3
CAPITOLO I
EVOLUZIONE DEI CONTRATTI CON FINALITA’ FORMATIVE NEL
NOSTRO ORDINAMENTO
1. Cenni storici
I moderni contratti di lavoro con finalità formative, e in particolare il più antico
contratto di apprendistato, hanno radici profonde, trovando nutrimento in quel
peculiare rapporto che per secoli ha legato il maestro all’allievo nell’opera di
formazione, professionale e umana, necessaria al giovane per entrare nel
mondo del lavoro con un patrimonio di competenze tali da renderlo pienamente
produttivo e perfettamente autonomo in un contesto economico fondato su
un’economia artigianale e con un mercato di riferimento molto ridotto. Si
hanno notizie di forme assimilabili alla moderna “formazione sul lavoro” già
nell’antico Egitto e in età greco-romana
1
, dove generalmente il rapporto è di
tipo familiare e connesso alla coabitazione dell’allievo con il maestro con
conseguente onere a carico di quest’ultimo di mantenimento ed educazione.
Rispetto al moderno contratto formativo la prospettiva appare però rovesciata
poiché “la prestazione dell’insegnamento (il lavoro) grava sul docente
1
Per un dettagliato approfondimento del percorso storico e normativo anche in un ottica
comparatistica Cfr. VARESI P. A., I contratti di lavoro con finalità formative, Milano, 2001;
RUDAN M., Il contratto di tirocinio, Giuffrè, Milano, 1964.
4
investito, per giunta, di una potestà quasi familiare sull’allievo”
2
, rimanendo
nell’ombra di un tale impegno educativo l’utilità per il maestro-datore di lavoro
espressa dalla forza-lavoro del discepolo. In tale prospettiva l’antico istituto è
stato ricondotto dalla dottrina nell’ambito della locatio operis del maestro,
piuttosto che nella locatio operarum dell’allievo
3
.
L’istituto dell’apprendistato diviene fondamentale, istituzionalizzandosi come
percorso formativo strutturato da svolgersi nella bottega del maestro, nel
sistema corporativo medievale, cui normalmente si fanno risalire le origini del
modello negoziale attuale
4
. E’ a partire da questa epoca che l’istituto comincia
ad avere una regolamentazione organica ad opera degli statuti delle
corporazioni e, pur conservando l’antico impianto familiare e artigianale tipico
dell’economia pre-industriale, acquista una importante valenza socio-
economica, divenendo il fulcro del sistema di accesso alla professione
5
.
Sovente, infatti, gli statuti corporativi subordinavano l’esercizio dell’arte e
della professione al compimento del tirocinio, per il quale erano previsti
2
Cfr. GIOVANELLI G. Disegno storico del rapporto di tirocinio in Italia, in Dir. Lav., 1957,
I, p. 250. In VARESI P. A., I contratti di lavoro con finalità formative, cit., p. 15, l’autore
precisa anche che normalmente è la famiglia a remunerare il maestro per l’opera di
addestramento ed educazione dell’allievo, risultando solo raramente dalle fonti un corrispettivo
in denaro per l’attività lavorativa svolta dall’apprendista.
3
RUDAN M., Il contratto di tirocinio, cit., p. 48; SUPPIEJ G., voce Apprendista, in
Enciclopedia del Diritto, vol. II, Giuffrè, Milano, 1958, p. 815; RIVA SANSEVERINO L.,
voce Apprendistato, in Novissimo Digesto Italiano, vol. I
I
, Unione Tipografico-Editrice
Torinese, Torino, 1957, pag. 783.
4
Cfr. per tutti GHERA E., Diritto del Lavoro, Cacucci, Bari, 2007, p. 280.
5
Cfr. OLIVELLI P., Il lavoro dei giovani, Giuffrè, Milano, 1981, p. 10, in cui si riconosce in
questo contesto il tirocinante quale principale “strumento della configurazione monopolistica
della corporazione”, specificando poi che, proprio per questa ragione, l’apprendista sarà anche
uno degli strumenti della successiva decadenza dell’economia corporativa.
