermandosi brevemente sui
cambiamenti dei vari Termini da esso adottati, termini di volta in volta sempre
più generosi considerando la sua nascita quasi casuale per far fronte ad una
crisi finanziario-debitoria dell’Argentina e il suo ruolo odierno di foro di
incontro e di negoziato a livello internazionale in materia di trattamento del
debito.
Il Club di Parigi è una struttura ad hoc unica nel suo genere,
rappresentando una delle massime forme di politicizzazione del trattamento
della questione del debito estero. L’evoluzione delle norme del Club di Parigi
attraverso i cambiamenti dei Termini mostra la complessa relazione tra i vari e
spesso variabili interessi dei maggiori Stati creditori in relazione alle loro
rispettive strutture legali, culture burocratiche e politiche domestiche:
elettorali, legislative ed interessi speciali. È affascinante vedere come e perché
alcuni accordi sono stati privilegiati rispetto ad altri.
Gli anni Settanta sono caratterizzati dalla forte crescita dei
finanziamenti ai PVS a condizioni di mercato. L’aumentato ammontare di
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flussi che giungono ai PVS è la conseguenza diretta delle enormi disponibilità
di risorse derivanti dai proventi petroliferi, dalla crescita correlata del mercato
dei petrol-dollari, dalla necessità di investimenti redditizi e dalla bassa crescita
delle economie industriali che rendono i PVS il mercato ottimale per iniettare i
capitali. Sebbene le radici del problema affondassero già nel decennio
precedente, è dagli anni Ottanta che emerge in tutta la sua gravità il problema
del debito dei PVS. Con la moratoria dichiarata dal Messico nel 1982, seguita
subito dopo dal Brasile e dall’Argentina, la crisi debitoria si manifesta nelle
sue espressioni più preoccupanti, producendo conseguenze sul piano dei flussi
e delle relazioni internazionali, nonché delle economie dei PVS. La prima crisi
internazionale del debito fu così forte, soprattutto per i paesi Latino
Americani, che indusse a considerare gli anni Ottanta come la lost decade. Ma
è stata proprio la lost decade a portare all’attenzione degli Stati Uniti
d’America il problema del debito, spingendo infine la nazione più potente del
mondo, insieme all’URSS in quel momento, a gestire personalmente la
situazione debitoria, rimpiazzando il Fondo Monetario Internazionale con la
proposta del Piano guida Baker, successivamente sostituito dal Piano Brady. È
dunque solamente negli anni Novanta che vengono avviati i primi enormi
sforzi in sede internazionale per giungere ad accordi su alcune fra le più
significative problematiche del debito estero.
Il secondo capitolo è infatti incentrato sul cambiamento all’interno della
governance finanziaria mondiale e sul fondamentale ruolo svolto dalla
campagna di mobilitazione sociale Jubilee 2000 e dalla lobbying delle
organizzazioni non governative, che misero finalmente gli Stati creditori di
fronte all’inevitabilità della necessità di trovare una soluzione all’onere del
peso multilaterale che attanagliava le economie degli Highest Indebted Poor
Countries. Il lancio dell’HIPC Debt Initiative avviene nel 1996 al vertice di
Lione e segna una svolta epocale nel regime di trattamento del debito dei paesi
in via di sviluppo, nello specifico degli HIPCs. Ma come si vedrà, l’inizio è
molto tortuoso ed infatti l’Iniziativa viene prima modificata e “rafforzata” ed
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infine approvata al vertice di Colonia nel 1999 con il lancio dell’Enhanced
HIPC Initiative. È proprio nel lavoro di analisi svolto sui primi passi
dell’Iniziativa che s’individuano i casi più evidenti ed interessanti di
condizionamento politico da parte dei paesi creditori, soprattutto nello stabilire
i requisiti di eleggibilità degli Stati indebitati all’Iniziativa. Gli Stati creditori
furono, infatti, disposti a portare la discussione tecnica per la decisione dei
requisiti dei paesi in via di sviluppo su un piano politico, piuttosto di riuscire a
garantire la partecipazione dei loro debitori prediletti all’Iniziativa. Nonostante
venga utilizzato il termine cancellazione nel lavoro sull’HIPC Debt Initiative,
il realtà il debito non viene cancellato, bensì convertito in progetti socialmente
utili. L’aspetto certamente più innovativo e maggiormente degno di nota
dell’Iniziativa si rileva proprio nella scelta di questi progetti, essendo essi
stabiliti, diversamente da quanto succedeva in passato, congiuntamente dalle
due istituzioni finanziarie di Bretton Woods e dal governo stesso del paese
beneficiario sulla base dei Poverty Reduction Strategy Papers, documenti
strategici redatti dal governo in collaborazione con la popolazione civile. Non
è difficile comprendere da subito la portata del cambiamento introdotto da
questi documenti strategici. Essi hanno innanzitutto dato voce a delle
popolazioni difficilmente ascoltate prima di allora; in secondo luogo la
partecipazione diretta della società civile locale ha garantito che i progetti si
focalizzassero sui bisogni reali e prioritari per il popolo, facendo anche in
modo che gli eventuali sforzi richiesti per il raggiungimento degli obiettivi
fossero interiorizzati dalla popolazione e quindi accolti più di buon grado;
infine, hanno posto un’ulteriore pressione politica sui governi per il
raggiungimento degli obiettivi posti dalla Banca Mondiale e dal Fondo
Monetario Internazionale per arrivare al completation point e dunque alla
cancellazione del debito prevista.
