CAPITOLO I
Profilo biografico ed intellettuale di Giovanni Artieri.
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I.1 Vita e opere 1
Giovanni Artieri fa parte di quell'esiguo gruppo di giornalisti
(qualche nome: Ugo Ojetti, Paolo Monelli, Orio Vergani, Luigi
Barzini junior, Indro Montanelli), formatosi alla cosiddetta
scuola di valori quali Matilde Serao, Edoardo Scarfoglio, Mario
Missiroli, Luigi Barzini senior.
Nasce a Napoli il 25 marzo 1904. Sin da ragazzo riesce a conciliare
gli studi con la sua passione per il giornalismo; esordisce nel
quotidiano "Don Marzio", fondato da Francesco Crispi. A 17 anni è
redattore de “Il Giorno” di Matilde Serao; poi a "Il Mezzogiorno" e
infine a "Il Mattino" con Riccardo Foster e Barzini senior,creatore
della figura di scrittore e descrittore di grandi eventi, detto "inviato
speciale". A 23 anni, a Parigi, Artieri realizza la sua prima grande
intervista a Miguel de Unamuno, uno dei pensatori più acuti della
Spagna moderna, tenace avversario della dittatura di Primo de
Rivera .
Da "Il Mattino" passa a"La Stampa"di Alfredo Signoretti dove
acquista fama internazionale. Nel corso di 19 anni,scrive e descrive
per milioni di lettori ed in migliaia di articoli tutte le guerre, le
rivoluzioni e gli avvenimenti più importanti accaduti dal 1936 in
poi. A cominciare dalla guerra di Etiopia: il 5 maggio 1936, Artieri è
1 Cacace Paolo, Caratelli Giovanna, Martinelli Guido, Spinelli Livio, Anselmo Samuele, Giovanni Artieri e la casa in
Etruria, Roma, Tipografia Cooperante – Santa Severa, 2005.
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tra i primi ad entrare ad Addis Abeba, conquistata dalle truppe del
maresciallo Badoglio. Quindi,insieme a Luigi Barzini junior scampa
miracolosamente ad un attentato. Ancora: nel 1936/37 si trova in
Spagna testimone in prima linea per raccontare per mesi e mesi gli
orrori della guerra civile tra le milizie di Franco e le brigate
repubblicane.
Nel 1939 è la volta della testimonianza, come inviato speciale, della
sciagurata campagna in Albania decisa da Mussolini cui seguono le
corrispondenze di guerra dalla Germania, sempre per "La Stampa",
dopo che Hitler ha attaccato la Polonia. Corrispondenze che -
insieme a quelle di Indro Montanelli - non mancano di denunciare
l'aggressione nazista nei confronti di un popolo indifeso e costano
ad Artieri il richiamo in patria . Ma anziché tornare in patria, egli
convince Montanelli d'intraprendere un'avventurosa missione nei
Paesi baltici agonizzanti, perché ceduti alla sovranità sovietica
grazie al patto scellerato tra Ribbentrop e Molotov. I due giornalisti
sono gli unici testimoni per la stampa italiana della "guerra di
Finlandia ": disperata e vana epopea di un popolo che cerca di
sottrarsi alla dominazione di Stalin. L'entrata in guerra dell'Italia
fascista porta Artieri corrispondente in Africa settentrionale ed in
particolare in Libia, dove assiste alla tragica e misteriosa scomparsa
di Italo Balbo e dove può verificare di persona il dissolvimento
delle certezze dell'Asse nel logorante conflitto contro gli inglesi.
Nel 1941, come inviato speciale del "La Stampa", egli torna in
Finlandia per raccontare della seconda guerra tra gli uomini del
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generale Mannhereim e le truppe sovietiche fino al no finnico a
partecipare all'assedio tedesco di Leningrado. Nelle fasi convulse,
che vanno dal 25 luglio 1943 alla liberazione, Artieri vive a Roma
accanto ad Ester Lombardo, la fine scrittrice sociale sposata nel
1932, con la quale dividerà mezzo secolo di vita feconda di
sentimenti ed opere. Condivide con amici e colleghi il dramma di
un'Italia divisa in due; a cominciare dai fratelli Eduardo, Peppino e
Titina De Filippo, assidui frequentatori della sua casa in via Regina
Margherita.