5
normalmente periodi molto lunghi. Le corporazioni ottenevano così il duplice
scopo di assicurare al giovane un elevato grado di preparazione al termine del
periodo formativo e di tenere al contempo il più possibile lontano dal mercato
un nuovo concorrente, cautelando gli ampi profitti dei maestri e gli alti salari
degli operai
6
.
Per scorgere un mutamento significativo nei rapporti di lavoro con finalità
formative occorre giungere alla fine del XVIII secolo, quando, con la prima
rivoluzione industriale, ha inizio il lento processo di sfaldamento dell’ideologia
e delle strutture corporative. Si può notare in questa fase il progressivo
abbandono di una concezione del lavoro incentrata sull’opera e quindi sulle
competenze di un unico individuo, contemporaneamente all’inesorabile
affermazione delle macchine e la conseguente graduale dissoluzione della
personalità del rapporto tra datore e prestatore di lavoro. Tale processo
raggiunge il suo apice nei primi anni del XX secolo allorché le applicazioni
pratiche del principio di divisione del lavoro, elaborato da Taylor e Ford,
generano una parcellizzazione dell’attività produttiva tale da rendere spesso
superfluo un reale percorso di tirocinio nell’industria
7
.
6
Così A. SMITH nel suo Ricerca sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni,
pubblicato a Londra nel 1776, ed. it. Utet, Torino, 1965, in cui, criticando radicalmente il
sistema corporativo, identifica il tirocinio lungo come un mezzo per restringere il più possibile
la libera concorrenza tra i lavoratori.
7
Questo in parte spiega perché storicamente il contratto di apprendistato trovi attuazione
principalmente nel settore artigiano, solo negli ultimi anni superato percentualmente dal
terziario (v. infra, cap. II). Cfr. inoltre RIVA SANSEVERINO L., voce Apprendistato, cit.,
pag. 783, in cui l’a. sostiene che “l’uso sempre maggiore di mezzi meccanici e la conseguente
divisione del lavoro hanno, se non altro entro un certo limite, diminuito le esigenze nei riguardi
della formazione professionale dei lavoratori”.
6
In questo contesto, in cui il lavoro il più delle volte è mortificato a rango di
mera esecuzione di gesti elementari e ripetitivi al servizio delle macchine
8
, i
padroni dei nuovi opifici non hanno più interesse a formare i giovani quanto
piuttosto ad impiegarli, in ragione del minor costo rispetto agli operai adulti
9
,
per lo svolgimento delle mansioni più misere e dequalificate o in qualità di
assistenti degli operai specializzati.
L’apprendistato ora si allontana definitivamente da quel legame quasi
sinonimico con l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, che l’aveva
contraddistinto per così lungo tempo, diventando solo una alternativa
all’ordinario rapporto di lavoro subordinato. Nella nuova economia industriale,
quindi, si perde ogni connotazione personale e familiare e l’istituto viene
“gradatamente assunto fra gli istituti lavoristici caratterizzati da una struttura
d’ordine gerarchico”
10
, tendendo ad essere incorporato dalla legislazione
nazionale in tema di lavoro e formazione e, soprattutto, avviando quella
tensione tra l’interesse pubblico alla tutela della salute e della dignità dei
soggetti in formazione e l’interesse privato alla massima riduzione dei costi di
produzione, che accompagnerà l’intera storia dell’istituto.
8
GHERA E., Diritto del Lavoro, Cacucci, Bari, 2008, p. 280 ss. Cfr. anche OLIVELLI P., Il
lavoro dei giovani, cit., p. 3, in cui l’interesse per lo sfruttamento del lavoro giovanile è
associato al comparire di prestazioni lavorative, concernenti la condotta delle macchine e il
loro controllo, richiedenti una minima forza fisica e nessun particolare addestramento.
9
Cfr. VARESI P. A., I contrattili lavoro con finalità formative, cit., in cui l’autore descrive il
contrasto tra crescenti euforia e fiducia cieca per la scienza e il progresso e le miserabili
condizioni dei lavoratori durante l’ottocento in tutta l’Europa, condizioni che hanno spinto i
diversi legislatori dell’epoca ad approntare i primi esempi di c. d. legislazione sociale al fine di
tutelare i soggetti più deboli, in particolare donne e bambini.
