4
INTRODUZIONE
Il presente lavoro nasce con l‟intento di illustrare le modalità con cui le
Nazioni Unite sono intervenute nella guerra Iran-Iraq, nel tentativo di porvi fine.
Prima di approfondire l‟azione dell‟ Onu, è stato necessario comprendere le
origini del conflitto, le sue caratteristiche principali e il contesto storico-politico nel
quale si è sviluppato. Questa analisi iniziale è svolta nei primi due capitoli del lavoro.
Nel primo capitolo si ricostruiscono la storica disputa di confine tra i due
paesi e la Rivoluzione iraniana. L‟analisi della questione confinaria risulta
indispensabile, poiché il motivo ufficiale addotto da Saddam Hussein per giustificare
l‟offensiva contro i persiani è la violazione da parte dell‟Iran del Trattato di Algeri del
1975. Questo accordo aveva temporaneamente messo fine alle dispute che da
secoli vedevano i due paesi in disaccordo sulla definizione di alcuni tratti del confine
comune, e in particolare sulla sovranità dello Shatt al-Arab che per gli iracheni,
rappresentando l‟unico accesso diretto al mare, ha sempre avuto un‟importanza
particolare.
Il capitolo prosegue con un analisi della Rivoluzione iraniana, che nel 1980
portò alla nascita di una Repubblica islamica in Iran. Questo evento rappresenta
uno spartiacque non solo nelle relazioni tra Teheran-Baghdad e con la maggior
parte dei paesi arabi, ma anche con le due superpotenze e con il resto della
comunità internazionale. La presa del potere da parte del clero sciita destò profonda
preoccupazione negli iracheni, che, avendo più di metà della popolazione di
confessione sciita, temettero un “contagio islamico” e nello stesso tempo fu vista da
Baghdad come un momento di debolezza da sfruttare per poter ottenere vantaggi
territoriali nelle zone di confine contese con l‟Iran.
Nel secondo capitolo l‟attenzione si focalizza sugli eventi bellici, cercando di
cogliere le principali caratteristiche del conflitto e tenendo in debita considerazione
come il contesto politico internazionale e il comportamento degli altri Stati abbiano
profondamente influito sull‟andamento degli avvenimenti. Nel lavoro si distinguono
due fasi del conflitto; la prima va dal 1980 al 1986 e la seconda dal 1986 al 1988. La
prima fase è definita “la guerra dimenticata” per due motivi: da una parte perché
l‟azione dell‟Onu, paralizzata dalla “seconda guerra fredda” e emarginata sulla
5
scena internazionale, non riusciva a essere risolutiva, e dall‟altra parte, questa
definizione è provocatoria perché altri gli Stati, in particolare le superpotenze, pur
dichiarando la loro neutralità e votando favorevolmente le risoluzioni dell‟Onu che
invitavano le parti al cessate il fuoco, hanno influenzato sin dai primi mesi il corso
della guerra, tramite la vendita indiscriminata di armamenti, in modo tale da logorare
i due “pericolosi” contendenti e evitare che il più forte, magari in momenti diversi,
prevalesse sull‟altro. Nella seconda fase, quando gli iraniani erano sul punto di
vincere la guerra e si inasprirono gli attacchi contro le petroliere neutrali transitanti
nelle acque del Golfo, con possibili ripercussioni sul mercato petrolifero, il conflitto si
internazionalizzò “ufficialmente” e con l‟intervento della marine occidentali a
protezione del diritto della “libertà di navigazione”, divenne una crisi di portata
mondiale.
Il terzo e ultimo capitolo ricostruisce l‟azione dell‟Onu negli otto anni di
conflitto, in particolare attraverso un excursus delle risoluzioni adottate dal Consiglio
di Sicurezza, a partire dalla risoluzione 479 del 28 settembre 1980. Tale analisi ha
permesso di comprendere i motivi per cui le decisioni adottate al “Palazzo di Vetro”
si rivelarono inefficaci sino al 1987, anno in cui il Consiglio di Sicurezza approvò la
risoluzione 598 del 20 luglio, la cui accettazione, il 7 agosto 1988, portò finalmente
al cessate il fuoco che ebbe inizio il 20 dello stesso mese.
