INTRODUZIONE.
UN “DEFICIT DI DEMOCRAZIA” ALL'ORIGINE DELLA
COSTRUZIONE FEDERALE EUROPEA?
Sempre più spesso, in qualsiasi contesto, politico, sociologico,
internazionale, sentiamo parlare di costruzione federale europea. A tal
proposito, leggendo un articolo de “Il Sole 24ore” del giugno 2005, a
firma di Michael Stürmer, ho dedotto che, sempre più frequentemente, è
divenuta comune l'affermazione secondo cui, l'odierna costruzione
europea, soffrirebbe di un sempre più evidente “deficit di democrazia”. A
tale riguardo è importante verificare se il processo di unificazione
europea sia effettivamente viziato in partenza, sul piano storico, politico
e ideale, dal peccato originale di un “deficit di democrazia”. Le pagine
seguenti sono dedicate a ricostruire il lascito politico-intellettuale di
Arnold Ruge, alla costruzione di una federazione democratica dei popoli
europei, e al progetto mazziniano di European Democracy, e intendono
suggerire qualche stimolo alla riflessione contemporanea sulle sue radici
ideali apparentemente più remote, attraverso la riproposizione di alcune
pagine del dibattito ideologico-politico di metà Ottocento.
Del resto, per capire la storia dei fatti e delle idee, del pensiero
politico del singolo o la realtà storica di una nazione, come quella
italiana, non possiamo e non dobbiamo prescindere dal calarla nel più
ampio contesto internazionale nel quale essa ha sempre vissuto, e
continua a vivere, in un rapporto di osmosi del quale è impossibile non
tener conto. La storia dell'Europa, infatti, è culturalmente un tutto unico
ed indivisibile pur essendo formata, oggi, così come lo era nei secoli
passati, da tante diverse e spesso divergenti, realtà statali. Dall'unità
dell'Impero, a quella religiosa, dall'ideale illuministico a quello delle
nazionalità, molti e inscindibili sono stati i legami di quella che
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definiamo la cultura europea, la storia europea, in una parola la civiltà
europea. Il pensiero illuministico della seconda metà del '700, permise
all'Europa di coniare nuovi valori, nuove idealità, non più legate ad una
realtà sociale statica che aveva il suo fulcro nell'origine divina del potere
regio e la sua base nell'economia legata alla terra, ma adatta ad un
mondo in rapida evoluzione nel quale l'elemento borghese veniva
prendendo sempre più consapevolezza delle sue esigenze e delle sue
necessità legate ad interessi imprenditoriali e commerciali.
Ma l'Illuminismo, con la sua visione universale, tendeva
all'instaurazione di una società cosmopolita, umanitaria e pacifista senza
disuguaglianza, né differenza, ideali che non potevano essere condivisi
da chi tendeva, invece, allo Stato-nazione come luogo naturale nel quale
esercitare e difendere il potere appena conquistato e attraverso il quale
esercitare una maggiore o minore influenza su altri Stati-Nazione.
Formalmente ristabilito con il Congresso di Vienna del 1815 e con la
Santa Alleanza, l'equilibrio europeo, basato sullo stretto legame tra trono
e altare, divenne, per tutte le borghesie dei singoli paesi dell'Europa, un
ideale verso cui tendere; ma non un modello assoluto, bensì un punto di
riferimento da adattare alle proprie particolari esigenze nazionali.
Agli Stati sovranazionali e multinazionali restaurati, la borghesia
contrappose il principio di nazionalità, principio che, nel corso del
diciannovesimo secolo, si trasformò gradualmente in realtà per gran
parte dell'Europa. Ma come conciliare le idealità universali con il
principio nazionale? La borghesia aveva acquisito culturalmente
coscienza di sé e dei suoi interessi, grazie alla cultura illuministica,
aveva successivamente sentito la necessità di liberarsi di una parte di
questa ideologia, quella legata ad una visione sovranazionale,
cosmopolita della società europea, riconducendo gli altri principi ad una
dimensione nazionale più propriamente borghese, ma, operato questo
processo, aveva sentito anche l'esigenza di non distruggere le proprie
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radici che affondavano, comunque, nei secoli dei lumi.