10
RUDAN M., Il contratto di tirocinio, cit., p. 57.
7
Nel nostro ordinamento alla progressiva abolizione del sistema corporativo,
realizzata gradatamente in tutto l’arco dell’800, non si sostituisce un nuovo
impianto normativo volto a regolare il tirocinio, ma, salvo richiami sporadici
concentrati in alcune norme relative all’assistenza sanitaria e previdenziale
11
,
l’istituto continua a sopravvivere fondandosi sulle singole discipline di
categoria
12
nonché su usi e consuetudini
13
.
Una prima disciplina normativa del moderno apprendistato, cioè riconducibile
ad una concezione più propriamente industriale dell’economia, si è avuta solo
nella prima metà del XX secolo
14
con il r.d.l. 21 settembre 1938, n. 1906, conv.
in l. 2 giugno 1939, n. 739
15
. Secondo la dottrina prevalente
16
in questo quadro
11
Cfr. VARESI P. A., I contratti di lavoro con finalità formative, cit., p. 40, in cui l’autore,
nota nell’insieme dei riferimenti normativi all’apprendistato “un nitido disegno volto ad
equiparare gli apprendisti, in campo previdenziale ed assistenziale, ai lavoratori subordinati”.
Contra RUDAN M., I contratto di tirocinio, Giuffrè, Milano, 1964, pp. 8-10, la quale, pur
riconoscendo la equiparazione degli apprendisti ai lavoratori subordinati, ritiene i richiami
puramente episodici e occasionali.
12
Secondo le varie forme di normazione corporativa previste dalla legislazione fascista, v.
RIVA SANSEVERINO L., voce Apprendistato, cit., p. 783.
13
VARESI P. A., I contratti di lavoro con finalità formative, cit., p. 37.
14
A differenza di altri paesi europei come Inghilterra, Francia e Germania, dove
l’industrializzazione si era affermata molto prima e con essa l’esigenza di predisporre una
legislazione di tutela del lavoro minorile che prevedesse lo specifico rapporto contrattuale di
mediazione tra la necessità di ottenere manodopera a basso costo dei nuovi imprenditori e
l’urgenza di assicurare una istruzione di base solitamente descritta con le tre competenze
primarie del leggere, scrivere e far di conto. Sul punto v. VARESI P. A., I contratti di lavoro
con finalità formative, cit., p. 38.
15
Cfr. RIVA SANSEVERINO L., voce Apprendistato, cit., p. 784, la quale riteneva che questo
primo nucleo di norme si limitasse solo a un minimo comun denominatore prescrittivo rispetto
alla disciplina di categoria cui faceva ampio richiamo .
16
Cfr. DE CRISTOFARO M. L., voce Apprendistato, in Enciclopedia Giuridica Treccani,
Milano, 1989; RUDAN M., Il contratto di tirocinio, Cit., p. 58; SUPPIEJ G., voce
8
si intendeva ancora l’istituto alla stregua di un “rapporto di insegnamento”,
anche se svuotato dell’antico valore educativo, che nella esperienza applicativa
si manifestava sostanzialmente in un addestramento pratico, cioè
nell’apprendimento mediante affiancamento ad un lavoratore con maggiore
esperienza nell’esercizio dell’attività richiesta, rivolto a chi fosse privo di una
specifica professionalità.
Nel Codice Civile del 1942 sono state poi introdotte delle ulteriori norme,
generalmente considerate nelle trattazioni dottrinali di scarso rilievo
17
, volte
solo ad integrare alcuni aspetti della disciplina contenuta nel r.d.l. n.
1906/1938. Gli articoli 2130-2134
18
c.c., invero, dettano solo scarne
disposizioni in merito alla durata del tirocinio, al divieto di corrispondere il
salario in forma di cottimo, ad alcuni obblighi posti a carico del datore di
lavoro a causa della finalità formativa del rapporto, al diritto a ricevere
Apprendista, cit., p. 814; secondo VARESI P. A., I contratti di lavoro con finalità formative,
cit., pp. 50-52, data la mancanza di una definizione esplicita, la dottrina dell’epoca era divisa
sulla qualificazione giuridica del rapporto di apprendistato tra chi sosteneva la preponderanza
dell’aspetto lavorativo, chi dell’insegnamento e chi, infine addiveniva ad una sintesi
proponendo un inquadramento giuridico in cui lavoro e insegnamento avessero pari
importanza.