Nella seconda parte del capitolo particolare rilevanza è data all‟operato di
Pérez de Cuéllar, Segretario Generale dell‟Onu dal 1982, che riuscì, nel corso degli
anni Ottanta, ad aggiungere la funzione di peacemaker al portafoglio delle
responsabilità del Segretario Generale, reinventandone così la figura. In pratica,
Javier Pèrez de Cuèllar, tramite un intenso, deciso e, spesso, oscuro lavoro di
mediazione e mettendo a punto un vero piano di pace, riuscì a far giungere le due
parti al cessate il fuoco e all‟immediato inizio di negoziati, risultando l‟artefice
principale della fine del conflitto tra Iran e Iraq.
Infine si descrive l‟operato della Missione di osservatori militari delle Nazioni
Unite inviata in Iran e Iraq (Uniimog), tra l‟agosto del 1988 e il febbraio 1991.
L‟Uniimog, instituita con la risoluzione 619 del 9 agosto 1988 in attuazione del
disposto della R/598-1987, ebbe il compito di vigilare sul “cessate il fuoco” e
prevenire violazioni degli accordi raggiunti tra i due paesi.
6
CAPITOLO 1
Le origini del conflitto
La guerra Iraq-Iran inizia per mano irachena il 22 settembre 1980: secondo i
pianificatori militari di Baghdad deve essere un‟operazione lampo, con obbiettivi
limitati, ossia la conquista di un‟area, lo Shatt al-Arab, da secoli contesa con il vicino
Iran. In realtà il conflitto dura circa 9 anni, si rivela fra i più sanguinosi di tutta la
storia del medio oriente, si amplia su larga scala coinvolgendo anche le
superpotenze e si dimostra, alla fine, fra i più complessi conflitti limitati della Guerra
fredda.
Inizialmente, la guerra Iran-Iraq è un evento che pochi capiscono. Impiega
molto tempo prima di trovare spazio sulle prime pagine dei giornali e, anche agli
occhi degli osservatori più acuti, essa appare un episodio da ritenere trascurabile
nel quadro internazionale, una guerra “tipica” del “terzo mondo”. Per poterne
comprendere dinamiche, particolarità e ambiguità risulta necessario analizzare le
origini del conflitto.
Ai primi di settembre del 1980 la regione del Golfo merita solo qualche titolo
nelle analisi del “dopo Kabul”, nelle corrispondenze da Teheran l‟attenzione è
focalizzata sulla possibilità di dialogo tra Iran-Usa, sugli ostaggi americani e sulla
lotta Bani Sadr-Radjad per la formazione del nuovo governo. Soltanto Le Monde
segnala, il 7 settembre, che: “la situazione tende a deteriorarsi alla frontiera Iran-
Iraq”. Per alcuni giorni non se ne parla più, ed è il dialogo tra Egitto ed Israele ad
essere in primo piano. Soltanto il 12 settembre, gli scontri in atto lungo vari punti
delle frontiere tra i due paesi, si conquistano piccoli titoli nelle pagine interne delle
testate occidentali. Infatti, il giorno prima l‟Iraq ha per la prima volta ammesso di
essere coinvolto in un conflitto con l‟Iran e il Presidente Saddam Hussein, tramite il
quotidiano ufficiale del Baat’h, ha precisato che i combattimenti riguardano “una
rivendicazione territoriale”. Così le agenzie dicono ci sono accadono scontri di
aumentata intensità, mentre i bilanci parlano di aerei distrutti, bombardamenti
micidiali, pesanti perdite inflitte al nemico. Baghdad, intanto, rende noto che le forze
irachene hanno liberato una zona di 76 kmq usurpata dall‟Iran dieci anni prima,
7
Teheran smentisce solo l‟ultima parte dell‟affermazione e dichiara che questa zona
spetta all‟Iran in base all‟accordo di Algeri del 1975
1
.
Lo stesso scarso rilievo viene dato al fatto che i giornali iracheni del 13
settembre pubblicano in prima pagina fotografie di missili utilizzati contro l‟Iran. Non
si dà troppo peso all‟Iran che annuncia, il 14 settembre, la morte di 100 iracheni, né
all‟Iraq che conta 50 iraniani uccisi e più di 300 feriti tra il 10 e il 15 settembre. Si
perde tra le righe la notizia che l‟Iran afferma di aver abbattuto un Mig iracheno,
mentre Baghdad sostiene di aver distrutto due Phantom, tre carri armati e vari
autoveicoli iraniani nel corso di una penetrazione di alcuni km in territorio iraniano.