In questo magma incandescente, gli intellettuali europei, quasi
all'unisono, riuscirono a fondere valori in contrasto tra loro, giungendo
ad una sintesi che divenne il filo conduttore della nascita delle singole
nazioni europee. Le idealità universali del pensiero illuministico, sentite
come preminenti rispetto allo Stato nazionale, si trasformarono nell'idea
di missione secondo cui, la singola nazione, era chiamata ad assolvere
una funzione dominante nei confronti dell'umanità. Si raggiungeva, così,
una sorta di contemperamento dei principi universali e dei principi
nazionali. In altre parole, restringendo i principi universali nei confini
nazionali, la nazione che si considerava detentrice di precisi valori
assumeva su di sé il compito di farsi portatrice di essi, alle nazioni che
ne erano prive. All'idea di nazione si legò, dunque, l'idea di missione e
addirittura di primato, quasi presupposto necessario per spingere i popoli
a voler essere nazione con fine ultimo l'affratellamento dei popoli,
attraverso l'unione delle singole nazionalità, facendo, della propria
patria, il centro organico, propulsore e assimilatore di questo nuovo
internazionalismo europeo. In questo contesto, sempre più importanza,
ebbe la Germania, dove, nonostante tutto, la figura e la prestazione
teorico-politica di Ruge, appare, spesso, sminuita, se confrontata con
personaggi di alta levatura quali Hegel e Marx, e sembra annullarsi
all'interno di stereotipi, i quali, sovente, ne obliterano qualità, spessore e
determinatezza di articolazioni.
Tale sottovalutazione concerne, in particolar modo, il contributo
determinato di Ruge, tanto sul piano della elaborazione teorico-culturale,
quanto su quello dell'impegno politico diretto, alla progettazione
costituzionale e attiva promozione di una European Democracy sia
prima che dopo il 1848.
Inizierò il mio lavoro di ricerca, ricostruzione storica e
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approfondimento, analizzando la figura di Giuseppe Mazzini, la sua vita,
il suo tempo, la sua filosofia, la sua peculiare concezione di nazione, gli
scritti che lo condurranno al progetto di European Democracy.
Successivamente, passerò all'analisi della figura di Ruge, al suo percorso
di formazione personale, al contatto e alla collaborazione con Mazzini, e,
infine, arriverò ad analizzare sia il contributo da lui apportato
all'importante progetto mazziniano, sia le implicazioni più evidenti
anche per l'odierno contesto internazionale europeo.
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CAPITOLO PRIMO
GIUSEPPE MAZZINI (1805- 1872): LA SUA VITA E IL SUO
TEMPO
Giuseppe Mazzini, nacque il 22 giugno 1805 a Genova, città con un
glorioso passato, divenuta parte del Regno di Sardegna e Piemonte con il
Congresso di Vienna del 1815; tale regno fu uno degli otto regni italiani,
ricostituiti dopo la sconfitta di Napoleone nel 1815, i quali erano
regolamentati da un governo autocratico e anticostituzionale, erano fra
loro indipendenti e alcuni di essi erano in stretto contatto con l'Austria
tanto da esserne, di fatto, satelliti. In questo contesto, si cominciavano a
manifestare e diffondere sentimenti patriottici, specialmente durante il
regno di Napoleone, tra il 1805 e il 1814, quando, una larga parte del
territorio italiano, era già politicamente unificato. La conseguente
Restaurazione e il rinnovato smembramento politico dell'Italia,
favorirono la crescente domanda di carte costituzionali che garantissero
l'indipendenza da regole e da regni stranieri. I patrioti italiani si
ispirarono alle esperienze delle insurrezioni costituzionaliste della
Spagna del 1820, le quali si erano, a loro volta, ispirate alle rivoluzioni
napoletane del 1799, che si conclusero con un breve interludio
repubblicano. Una prima ondata di insurrezioni, ebbe luogo nel Regno di
Napoli e Piemonte, tra il 1820 e il 1821 ma fu immediatamente e
brutalmente repressa; fu in questo tumultuoso contesto politico che il
giovane Mazzini crebbe.