17
Il più delle volte viene citato solo l’art. 2134. In questo senso, tra i molti, cfr. DE
CRISTOFARO M. L., voce Apprendistato, cit., p. 1; PASQUALETTO E., I contratti con
finalità formative: l’apprendistato, in CESTER C. (a cura di), Il rapporto di lavoro
subordinato: costituzione e svolgimento, 2° vol. del Commentario di diritto del lavoro diretto
da CARINCI F., Utet, Torino, 2007, pag. 1856; MENGHINI L., I contratti a contenuto
formativo, in CARINCI M. T. (a cura di), La legge delega in materia di occupazione e mercato
del lavoro. L. n. 30/2003, Ipsoa, Milano, 2003, p. 107.
18
La scelta di rubricare gli articoli in esame con il risalente termine “tirocinio” piuttosto che
l’ormai invalso “apprendistato” era dovuta alla considerazione di quest’ultima espressione
come un inutile francesismo, cfr. VARESI P. A., I contratti di lavoro con finalità formative,
cit., p. 49.
9
un’attestazione dell’avvenuto tirocinio e, norma maggiormente rilevante, ad un
generale rinvio alle norme sul lavoro subordinato, ove compatibile con la
normativa speciale
19
.
Con il sorgere dello Stato repubblicano le istanze volte ad una protezione
speciale e rafforzata del lavoro minorile e giovanile, accolte tradizionalmente
nella c. d. legislazione sociale, sono recepite dalla Carta Costituzionale, con
l’ulteriore affermazione a carico della nascente Repubblica di un permanente
onere promozionale del diritto all’istruzione, sino ai gradi più alti, e della
formazione ed elevazione professionale dei cittadini, rispettivamente espresso
dagli articoli 34 e 35, co. 2, Cost. Mentre all’articolo 37, co. 3, Cost., è
demandato il compito di ribadire la volontà dello Stato di proteggere in modo
precipuo le categorie più deboli del mercato del lavoro, le donne e i minori
20
.
Limitatamente alla materia oggetto del presente lavoro, l’attuazione delle
norme di principio poste dalla Costituzione, avviene con la promulgazione
della l. 15 gennaio 1955, n. 25, trovando finalmente il contratto di
19
Rilevanti sotto il profilo dell’integrazione della disciplina speciale con le norme relative
all’ordinario rapporto di lavoro subordinato sono due pronunce della Corte Costituzionale, la
prima delle quali dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 15 luglio 1966, n.
604, nella parte in cui non comprende gli apprendisti tra i beneficiari della indennità di
anzianità prevista dall’art. 9 (Corte cost., 04-02-1970, n. 14, in Mass. Giur. Lav., 1970, p. 4),
mentre la seconda dichiara la parziale incostituzionalità della medesima norma, estendendo
agli apprendisti la tutela contro il licenziamento, pur se limitatamente al periodo di vigenza del
rapporto (Corte cost., 28/11/1973, n. 169, in Mass. Giur. Lav., 1973, p. 426).
20
cfr. VARESI P. A., I contratti di lavoro con finalità formative, cit., pp. 53-64, in cui l’autore,
pur riconoscendone il carattere innovativo, critica le norme costituzionali come legate ad una
concezione che troppo rigidamente distingue l’istruzione dal lavoro, non valorizzando la
formazione professionale, ma relegandola ad un canale di istruzione in qualche modo
subalterno.
10
apprendistato una solida definizione in sostituzione della precedente e
disorganica disciplina
21
.