Infine, nell’ultima parte del lavoro, si affronta la gestione del problema
dal punto di vista italiano. La legge n. 209 del 25 luglio del 2000, è stata
proposta ed approvata dal governo italiano sotto la pressione internazionale
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dovuta alla necessità dell’Italia di conformarsi ai dettati della governance
internazionale per poter partecipare attivamente all’iniziativa multilaterale
HIPC Debt Initiative, oltre che alla pressione posta dalla sensibilizzazione
della società civile che aveva già invogliaato i maggiori paesi creditori e le
istituzioni finanziarie internazionali ad agire per trovare una soluzione comune
al problema del debito estero dei PVS. L’elaborato propone innanzitutto
un’analisi dell’ottima iniziativa legislativa del 2000 in paragone al più
caustico decreto legislativo dell’anno successivo, che ha limitato di molto le
idee innovative proposte dalla legge obbligando il governo italiano ad
attenersi alle decisioni prese all’interno del Club di Parigi senza poter andarne
oltre per paura di inimicarsi gli Stati parte del potente forum internazionale.
Per concludere, si analizza un caso di studio di successo attuato dal
governo italiano in materia: la riconversione del debito egiziano. Il
Programma Italo-Egiziano di Conversione del Debito attuato dal 2001 al 2008
dal governo italiano in Egitto ha convertito 149 milioni di dollari in un
Programma di Riconversione composto da cinquantatré progetti socialmente
utili. Ma la strategia del Programma non va considerata come una mera
somma di singoli progetti, bensì come un approccio ben integrato ed
indirizzato alla struttura socio-economica egiziana, caratterizzato dalla
creazione di legami all’interno dei vari progetti, tra i progetti stessi ed a partire
da ogni progetto: sono proprio questi legami il valore aggiunto dell’approccio
IEDS, poiché hanno garantito la creazione di una sinergia tra lo staff italiano,
il governo egiziano e la popolazione locale, mettendo così in stretto contatto i
due sistemi paese. Gli incalcolabili risultati raggiunti hanno aiutato il sistema
italiano a interagire con quello egiziano, dando la possibilità di sostenere le
istituzioni e le imprese italiane che investissero in Egitto. Il contributo della
Cooperazione italiana si è rivolto a diverse aree considerate tra quelle
maggiormente bisognose: sostegno al sistema economico e produttivo,
sviluppo sociale e umano, tutela e gestione del patrimonio culturale e
ambientale, infrastrutture e servizi tecnici essenziali.
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È stato scelto come caso di studio proprio il Programma di
Riconversione Italo-Egiziano perché esso è stato uno tra i primi programmi di
riconversione effettuati dall’Italia con maggior successo. È inoltre stato
copiato da molti altri paesi, rendendo concreto lo strumento della
riconversione come un metodo di cooperazione allo sviluppo e di
rafforzamento della relazione tra i due paesi. In alcuni casi, infatti, le nuove
capacità create nell'ambito dei progetti IEDS sono diventate delle “best
practice” e sono state utilizzate come modelli di cooperazione in altre aree
svantaggiate del mondo. Spesso, poi, sono state usate anche come metodi per
fornire assistenza tecnica alle iniziative di cooperazione Sud-Sud. La bontà del
lavoro svolto dalla Cooperazione italiana in Egitto è stata infine riconosciuta
anche a livello internazionale, come dimostrano i numerosissimi
riconoscimenti ricevuti.
