6
Introduzione
Si sa poco dei Rom.
Le notizie più frequenti che riguardano questo popolo sono quelle di
cronaca che affollano ormai da “sempre” i giornali, i notiziari e le
retoriche politiche relative alla c.d. emergenza sicurezza.
E, invece, c‟è tanto da sapere.
Il popolo Rom è un popolo strano, diverso, per molti versi sembra un
popolo rimasto antico, in grado di far passare i secoli, i predomini, le
sopraffazioni, gli stermini, i tentativi di omologazione, senza subire
modifiche sostanziali della propria identità originaria.
Tutto questo, in una civiltà come la nostra che cambia continuamente
e che ha offerto nei secoli valori e regole diverse, non può che
apparire almeno straordinario.
La storia dei Rom è una storia di fuga e di libertà, una storia di miti e
di lavori antichi e tramandati, una storia che oggi ha perso il suo
fascino ed è diventata una storia di ghetti (o di campi) con i
carabinieri alla porta, il ghiaccio e il fango per terra, i fumi tossici
7
nell‟aria, i bambini che giocano letteralmente con il fuoco, le donne
che imprecano e gli uomini (quelli rimasti) che vagano.
Le parole che maggiormente ricorrono in questa storia più che
contemporanea sono “sgombero”, “spulzione”, “Rumonia”, e
“cittadino”
1
.
Ovviamente tutto questo non traspare dalle nostre cronache
quotidiane; tutto questo non si sa.
Non è però negabile, perché tristemente e straordinariamente evidente,
che molti dei principali diritti di questo popolo sono costantemente
violati: le condizioni di vita a cui sono costretti, gli sgomberi dei
cambi, gli incendi dolosi, le difficoltà di fruizione dei più banali e
occidentali dei diritti sociali, l‟istruzione, il lavoro, il benessere.
Eppure sembra che tutto questo non spetti al popolo zingaro, un
popolo di sporchi, ladri, devianti e disagiati, un popolo che si
autoprotegge mediante la solitudine e l‟invisibilità.
In realtà non solo il popolo zingaro, ma ogni comunità socio-
culturalmente minoritaria, nello scontro con le società maggioritarie
trova delle notevoli difficoltà nel riconoscimento del diritto a
manifestare atteggiamenti e comportamenti socioculturalemente
1
Cfr. G.Romagnoli, Le voci dei Rom. Rapporto dalla città dei Rom, in La Repubblica, 20
febbraio 2009, pag. 41.
8
minoritari, senza che ciò sia percepito come antisociale ed eversivo. I
comportamenti che non rientrano nelle norme etiche di una
determinata cultura sono di per sé inevitabilmente eversivi; in tali casi
le esigenze di controllo sociale prevalgono su quelle della tolleranza
interculturale
2
.
In Italia le esigenze di controllo da tempo hanno prevalso su quelle
della tolleranza.
«Per antichi insediamenti storici e per nuovi fenomeni migratori,
l‟Italia è un paese multietnico: sud tirolesi, franco provenzali, sloveni,
croati, grecali, arberesh, comunità ebraiche, occitani, rom, sinti, ecc.
convivono da secoli con l‟infinita varietà dialettale e regionale delle
culture “italiane”. (…) Ma il nostro è un paese multietnico che,
dall‟unificazione risorgimentale in poi, rifiuta di accettare la propria
multietnicità: la rimuove o l‟emargina o la reprime, con un‟asprezza
cresciuta in questi ultimi anni
3
».
Le principali vittime della mancata integrazione del popolo Rom, dei
pregiudizi nei loro confronti e delle loro condizioni attuali di vita nel
nostro paese sono inevitabilmente le persone minori. Esse non solo
non godono pienamente dei diritti loro attribuiti dalla nostra Carta
2
Cfr. S. Costarelli, L’integrazione sociale di bambini e adolescenti zingari, in Cittadini in crescita,
n. 4, 2000, pag. 18.
3
Così C. Cuomo, Rom significa uomo. Vicende storiche, in E. Rodari (a cura di), Rom, un popolo,
Edizioni Punto Rosso, 2008, pag. 23.
9
costituzione e dalle normative internazionali, ma sono stati e
continuano ad essere i principali bersagli delle associazioni criminali
zingare, e non, e del conseguente sfruttamento in attività illecite.
Vi sono però anche molti casi in cui l‟attività illecita deriva dal
profondo attaccamento alla propria cultura e dalla solidarietà verso la
propria famiglia che spesso è causa scatenante dei comportamenti
devianti. Questo scontro-incontro con una cultura diversa da quella di
appartenenza influenza notevolmente anche il percorso di questi
minorenni nel procedimento penale che difficilmente riesce ad offrire
le garanzie processuali previste.
Gli operatori della giustizia minorile non possono prescindere da
queste peculiarità ed è necessario uno sforzo notevole verso la
comprensione e la conoscenza delle cause devianti che spingono alla
criminalità.
Le difficoltà che si incontrano nel corso del processo penale sono
notevoli.