2. Evoluzione normativa dell’apprendistato dalla l. n. 25/1955 alla l. n.
196/1997
L’art. 2, l. n. 25/1955, offre dell’istituto una definizione, ancora oggi ritenuta
valida dalla dottrina prevalente
22
, secondo cui “l’apprendistato è uno speciale
rapporto di lavoro in forza del quale l’imprenditore è obbligato ad impartire o
far impartire, nella sua impresa, all’apprendista assunto alle sue dipendenze,
l’insegnamento necessario perché possa conseguire la capacità tecnica per
diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l’opera nell’impresa medesima”.
Come specificato dallo stesso legislatore all’indomani della promulgazione
della legge, l’apprendistato si configura come un rapporto di lavoro speciale,
bilaterale e a titolo oneroso, nell’ambito del quale ricorrono due prestazioni
d’opera correlative e principali, la prestazione di insegnamento da una parte e
21
Cfr. art. 33, l. n. 25/2955, che prevede esplicitamente l’abrogazione del R.D.L. 21 settembre
1938, n. 1906, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739, nonché di ogni altra disposizione
in contrasto o incompatibile con la sopravvenuta normativa.
22
Cfr. tra gli altri VALLEBONA A., La riforma dei lavori, Cedam, Padova, 2004, p. 66;
ROCCELLA M., Manuale di diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 2008, p. 184. Contra
BELLOCCHI P., Apprendistato e contratto di inserimento, in Aa. Vv., Il nuovo mercato del
lavoro, commento al d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276, coordinato da PEDRAZZOLI M.,
Zanichelli, Bologna, 2004, pag. 529, in cui l’autrice sostiene che la messa a regime della
riforma attuata con il d. lgs. n. 276/2003 sostituirà in modo radicale la precedente disciplina,
creando un tipo contrattuale affatto nuovo neanche più riconducibile ai contratti speciali, come
comunemente avviene anche per il post-riforma da parte della dottrina prevalente. Sulla
questione si veda più diffusamente infra, cap. II.
11
la prestazione di energia lavorativa dall’altra, ciascuna delle quali funziona
reciprocamente da controprestazione. Pertanto l’insegnamento non è fine a sé
stesso ma si svolge in funzione dell’attività produttiva dell’azienda e
corrisponde quindi anche allo scopo di trarre dalla prestazione dell’apprendista
una utilità per l’imprenditore
23
. Ed è in relazione a quest’ultima che il datore di
lavoro è tenuto anche all’erogazione di una retribuzione
24
che assume in questo
schema negoziale carattere secondario anche se necessario
25
.
Per queste ragioni dottrina e giurisprudenza prevalenti, fin dalla prima
apparizione dell’istituto, definiscono questo un contratto a causa mista
26
, in cui
il sinallagma è costituito dalla prestazione di forza-lavoro da parte del
tirocinante a fronte dell’obbligo di insegnamento e retribuzione da parte del
datore di lavoro
27
.
23
Circ. Min. Lav. 28 aprile 1955, n. 153-bis, in cui si afferma, inoltre, che “[l’apprendistato] si
distingue da altri rapporti di lavoro per la posizione preminente che assume l’elemento della
formazione”, individuando in questa il quid che ne determina la specialità.
24
Da notare come l’obbligo di compensare l’opera dell’apprendista non sia stato inserito dal
legislatore del 1955 nella definizione generale ex art. 2 ma nel successivo art. 11, lett. c), tra gli
altri obblighi posti a carico del datore di lavoro.
25
Un’importante questione relativa alla retribuzione affrontata da dottrina e giurisprudenza già
dalle prime applicazioni della disciplina del 1955, riguarda l’applicabilità dell’art. 36 Cost.
circa la congruità della stessa. Sul punto cfr. PINTO N., La garanzia costituzionale di
retribuzione sufficiente e il rapporto di tirocinio, in Riv. Giur. Lav., 1955, I, p. 371; più di
recente DE CRISTOFARO M. L., voce Apprendistato, cit., p. 4; in senso critico SUPPIEJ G.,
voce Apprendista, cit., p. 827.
26
Contra SUPPIEJ G., voce Apprendista, cit., p. 823, che considera anche contratto tipico
perché nominato, criticando la scelta di parte della dottrina di considerare l’apprendistato un
contratto a causa mista, intendendo come tale, la compresenza di elementi provenienti da più
contratti tipici.