Persino il riconoscimento da parte di Teheran della perdita di una porzione di
territorio provoca scarsa impressione, e poca risonanza ha l‟appello del segretario
della Lega Araba, che da Tunisi giudica “preoccupante” il conflitto e lancia un
appello in favore del “regolamento politico dei problemi”
2
.
Il 17 settembre 1980, l‟Iraq denuncia l‟accordo di riconciliazione concluso
con l‟Iran nel 1975, dall‟allora vice Presidente Saddam Hussein e dallo Shah, e ci si
accorge che quei combattimenti lungo la frontiera non sono incidenti qualsiasi.
Infatti con l‟accordo in questione, lo Shatt al-Arab è diviso con una linea
mediana in due parti eguali attribuite ai due paesi, lasciando all‟Iran la sponda est
dove si trova l‟enorme complesso petrolifero di Abadan e il porto commerciale di
Khorramchar; in una seconda serie di disposizioni si delimita definitivamente la
lunga frontiera terrestre; con una terza intesa Teheran si impegna a cessare di
sostenere i curdi iracheni; in un quarto punto Baghdad rinuncia alla richiesta di
evacuazione delle tre isole situate negli stretti di Hormuz (Piccola Tumb, Grande
Tumb, Abou-Moussa) occupate nel 1971 dalla marina imperiale dello Shah
3
.
La denuncia dell‟Accordo di Algeri del 1975, che Saddam Hussein comunica
durante un discorso radio-televisivo, riapre un vecchio contenzioso e il significato
dei combattimenti viene chiarito dallo stesso Raìs: “L‟Iraq non ha intenzione di
scatenare una guerra contro l‟Iran, ma intende difendere il territorio nazionale e i
suoi diritti legittimi. Perciò abbiamo preso la decisione di recuperare con la forza i
nostri territori. Le acque dello Shatt al-Arab devono ritrovare il loro vecchio statuto
iracheno ed arabo ed essere interamente poste sotto sovranità irachena”. Davanti
alla teoria della sovranità irachena imposta a una zona di frontiera (il Khuzistan, che
1
A. CAVALLARI, Iran-Irak: La guerra prototipo, “Affari Esteri”, XII, 1980,48, pp. 423-424.
2
Ivi, p. 424-425.
3
V. STRIKA, La guerra Iran-Iraq e la guerra del Golfo, Napoli, Liguori Editore, 1993, p. 36
8
coincide con le provincie nevralgiche del petrolio, e che, prima dell‟accordo di Algeri,
Baghdad chiama “Arabistan”, cioè terra degli arabi), cessa quindi la disattenzione
verso la guerra iracheno-persiana e i violenti combattimenti del 21 settembre,
domenica, diventano per la prima volta grandi titoli da prima pagina malgrado,
qualcuno, ad esempio il segretario americano della Difesa Harold Brown, li giudichi
“scontri militari dannosi per la pace, che però non costituiscono ancora vera
guerra”
4
.
A partire dal 22 settembre non vi sono però più dubbi che una guerra è in
atto. Si bombardano città, si affondano navi e le due flotte aeree si scontrano senza
tregua.
In principio questo nuovo conflitto armato appare agli occhi di molti
osservatori come una guerra “classica”: due paesi vicini si affrontano senza
interventi stranieri per il controllo di un territorio contestato e, in via subordinata, per
ragioni di ordine politico e ideologico; è percepito come un conflitto tipico del “terzo
mondo”, generalmente classificato fra le guerre regionali e estranee alla
confrontazione tra blocchi tipica della guerra fredda. Di più sembra prevedibile che
l‟Iran, alle prese con problemi interni (avvento della Repubblica Islamica) ed esterni
(isolamento internazionale dovuto alla vicenda dell‟ Ambasciata americana di
Teheran) di estrema gravità, invece di resistere e di combattere, preferirà ricorrere
al negoziato e all‟azione diplomatica per mettere rapidamente fine a una guerra che
potrebbe minacciare l‟esistenza stessa del regime al potere a Teheran. La sola
inquietudine reale per il mondo occidentale è di ordine geopolitico ed economico, in
effetti, in caso di straripamento i combattimenti potrebbero estendersi e provocare,
in un modo o nell‟altro un ennesimo shock petrolifero
5
.