In primo luogo la mancanza di collaborazione del nucleo familiare del
soggetto minore e dello stesso minorenne che difficilmente
comprende il valore di determinate regole o il disvalore sociale delle
condotte poste in essere.
10
In secondo luogo la mancanza di risorse a disposizione degli operatori
per l‟applicazione degli istituti alternativi alla detenzione che mirano
ad un effettivo recupero del soggetto, nonché talvolta la mancanza di
conoscenza reale e concreta della situazione peculiare che questi
minorenni si trovano ad affrontare.
L‟obiettivo del presente lavoro è l‟analisi e lo studio della devianza e
della criminalità minorile rom, anche mediante una ricerca sociologica
e storica della cultura zingara, nonché la verifica dell‟idoneità o meno
dei principali istituti disciplinati dal d.p.r. n. 448/1988 mediante una
personale lettura dei dati statistici forniti dal Dipartimento della
Giustizia Minorile.
L‟ultimo capitolo ha invece lo scopo di ricordare i diritti riconosciuti
dalle normative internazionali e dalla Costituzione italiana al
minorenne “in quanto tale”, senza alcuna distinzione, in virtù del
fondamentale principio d‟uguaglianza.
11
Capitolo I
LA CULTURA ROM
TRA PREGIUDIZIO E INTEGRAZIONE
1. PREMESSA
«Il pregiudizio è un giudizio precedente all‟esperienza o in assenza di
dati empirici, che può intendersi quindi più o meno errato, orientato in
senso favorevole o sfavorevole, riferito tanto a fatti ed eventi quanto a
persone o gruppi»
4
.
Il tema del pregiudizio, soprattutto nel secolo scorso, è stato al centro
dello studio e dell‟analisi di filosofi, psicologi, scienziati, i quali
hanno principalmente rivolto la loro attenzione all‟aspetto più
evidente e grave del pregiudizio: la stigmatizzazione etnica.
4
Così B. M. Mazzara, Stereotipi e pregiudizi, il Mulino, Bologna, 1997, pag. 14.
12
E i massimi esponenti della psicologia statunitense hanno
principalmente indagato e studiato le cause delle discriminazioni e del
pregiudizio etnico
5
.
Quest‟ultimo viene definito come «un‟antipatia basata su una
generalizzazione irreversibile e in mala fede che può essere
intimamente avvertita o anche dichiarata. Essa può essere diretta a
tutto un gruppo come tale, oppure ad un individuo in quanto membro
di tale gruppo»
6
.
Da tale definizione si possono ricavare due elementi costitutivi del
pregiudizio etnico: l‟oggetto del pregiudizio, individuabile nel gruppo
di appartenenza dell‟individuo e la connotazione necessariamente
negativa del giudizio medesimo.
Il pregiudizio, inoltre, non è sempre connotato da credenze false e
irrazionali, ma solo da «credenze cognitive squalificanti» che
produrranno «l‟espressione di emozioni negative o la messa in atto di
comportamenti ostili o discriminatori nei confronti dei membri di un
gruppo per la loro sola appartenenza ad esso»
7
. Il pregiudizio quindi
nasce come un processo esclusivamente cognitivo, ma non si arresta
in tale ambito, va oltre, e si concretizza in comportamenti indotti,
5
V. Per tutti, G.W.Allport, La natura del pregiudizio, La Nuova Italia, Firenze, 1973, pag. 10 ss.
6
Così G.W.Allport, op. cit., pag. 10.
7
Così R. Brown, Psicologia sociale del pregiudizio, Il Mulino, Bologna, 1997, pag. 15.
13
giustificati o comunque giustificabili da quelle credenze cognitive
squalificanti.
L‟oggetto del pregiudizio etnico è, quindi, il gruppo di appartenenza
dell‟individuo. La cognizione riguarda esclusivamente il gruppo, non
l‟individuo. Ciò che rileva non sono i singoli tratti personali del
soggetto, ma le connotazioni tipiche attribuite al gruppo a cui
appartiene.
Si ritiene difficile, se non impossibile, operare un processo cognitivo
di separazione dell‟individuo dal suo gruppo di appartenenza.
Sarà quindi più utile tentare di eliminare da una parte l‟ignoranza,
dall‟altra la conoscenza superficiale e stereotipata offerta soprattutto
dai mass media, relative alla cultura e alla storia di un certo gruppo
etnico.
2. ORIGINI DI UN POPOLO
La ricostruzione delle vicende storiche degli zingari è particolarmente
complessa a causa della mancanza di una tradizione scritta. Si tratta di
una storia costruita su racconti orali di favole e miti, nonché su
documenti e indagini di studiosi non appartenenti all‟etnia zingara.
14
Prima di fornire alcuni dati di carattere storico, si ritiene opportuno
fare una precisazione relativa ai diversi nomi attribuiti a questo
popolo, o che esso stesso si attribuisce.
Il termine “Zingaro”
8
deriva dal greco Athinganoi che designava il
nome di un‟antica setta eretica indiana da cui questo popolo
proverrebbe
9
. Questo termine è di certo il migliore, in quanto
comprende tutti i diversi gruppi di cui è costituito questo popolo, ma è
sempre stato usato con un‟accezione fortemente negativa.
