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INTRODUZIONE
In questa tesi mi propongo di analizzare il mercato immobiliare italiano e statunitense ed il
relativo crollo dovuto alla crisi economico- finanziaria scoppiata nel 2008.
Nel primo capitolo discuterò sulle origini e sulle cause della crisi che ha colpito l’economia
mondiale. Tutto è partito dalle politiche monetarie perseguite negli Stati Uniti: i bassi tassi
di interesse hanno portato alla diffusione dei mutui subprime e quindi le famiglie
americane ad indebitarsi più di quanto potevano. Lo scoppio di due fondi speculativi portò
al crollo di tutti i titoli rappresentativi dei mutui subprime. Negli Usa è stato protagonista il
fallimento dei maggiori gruppi finanziari, banche, crollo delle borse a valori che non si
vedevano dalla grande depressione del 1929.
La crisi arrivata in Europa ha colpito anche l’Italia: disoccupazione, aziende fallite, calo
dell’esportazione. Quasi tutti i settori ne hanno risentito: immobiliare, turismo,
automobilistico, alta tecnologia. Dinanzi a tale crisi il governo italiano e statunitense si
sono disposti in modo tale da intervenire per aiutare famiglie, lavoratori ed imprese.
Nel secondo capitolo analizzerò il mercato immobiliare italiano. Partirò descrivendo
l’andamento del mercato tra il 2000 e il 2008, anni in cui il settore immobiliare è cresciuto
molto: sia grazie alle compravendite, sia grazie agli investimenti in fondi immobiliari. Con
la crisi tutto è cambiato: il 2009 definito annus horribilis è stato caratterizzato dal calo dei
prezzi delle case, calo delle vendite, insolvenze da parte dei mutuatari, pignoramenti.
Sembra che i primi segnali di ripresa siano arrivati alla fine del 2009 e che il 2010 sia
iniziato con un leggero aumento delle compravendite.
Nel terzo capitolo invece tratterò del mercato immobiliare statunitense, mercato di sfondo
alla crisi. Anche qui gli anni dal 2000 al 2006 hanno visto una corsa del mercato
immobiliare senza precedenti: questa corsa però è stata accompagnata dallo sviluppo dei
mutui subprime, che hanno contribuito allo scoppio della crisi finanziaria. Pignoramenti,
insolvenze dei mutuatari dovute alla elevata disoccupazione, calo eccessivo dei prezzi delle
case sono stati protagonisti della crollo del mercato immobiliare. Tutto ciò si è anche
verificato in Italia, ma sicuramente in misura minore: nel quarto capitolo infatti parlerò
delle differenze tra Italia e Stati Uniti. Si differenziano sul piano istituzionale, si
differenziano nella costituzione, nel sistema sociale, nell’economia. E non per ultimo
anche l’impatto nei confronti della crisi è stato diverso.
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1° CAPITOLO: LA CRISI ECONOMICA
1.1: le origini della crisi
L’economia mondiale è stata scossa dalla più forte ondata recessiva degli ultimi 50 anni.
La crisi partita dal settore finanziario ha colpito rapidamente tutti i paesi producendo effetti
disastrosi anche sull’economia reale. Tutto è iniziato subito dopo l’attacco alle Torri
Gemelle, l’11 settembre del 2001, quando in America vennero abbassati i tassi di interesse
sui mutui per riattivare l’economia. Agli inizi del 2002 le banche americane iniziarono ad
erogare mutui a tassi molto vantaggiosi e con poche garanzie: i mutui subprime hanno
portato le famiglie ad indebitarsi oltre ogni limite di solvibilità. Cominciarono quindi le
prime insolvenze da parte dei debitori: il sistema bancario si è incartato ed è stato travolto
da una sorta di panico che ha portato le banche stesse a non fidarsi più neanche della
clientela di primo livello. Poi il mondo intero fu scosso dall’implosione dei mutui
subprime: un hedge fund (fondo speculativo) di Londra il cui valore era stato stimato
intorno a 900 milioni di dollari, chiuse i battenti; alcune banche svizzere e tedesche
denunciarono perdite importanti. Anche la Cina fu colpita dall’ondata del terremoto. Nei
mercati cominciò a diffondersi il panico. (Fonte: Morris 2009)
I maggiori economisti americani trovano le cause profonde della crisi nelle politiche
perseguite negli Stati Uniti, nelle ideologie che le hanno ispirate, nello squilibrio
economico che ne è derivato. Le radici della crisi dei mutui subprime statunitensi vanno
cercate circa dieci anni indietro. Tutto è partito da una politica monetaria caratterizzata da
tassi di interesse bassi che invogliavano al finanziamento : l’indebitamento sembrava quasi
“attraente”. Per un decennio negli Stati Uniti si è goduto di una prosperità fallace , resa
possibile dal continuo turbinio di denaro che è servito ad assecondare una “ sbornia”
consumistica finanziata dai debiti e favorita dalle importazioni. Nel corso di questo
decennio gli americani hanno cessato di risparmiare e si sono illusi che le banche potessero
finanziare in perpetuo i loro eccessi di spesa, privata non meno che pubblica. Cresceva la
spesa al consumo, cresceva il mercato dei titoli di qualità, crescevano i premi per gli
investimenti ad alto rischio. Ovviamente la domanda di credito è stata alimentata da una
noncuranza per il rischio da parte degli investitori, che si manifestava in un maggiore
appetito per investimenti ad alto rendimento e quindi meno sicuri ma anche in una
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valutazione inconsapevole dei rischi di insolvenza e di illiquidità. La prima scossa arrivò a
metà giugno 2007: due hedge fund ( fondi speculativi) di Bear Stearns ( uno dei maggiori
gruppi finanziari statunitensi) che riguardavano l’investimento in titoli collegati ai mutui
fondiari, non riuscirono a far fronte alla richiesta di adeguare la garanzia. I fondi riuscirono
a vendere alcuni dei titoli, ma solo alcuni: la maggior parte non erano più collocabili, ad
alcun prezzo. Di conseguenza, il valore di tutti i titoli rappresentativi di mutui subprime
crollò. Per coprire le perdite la Bear Stearns fu obbligata a versare 3,2 miliardi di dollari.