27
Contra LOFFREDO A., I contratti a finalità formativa: tra un passato incerto ed un futuro
difficile, in DE LUCA TAMAJO R., RUSCIANO M., ZOPPOLI L. (a cura di), Mercato del
12
La legge n. 25/1955, come modificata dalla l. 8 luglio 1956, n. 706, e
completata dal regolamento per l’esecuzione, approvato con D.P.R. 30
dicembre 1956, n. 1668, per la prima volta nel nostro ordinamento istituisce
una disciplina organicamente unitaria e completa della materia, che ha
costituito la base normativa su cui si sono successivamente innestate le molte
integrazioni e modificazioni susseguitesi fino alla radicale riforma approntata
con il d.lgs. n. 276/2003, oggetto di analisi nelle pagine seguenti.
La disciplina originaria, in particolare indicava, in materia di destinatari della
normativa, i giovani di età compresa tra 15 e 20 anni
28
e i datori di lavoro di
ogni settore produttivo
29
, a cui erano imposti alcuni particolari adempimenti
connessi alla costituzione del rapporto, quali la iscrizione ad apposite liste di
collocamento e la previa visita sanitaria
30
, dovuti principalmente alla minore
età dei soggetti assumibili. La determinazione della durata del rapporto era
lavoro: riforma e vincoli di sistema. Dalle legge 14 febbraio 2003 n. 30 al decreto legislativo
10 settembre 2003 n. 276, Editoriale Scientifica, Napoli, 2004, pag. 489, in cui l’a. sostiene al
contrario che la formazione, pur riconoscendone la essenzialità nel rapporto non sia tale da
influenzare la causa del contratto, restando il sinallagma contrattuale riconducibile alle
controprestazioni di lavoro e retribuzione.
28
Art. 6, l. n. 25/1955, in cui, in via derogatoria, al secondo comma si specifica che il limite
minimo può essere ridotto a quattordici anni qualora l’apprendista abbia adempiuto all’obbligo
scolastico.
29
Cfr. gli artt. 1-3 d.p.r. n. 1668/1956. Nel primo si stabilisce in particolare che “qualunque
datore di lavoro può assumere apprendisti”. Da notare come il legislatore risolve la
controversia, subito sorta in dottrina, circa l’applicabilità della nuova disciplina alle categorie
impiegatizie, piuttosto che alla sola industria, chiarendo esplicitamente nell’ultimo comma del
citato art. 1, che “l’apprendistato può aver luogo anche per categorie impiegatizie”. V. in
proposito SUPPIEJ, voce Apprendista, cit., p. 823.
30
Artt. 3 e 4, l. n. 25/1955. Le norme sul collocamento sono successivamente state abrogate
dall’art. 85, d.lgs. n. 276/2003, mentre l’obbligo della visita sanitaria è stato abrogato dall’art.
23, d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008. V. infra, cap. II.
13
rimessa ai contratti collettivi nel rispetto del termine massimo legale, fissato in
cinque anni
31
ed erano stabiliti limiti massimi all’orario di lavoro, specificando
che le ore destinate alla formazione fossero retribuite e da computare a tutti gli
effetti nell’orario di lavoro
32
.
Sempre in un’ottica protettiva rispetto al lavoratore minorenne, posto nella
particolare posizione di lavoratore-discente, erano inoltre elencati i doveri
dell’apprendista e del datore di lavoro. Questi erano sintetizzabili per il primo
in un generale dovere di diligenza e nel rispetto delle norme contrattuali,
mentre per il secondo in particolari obblighi volti a far si che all’apprendista
fosse assicurata una reale formazione, permettendo da un lato la frequenza
degli appositi corsi di insegnamento complementare e dall’altro vietando
l’adibizione a lavori di manovalanza e di produzione in serie, e al contempo
fosse posta particolare attenzione al rispetto della giovane età dell’apprendista,
vietando che fosse impegnato in attività superiori alle sue forze e imponendo di
informare la famiglia periodicamente
33
.