Artieri aderisce al partito demo-laburista di Ivanoe Bonomi; la sua
abitazione diviene per un certo periodo punto di convegno di
intellettuali ed esponenti della Resistenza: da Armando Curcio a
Mario Pannunzio, da Ennio Flaiano a Vincenzo Talarico .... Tra gli
amici frequentatori c'è anche Renato Angiolillo, allora ricercato
dalla polizia fascista, con cui progetta la fondazione del quotidiano
"Il Tempo" (di cui nel 1953 sarà condirettore e poi direttore).
Nell'immediato dopoguerra, Artieri viene chiamato da Giulio De
Benedetti a scrivere per "L'Opinione",il quotidiano torinese diretto
da Francesco Antoncelli, capo del CLN in Piemonte. Riprende a
viaggiare per l'Italia raccontando il paese dopo la tragedia bellica,
ma ben presto Alfredo Frassati, tornato al timone de "La Stampa",
lo richiama al giornale dove aveva a lungo collaborato . Dalla
scrivania di capo dell'ufficio romano di corrispondenza segue tutte
le fasi della nascente repubblica e dell'esilio di Umberto II (di cui
diventerà estimatore ed amico). Poi riprende la via dei grandi
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reportages; una lunga inchiesta - durata quasi due anni, dal 1949 al
1950 - in nord Europa e in Germania; un viaggio in Terra santa e nei
paesi arabi; due giri del mondo, nel 1951 nel 1952 (il secondo
durato ben 11 mesi). E' testimone dell'incendio del Cairo con la
rivolta del anti-monarchia dei "fratelli musulmani" incontra il pandit
nel Nehru in India, ottiene un'intervista con l'imperatore Hirohito in
Giappone, ritrova in Messico Natalia Sedova, la vedova di Trotsky,
che gli racconta i retroscena del uccisione del marito. Le sue
corrispondenze appaiono oltre che su "La Stampa" anche su il "Il
Tempo" di Angiolillo. Per un paio d'anni, dal 1953 al 1955, Artieri
passa a "Il Messaggero" salvo poi riappacificarsi con Angiolillo e
riprendere la collaborazione con il giornale romano ma - ad
eccezione di due lunghe inchieste a Formosa e in Sud Africa -
l'attività diventa meno spasmodico, quindi più riflessiva. Artieri si
dedica all'attività storiografica e saggistica, per la quale verrà
considerato un maestro. Alla fine degli anni Sessanta si trasferisce a
Santa Marinella, nella villa significativamente denominata "La
Fronda". Qui, nella quiete del suo studio circondato da palme ed
eucalipti, scrive la maggior parte dei trenta volumi editi da diversi
editori: da Longanesi ad Arnoldo Mondadori. Una produzione
letteraria multiforme che va dal ciclo delle opere storiche ( Cronaca
del Regno d'Italia , Mussolini e l'avventura repubblicana,Umberto II
e la crisi della monarchia Quarant'anni di repubblica ) ai dotti
volumi su Napoli ( Funiculì, funiculà, Napoli nobilissima, Napoli
punto e basta?, Napoli scontraffatta ); dalle biografie ( Il tempo
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della regina, Il re ) ai saggi ( Italia mia, Prima, durante e dopo
Mussolini, Roghi e duelli, Cena con Gesù , scritto insieme ad Ester
Lombardo). Opere che gli valgono numerosi riconoscimenti letterari
ed il giudizio lusinghiero di alte autorità e della cultura come Ettore
Paratore, Emilio Cecchi, Carlo Bo e Michele Prisco. Con la sua
opera, Artieri si allea con la generazione detta dei "giornalisti-
scrittori", grazie alla quale il tono del giornalismo italiano raggiunse
alte vette contribuendo all'arricchimento della nostra lingua e della
cultura del Paese. Egli inoltre figura tra gli autori del movimento
letterario detto del "900", ponendosi accanto a Massimo
Bontempelli e a Curzio Malaparte nelle ardenti polemiche di quel
periodo. Collaboratore della "Nuova Antologia" e di altre riviste
italiane e straniere è sempre partecipe dell' evoluziuone letteraria e
polemica dell'avanguardia italiana,nei dibattiti Strapaese - Stracittà
e - in materia artistica - tra post-futurismo e novecentismo. Crociano
da sempre Artieri porterà dentro di sé per tutta la vita il culto
dell'autore dell'estetica e dedicherà numerosi articoli ed elzeviri a
"don Benedetto". Negli anni 60 Artieri viene allettato, dalla politica.
