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INTRODUZIONE
Le cardiopatie congenite sono definite in medicina come un insieme di
difetti organici del cuore presenti fin dalla nascita e prodotti di aberrazioni
nella normale fase intrauterina di sviluppo del feto. Queste possono
comprendere: pervietà del dotto arterioso e finestra aorto-polmonare, difetti
del setto interatriale e interventricolare, difetti atrioventricolari, ritorno
venoso polmonare anomalo, tronco arterioso comune, stenosi polmonare,
ateresia della tricuspide, atresia polmonare (Annoni, 2008).
La gravità di alcune cardiopatie congenite è tale da richiedere un
immediato intervento di correzione chirurgica, al fine di evitare la morte del
neonato in pochi giorni (Agnetti, 2010). Le tecniche di intervento di
correzione, utilizzate nel trattamento delle cardiopatie congenite, hanno subito
una notevole trasformazione negli ultimi quindici anni grazie al progressivo
miglioramento degli apparecchi ecocardiografici e all‟ideazione di speciali
cateteri e dispositivi. Attraverso varie funzioni, quali ad esempio, la
monodimensionale, la bidimensionale, la Doppler e il colore, questi strumenti
forniscono numerosi parametri sia di tipo anatomico che di tipo funzionale ed
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emodinamico. Ad oggi, l‟ideazione di speciali dispositivi medici ha permesso
di correggere molte cardiopatie, evitando, se possibile, l‟intervento chirurgico
(Agnetti, 2010).
L‟intervento di correzione chirurgica coinvolge particolarmente la vita
del paziente affetto da cardiopatia congenita (Congenital Heart Defect; CHD),
determinando forti ripercussioni sia dal punto di vista emotivo, sia
nell‟affrontare le singole scelte della vita. Pertanto, in questo studio mi
propongo di verificare la presenza di deficit di tipo cognitivo nei pazienti
adulti con cardiopatie congenite, esplorando le principali funzioni cognitive,
quali intelligenza e capacità di astrazione, memoria, attenzione, fluenza
verbale e abilità di categorizzazione. Numerose ricerche in letteratura
sottolineano, infatti, come l‟insorgenza di alcune variabili cliniche, quali, per
esempio, l‟arresto cardiocircolatorio durante l‟intervento (Sharma e coll.,
2000, Miller e coll., 1994) o l‟ipossia (O'Dougherty e coll., 1984), possano
influenzare lo sviluppo neurocognitivo dell‟individuo con CHD. Nel corso
dell‟intervento di correzione chirurgica, per esempio, delle complicazioni
durante l‟anestesia, generano delle condizioni che possono facilmente
condurre all‟ipossia cerebrale, ossia ad una diminuzione dell‟apporto di
ossigeno al cervello. Quando l‟ipossia dura per lunghi periodi di tempo,
questa può provocare coma, convulsioni, fino a giungere alla morte cerebrale.
Le cellule cerebrali sono estremamente sensibili: anche, solamente, una
condizione di deprivazione di ossigeno superiore a cinque minuti, può
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comportare un possibile rischio di morte cellulare. Le conseguenze di una
lieve ipossia cerebrale si manifestano nell‟individuo attraverso una scarsa
capacità di giudizio, disattenzione, perdita della memoria e diminuzione della
coordinazione motoria. Nella mia ricerca intendo, quindi, valutare se sono
presenti deficit a livello neuropsicologico in pazienti adulti affetti da
cardiopatie congenite. Infatti, se, da un lato, numerosi studi mostrano che i
bambini con CHD hanno problemi di tipo cognitivo e comportamentale
(Utens e coll., 1993; Garson e Baer, 1990; DeMaso e coll., 1990), dall‟altro,
la letteratura relativa agli individui adulti con cardiopatie congenite è ancora
molto limitata. L‟esiguità di studi in letteratura riguardanti gli individui adulti
con CHD si deve principalmente alle scarse possibilità di sopravvivenza che i
bambini con cardiopatia congenita presentavano negli scorsi decenni. E‟ stato
rilevato, infatti, che soltanto il 10% dei bambini nati in Italia tra il 1960 e la
prima metà degli anni ‟70 ha superato indenne il periodo neonatale (dati
riportati dall‟Italian Congenital Heart Network). Ad oggi, mantenendosi
costante l‟incidenza delle malformazioni congenite al cuore intorno all‟otto
per mille (dati riportati dall‟Italian Congenital Heart Network), il progressivo
miglioramento delle tecniche diagnostiche e dei presidi terapeutici medico-
chirurgici ha consentito a molti pazienti affetti da cardiopatia congenita di
raggiungere l'età adulta. Se solo qualche decennio fa, infatti, la maggior parte
dei pazienti italiani con CHD era destinata a morire durante il periodo
dell‟infanzia, oggi, il miglioramento degli strumenti diagnostici e lo sviluppo
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ed il successo della cardiochirurgia hanno determinato un notevole aumento
della possibilità di sopravvivenza dei bambini cardiopatici congeniti: ben
l‟85% dei neonati italiani con CHD raggiunge l‟età adulta (dati riportati
dall‟ospedale G. Galsini di Genova).