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CAPITOLO PRIMO
Cinquant’anni di trattative sulla cancellazione, dal 1956 ad oggi
1.1. Il “peccato originale” dei PVS
L’espressione “peccato originale” è stata coniata dagli economisti
Eichengreen e Hausmann per descrivere l’incapacità dei paesi in via di
sviluppo di prendere in prestito nella loro valuta domestica ed a lungo
termine
1
. L’impiego da parte della letteratura economica di un termine così
impegnativo per descrivere questo particolare fenomeno, origina dall’analisi
delle problematiche che possono nascere da una struttura del debito estero
caratterizzata dal peccato originale, che rende i paesi che ne sono affetti più
vulnerabili finanziariamente.
Se un paese in via di sviluppo è economicamente promettente e aperto,
sarà attraente per gli investitori. Ma se la sua valuta nazionale non può essere
utilizzata per prestiti internazionali o a lungo periodo, le imprese necessitanti
di finanziamenti esterni dovranno scegliere se prendere in prestito in moneta
estera oppure per breve periodo. Se, per esempio, una compagnia prende in
prestito dollari che finanziano un progetto che genera pesos, la svalutazione
del peso porterà alla bancarotta. Se, invece, decide di finanziare progetti di
lungo termine con prestiti di breve periodo ma con la valuta nazionale, andrà
ugualmente in bancarotta se i tassi d’interesse si alzeranno e i crediti non
saranno rinnovati. Tutto questo perché tutti gli investimenti nello Stato
caratterizzato dal peccato originale soffrono del “currency mismatch” – ossia
un disallineamento nella valuta – dovuto al fatto che progetti che generano
1
Il termine è stato per la prima volta utilizzato nell’articolo di Barry Eichengreen e di Ricardo
Hausmann Exchange Rates and Financial Fragility in New Challenges for Monetary Policy (Kansas
City, MO: Federal Reserve Bank of Kansas) del 1999, pg. 329 -368.
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moneta locale saranno finanziati in dollari, oppure dal “maturity mismatch” –
cioè un disallineamento della scadenza – poiché investimenti di lungo periodo
saranno finanziati da prestiti a breve termine.
I paesi più ricchi, potendo prendere in prestito nella loro stessa valuta,
hanno la possibilità di contrarre debiti esteri nelle loro monete, mantenendo
invece le attività estere denominate in valute estere: questo rappresenta un
vantaggio considerevole. Per esempio: “Supponiamo che una riduzione della
domanda mondiale di prodotti statunitensi porti a un deprezzamento del
dollaro. Poiché le attività estere degli Stati Uniti sono prevalentemente
denominate in valuta estera, il loro valore aumenta quando il dollaro si
deprezza. Allo stesso tempo, però, poiché le passività degli Stati Uniti verso
l’estero sono prevalentemente denominate in dollari (circa il 95%), il loro
valore in dollari aumenta solo marginalmente. Pertanto, una riduzione della
domanda mondiale di beni statunitensi stimola un considerevole trasferimento
di ricchezza dai residenti stranieri a quelli americani, una sorta di pagamento
assicurativo internazionale.
Per i paesi poveri esposti al peccato originale, una riduzione della
domanda di esportazioni ha l’effetto opposto. Questi paesi tendono a essere
debitori netti nelle principali valute estere, e dunque un deprezzamento della
valuta domestica comporta un trasferimento di reddito a favore degli
stranieri, facendo aumentare il valore del debito estero netto in valuta
nazionale. Questo dunque corrisponde ad un’assicurazione negativa”
2
.
Emergono, dunque, tre possibili fonti di vulnerabilità per uno Stato
contraddistinto da peccato originale:
2
Krugman Paul R., Obstfeld Maurice, Economia Internazionale 2: Economia Monetaria Internazionale,
Paerson Paravia, Milano, 2007.
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1- Rischio da tasso di cambio: in presenza di un debito estero denominato
in valuta estera, una svalutazione aumenta considerevolmente il costo
delle passività.