Consigliere comunale a Roma per il partito liberale, viene eletto
senatore per tre legislature; contribuendo sempre in senso liberale
alla politica interna ed internazionale del Paese. Ma poi preferisce
tornare all'opera storiografica e saggistica con l'ausilio della sua
ampia biblioteca di Santa Marinella. Autore di una delle più
attendibili biografie su Giovanni Artieri è stato un suo pronipote, il
dottor Paolo Cacace attivo giornalista a "Il Messaggero", il quale
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definisce lo zio, uno spirito leale e generoso, pronto a scrivere fini
all'ultimo giorno della sua vita operosa; spentasi l'11 febbraio 1995
da quando riposa - accanto alla sua amata Ester - nella cappella di
famiglia del cimitero di Santa Marinella.
I.2 Giovanni Artieri raccontato da Paolo Cacace e Silvio
Orlando Volendo dipingere un breve ritratto di questo giornalista-
scrittore, nulla è sembrato meglio delle parole di due persone che
hanno conosciuto e condiviso molto della vita di Giovanni Artieri:
Paolo Cacace, giornalista de "Il Messaggero", nonché, come già
detto, suo pronipote, e Silvio Orlando, giornalista del quotidiano
"L'Europa " e amico di Artieri .
6/7/2009…Roma:Testimonianza del dott. Paolo Cacace .
L’attività iniziale di Giovanni Artieri s’indirizza alla Scuola di
Nautica, poi attraverso conoscenze varie, viene introdotto
all’attività giornalistica da un tipografo che abitava sotto casa sua
(tutte notizie biografiche che si possono trovare in Prima durante
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e dopo Mussolini ). Lavora al “don Marzio”, piccolo giornale
fondato da Crispi, dopo di che giunge al “Giorno” di Matilde
Serao e al “Mattino” con Barzini senior (grande giornalista di quel
periodo; fece la Roma - Pechino in automobile inaugurando il
giornalismo d’avventura), poi dal “Mattino” si trasferì a Roma
lavorando al giornale “La Stampa”. Quindi gli anni che passa a
Napoli sono quelli della giovinezza, quando entrerà in contatto con
tutta l’intellighenzia napoletana: Benedetto Croce, Gino Doria,
ecc...
Negli anni di Napoli uno dei punti importanti è dato dal fatto che
lui, nel 1925-26, entra in contatto con uno scrittore spagnolo il cui
nome era Ramon Gomez de La Serna, scrittore d’ avanguardia che
giunse a Napoli e fu presentato da Artieri a tutta l’intellighenzia
napoletana al Circolo della Stampa. Raul era famoso per la
scrittura delle griguerias, componimenti caustici soprattutto
ironici; Artieri nel 1927 (quindi all’età di 23 anni) tradusse un libro
dallo spagnolo di Ramon, che e stato pubblicato con il corbaccio
intitolato: Il dottor inverosimile insieme ad un giornale.
Artieri era novecentista,quindi faceva parte di tutto quel gruppo di
giovani capeggiati da Massimo Bontempelli (testimone di nozze
di Artieri nel 1930 il quale sposò Ester Lombardo, anch’ella
scrittrice, che fondò il primo giornale femminile italiano). Il
novecentismo coniò una rivista intitolata “900” stampata per tutto
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il biennio 1926-1927 e a cui collaboravano artisti quali Joyce, de la
Serna, Erenburg ed altri; essa veniva pubblicata oltre che in
italiano anche in francese. Inizialmente Mussolini chiuse un occhio
per questa rivista però, ad un certo punto, capì che essa avrebbe
portato troppo interesse verso la Francia, a cui lui già guardava con
sospetto. Alla rivista 900 inizialmente collaborava anche Curzio
Malaparte (Sukert era il suo vero cognome,Malaparte era uno
pseudonimo), il quale se ne distaccò e fondò successivamente
“Strapaese”, un tentativo di intendere l’arte più consona alla
mentalità fascista, anche se questa rivista, come “900”, chiuse i
battenti.