Di conseguenza, il focus d‟attenzione va rivolto a questa nuova e
crescente popolazione di pazienti, la cosiddetta “Guch (Grown-up Congenital
Heart,) community” (comunità di cardiopatici congeniti adulti), definita così
da Sommerville (2002), all‟interno della quale assume particolare rilievo,
oltre alla valutazione del tasso di sopravvivenza, anche l‟attenzione al
miglioramento della qualità della vita (Daliento e coll., 2006). Infatti, gli
individui affetti da cardiopatia congenita, sono fortemente esposti, nel corso
della loro storia evolutiva, ad un elevato rischio di incontrare difficoltà psico-
sociali, comportamentali ed emotive (Somerville, 2002).
Così come alcuni autori hanno evidenziato problematiche psicologiche
e comportamentali in bambini ed adolescenti con CHD (Karsdorp e coll.,
2007), in questo studio mi propongo, inoltre, di valutare l‟impatto che la
malattia cardiaca congenita ha sullo sviluppo psicologico dell‟individuo
adulto. Tali problematiche sono, probabilmente, dovute alle determinate
condizioni ambientali e relazionali collegate alla malattia, quali per esempio,
le lunghe degenze ospedaliere, le frequenti visite mediche, il mantenimento a
vita della terapia farmacologica, la rinuncia all‟attività sportiva di tipo
agonistico. Pertanto, particolare attenzione è dedicata alle possibili
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conseguenze psicologiche a lungo termine, attraverso la valutazione della
Teoria della Mente, della consapevolezza emotiva, dei livelli d‟ansia e dello
stile di attaccamento in questa popolazione di pazienti, unica e sempre più
numerosa.
Focalizzando l‟attenzione su queste dimensioni sarà, quindi, possibile
verificare la presenza o meno di deficit di cognitivi e psicologici nel paziente
cardiopatico congenito adulto e, in base a queste informazioni, eventualmente
pianificare degli interventi specifici volti ad una riabilitazione
neuropsicologica e psicologica di tali deficit.
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CAPITOLO 1
FUNZIONI COGNITIVE
1.1 Definizioni preliminari
Le funzioni cognitive costituiscono l'insieme di competenze ed abilità
intellettuali responsabili della consapevolezza, della percezione e della
comprensione da parte dell‟individuo (Mosby's Medical Dictionary, 2009).
Secondo Morabito (2002), le funzioni cognitive sono costituite da qualsiasi
processo mentale che comporta operazioni simboliche, includendo, inoltre, la
creazione di immagini e la capacità di giudizio. Le funzioni cognitive
coinvolgono tutti gli aspetti del pensiero, vale a dire, la memoria, l'attenzione,
la percezione, l'orientamento nello spazio e nel tempo, il riconoscimento e la
comprensione delle informazioni del mondo esterno e la capacità di dare
risposte adeguate e di farsi capire, sia con le parole che con le azioni. Queste
abilità risultano, pertanto, fortemente coinvolte nella corretta interpretazione e
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gestione delle informazioni ambientali da parte dell‟individuo. In particolare,
Cattelani (2006) distingue le funzioni cognitive in diverse aree:
funzioni strumentali all‟espressione e comprensione del
pensiero, quali articolazione della parola e prosodia, abilità procedurali
di base in compiti di lettura, componenti linguistico-strutturali,
paralinguistiche o extralinguistiche della comunicazione, competenze
meta cognitive nell‟interazione e nello scambio dialettico con
l‟interlocutore;
funzioni percettivo-gnosiche, abilità visuospaziali, prassiche e
prassico-costruttive, quali la capacità di riconoscere e analizzare stimoli o
configurazioni di vario grado di complessità, di cogliere relazioni spaziali, di
riprodurre forme e modelli;
funzioni attentive, quali capacità di attivazione e mantenimento di un
sufficiente livello di concentrazione, capacità di inibizione di eventuali
interferenze ambientali e di recupero spontaneo della concentrazione in caso
di interruzione di attività, abilità di spostamento da un compito cognitivo
all‟altro, efficienza del sistema attentivo di supervisione;
funzioni mnesiche, quali apprendimento e rievocazione
immediata o differita di informazioni, sia di tipo verbale che
visuospaziale, memoria semantica, memoria autobiografica e
episodica, memoria di lavoro, memoria prospettica;
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funzioni esecutive, quali ragionamento logico astratto e livello
di concettualizzazione, capacità di giudizio, di critica e autocritica,
categorizzazione logico-sequenziale, pianificazione strategica, problem
solving, ricezione dei segnali di feedback;
livello intellettivo generale, ossia presumibili attitudini e abilità
dipendenti dal bagaglio di conoscenze precedentemente acquisite, nel
corso dello sviluppo evolutivo, ed eventuali influenze di fattori
socioculturali.