Questa concezione della situazione, e le logiche previsioni che ne derivano,
si dimostrano rapidamente erronee e l‟evoluzione del conflitto irano-iracheno diviene
molto imprevedibile. Di fatto, la disputa territoriale, non si dimostra né la posta
essenziale né la causa unica della guerra: la complessità del conflitto si spiega sia
con la natura particolare della frontiera, che con l‟esistenza di fattori ideologici e
politici che vengono a sovrapporsi alla questione confinaria.
La guerra, infatti, non corrisponde esattamente ai tradizionali modelli dei
conflitti di frontiera tra i paesi meno sviluppati, al contrario, l‟evoluzione del confronto
4
CAVALLARI, Iran-Irak…, cit., p. 426
5
M. REZA DJALILI, Iraq e Iran per la supremazia del Golfo, “Politica Internazionale”, XII, 1984,4, p. 89.
9
irano-iracheno è sorprendente e inatteso, sia dal punto di vista militare che da quello
politico e ha implicazioni strategiche fra le più importanti di tutti i conflitti moderni
combattuti in quella regione. L‟invasione irachena, infatti, finisce per minacciare il
benessere economico di tutti i paesi vincolati, per esportazioni o importazioni, alla
produzione, al commercio e all‟uso del greggio. In definitiva, la guerra coinvolge tutti
gli Stati mediorientali e gran parte del mondo industrializzato, e per questo motivo
ha grandissime ripercussioni internazionali: sia Iran che Iraq, combattono, per otto
anni, anche diplomaticamente per garantirsi alleanze finanziarie e forniture d‟armi
6
.
Quella che all‟inizio può sembrare una guerra lampo si trasforma in un lungo e
sanguinoso conflitto, nel quale viene impiegata una sempre più crescente forza
militare e dove il coinvolgimento, delle due super potenze, così come quello dei
piccoli e medi stati, è ancora una storia tutta da raccontare
7
.
Se allo scoppio del conflitto la causa principale, se non unica, può apparire
“classica” e cioè la disputa sui confini fra i due stati, via via che la guerra procede ci
si rende conto che la guerra ha origini e cause complesse e stratificate.
“Quando il 17 settembre 1980, le autorità irachene denunciano l‟accordo di
Algeri del 6 Marzo 1975, che aveva messo fine alle dispute territoriali e riconciliato i
due paesi, esse invocano due ragioni: da una parte la situazione disastrosa del loro
esercito al momento della conclusione di un accordo “dettato dalle circostanze” (le
forze irachene sono, è vero, esaurite da molti anni di combattimenti nel Kurdistan e
la superiorità militare iraniana è netta); dall‟altra parte, il non rispetto delle
disposizioni dell‟accordo da parte del nuovo regime iraniano. Una volta negato
l‟accordo di Algeri, l‟Iraq ha buon gioco ad invocare la “legittima difesa” per
giustificare le sue azioni armate contro un territorio che, nella sua ottica, non fa più
parte integrante dell‟Iran. Meglio ancora: per rafforzare la loro posizione sul piano
giuridico, gli iracheni, collocano la data di inizio della guerra ai primi di settembre, il
che spiega perché l‟ordine dato il 22 settembre alle forze armate di attaccare
obbiettivi militari in territorio iraniano viene presentato come una risposta alle
aggressioni dell‟Iran contro Iraq. Per Teheran, che si sente nella posizione dell‟
aggredito, non è evidentemente necessario avanzare argomentazioni giuridiche, gli
basta trovare una spiegazione politica e ideologica che si colloca nella linea di
pensiero del clero dominante. La soluzione verrà senza difficoltà. La guerra è una
“guerra imposta”, frutto della collusione fra Saddam Hussein infedele e ateo, e gli
6
G. TAPPERO MERLO, Medio Oriente e forza di pace, Milano, Franco Angeli, 1997, p. 279.
7
A. RIZZO, La guerra del Golfo, “Affari Esteri”, XX, 1988,77, p. 46.
10
Stati Uniti, satanici e imperialisti, destinata a rovesciare il regime rivoluzionario e
soprattutto a combattere l‟Islam
8
”.