Artieri si definiva un “centauro”, perché nato nella democrazia e
vissuto nel fascismo. La sua caratteristica di uomo era quella di
uno completamente fuori dalla logica fascista; però spesso faceva
degli atti allineati con la dittatura per evitare troppi problemi.
Aveva una visione di una Napoli di fine '800, che si identificava
come la capitale culturale d’Italia, in cui si ritrovavano artisti di
tutti i generi: Mancini, Morelli, Dal Bono, Gemito, ecc. Tutto
questo splendore durò poco, fino al sopraggiungere della prima
guerra mondiale nel 1914. Quindi Artieri è il grande descrittore
della parabola napoletana che in un certo qual senso anticipa di 30
anni la situazione di fine '900, per intenderci la Napoli di Cirillo,
quindi dei camorristi ecc. Egli individua i mali di questa città, la
quale comunque viene narrata con uno sguardo di speranza. La sua
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caratteristica è quella di raccontare come un giornalista-scrittore,
figura che oggi quasi non esiste più, in quanto mancano le
condizioni che allora lo favorivano.
Giornalisti napoletani che ebbero contatti con Artieri furono
Crispo, Compagnone, Vayro, Stefanini, Nazzaro, Augusto
Cesareo.
Vittorio Gorresio scriveva di lui .
Un aneddoto: Lui diceva che qualche volta prima di scrivere un
articolo si sedeva alla macchina da scrivere e pigiava a caso un
tasto e dalla lettera che ne scaturiva iniziava il pezzo, perché per
lui la scrittura era un flusso incondizionato.
20/5/2009…Roma: intervista al dott. Federico Orlando
-In quale circostanza ha conosciuto Giovanni Artieri, quindi dove e
quando?
Io ho conosciuto Artieri in età giovanile, quando negli anni '50/'60
ero un giornalista alle prime armi e lui era cofondatore del giornale
“Il Tempo”. Tutti e due avevamo interessi politici; io liberale, lui
monarchico, insomma una visione piùttosto comune di derivazione
risorgimentale. Poi avevamo in comune quel clima di cultura
napoletana, che per me era la cultura liberale di Croce e
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dell’Istituto di Studi Storici che io frequentavo spesso: Palazzo
Filomarino in S. Biagio dei Librai (la più grande istituzione storica
privata che sta a Napoli). Ma l’amicizia si saldò quando io
cominciai a collaborare con Indro Montanelli (il quale fece con
Artieri l’inviato speciale durante la guerra d’Etiopia,poi nel 1937
in Spagna e nel 1939 l’occupazione sovietica dei paesi baltici).
Montanelli e Artieri erano due dei più validi giornalisti italiani
dell’epoca e spesso si trovavano a collaborare insieme. Da vecchio
Artieri mi disse a proposito del giornalismo: “non è la notizia che
va dal giornalista ma viceversa “; questo riassume la capacità di
Artieri di stare sempre dov’erano gli eventi.
Quando io diventai collaboratore di Montanelli per la cultura,ma
anche per il rapporto che si venne a creare sempre più stretto tra
me e Artieri, lo conobbi sempre meglio, fino a che nei week-and io
e la mia compagna venivamo invitati a casa sua, da lui e da sua
moglie Ester Lombardo ( fondatrice del primo giornale italiano).