Un altro termine spesso usato è “Gitani”
10
che deriva dal greco
Gyphtoi ossia egiziani, dovuto ad un‟errata identificazione di alcuni
gruppi zingari con alcuni esiliati cacciati dall‟Egitto
11
.
Altri termini, come i precedenti, sono frutto delle vicende storiche e
culturali che hanno coinvolto questo popolo. E‟ così per l‟olandese
Heiden ossia pagani, per lo scandinavo Tatare dalla credenza che
fossero tartari
12
, e infine per il francese Bohèmien dovuto alla loro
emigrazione negli stati di Sigismondo, re di Boemia, dal quale
8
Hanno la medesima radice etimologica anche il francese Tsigane, il tedesco e l‟olandese
Zigeuner, l‟ungherese Cigany, il turco Tchinghianès, e ovviamente il greco moderno Atinganos.
9
Cfr. M. Cagol, Un popolo sconosciuto. Gli zingari, da www.gfbv.it.
10
Hanno la medesima radice etimologica lo spagnolo Gitanos, l‟inglese Gypsies, l‟olandese
Gipten.
11
Rasetschnig F., Usi e costumi degli zingari, Edizioni Mediterranee s.r.l., 1965, pag. 31.
12
Rasetscnig F., op.cit., pag. 31.
15
ricevettero aiuto, protezione e un salvacondotto imperiale con il quale
era loro concesso di muoversi senza essere ostacolati
13
.
Gli zingari, almeno quelli europei, definiscono il loro popolo Rom che
significa “uomo”, «uomo per eccellenza, uomo per antonomasia. Ogni
straniero sarà chiamato, da loro, gagio (al plurale gage) o con un altro
dispregiativo qualunque, ma mai rom»
14
. I Rom giunti in Occidente
nel tardo Medioevo e insediatisi in Germania, Austria e Italia del nord
preferiscono essere chiamati Sinti
15
. Quelli giunti invece in epoca più
recente si sono stabiliti soprattutto nell‟Europa del Sud e dell‟Est e si
definiscono rom.
I termini “sinti” e “rom” sono spesso seguiti da aggettivi specificativi
che si riferiscono alle attività svolte nel passato da alcuni gruppi,
Lovara
16
o Kalderas
17
o Lautari
18
, nonché ai territori in cui si sono
insediati, Xoraxanè
19
o abruzzesi
20
.
13
Cfr. M. Mannoia, Zingari. Che strano popolo. Storia e problemi di una minoranza esclusa,
Edizioni XL, 2007, pag. 20;
14
Così F. Rasetschnig, Usi e costumi degli zingari, Edizioni Mediterranee s.r.l., 1965, pag. 30
15
Questo nome deriva da Sindh, una regione del Pakistan occidentale, attraversata dal fiume Indo,
dalla quale alcuni gruppi erano partiti.
16
Il termine deriva dalla radice ungherese lov che significa cavallo; tra i mestieri tipici del popolo
zingaro infatti emerge l‟allevamento dei cavalli.
17
Il termine deriva dal tardo latino caldaria che significa pentola; gli zingari infatti erano noti per
le loro capacità di lavorazione dei metalli.
18
Il termine deriva dalla stessa radice etimologica di “liuto”: molti zingari infatti erano bravi
musicisti, soprattutto di chitarra e di violino.
19
Si tratta di Rom musulmani provenienti dalla Turchia e successivamente dai territori dell‟ex-
Jugoslavia.
20
Cfr. M. Cagol, op.cit., da www.gfbv.it.
16
Infine definirli “nomadi” è fuorviante. Il nomadismo è un aspetto del
modus vivendi delle comunità zingare, ma, soprattutto oggi, sono
tantissimi i gruppi sedentari, in particolare nell‟Italia centro-
meridionale, in Spagna e in Francia.
La varietà di nomi utilizzati per definire questo popolo comporta
l‟impossibilità di darne sempre una denominazione corretta.
Nell‟ambito di questo lavoro si utilezzerà sia il termine “rom” sia il
termine zingaro, spogliato ovviamente di qualunque connotazione
negativa.
La storia delle origini e delle emigrazioni del popolo zingaro è
strettamente, se non imprescindibilmente, legata allo studio della sua
lingua, il Romanì, rimasta segreta fino al XVI secolo, e comunque
senza una precisa identificazione della provenienza sino alla fine del
XVIII secolo. Si tratta di una lingua indo-europea che per il
vocabolario e la grammatica si collega al sanscrito
21
e almeno il ceppo
originario è comune a tutte le comunità zingare del mondo
22
.
21
Hanno la stessa origine molte lingue indiane vive come la lingua hindi, la lingua punjabi, la
lingua mahrati, la lingua kashmiri.
22
Sul punto M. Cagol, op.cit., da www.gfbv.it; De Vaux De Foletier, Mille anni di storia degli
zingari, Di fronte e attraverso (Jaca Book), 1978, pag. 34.