Al di là di queste spiegazioni ufficiali, lo scatenamento del conflitto è da
ricercare in realtà nell‟approfondimento delle contraddizioni politiche e ideologiche
fra i due Stati, nella necessità di trovare uno sbocco alle tensioni interne e alla
possibilità di un nuovo equilibrio nei rapporti di forza a livello regionale.
“L‟instaurazione di una Repubblica Islamica sul fianco orientale dell‟Iraq è un
avvenimento senza precedenti. Di per sé, solo questo fatto spiega in larga misura il
deterioramento delle relazioni fra i due paesi e l‟avvio del processo che li condurrà
alla guerra. In effetti, l‟Iraq è diretto, dal 1968, dal partito Batt’h che oltre a essere
all‟origine dell‟arabismo contemporaneo si propone, in più, di costruire l‟unità araba
su basi essenzialmente culturali e non religiose. In queste condizioni l‟apparizione di
un potere teocratico, insieme militante e tradizionalista, ma soprattutto islamista,
cioè opposto a ogni nazionalismo arabo, iraniano o d‟altro genere nei paesi
musulmani, non può che essere sentita a Baghdad come una minaccia potenziale.
Anche per la Repubblica Islamica, l‟esistenza di uno stato bassista è un non-senso
in terra di Islam, soprattutto in Iraq, dove la metà della popolazione è sciita e dove
sono situati i più importanti luoghi santi sciiti. Così dunque, fra i due sistemi politici,
vi è più di qualche differenza: vi è una vera è propria incompatibilità. Lo sviluppo
logico, se non inevitabile, di una tale antinomia non poteva che essere un confronto
armato”
9
.
A questo fossato si aggiunge l‟antagonismo personale che oppone Khomeini
a Saddam Hussein. Elemento di importanza non trascurabile in questa parte del
mondo, soprattutto nel contesto passionale che comincia a prevalere all‟inizio del
1979. Alla origine di questo antagonismo si trova una decisione delle autorità
irachene del settembre 1978 che ha imposto a Khomeini, esiliato a Nadjaf in Iraq, di
restringere le sue attività politiche. Sono queste direttive che costringono lo stesso
ayatollah a lasciare l‟Iraq per continuare il suo esilio a Neauphle-le-Chateau in
Francia.
L‟evoluzione della situazione politica all‟interno di ciascuno dei due paesi
influenza ugualmente il corso degli avvenimenti.
8
REZA DJALILI, Iraq e Iraq…, cit. p. 90.
9
Ibidem.
11
“In Iran, le attività dei movimenti autonomisti nelle due provincie limitrofe
dell‟Iraq, il Khuzistan e il Kurdistan, sono imputate, dal governo, al sostegno che ad
esse accordano gli iracheni. Lo stesso vale per altri gruppi di opposizione al regime
islamico. Ancora, certi elementi influenti del clero, fondandosi sull‟argomento della
illegalità di tutte le decisioni prese all‟epoca dello Shah, respingono l‟accordo di
Algeri che secondo loro ha avuto una conseguenza nefasta: la cessione di una
parte del territorio iraniano all‟Iraq (il riferimento è all‟art. 3 del trattato di Algeri con
cui, in verità lo, Shah rinuncia a sostenere le infiltrazioni sovversive dei curdi nel
Kurdistan iracheno in cambio della rinuncia da parte del governo di Baghdad del
sostegno agli arabi del Fronte di Liberazione dell‟Arabistan o Khuzistan)
10
”.