31
Art. 7, l. n. 25/1955. Il legislatore, nel rimettere la fissazione di un termine adeguato alla
singola qualificazione all’autonomia collettiva, ripete la scelta effettuata nel r.d.l. n. 1906/1938,
generando però dubbi di aderenza al dettato costituzionale dovute al supposto riferimento a
contratti collettivi con efficacia erga omnes, propri del passato periodo corporativista del
periodo fascista, cui i datori di lavoro avrebbero dovuto attenersi. La questione è stata risolta
dalla pronuncia della Corte Costituzionale 26 gennaio 1957, n. 10, nella quale il riferimento ai
contratti collettivi operato dalla legge n. 25/1955 deve ritenersi generico e “senza alcuna
specificazione”. Sul punto cfr. RIVA SANSEVERINO L., voce Apprendistato, cit., p. 801.
32
Art. 10, l. n. 25/1955.
33
Tit. IV, artt. 11-15, l. n. 25/1955. Tra i doveri del datore di lavoro riveste particolare
importanza l’obbligo di retribuire l’apprendista espresso dall’art. 11, lett. c), e specificato dal
successivo art. 13. Per le implicazione di quest’ultima norma rispetto alla disciplina ex d.lgs. n.
276/2003 v. infra, cap. II, par. 4.
14
L’attività formativa era distinta tra addestramento pratico e insegnamento
complementare. Il primo aveva il fine di far acquisire all’apprendista la
richiesta abilità nel lavoro al quale doveva essere avviato, mediante graduale
applicazione ad esso, mentre il secondo aveva lo scopo di far apprendere
all’apprendista le nozioni teoriche indispensabili all’acquisizione della piena
capacità professionale
34
. Erano infine dettate particolari norme previdenziali e
assistenziali accompagnate da ingenti agevolazioni relativamente agli oneri
contributivi
35
a cui, in particolare, si è affidato il legislatore del 1955 per
promuovere la diffusione del nuovo strumento negoziale tra le parti private,
adottando così una tecnica premiale, anziché la alternativa impositiva,
apprezzata già dai primi commenti
36
. La assunzione di giovani apprendisti,
inoltre, era stimolata normativamente dalla possibilità per il datore di lavoro di
scegliere se recedere dal contratto al termine del periodo di apprendistato
oppure mantenere in servizio il lavoratore con la qualifica conseguita.
La scelta di un siffatto sistema incentivante, tuttavia, conteneva già al suo
interno il germe del successivo fallimento dell’istituto
37
, inteso nel suo senso
34
Cfr. tit. V, artt. 16-19, l. n. 25/1955 e artt. 30 e ss., D.P.R. n. 1668/1956. Sul punto cfr.
RUDAN M., Il contratto di tirocinio, cit., p. 268, in cui l’a. definisce l’addestramento
un’attività volta a dare all’apprendista “un esempio, una guida, una sorveglianza e una rettifica
delle singole operazioni”.
35
Tit. VI, artt. 20 e ss., l. n. 25/1955, tit. IV, artt. 26-29, D.P.R. n. 1668/1956.
36
VARESI P. A., I contratti di lavoro con finalità formative, cit., p. 70. Secondo SUPPIEJ G.,
voce Apprendista, cit., tuttavia, la disciplina previdenziale, particolarmente favorevole
all’imprenditore, funge anche da “corrispettivo, in senso economico-sociale, dei molteplici
vincoli di altra natura, imposti all’imprenditore nell’interesse dell’apprendista e dell’intera
collettività”.
37
Cfr. DE CRISTOFARO, voce Apprendistato, cit., p. 3, la quale rileva criticamente come
abbia prevalso il carattere contingente di incentivo all’occupazione di una particolare fascia di
15
più genuinamente formativo. Si è in questo modo dato avvio a ciò che è stato
definito dalla dottrina un processo di “deviazione funzionale” della fattispecie
38
che ha contraddistinto tutta l’evoluzione dello strumento negoziale in
commento, manifestatosi sin dall’inizio con l’uso opportunistico dell’istituto da
parte degli imprenditori al solo fine di ottenere manodopera giovanile a basso
costo, e in seguito trasferitosi a livello normativo con la crescente confusione
tra strumenti di diritto del lavoro, nel senso più proprio di tutela di categorie
sottoprotette, e strumenti di politica occupazionale
39
.
