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Introduzione
Il tema della seguente trattazione è il venture capital, cioè l’attività di finanziamento in
capitale di rischio nell’avvio di nuove imprese (start up).
Lo scopo del lavoro è quello di rappresentare l’attuale situazione del mercato del venture
capital italiano. In particolare, si vuole evidenziare l’importanza che questo segmento
può portare sia alle imprese finanziate che all’economia del paese.
Lo sviluppo dell’elaborato delinea, attraverso l’analisi degli operatori che lavorano nel
settore (business angel, incubatori e venture capitalist), un quadro generale di come essi
operano, identificando le particolarità dei singoli gruppi operativi. Tali operatori non
sono necessariamente alternativi l’un l’altro, infatti possono agire, in fasi successive,
sulle stesse imprese, apportando vantaggi specifici a seconda del grado di sviluppo della
partecipata.
Nell’elaborato, inoltre, viene dato spazio a un’analisi sulle asimmetrie informative,
elemento che rappresenta il maggiore ostacolo per il finanziamento delle start up da
parte dei soggetti operanti nel settore del credito. Il rischio derivante dalle asimmetrie
diventa il punto di forza per gli operatori del venture capital poiché essi hanno sviluppato
svariati metodi per gestirlo.
Attraverso l’analisi del mercato italiano, contestualizzato in un’ottica internazionale,
vengono fatti emergere i punti di criticità che frenano lo sviluppo del settore. In questo
modo, si è arrivati a determinare quali siano gli elementi che devono subire interventi a
livello nazionale. Queste riforme mirano a creare le condizioni favorevoli all’avvio di
un processo di maturazione del venture capital.
Il settore in analisi, come dimostrato da numerosi studi internazionali, apporta benefici
ai sistemi economici che ne stimolano la crescita: maggiore occupazione e
concorrenzialità.
vi
Per questi motivi l’Italia deve favorire lo sviluppo del venture capital, che ad oggi, al
contrario, dimostra di essere ancora molto arretrato rispetto alle maggiori economie
occidentali.
1
1. Evoluzione del Venture Capital
1.1. DEFINIZIONI E ASPETTI GENERALI
In generale si può affermare che il private equity e il venture capital si occupano di
investimenti nel capitale di rischio. Con questa espressione si intende quindi che degli
investitori partecipino al capitale di rischio di una società, attraverso l’acquisizione di
quote societarie delle imprese target.
Unitamente a questo apporto finanziario, l’investitore offre altri vantaggi alla società
partecipata, principalmente
1
:
• competenze manageriali;
• know how;
• reti di contatti con altri finanziatori e stakeholder;
Nei successivi capitoli si approfondiranno meglio questi e altri aspetti, derivanti da una
partecipazione istituzionale nella compagine societaria.
Si presenta a questo punto la necessità di distinguere i diversi tipi di finanziamento a
capitale di rischio (definiti nella loro globalità private equity) poiché sono diversi sia gli
operatori coinvolti in queste operazioni, sia le tipologie di società coinvolte. Infatti,
pure essendo un’unica realtà, si individuano due macro-attività: il buy-out e il venture
capital (Figura 1.1).
1
DEL GIUDICE ROBERTO, GERVASONI ANNA, Finanziarsi con il venture capital, Etas, Milano, 2002.
2
Figura 1.1: Le principali categorie di investimento nel
capitale di rischio
Fonte: A. Gervasoni, F.L. Sattin, Private equity e venture capital, Guerrini e
Associati, Milano, 2008, p. 40.
Gli investimenti di venture capital rispondono a due tipi di attività di investimento
2
.
• Early stage financing, ovvero l’insieme delle attività di sostegno alle prime fasi di
avvio dell’impresa. Queste operazioni di distinguono a loro volta in: seed
financing
3
, nel caso di creazione di una nuova impresa e start up financiang, quando
l’investimento mira a sviluppare piccole società emergenti non quotate (definite
start up). Come si noterà nei successivi capitoli, le imprese coinvolte in questo
tipo di investimento appartengono, nella maggior parte dei casi, al settore hi-
tech
4
.