Ma il fatto più rilevatore si ha nel novembre del 1979 quando, il giorno stesso
della presa in ostaggio dei diplomatici americani, gli “studenti islamici” attaccano
l‟Ambasciata dell‟Iraq; questo avvenimento ricorda agli iracheni che la rivoluzione
che si è prodotta in Iran è una Rivoluzione islamica che, per essenza, non può
limitarsi unicamente all‟Iran. Il fatto è tanto più significativo perché fino allora
Baghdad ha avuto la tendenza di mettere l‟accento sugli aspetti nazionali e popolari
della rivoluzione, minimizzando il lato religioso e islamico. Questo episodio fa capire
ai capi iracheni che, sfruttando i favori della minoranza religiosa, tendenzialmente
ostile al regime di Saddam Hussein, Khomeini potrebbe far dilagare le sue idee e
pensare quantomeno di organizzare un mini-Stato sciita in Iraq
11
.
Sul piano regionale, la caduta del regime monarchico in Iran offre agli
iracheni una duplice e insperata occasione di rafforzare la loro posizione nello
scacchiere mediorientale. Certamente, Saddam Hussein insegue il sogno di
diventare il vero “guardiano” del Golfo ma, con l‟Egitto ormai isolato dal resto della
comunità araba (per via degli accordi di Camp David), si presenta anche
l‟opportunità di diventare il vero leader del mondo arabo. Il richiamo alla guerra
contro un nemico esterno, pericoloso per l‟integrità del mondo arabo nel suo
insieme, può risultare catalizzatore d‟una nuova unità nazionale e interaraba.
Saddam è aiutato nel suo compito dalle dichiarazioni contraddittorie del regime
islamico, che mirano un giorno a fare del Golfo un “Golfo islamico”, proponendo
l‟indomani di recuperare l‟arcipelago del Bahrein e tutti i territori abbandonati dallo
Shah. Tutto questo permette all‟Iraq di offrire i suoi servizi alle nuove monarchie
sorte, con enormi difficoltà, dopo la decolonizzazione e di presentarsi come la nuova
potenza protettrice della loro indipendenza e della loro integrità territoriale. Su scala
10
Ivi, p. 91.
11
RIZZO, La guerra del…, cit., p. 47.
12
regionale, l‟Iran, se non vuole più giocare il ruolo di “gendarme” affidato allo Shah
dal mondo occidentale nei decenni precedenti, si assegna però un nuovo obbiettivo:
rovesciare tutti i regimi ”corrotti e illegittimi” per installare al loro posto veri governi
islamici
12
.
“Dunque la guerra ha una natura ideologica interna all‟Iraq. Saddam Hussein
ha bisogno di una vittoria militare sull‟Iran per consolidare il suo potere di leader
ultranazionalista-radicale sopra gli sciiti iracheni e contro i comunisti che ha escluso
dal governo dopo la fine del regime filocomunista di Hasan al Bakr (avvenuta nel
‟79). Egli teme che sciiti e comunisti iraniani (il partito del Tudeh che, alla vigilia della
guerra ancora non è stato estromesso e, anzi sembra possa svolgere un ruolo
importante nel governo iraniano) possano alimentare nell‟Iraq una rivoluzione di tipo
islamico e si propone il rafforzamento del radicalismo ultranazionalista iracheno in
chiave antisciita e anticomunista”
13
.
La guerra è un‟occasione di riscossa degli arabi mesopotamici contro i
persiani, e coglie l‟occasione offerta dalla debolezza di Teheran (considerata da
Saddam Hussein instabile politicamente e vulnerabile militarmente, isolata dagli Usa
e dall‟occidente europeo, nonché dall‟Urss che teme uno sconfinamento della
rivoluzione nei territori musulmani posti sotto la sua influenza) per rompere gli
accordi raggiunti nel 1975 e controllare lo Shatt al-Arab assicurandosi così
finalmente uno sbocco esclusivo sul mare e più libertà d‟azione nel Golfo
14
.
Il conflitto ha una natura inter-araba. Saddam Hussein aspira infatti a
divenire il leader del blocco anti-Sadat, ostile alla pax americana di Camp David, e
così punta sulla guerra contro i persiani (musulmani, ma non arabi) per rafforzare la
sua statura panaraba attraverso una spettacolare vittoria, che potrebbe essere ciò
che fu Suez per Nasser. Inoltre, la vittoria gli è ancora più necessaria da quando
l‟Iraq ha liquidato i progetti di fusione con la Siria, nell‟agosto 1979, e nell‟area
mesopotamica è giunta l‟alleanza Libia-Siria (unici stati arabi che nel corso del
conflitto appoggeranno apertamente l‟Iran) che può minacciare il primato di
Baghdad nel blocco radical-conservatore contro l‟Egitto
15
.