Mazzini, ignorando i suggerimenti del padre che cercava di
indirizzarlo verso gli studi in legge o in letteratura, era attratto dai poeti
romantici e dalla filosofia idealista; all'età di venti anni indirizzò la sua
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attenzione più esplicitamente verso il pensiero sociale e politico: i sui
maggiori punti di riferimento, durante questo periodo, furono i sacerdoti
Francesi e i filosofi democratici come Félicité de Lamennais e i San
Simoniani. Una costante di tutta la formazione di Mazzini, fu la durevole
influenza che ebbe su di lui l'ambiente politico, sociale e culturale della
Francia; di quella illuministica ed enciclopedica prima, di quella liberale
dell'età della Restaurazione poi, cultura con la quale venne in contatto
dapprima, attraverso i libri e i giornali che circolavano a Genova, poi
direttamente quando scelse la Francia come terra d'esilio.
In breve, una grande parte degli stimoli culturali, che gli venivano
dall'arricchimento ideologico e politico di quegli anni, lo portarono ad
abbracciare l'idea della missione di una nazione privilegiata sulle altre.
Questa idea gli veniva dalla Francia, ma era evidente che, assimilarla
così come veniva presentata da alcuni circoli intellettuali d'oltralpe,
significava condannare l'Italia alla divisione politica all'interno, ed alla
subordinazione al primato francese all'esterno. Ed ecco nascere, nel
giovane Mazzini, quell'insieme di idee e di impulsi che si sarebbero, poi,
organicamente armonizzati portandolo ad ergersi in posizione fieramente
antitetica alla Francia e a tutto quello che era francese. La maturazione
del suo pensiero politico, e con esso la nascita e la definizione dell'idea
di Roma che si accompagnava alla dottrina del primato, e, di
conseguenza, all'idea della missione della nazione italiana tra le
consorelle europee, si delineò nei primi anni dell'esilio, anni decisivi per
la sua formazione, durante i quali assunse grande importanza l'incontro
di Mazzini con il sansimonismo, allora all'apice dell'affermazione.
1
Si
potrebbe dire che, l'idea di Roma, sia maturata, nella mente di Mazzini,
1
Tutti gli studiosi che si sono interessati al pensiero di Mazzini hanno accennato all'influenza che
ebbero su di lui le dottrine sansimoniane; critico appare un recente saggio di M. BARBIERI, Sul
giacobinismo di Giuseppe Mazzini (1831), in “Il Risorgimento”, III (1981), Istituto mazziniano di
Genova, pp. 215-222.; cfr. anche R. TREVES, La dottrina sansimoniana nel pensiero italiano del
Risorgimento, Torino, Giappichelli, 1973 (2ª ed.).
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quasi da sola e contemporaneamente alla precisa volontà di sostituire
l'iniziativa italiana a quell'iniziativa francese, di cui tutti gli intellettuali
d'oltralpe, quali che fossero le loro concezioni filosofiche, si
professavano certi. A causa del suo temperamento, Mazzini fu da subito
coinvolto nelle battaglie per l'indipendenza nazionale italiana e divenne
il maggiore teorico e carismatico agitatore politico, egli entrò nella
società dei Carbonari, dalla quale, però, uscì dopo breve tempo a causa
della eccessiva segretezza della società e della eccessiva distanza dal
popolo. Mazzini credeva che l'Italia non avesse bisogno di una
cospirazione elitaria costituzionale, ma di un vero e sincero movimento
popolare basato su un chiaro e ben definito programma rivoluzionario
repubblicano.