2- Rischio da tasso d’interesse: in presenza di un debito prevalentemente a
breve termine, un aumento dei tassi d’interesse si trasferisce
rapidamente in maggior onere del debito nelle nuove emissioni.
3- Rischio di rollover: se la durata del debito è relativamente corta, ogni
periodo il paese deve rinnovare una quota consistente dello stesso,
esponendosi ad una considerevole vulnerabilità.
Essendo a conoscenza di questi fatti, non è una sorpresa che i paesi affetti
dal peccato originale abbiano serie difficoltà ad ottenere e mantenere una
stabilità economica interna. I loro introiti sono più variabili e i loro flussi di
capitale sono più volatili rispetto a quelli di qualsiasi altro Stato. Inoltre, dato
che i mercati finanziari sono a conoscenza che i “mismatches” sono una fonte
d’instabilità, ai PVS è addebitato un premio del rischio addizionale quando
prendono in prestito, forzandoli ad avvicinarsi pericolosamente
all’impossibilità di pagare. A quel punto uno shock nei tassi di cambio può
spingerli definitivamente nell’insolvenza. Ma se gli Stati cercano di
minimizzare questi rischi limitando il loro ricorso alle risorse straniere per
finanziarsi, limiteranno la loro crescita riducendosi alla fame, rallentando
quindi ulteriormente il processo economico e finanziario necessario per il loro
sviluppo.
L’analisi economica mostra che per un paese in via di sviluppo afflitto da
peccato originale, sono problematici sia il regime di cambi flessibili che quello
di cambi fissi. Se un governo permette alla sua valuta di deprezzarsi, il
“currency mismatch” provocherà la bancarotta. Se, invece, lo Stato difende la
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parità del tasso di cambio con il dollaro vendendo riserve e alzando i tassi
d’interesse, precipiterà nell’insolvenza dei debiti domestici di breve periodo.
Per superare questa empasse, l’unica soluzione possibile è un’assenza totale di
tasso di cambio, ossia la dollarizzazione. Una volta che il dollaro è adottato
per tutti i pagamenti domestici, il mismatch si dissolve, dato che le entrate
sono ora denominate nella stessa unità dei debiti.
Il peccato originale sembra fotografare perfettamente la situazione che
molti degli Stati in via di sviluppo vivono ormai da decenni. Cosa l’abbia
provocato è ancora una domanda senza risposta. Una prima ipotesi
3
è che la
storia d’inflazione e continui deprezzamenti, tipica dei PVS, abbia reso gli
investitori stranieri riluttanti ad investire nel lungo periodo e utilizzando la
moneta nazionale. Di conseguenza, dunque, essi prestano solamente in valuta
estera, protetta contro i rischi dell’inflazione locale, o per brevi periodi, in
modo da aggiustare rapidamente i tassi d’interesse nel caso di
un’accelerazione dell’inflazione. In generale, inoltre, i paesi investitori,
temendo la svalutazione e l’inflazione estrema che si sono verificate tanto
spesso in passato, insistono affinché i paesi più poveri li ripaghino nella valuta
degli stessi creditori. In questo caso, il peccato originale non è il problema,
ma il sintomo. È l’allarme della presenza di istituzioni deboli.
Un’altra ipotesi
4
È la possibilità che ha uno Stato capace di prendere in
prestito all’estero nella propria moneta, di trarre beneficio dal deprezzamento
della sua valuta, erodendo così anche il valore reale del suo debito estero.
Anticipando questo, i creditori stranieri non sono disposti a prestare in una
valuta che il creditore può manipolare a suo piacimento.
3
Eichengreen Barry, Hausmann Ricardo, Panizza Ugo, Original Sin: The Pain, the Mystery and the
Road to Redemption, documento presentato alla conferenza “Currency and Maturity Matchmaking:
Redeeming Debt from Original Sin” della Banca Interamericana di Sviluppo, nel 2002, p. 17 – 20.
4
ivi, p. 20 - 25.
