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INTRODUZIONE
Al cinema parlato do ancora tre mesi. Al massimo un
anno, poi è finito (Charlie Chaplin, 1931)
Tra i personaggi più forti che il grande schermo abbia
saputo creare nel Novecento, Charles Chaplin ha
fornito il destro a studiosi e critici per lunghi e
appassionanti dibattiti. La messa in scena, i
procedimenti, i trucchi sono stati, più e più volte,
approfonditi, svelati. L’intento di questo lavoro è
invece di rivelare le ragioni sul suo rifiuto a utilizzare il
sonoro e di quelle che hanno condotto il regista a
sottomettersi al nuovo mezzo, senza però mai
dimenticare la sua identità.
Nel primo capitolo affronteremo la cinematografia
americana negli anni Venti descrivendo come si sono
formati gli Studios e lo Star System e come i cineasti
hanno reagito al passaggio dal muto al sonoro sia dal
punto di vista economico sia da quello stilistico. Non di
rado infatti l’esordio del sonoro dei maestri del cinema
muto si traduce in lavori che denunciano una
sostanziale incomprensione delle potenzialità del
nuovo mezzo mentre i cineasti più giovani riescono ad
afferrarle più facilmente. Tenace oppositore del cinema
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sonoro e parlato è Charlie Chaplin che tarda ad
abbandonare il muto e si concede neghittoso al sonoro
ma non al parlato. Il suo rifiuto del sonoro, lungi
dall’essere un semplice rimpianto del passato, si
traduce in una valorosa difesa della pantomima e di
Charlot che utilizza una vasta gamma di gesti che
sostituiscono in tutto e per tutto il parlato, sia nei
momenti di circostanza, in cui i gesti-segno o gesti-
sociali traducono convenzionalmente emozioni e stati
d'animo, sia nei momenti di personale riflessione, in
cui utilizza i gesti espressivi al posto del monologo
interiore.
Le ragioni di Chaplin vanno ricercate dunque nel suo
essere artista, in quel linguaggio universale fatto di
gesti, di tic che Chaplin ha creato per Charlot e che
ora è minacciato dal sonoro. La pantomima
chapliniana sarà dunque l’argomento del secondo
capitolo. Racconteremo degli esordi, del suo primo
debutto sul palcoscenico, anno 1894, della sua
esperienza con Karno, che rivoluzionò il mondo del
Music Hall e con il quale Chaplin apprese le tradizioni
della pantomima inglese, e del suo incontro con Mark
Sennett.
Mai incontro fu più propizio. È qui che prende vita la
“maschera” di Charlot, che diventa subito un modo di
essere, un simbolo e che farà esplodere la personalità
di Chaplin. Grazie al suo Vagabondo firma vari
contratti: dopo la Keystone ci sarà quello con la
Essanay, con la Mutual e con la First National. Ma
Chaplin vuole essere autonomo e fonda con gli amici
Mary Pickford, Douglas Fairbanks e David Griffith, la
United Artists, una casa di distribuzione indipendente.
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E sotto il nome della nuova compagnia che Chaplin
inizia la lavorazione di Luci della città, mentre
Hollywood è in fibrillazione per l’avvento del sonoro,
invenzione ancora in fase sperimentale ma destinata a
rivoluzionare l’industria del cinema dopo l’exploit di
The Jazz Singer.
Luci della città sarà un film muto, senza dialoghi: una
“commedia romantica con pantomima”, come
sottotitola il nuovo lavoro per sottintendere il
convincimento del regista e la sua posizione nei
confronti del sonoro. Chaplin, tuttavia, si rende conto
che l’era del cinema muto sta per volgere al termine.
In un’intervista rilasciata nel 1932 il cinema parlato
sembra aver acquisito agli occhi di Chaplin una
qualche legittimità priva, però, di quella che egli
riteneva essere la principale caratteristica del cinema
ovvero la sua indiscussa universalità:
Perché continuo a realizzare film privi di dialogo? Il
cinema muto è, prima di tutto, un mezzo di espressione
universale. I film parlati hanno necessariamente un
campo d’azione limitato, adatto a specifiche lingue e
razze. La vera arte drammatica deve essere in grado di
suscitare, per assioma, un interesse universale e ritengo
che debba esprimersi in modo altrettanto universale,
senza restrizioni. Sia chiaro, considero il cinema parlato
un supplemento valido all’arte drammatica, a
prescindere dai suoi limiti, ma non un mezzo sostitutivo
del cinema muto. […] Dopotutto, la pantomima è sempre
stata il mezzo di comunicazione universale. Esisteva
come tale ben prima della nascita del linguaggio[…]
L’azione viene compresa più facilmente della parola. Il
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movimento di un sopracciglio, per quanto impercettibile,
è in grado di comunicare più di cento parole
1
.