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Nel 1830, dopo un breve periodo in carcere per una
condanna in attivismo sovversivo contro le regole dell'impero austriaco,
Mazzini lasciò l'Italia, egli passò la maggior parte della sua vita
rimanente in esilio, e dal 1837 in poi, Londra divenne il suo paese
adottivo.
Il 12 gennaio 1837 Giuseppe Mazzini, espulso dalla Svizzera, giunse
a Londra: si concludeva così l'agitato periodo della “Giovine Italia” e
della “Giovine Europa”, ed aveva inizio per l'esule genovese il lungo
decennio inglese, fino alla rivoluzione del 1848, periodo in cui, Mazzini,
continuò la sua carriera letteraria.
Una prima parte degli scritti mazziniani, escluse le lettere relative al
periodo precedente all'esilio, è lo Zibaldone giovanile, una raccolta di
riflessioni, annotazioni, appunti sui vari argomenti culturali, che il
giovane genovese stendeva nel corso dei suoi studi, in tutto cinque
quaderni che si conservano all'Istituto Mazziniano di Genova; un
secondo gruppo di scritti, sono la raccolta di riflessioni che andava sotto
il nome di Reliquie di un ignoto, quaderni e diari che, assieme ad una
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I. MONTANELLI, Storia d'Italia (1831-1861), supplemento a “ Oggi”, Milano, RCS Libri,
1998, p. 40.
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cassa di documenti, nel 1849, all'indomani della caduta della Repubblica
Romana, l'ex triumviro spediva dal porto di Civitavecchia alla volta di
Marsiglia e che andò persa e non fu mai ritrovata; un terzo consistente
gruppo di scritti, riguardava il periodo dell'esilio inglese, tra il 1837 e il
1839, quando Mazzini, esule a Londra, dotato di scarsi mezzi finanziari,
frequentava spesso le sale di lettura del British Museum.
Infatti, a Londra, egli continuò a pubblicare assiduamente, cercando
di diffondere quello che lui vedeva come una missione pan-Europea,
contro il dominio asburgico sull'Italia, l'Europa Centrale e i Balcani. Gli
articoli in inglese di Mazzini, pubblicati nel “Tait's Edimburgh
Magazine”, coincisero con l'ampliarsi, in Europa, della discussione sul
tema della democrazia; Mazzini si presentò al lettore inglese, tra il 1839
e il 1840, come uno scrittore democratico che affrontava i grandi temi
politici e difendeva, in lingua inglese, l'indipendenza e l'unità della
nazione italiana. Inoltre, sempre con la pubblicazione dei saggi nel
“Tait's Edimburgh Magazine” e delle Letters nel “Monthly Chronicle”,
Mazzini partecipò, in prima persona, al dibattito intellettuale europeo
sulle nuove forme democratiche di governo da adottare in Europa, e sui
problemi sociali che appaiono all'orizzonte. Ormai viene considerato, tra
i rifugiati nella capitale inglese, come l'esule culturalmente più
qualificato, e politicamente più rispettato. Il pensiero europeista e
nazionalista di Mazzini emerse, già precedentemente, nel 1831, quando,
esule in Francia, fondò l'organizzazione rivoluzionaria denominata
“Giovine Italia”, che promuoveva l'ideale patriottico all'interno della
classe media, e coordinava le attività insurrezionali in tutta la penisola
italiana. L'organizzazione di Mazzini divenne il primo partito politico,
con il suo proprio giornale e con un vero e proprio apparato politico;
Mazzini ripensò alla ristrutturazione della “Giovine Italia” come partito
nazionale d'azione, nella sua mente si fece strada la convinzione che
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essa, quale partito d'azione in un contesto europeo, avrebbe dovuto
elaborare una dottrina politica ben chiara, precisandone i principi sociali
ed i criteri associativi; avrebbe dovuto presentare un programma di
governo sul modo di reggere la cosa pubblica; e, infine, avrebbe dovuto
preparare i quadri che avrebbero dovuto risolvere i problemi nazionali ed
internazionali.