15
L’analisi conclusa da Haussman ed Eichengreen
5
, evidenzia che la
congettura secondo cui il fatto che uno Stato sovrano si trovi nell’incapacità di
utilizzare la propria moneta per denominare debito estero, derivi non tanto da
errori di comportamento o dalle istituzioni del paese in questione, quanto da
elementi di carattere internazionale. Secondo i due economisti americani,
infatti, il peccato originale è dovuto alle caratteristiche intrinseche dei mercati
finanziari globali, i quali rimangono contraddistinti dall’utilizzo intensivo di
poche valute – emesse dalle economie più grandi e più avanzate – per via
dell’esistenza di costi di transizione che diminuiscono in presenza di
rendimenti crescenti nell’utilizzo delle valute stesse. È per questo che il
peccato originale ha colpito quasi tutti i paesi del mondo tranne gli Stati che
emettono le cinque maggiori valute internazionali: il dollaro americano,
l’euro, lo yen, la sterlina e il franco svizzero. Questo a rilevare che il peccato
originale è un fenomeno globale, non limitato ad un ridotto numero di Stati
problematici. Lo studio del peccato originale conduce quindi a rivelare un
problema strutturale dei mercati finanziari. A causa di questa malformazione
congenita dei mercati, l’instabilità finanziaria per gli Stati marchiati dal
peccato originale è inevitabile.
Dunque, a causa di questa malformazione genetica dei mercati
finanziari i mercati emergenti sono esposti a rischi – da tasso di cambio, da
tasso di interesse e di rollover – che aumentano in misura esponenziale
l’ammontare di debito estero che i PVS hanno contratto. Rischi questi che in
caso di una congettura internazionale sfavorevole – ossia, ad esempio, essendo
il debito estero del PVS denominato in dollari, una decisione della FED di
alzare i tassi d’interesse e quindi di apprezzare il dollaro, porterebbe ad un
aumento dell’ammontare delle passività del paese in via di sviluppo in misura
proporzionale all’apprezzamento del dollaro – renderebbero per il paese
indebitato sempre più oneroso rispettare gli impegni esteri presi, fino a
costringerlo all’insolvenza. Essendo solitamente le crisi del debito
5
Eichengreen Barry, Ricardo Hausmann Exchange Rates and Financial Fragility, op. cit., p. 353.
16
accompagnate da crisi della bilancia dei pagamenti e da corse agli sportelli
6
, e
dato che ciascuna di queste crisi rafforza l’altra, una crisi finanziaria in un
PVS è un evento molto grave, con effetti estremamente negativi sull’economia
e ripercussioni a catena molto rapide. Il tutto contestualizzato in una
situazione già di estrema povertà rispetto al resto del mondo.
Le ricorrenti crisi del debito, che rappresentano la principale debolezza
dei paesi in via di sviluppo e la causa della loro instabilità economica, nascono
quindi da questo difetto congenito dei mercati finanziari – il c.d. “peccato
originale” – assurgendo, di fatto, a rappresentare il dilemma strutturale dei
nostri tempi. Questo dilemma pone imponenti difficoltà per il funzionamento e
l’evoluzione di un’economia politica internazionale solida e per il
mantenimento di una pace a livello globale, oltre a rendere in sostanza
impossibile per i paesi che ne soffrono ottenere un livello di vita dignitoso per
le loro popolazioni. Perché le conseguenze di avere enormi crediti da ripagare
per i paesi indebitati sono complicatissime: in quanto a causa degli interessi
dovuti, si crea una spirale per cui il debito aumenta con il passare del tempo,
anche se viene regolarmente pagato, e i governi non hanno mai a disposizione
denaro per il benessere dei cittadini e per costruire il loro futuro. La
persistente povertà di una grandissima porzione della popolazione mondiale è
stata uno dei più grandi problemi, e frustrazioni, nel corso degli anni. Metodi
informali ed ad hoc sono stati costituiti nel tempo per aiutare, quando
necessario, gli Stati ad uscire dalle crisi ristrutturando il loro debito
internazionale.
6
“In caso di regime a tassi fissi, una crisi della bilancia dei pagamenti avviene perché le riserve estere
ufficiali del paese risultano l’unico mezzo disponibile di ripaga mento dei debiti esteri. Esaurendo le
riserve ufficiali, le banche si troveranno in difficoltà, dal momento che i depositanti nazionali ed
esteri, nel timore di una svalutazione della moneta e delle conseguenze di un’insolvenza, ritireranno i
loro fondi dalle banche. Questa corsa agli sportelli le porterà rapidamente alla bancarotta”. Krugman
Paul R., Obstefeld Maurice, Economia internazionale 2: Economia Monetaria Internazionale, op. cit.,
p. 448 – 449.