Nonostante ciò, Chaplin è consapevole che i suoni e
i rumori sono importanti e per questo decide di
introdurne alcuni in City Lights e scrive dei dialoghi per
Modern Times come testimoniano gli inediti documenti
che riportiamo nel terzo capitolo. Chaplin però non è
ancora convinto, il Vagabondo non è ancora pronto per
prendere la parola. È questo il problema sostanziale di
Chaplin nell’era del sonoro: chiedersi come doveva
parlare una maschera, quale poteva essere il
linguaggio giusto per un omino così buffo. Chaplin si
rese conto che questo linguaggio non esisteva oppure
che lo avrebbe dovuto coniare lui stesso, solo ed
esclusivamente per Charlot.
Charlot si congeda così dal grande schermo, la
parola non faceva per lui, Chaplin rinuncia al suo
piccolo Vagabondo e si piega alla tirannia dell’industria
cinematografica. Charlot non affronterà mai perciò un
vero e proprio dialogo, ma Chaplin sì, nei panni di altri
personaggi come in Monsieur Verdoux, film cinico e
macabro che dietro l'apparente satira del perbenismo
nasconde l'inquietante personalità di questo piccolo
filosofo elegante e spiritoso, che da un lato è il riflesso
deformato del tramp, dall'altro non rinuncia ad essere
un clown fino alla fine. È a personaggi come Verdoux
che è dedicato l’ultimo capitolo e a capolavori come Il
Grande Dittatore o Luci della ribalta.
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Intervista rilasciata da Chaplin per il New York Times citata in Cecilia Cenciarelli,
Modern Times,cit. p. 227
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Quest’ultimo è considerato a ragione il testamento
spirituale dell'artista: nel film Chaplin espone la sua
ben nota filosofia di vita, considerazioni sulla crudeltà
della società e la confessione di un intenso rimpianto
per il passato. Limelight è di fatto un lungo monologo
di Chaplin. Egli gioca sulla sua autobiografia attraverso
continui riferimenti rovesciati, condensa le figure che
lo hanno influenzato, da suo padre a Oona e per la
prima volta recita senza trucco.
Attraverso l’analisi di Limelight e dei suoi ultimi
capolavori arriviamo così a comprendere le ragioni
profonde che spingono Chaplin a utilizzare la parola.
Film dopo film, egli riempie i suoi polmoni con l’aria
della contestazione sociale. Per anni urla, a modo suo,
quello che il mondo fa finta di non sentire. Ma, ora, i
gesti e la pantomima non sono più sufficienti, solo
attraverso le sue parole potrà cambiare il mondo. Nel
cedere alla tirannia del sonoro perciò Chaplin non
perde la sua identità, rimane fedele a se stesso. E nel
farlo crea un’estetica d’avanguardia. In questo sta, a
nostro giudizio, la sua genialità.
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I. LA CINEMATOGRAFIA AMERICANA
NEI PRIMI DEL NOVECENTO
I.1. La struttura dello Studio System
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale rappresenta
un punto di svolta nella storia del cinema americano.
Fino al 1912 tutte le compagnie statunitensi erano
impegnate esclusivamente nella conquista del mercato
interno; solo le case di produzione della Motion
Pictures Patent Company
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a v e v a n o c e r c a t o d i
costituire un monopolio che potesse competere con
quello europeo, e soprattutto avevano tentato di
reagire ai problemi generati dal sistema di noleggio
vigente
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. Le ditte associate avevano così riunito i loro
brevetti, basati sull'invenzione di Edison, e ognuna
aveva ottenuto una licenza di produzione.
Con l’ingresso in guerra, però, viene a mancare la
produzione europea e molti Paesi devono rivolgersi
all’industria hollywoodiana. Le case indipendenti si
raggruppano e crescono rapidamente: nel 1912 il
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Nata nel 1908 e costituita dall'associazione di nove importanti ditte (Edison, Biograph, Vitagraph, Essenay, Selig,
Lubim, Calem, dagli importatori francesi Méliès e Pathé , dal distributore Kleine)
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Il noleggio era diventato il ramo dove si ottenevano i più alti profitti, i noleggiatori erano i proprietari dei brevetti,
controllavano il mercato, potevano investire forti capitali nella produzione per accrescere il loro domini
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produttore indipendente Carl Leammle ha un ruolo
chiave nella formazione della Universal Film
Manufacturing Company, nel 1913 Sam, Jack e Herry
Warner formano la Warner Bros che dal 1918 inizia a
produrre pur rimanendo una società relativamente
piccola fino agli anni Venti.