La guerra ha un‟evidente origine strategico-economico. Riappropriandosi del
Khuzistan, l‟Iraq metterebbe le mani su una zona ricchissima di giacimenti petroliferi
12
REZA DJALILI, Iraq e Iran…, cit., p. 91.
13
CAVALLARI, Iran-Irak…, cit., p. 428.
14
Ivi, p. 429.
15
Ivi, p. 430.
13
e si delineerebbe una definitiva trasformazione del Golfo Persico in Golfo Arabico,
prospettando una gestione a due con l‟Arabia Saudita che, all‟ Opec, appare già
alleata del “moderatismo petrolifero” iracheno (aumento della produzione di greggio,
senza accrescere eccessivamente i prezzi)
16
e con cui nel febbraio del ‟79 ha
firmato un trattato circa la sicurezza delle reciproche frontiere. Una vittoria militare
consacrerebbe l‟emersione dell‟Iraq come “paese forte”, capace di sedere alle future
trattative con Usa e Urss in una posizione privilegiata.
“La guerra ha una natura inedita, perché rappresenta il primo scontro nella
storia contemporanea tra l‟arabismo e l‟Islam. Infatti, al di là della conflittualità
arabo-persiana, dei risvolti inter-arabi, della contrapposizione territoriale e religiosa,
è capitale il suo significato di scontro tra due miti capaci di mobilitare le masse
medio orientali. Dietro l‟Iraq c‟è l‟arabismo laicizzato dei nuovi capi militari. Dietro
l‟Iran c‟è l‟ “Islam dei profeti” che, superando la linea di demarcazione etnica, la
divisione arabi-perisani, chiama a raccolta iraniani o libici, provoca gli assalti alla
“Grande moschea”, introduce il sacro nella politica e Dio nella politica
internazionale”
17
.
“La guerra ha una natura neo-imperialista terziaria. Conferma cioè che, nel
“terzo mondo”, non sono in atto soltanto scontri nazionalisti, rivendicazioni
territoriali, volontà egemoniche tra Stati, guerre di religione, conflittualità e
contraddizioni etnico-religiose. Essa rivela l‟esistenza di un “imperialismo terziario”,
ormai chiaro in ogni continente, dove esiste una potenza regionale aspirante a
diventare egemone, gendarme e federatrice di stati vicini. Per l‟Iraq la guerra è
l‟occasione storica per mettere le mani sugli stretti di Hormuz, e controllare la “via
reale” dell‟energia; per rivendicare l‟Arabistan; per amputare all‟Iran la sua vena
madre; per provocare la caduta dello sciita Khomeini e il crollo del profetismo
islamico che controlla l‟asse Tripoli-Teheran-Damasco; per giocare il gioco
americano nella regione, pur coltivando un certo grado di amicizia con l‟Urss; per
passare come il difensore della “grande nazione araba” e dell‟islam ortodosso
contro la ventata rivoluzionaria dei “profeti”. Per l‟Iran si tratta di contrastare questa
occasione storica e di rovesciarla in proprio favore: per abbattere il regime di
Baghdad; per alimentare la rivolta sciita nei Paesi vicini; per allargare “l‟incendio
islamico”; per approfondire la lotta contro il complotto americano e sionista, che,
16
F. TANA, Le ambiguità di un regime consolidato, “Politica Internazionale”, IX, 1981-10, p. 43.
17
CAVALLARI, Iran-Irak…, cit., p. 431.
14
dopo aver guadagnato il consenso dell‟Egitto, può guadagnare il consenso dell‟asse
Baghdad-Amman-Riad”
18
.
Dunque, le motivazioni che portano al conflitto sono varie, articolate e
interdipendenti tra loro. Nei prossimi paragrafi sembra utile soffermarsi su due punti
fondamentali.
Nel primo paragrafo è brevemente analizzata la storica disputa di confine tra
i due paesi (di cui l‟accordo di Algeri del 1975 non è stato che l‟ultimo atto di questa
lunga controversia) poiché, al di là di ogni altra motivazione, il conflitto inizia
ufficialmente per una rivendicazione territoriale. E‟ utile, dunque, capire su cosa si
fondino le pretese irachene.