Parola dopo parola, cena dopo cena, articolo dopo
articolo,cominciai a comprendere sempre di più della sua persona
e della sua napoletanità. L’episodio che ricordo meglio è di quando
parlava del padre. Era aggiustatore di chiglie delle navi, quindi
lavorava con lo scafandro svolgendo perciò un lavoro molto
faticoso; Artieri veniva quindi da una vita fatta di stenti e fatiche,
perciò la cosa a cui teneva di più era quella di farsi chiamare
CONTE, titolo datogli dal re Umberto II che lo nominò così in
seguito alla disponibilità che lo stesso Artieri mostrò per lui
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durante le elezioni del 1946. Così il Conte,poi nominato Senatore,
si trasferì da Roma a S. Marinella per problemi di salute della
moglie che aveva bisogno di una migliore ossigenazione.
Artieri aveva un certo senso della pomposità, tipica dei napoletani,
infatti al Cimitero di Santa Marinella (dove riposano lui e la sua
compagna) si nota come sia monumentale la sua tomba e quella di
Ester entrambe corredate da busti di bronzo di entrambi e
dall’elenco dei libri dall’uno e dall’altra e sempre coperte di fiori.
Però al tempo stesso, oltre ad amare la formalità ed i titoli,
mostrava tutti i valori che lo caratterizzavano: in primis il senso
della storia, infatti egli non si atteggiò mai a storico. Pure quando
scrisse Cronaca del regno d’Italia, pensò bene di aggiungervi il
sostantivo cronaca e non storia d’Italia e basta).La ricerca storica
fatta da lui se pur in forma di cronaca si attiene comunque alla
principale fonte storiografica: il documento, che Artieri ricercava e
interpretava dopo, di che si preoccupavano che la sua valutazione
fosse valida e coerente al contesto. Io ricordo come furono
frequenti appunto le sue visite presso la villa da esule di Umberto
II dove, in dialetto piemontese quest’ultimo elargì pure poche
informazioni sul padre: Vittorio Emanuele II, il cui diario, si dice,
fu distrutto dalla figlia Iolanda. Sicché lui dovette accontentarsi di
una fotocopia di un brogliaccio dello stesso re molto
frammentario. Importante come fonte fu pure l’Archivio di Stato o
ancora la Biblioteca Vaticana.
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-Il suo approccio al lavoro era da stacanovista?
Assolutamente sì, perché quella del giornalista è una
PASSIONACCIA, che, come dice Enrico Mentana, o ce l’hai o
non ce l’hai.
-Come si rapportava ai colleghi e quindi si conseguenza a lei?
Immagino in modo cameratesco. Anche se qualche volta si
tiravano i calci agli stinchi in fondo c’erano rapporti di vera
amicizia, come con Montanelli, ad esempio. Come tutti i
superuomini, era assolutamente egocentrico e quindi faceva tutto
da solo. Del resto anche la sua documentazione era molto vasta.
-Esiste un personaggio pubblico per il quale aveva particolare
ammirazione?
Il re Umberto II, una vera venerazione soprattutto per la mitezza e
la pacatezza del suo carattere; in parte anche per la regina, anche
se Artieri era maschilista. Per Umberto aveva una stima pre
-politica, cioè senza alcun interesse personale. Ho inoltre
l'impressione che l’affetto e l’amore prescindessero
dall’orientamento politico dello stesso re. Artieri era laico e pian
piano si avvicinò al liberalismo a cui appartenevano: Croce,
Fortunato, Campagna e oltre. Erano tutte persone dietro cui non
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c’erano grandi partiti e che accettavano in tutto e per tutto la
Costituzione.
-Qual è la tappa più importante della carriera di Artieri e quella da
cui ha tratto più soddisfazioni?
Di gran lunga la vice direzione della “Stampa”. L’attività di
giornalista e soprattutto di inviato speciale lo arricchì finché l’età e
il corpo glielo permisero, poi si diventa vecchi e si scrivono i libri
soprattutto perché il giornalismo ti brucia tutto in una giornata,
quindi il giorno dopo ciò che ti può avanzare non lo puoi
riutilizzare perché e vecchio quindi lo riutilizzi 30-40 anni dopo
per scrivere i libri, allora la notizia non è più cronaca ma è storia.
Inoltre posso aggiungere che Giovanni era estremamente ospitale,
amava sedersi a tavola con una corte ridotta di persone e rispettava
molto la sua governante, Nella, donna intelligente e raffinata.
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