2
GERVASONI ANNA, SATTIN FABIO, Private equity e venture capital. Manuale di investimento nel capitale di rischio,
Guerrini Studio, Milano, 2008.
3
SAHLMAN W.A., “The structure and governance of venture capital organizations”, Journal of Financial Economics,
Vol. 27, p. 473-521, 1990.
4
AIFI, Capitali per lo sviluppo. Sesto rapporto biennale 1997-1998, Guerrini e Associati, Milano, 1997.
3
• Expansion financing (o development capital): sono investimenti in imprese già avviate
e di medio-grandi dimensioni, allo scopo di permetterne uno sviluppo ulteriore
o un’eventuale quotazione su listini di borsa.
L’investimento in fase early stage financing, in confronto all’expansion, è generalmente più
rischioso, perché le imprese target non sono quotate e non hanno un mercato. Però, le
early stage, seppur rischiose, presentano elevati potenziali di crescita, che permettono
maggiori profitti in caso di successo.
Per buy-out, invece, si intendono tutte quelle operazioni che mirano ad apportare una
sostituzione della proprietà societaria. A questa categoria sono assimilabili anche le
operazioni
5
:
• turnaround , che indicano i finanziamenti volti alla ristrutturazione di società che
si trovano in stato di crisi allo scopo di renderle profittevoli;
• bridge financing, in riferimento agli investimenti che sono finalizzati, sin dal
momento della loro realizzazione, alla quotazione in borsa;
• repleacement capital, nel caso in cui un investimento sia finalizzato alla
ristrutturazione della base azionaria. In tale situazione l’investitore sostituisce,
seppur temporaneamente, quei soci che non sono più interessati a proseguire
l’attività imprenditoriale.
La letteratura
6
, data la difficoltà di una corretta catalogazione, preferisce dividere le
operazioni in macro-aree in base alle diverse necessità strategiche, alle problematiche a
esse riconducibili e agli obiettivi che l’investitore si pone verso le partecipate. Si
distinguono finanziamenti: dell’avvio, dello sviluppo e del cambiamento (Figura 1.1).
Una volta contrattato l’investimento, l’operatore deve partecipare alla società per un
periodo di medio-lungo termine per poter poi attuare il disinvestimento, che gli
permetterà di ottenere la remunerazione per la quale si è spinto in questo settore.
5
GERVASONI ANNA, SATTIN FABIO, Private equity e venture capital. Manuale di investimento nel capitale di rischio, op.
cit.
6
DESSY ALBERTO, VENDER JODY, Capitale di rischio e sviluppo dell’impresa, Egea, Milano, 2001.
4
Il profitto dell’investitore è quindi dovuto alla realizzazione delle quote societarie,
ottenendo così un guadagno in conto capitale (capital gain). Al contrario, se l’operazione
dovesse ottenere scarsi risultati, a causa di una scarsa crescita dell’impresa partecipata,
l’investitore incapperà, nel peggiore dei casi, in una perdita totale dell’investimento
(write off).
Un’altra caratteristica peculiare del venture capital è il coinvolgimento attivo
dell’investitore nella gestione dell’impresa partecipata. Questi, infatti, contribuisce alla
creazione di valore attraverso l’apporto delle proprie conoscenze manageriali. Qualità
quest’ultima che raramente è sviluppata nei nuovi imprenditori che si affacciano al
mercato per la prima volta.
1.2. CENNI STORICI SULLA NASCITA DEL VENTURE CAPITAL
Il private equity e il venture capital traggono la loro origine nello stesso mercato che
attualmente è quello maggiormente sviluppato e che rappresenta il punto di riferimento
per gli studiosi di tutto il mondo: gli Stati Uniti.
Il modello Americano è infatti un esempio di successo in termini di ampiezza di
mercato, velocità di crescita e risultati ottenuti.