Anche se il fatto era a dir poco preoccupante, c’era chi spiegava al mondo che i mutui
subprime erano solo un mercato di piccole dimensioni e che il problema era “ contenuto”.
Ad agosto 2007 sia la Fed (banca centrale degli Usa) sia la Banca Centrale Europea
inondarono i mercati di liquidità. Ciò però non servi a niente. Infatti dopo Bear Sterns, due
massime banche d’affari americane hanno cessato d’esistere: una è la Lehman, perché
lasciata finire in bancarotta, l’altra è la Merrill Lynch, che per evitare lo stesso fato, si è
lasciata assorbire da un altro istituto. I due mitici giganti del mercato americano del credito
fondiario, Fannie Mae e Freddie Mac, sono stati posti in amministrazione pubblica,
svelando che la forma privata da essi assunta serviva a distribuire profitti a manager e
azionisti, ma non a sopportare le perdite di una gestione incauta. Ha fatto la stessa fine
anche AIG, la massima compagnia di assicurazioni del mondo. Il male americano ha
contagiato l’Inghilterra, cosi come l’Europa continentale. Un Far West senza regole: ecco
come sono stati definiti gli Usa. Si è arrestata la circolazione del credito a breve, con i tassi
di mercato monetario a livelli di record assoluti; sono crollate le borse e la volatilità del
mercato ha toccato massimi storici.
Fonte: Bari Economica
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Questo grafico mostra il crollo delle borse: ovviamente le borse degli Usa hanno subito un
crollo maggiore seguite dal Regno Unito dal Belgio e dall’Italia.
Il segretario al Tesoro americano, Goldman Sachs, è stato costretto a imporre alle
maggiori banche una partecipazione dello stato per ricapitalizzarle. Tutte le aziende fallite
comunque sono state costrette a gettarsi nelle braccia del governo per essere liquidate,
nazionalizzate o costrette ad accettare costose fusioni.
Ci si aspettava forse che sulla base di tante precedenti esperienze, soprattutto dopo la
Grande Depressione del 1929, il presidio pubblico offerto dal sistema delle regole e delle
istituzioni di vigilanza avrebbe impedito l’erompere di una crisi finanziaria di tale portata.
Se il fenomeno si esaurisse all’interno del settore finanziario, i danni potrebbero essere
contenuti anche perché la constatazione che il grosso della crescita del debito negli ultimi
anni era avvenuto soprattutto all’interno del settore finanziario, faceva sperare all’inizio.
Ma quando il fenomeno si accelera e si trasmette da una istituzione finanziaria all’altra,
diventano inevitabili conseguenze pesanti sull’economia reale delle imprese e delle
famiglie; queste conseguenze poi possono a loro volta aggravare le condizioni del settore
finanziario.
Le banche colpite dalle perdite hanno due modi per restaurare le condizioni di adeguatezza
patrimoniale. Possono aumentare il proprio capitale ma in condizioni di sofferenza e di
perdite effettive o potenziali è difficile trovare soggetti pronti ad investire: infatti alcuni
fondi sovrani che intervennero per ricapitalizzare alcune banche americane tra fine 2007 e
inizio 2008 ancora si leccano le ferite dopo che le stesse banche americane furono costrette
e rivelare nuove e sempre maggiori perdite. L’altra via delle banche è quella di ridurre il
valore del proprio attivo tagliando il credito a imprese e famiglie. Le conseguenze che oggi
si stanno manifestando sono davvero pesanti. Mancando il normale affidamento creditizio,
imprese anche sane si trovano in situazioni di insolvenza verso i fornitori e devono
rinunciare agli investimenti progettati. Si è ridotta la provvista di mutui fondiari alle
famiglie. Le conseguenze si sono diffuse sul sistema. Le difficoltà delle famiglie e delle
imprese si ripercuotono a loro volta sulle banche, aumentandone le sofferenze.
Caratteristica di questo processo di recessione è stata la scarsa trasparenza dei mercati
finanziari. La spiegazione è questa: dal 2000 al 2007 il totale del PIL degli Stati Uniti
(l’insieme dei beni e dei servizi prodotti) è stato di 925.000 miliardi di dollari. La spesa
totale è stata però di 970.000 miliardi di dollari, con un eccesso cioè di 45.000 miliardi di