Altro passo decisivo verso lo Studio System risale al
1914 quando W.W. Hodkinson riunisce undici società di
distribuzione locale nella Paramount e mette sotto
contratto molte star dell’era del muto come Gloria
Swanson, Mary Pickford e Douglas Fairbanks. In questi
anni compaiono anche la Fox Film, la Metro, la Goldwin
e la Mayer.
Tra il 1930 e il 1945 gli Stati Uniti attraversano una
durissima Depressione a cui segue, durante la
Seconda Guerra Mondiale, una ripresa altrettanto
spettacolare. La ripresa avviene in modo diseguale,
con l’ulteriore complicazione di una nuova, anche se
meno grave, recessione tra il 1937 e il 1938. Nel
1938, in ogni caso, l’ormai accresciuto intervento
governativo conduce il Paese fuori della Depressione.
Nonostante alcuni prodotti scarseggino, la maggior
parte delle industrie americane riesce ad aumentare le
vendite del 50%: un boom condiviso dall’industria
cinematografica grazie a un’impennata dell’affluenza
degli spettatori
4
.
Fattore strategico per l’espansione dell’industria è
anche l’acquisto e la costruzione delle sale
cinematografiche da parte delle grandi case di
4
www.cinemadelsilenzio.it
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produzione che in questo modo si assicurano un
canale di distribuzione privilegiato per i propri film. È il
preludio per la nascita dello Studio System: le
compagnie che controllano la maggior parte delle
catene di sale – la Paramount-Publix, la MGM, e la
First National – costituiscono le “Tre Grandi”. Seguono
le “Piccole Cinque”, ovvero quelle società che
possiedono sale cinematografiche in misura ridotta:
Universal, Fox, Producers Distributing Corporation,
Film Booking Office e Warner Bros.
Indipendente dalle Tre Grandi e dalle Piccole Cinque
è, invece, la United Artists creata da Mary Pickford,
Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks e D.W. Griffith. Non
possedendo né sale né teatri di posa, la UA si limitava
a distribuire i film prodotti indipendentemente dai suoi
quattro proprietari. Tuttavia, a causa degli impegni
contrattuali assunti in precedenza dagli stessi membri,
si ritarda l’inizio dell’attività di un anno e il primo film
a nome della nuova compagnia, La donna di Parigi (A
Woman of Paris, 1923) di Charlie Chaplin, ha scarso
successo
5
.
Note come Studios, le compagnie di produzione di
questi anni sono società verticalmente integrate,
controllano ogni momento dell'industria
cinematografica, dai contratti con gli attori alla
costruzione delle sale. Oltre a dominare gli aspetti
industriali e commerciali del cinema americano, gli
Studios sono responsabili di un certo modo di fare
cinema, noto come “stile classico hollywoodiano”:
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D. Bordwell e K. Thompson, Storia del cinema e dei film, vol I cit. pp.214-215
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narrazione chiara e lineare, forti personaggi, continuità
temporale e contiguità spaziale.
Di più. È convinzione diffusa che il cinema muto
fosse caratterizzato dall’assenza di suoni e colore. In
realtà il film di questi anni ha spesso un
accompagnamento musicale: inizialmente, in sala, la
musica è diffusa da un pianoforte, che ha il compito di
coprire il fastidioso ronzio del proiettore e aumentare
anche il potere evocativo delle immagini.
In seguito, si tenta di unire all’immagine una
colonna sonora riprodotta meccanicamente, ma suoni
e immagini si rivelano difficili da sincronizzare e gli
amplificatori e gli altoparlanti inadeguati alle sale di
proiezione.
Riguardo al sonoro, occorre rilevare che le cinque
maggiori
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s o c i e t à d i p r o d u z i o n e d i H o l l y w o o d s i
muovono con cautela, per evitare scelte tecniche
incompatibili che con la mancanza di uno standard
avrebbe danneggiato gli affari. Nel febbraio 1927 è
così firmato “l’Accordo delle Cinque Grandi”, un
impegno a scegliere insieme il sistema sonoro che si
fosse dimostrato il più vantaggioso, accordo che
premiò la tecnologia di pellicola sonora resa disponibile
dalla Western Electric. Con l’avvento del sonoro, lo
Studio System subisce numerosi cambiamenti, ma la
sola grande società nata come conseguenza diretta dei
vari mutamenti è la RKO
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, fondata allo scopo di
sfruttare il sistema della RCA, il Phonofilm. Questo
brevetto di pellicola sonora convertiva l’audio in onde
riprodotte su una normale pellicola a 35mm, su una
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MGM, Universal, First National, Paramount, Producers Distributing Cor-poration
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Radio-Keith-Orpheum