Nel secondo paragrafo si pone l‟attenzione su i vari momenti della
rivoluzione iraniana del 1979 (poi divenuta Islamica), vero e proprio “punto di
rottura” nell‟area del Golfo e nella regione mediorientale in genere. La Rivoluzione
islamica rappresenta infatti, per Saddam Hussein, un insperata occasione di
espansione territoriale e, al contempo, un motivo di timore per lo Stato iracheno
poiché, anche se ormai a venti anni di distanza dalla fine del conflitto è possibile
affermare che, sia Khomeini che Saddam Hussein, hanno sopravvalutato le
potenzialità rivoluzionarie degli sciiti iracheni, questi rappresentano, all‟inizio degli
anni Ottanta, circa il 60% della popolazione irachena e l‟80% della popolazione
araba dell‟Iraq e, questa, non può che essere una delle origini delle tensioni fra i due
stati
19
.
1.1 Controversie di confine
Il concetto di frontiera ben delimitata sul terreno è relativamente moderno
anche in Occidente; in Medio Oriente, in particolare nell‟area del Golfo, esso è stato
complicato dalle rivalità dei grandi stati coloniali che nell‟assetto delle rispettive
colonie e zone d‟influenza non hanno certo pensato ai confini dei futuri stati.
18
Ibidem.
19
TAPPERO MERLO, Medio Oriente…, cit., p. 281.
15
Quando gli europei affermano la loro presenza nel Golfo la maggior parte dei confini
è situata nel deserto, l‟assetto tribale delle popolazioni ha favorito lo jus sanguinis
anziché lo jus soli e il concetto di nazionalità che indica la volontà di un popolo di
vivere insieme sulla base di tradizioni culturali comuni su un determinato territorio è
assolutamente sconosciuto. Gli stati, dunque, non hanno confini precisi e, questi
non sono una demarcazione sul terreno che stabilisce l‟appartenenza di un territorio
a l‟uno o all‟altro stato, ma si limitano a stabilire l‟appartenenza delle varie tribù. Di
conseguenza il confine si sposta con gli spostamenti tribali
20
.
Di questi condizionamenti il colonialismo non tiene conto, lasciando in
sospeso molti casi di confine che ricompaiono non appena i vari paesi del Golfo
conquistano l‟indipendenza e, creando entità statali inedite che non badano in alcun
modo alla complementarietà etnica e geografica dei vari territori, a un equa
distribuzione delle risorse idriche e ai difficili, ma non per questo del tutto inesistenti,
precedenti storici da stabilire. Il problema di una delimitazione più precisa si pone
gradualmente, a seconda dei casi, con proprie specificità, non appena le potenze
europee hanno un interesse particolare
21
.
Così, in parte, anche la storica controversia di confine tra Iran e Iraq trae
origine dalle rivalità fra le grandi potenze che, inizialmente, dal Seicento fino
all‟inizio del Novecento, cercano di controllare il commercio con le Indie (Portogallo,
Olanda e GB) o di proteggere dalle penetrazioni straniere i propri territori (Impero
Ottomano e Russia) e, successivamente, provano a mettere le mani sulle grandi
riserve petrolifere della regione (Usa e Germania) o a mantenere i diritti acquisiti
(Urss e GB).
La questione ufficiale che scatena il conflitto fra Iran e Iraq è di natura
prettamente geografica: l‟Iraq di Saddam Hussein avanza pretese di controllo diretto
sullo Shatt al-Arab (in arabo “sponda degli Arabi”) o Arvandrud (“fiume Arvand” in
persiano) e sulla regione da esso solcata, cioè l‟Arabistan (nella dizione araba) o
Khuzistan (per i persiani)
22
.
Lo Shatt al-Arab è un fiume interamente navigabile formato dall‟incontro del
Tigri e dell‟Eufrate presso Qarna (Iraq), città a partire dalla quale forma un corridoio
di circa 200 km che raggiunge il Golfo Arabo-Persico, con un estuario la cui
20
STRIKA, cit., p. 37.
21
Ivi, pp. 38-40.
22
TAPPERO MERLO, Medio Oriente…, cit., p. 280.