1.2 Studi in letteratura
Sono molti gli autori (Utens e coll., 1993; Garson e Baer, 1990;
DeMaso e coll., 1990) che hanno considerato gli aspetti cognitivi nei bambini
nati con malattia cardiaca congenita (CHD). La maggior parte di queste
ricerche riguardano bambini in età scolare, nei quali vengono valutate
l‟intelligenza e le funzioni cognitive, quali l‟attenzione, la memoria, il
problem solving e la pianificazione. Molti autori hanno, quindi, sottolineato la
presenza, in questa popolazione, di problemi di tipo cognitivo e
comportamentale (Karsdorp e coll., 2007; Ellerbeck e coll., 1998; Gurich e
coll., 1997). I dati raccolti sembrano essere, inoltre, confermati anche dalla
percezione che i genitori hanno riguardo le capacità cognitive dei propri figli:
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i genitori dei bambini con CHD rilevano, infatti, difficoltà di apprendimento e
di attenzione in maniera più frequente, rispetto ai genitori dei bambini sani.
Alcuni studi spiegano come l‟effetto negativo sulle performance dei
bambini affetti da cardiopatia congenita, sia da imputare alla presenza di
alcune variabili mediche, quali, ad esempio, il tipo di correzione chirurgica, la
presenza di un arresto cardiocircolatorio durante l'intervento chirurgico e la
presenza di cianosi, ossia una riduzione dell‟ossigeno nel sangue arterioso al
momento della nascita. In particolare, l‟impatto di tali occorrenze cliniche
sembrerebbe essere riscontrato maggiormente nelle prove di QI (Bellinger e
coll., 1999; Oates e coll., 1995; Kramer e coll., 1989; Hesz e Clark, 1988;
Aram e coll., 1985) e nel rendimento scolastico (Wray e Sensky, 2001;
Wright e Nolan, 1994). Risultati contrastanti vengono, però, riportati in uno
studio di Clarkson e coll. (1980), in cui i punteggi dei bambini con CHD ai
test di intelligenza non correlavano in alcun modo con il metodo di
intervento. Nonostante ci siano molti autori che sottolineano l‟importanza di
tali variabili mediche, esistono alcuni ricercatori che, al contrario, negano il
ruolo determinante della presenza di tali variabili, quali, ad esempio,
l‟influenza dell‟età al momento dell‟intervento (Oates e coll., 1995).
La maggior parte degli autori, però, riconduce alla presenza di alcune
variabili mediche i deficit riscontrati (O 'Dougherty e coll., 1984), anche per
quanto riguarda la valutazione dell‟apprendimento e dell‟attenzione. L‟arresto
cardiocircolatorio durante l‟intervento chirurgico (Sharma e coll., 2000;
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Miller e coll., 1994), l‟età del paziente al momento della correzione chirurgica
(Newburger e coll., 1984), l‟ipossia (O'Dougherty e coll., 1984) e la gravità
della malattia (Youssef, 1988) sembrano, quindi, incidere sulle prestazioni dei
bambini con CHD in compiti di apprendimento ed attenzione.
Per quanto riguarda la valutazione degli aspetti cognitivi in individui
adulti con CHD, a causa del notevole aumento della sopravvivenza dei
bambini cardiopatici congeniti, i ricercatori hanno, recentemente, spostato
l‟attenzione sulle sequele neurologiche dei deficit, già osservati nei bambini
con cardiopatia congenita (Forbess e coll., 2002). Anche in questo caso,
sembra che i deficit nelle funzioni cognitive, che caratterizzano questa
popolazione di pazienti, siano associate, probabilmente, alla presenza di
variabili mediche, quali ipossia o arresto cardiaco durante l‟intervento
chirurgico. Nei pochi studi presenti in letteratura che riguardano i pazienti
adulti con cardiopatia congenita, è stata, infatti, rilevata la presenza di deficit
nelle funzioni di controllo, pianificazione e attenzione (Scarso e coll., 2003).
Inoltre, secondo Daliento e coll. (2006), tale analisi delle funzioni cognitive,
dell‟individuo adulto, dovrebbe essere estesa a molteplici ambiti di indagine,
quali la memoria, il ragionamento, la fluenza verbale. Solo avendo un quadro
completo ed esaustivo di tutti gli aspetti cognitivi coinvolti sarà, quindi,
possibile esplorare gli effetti a lungo termine della malattia cardiopatica
congenita.