All'esterno, un partito d'azione, ha il compito di moltiplicare i legami
con i gruppi di esuli esistenti nei diversi paesi, e, soprattutto, di
alimentare con scritti, opuscoli, circolari, la fede nell'indipendenza della
patria e, da qui, l'urgenza di raccogliere fondi per sopperire alle necessità
dell'organizzazione, ed anche per venire incontro alle necessità dei
profughi provenienti dall'Italia. Fu con tale spirito che, accanto alla
“Giovine Italia”, Mazzini, aiutato da una dozzina di rifugiati italiani,
polacchi e tedeschi, cercò di costituire una organizzazione patriottica
simile, per la Germania, la Grecia, la Spagna, la Russia e la Polonia:
eccoci al 1834, Mazzini non aveva ancora ventinove anni, eppure aveva
già al suo attivo una simbolica carta d'identità, contrassegnata da arresti,
da esperienze carcerarie, da periodi di esilio e da una condanna a morte
inflittagli dal Tribunale di Alessandria nell'ottobre del 1833, a causa delle
vicende della “Giovine Italia”; tuttavia, Mazzini, non si dette per vinto e
da Berna, dove trovò temporaneo rifugio, intensificò i contatti con gli
esponenti delle altre nazioni oppresse, in primis i Tedeschi e i Polacchi.
Italia, Germania e Polonia, furono questi popoli a formare una specie di
santa trinità, secondo il linguaggio mazziniano, fortemente intriso di
terminologia e simbologia religiosa. E sono diciassette gli esuli, ideali
rappresentanti di questi tre popoli, che a Berna, fra l'11 e il 15 aprile del
1834, si riunirono e sottoscrissero l'Atto di fratellanza della “Giovine
Europa” e lo statuto che, in cinquantatré articoli, ne fissò l'assetto
organizzativo. Tale organizzazione fu una delle prime associazioni
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politiche transnazionali; coloro i quali avevano sottoscritto l'Atto
istitutivo della “Giovine Europa”, credevano, innanzitutto, nella
eguaglianza e nella fratellanza degli uomini e dei popoli, credevano che
l'umanità avanzasse per un progresso continuo, credevano nell'esigenza e
nell'impegno di tutte le forze, dentro e fuori i confini di ogni singola
nazione, in vista di uno sviluppo libero ed armonico, facevano leva sulla
triade libertà, eguaglianza e umanità, come elementi inviolabili, in grado
di respingere le seduzioni dei privilegi, degli egoismi, degli arbitri
discriminatori, si impegnavano ad un lavoro comune, nella concorde
volontà di emanciparsi, il che significa cooperare insieme a quel
compimento della missione generale dell'umanità, destinato a fissare il
traguardo a lungo termine dell'intero disegno mazziniano.
Mazzini fu il fondatore della “Giovine Europa”, il pioniere
dell'europeismo e, nel contempo, fu il teorico di un processo di
rinnovamento, in grado di cambiare l'intera carta del vecchio continente;
fu l'esponente di un'organizzazione rivoluzionaria, si impegnò affinché
l'obiettivo della democrazia sociale acquistasse dimensioni e
realizzazioni europee. La scelta mazziniana chiamò in causa l'urgenza di
riprendere l'iniziativa rivoluzionaria, Mazzini indicò quale fosse l'aut-
aut; da un lato c'era la vecchia Europa che crollava, dall'altro c'era la
“Giovine Europa” che sarebbe sorta. Ma questa Europa giovine, come
poteva passare da obiettivo di programma a conquista politicamente
operativa? La risposta mazziniana a tale quesito, che possiamo ricavare
dalla lettura dell'articolo di Arturo Colombo, intitolato La lezione di
Mazzini su europeismo e federalismo, è la seguente:
“l'unità europea, com'oggi può esistere, non risiede più in un
popolo: essa risiede e governa suprema su tutti”.
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A. COLOMBO, La lezione di Mazzini tra europeismo e federalismo, in “Arte&Storia”, XXVI
(2005), Lugano, Edizioni Ticino Management, pp. 28-34.
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