Nel solco dell’intreccio funzionale descritto, gli interventi normativi, nei
successivi decenni, si sono susseguiti per un verso rispondendo all’esigenza di
impedire un declassamento della materia a mero uso di manodopera a basso
costo, nel tentativo di ripristinare la funzione primigenia del negozio, ma per
altro verso obbedendo alla volontà di agevolare la diffusione del contratto con
lo scopo di ridurre la disoccupazione giovanile, in un’ottica di mera politica
occupazionale.
lavoro giovanile per mezzo della normativa stessa, fa notare come non siano previste sanzioni
in caso di violazione dell’obbligo di frequenza dei corsi complementari; VARESI P. A.,
Principi, criteri e linee guida per la costruzione del nuovo apprendistato, in Aa. Vv., Come
cambia il mercato del lavoro, Ipsoa, Milano, 2004, pag. 365, in nota l’a. specifica che la
previsione di un obbligo di frequenza di corsi complementari esterni nella l. n. 25/1955 era
vanificato, nel suo carattere perentorio, dalla previsione ex art. 34, d.P.R. n. 1668/1956,
secondo cui in mancanza dei corsi, per mancata istituzione o nelle more tra la fine di un corso e
l’approntamento del successivo, “le ore destinate all’insegnamento complementare sono
utilizzate nell’impresa per l’addestramento pratico”.
38
RAVELLI F., Riordino dei contratti a contenuto formativo, in Sistema previdenza, 2004, n.
2, pag. 56.
39
Cfr. LOFFREDO A., I contratti a finalità formativa: tra un passato incerto ed un futuro
difficile, cit., p. 489.
16
Così la legge 2 aprile 1968, n. 424, è intervenuta ad integrare la disciplina al
fine di scongiurare il perpetuarsi dell’uso distorto dello strumento contrattuale
in funzione meramente limitativa del costo del lavoro. A tal proposito vengono
rafforzate le statuizioni relative alle lavorazioni a cui era vietato adibire gli
apprendisti, modificando il dettato dell’art. 11, lett. f) e l), specificando così, tra
le norme dedicate ai doveri del datore di lavoro, l’obbligo “di non sottoporre
l’apprendista a lavorazioni retribuite a cottimo, né in genere a quelle a
incentivo” e “di non adibire l’apprendista a lavori di manovalanza o di
produzione in serie”
40
. Inoltre l’instaurazione del rapporto di apprendistato
viene subordinata all’ottenimento di un’autorizzazione da parte dell’Ispettorato
del lavoro competente per territorio
41
, istituendo in tal modo un controllo
preventivo sull’effettivo contenuto formativo del contratto. E infine, per
assicurare un’adeguata formazione sul lavoro, si introduce un limite al numero
di apprendisti che potevano essere assunti da un medesimo datore di lavoro in
non più del cento per cento delle maestranze specializzate e qualificate in
servizio presso l’azienda.
40
E’ possibile rinvenire un’imponente giurisprudenza circa la definizione esatta della
qualificazione del rapporto sub nomen apprendistato relativamente alle mansioni cui è possibile
adibire l’apprendista (si veda ad esempio le più recenti Cass., 12/05/1993, n. 5399 Riv. Giur.
Lav., 1994, II, 206, con nota di GALLI; Cass., 13/06/1995, n. 6637, in Lavoro nella Giur.,
1996, 338; Cass., 12/05/2000, n. 6134, in Lavoro nella Giur., 2002, 159 nota di SIMONATO).
In sintesi tutte le decisione dei giudici tanto di merito quanto di legittimità concordano sul fatto
che l’elemento discriminante, a prescindere dal tipo di mansione e di settore di attività, sia il
modo in cui le stesse mansioni sono indirizzate al perseguimento del fine, che caratterizza la
specialità del rapporto, dell’insegnamento e dell’addestramento.
41
La norma è stata da ultimo espressamente abrogata ad opera dell’art. 85, d.lgs. n. 276/2003.
Sulle relative implicazioni concrete e le perplessità sollevate dalla dottrina si veda infra, cap.
II, par. 2.