Le origini del venture capital risalgono al 1946, quando nacque “American Research and
Development” (ARD), la prima corporation americana del settore, creata dal presidente
del MIT Karl Compton, General Georges F. Doriot preside della Harvard Business
School, e altri leader industriali locali. Lo scopo di questa firm, organizzata nella forma
di un fondo chiuso
7
, era quello di favorire la nascita di nuove imprese, fondate dai
soldati di ritorno dalla seconda guerra mondiale. Questo permette di capire chefin dalle
origini del venture capital si era compresa l’utilità di un supporto manageriale alle imprese
finanziate.
7
Strumento finanziario che raccoglie capitali presso investitori istituzionali (quali banche, fondazioni, compagnie
assicurative, fondi pensione, ecc.) e presso privati, per investirli nel capitale di rischio di imprese non quotate.
5
Il periodo che va dal 1960 al 1980 è quello più interessante per ciò che riguarda i
cambiamenti del venture capital. Infatti, proprio in quegli anni iniziarono gli investimenti
da parte dei venture capitalist nel settore della tecnologia dei semiconduttori a base di
silicio. Intel ne è un esempio: venne fondata nel 1968 grazie a finanziamenti di un
business angel. Ad oggi, la Silicon Valley è l’area che attrae, in assoluto, la maggior parte
di capitali per la creazione di start up nei settori dell’elettronica, software e tecnologie
informatiche
8
.
Nel 1996 le imprese della zona californiana crearono 50.000 nuovi posti di lavoro, con
uno stipendio medio cinque volte superiore a quello della media nazionale, tanto che si
può affermare che l’area della Silicon Valley iniziò a guidare da allora la nazione
Americana in termini di crescita economica ed export
9
.
Il sistema finanziario americano è sempre stato all’avanguardia, tanto che esso,
sommato alla capacità degli sviluppatori e degli investitori, ha reso possibile
un’espansione del settore venture capital, dove molte start up hanno dimostrato di essere
profittevoli, giustificando così un intervento finanziario rischioso da parte degli
operatori.
Gli investimenti nel settore del venture capital videro un importante incremento nel
ventennio 1970-1980. Il motivo di tale crescita è da ricercare non solo nelle
innovazioni tecnologiche (vedi precedente paragrafo), ma anche nelle importanti
riforme legislative che vennero varate allo scopo di incentivare un importante flusso di
capitali verso questo settore.
La cosiddetta “Prudent Man Rule”, discussa nell’ERISA (Employee Retirement Income
Security Act) nel 1979, permise ai fondi pensione americani di investire in settori
rischiosi, come ad esempio il private equity
10
.
In seguito furono varate altre leggi a riguardo che resero possibile una maggior
flessibilità delle società di venture capital: “Small Business Investment Incentive Act” e
8
NVCA, Yearbook 2011, [a cura di] Thomson Reuters, pubblicazione interna, New York, 2011, disponibile online:
http://www.nvca.org/index.php?option=com_docman&task=doc_download&gid=710&Itemid=93.
9
AIFI, “Relazione tra ricerca universitaria e venture capital: casi internazionali e prospettive italiane”, Collana capitale
di rischio e impresa – Quaderno n° 9, pubblicazione interna, Milano, 2001, disponibile online:
http://www.aifi.it/IT/PDF/Pubblicazioni/Collana/Quaderno_9.pdf.
10
AIFI, “Relazione tra ricerca universitaria e venture capital: casi internazionali e prospettive italiane”, op. cit.
6
“Safe Harbor Regulation”. Infine, nel 1981, durante la presidenza Reagan, venne
istituita la cosiddetta “Economic Recovery Tax Act” che ridusse la tassazione sui capital
gain dal 28% al 20%, creando sempre più attrazione verso il settore
11
.
Si può dire che queste riforme abbiano rappresentato il volano che permise al venture
capital di svilupparsi pienamente, rendendo Stati Uniti la più importante realtà di
riferimento del venture capital.
1.3. L’EVOLUZIONE IN EUROPA
Si può affermare che alla fine degli anni ’70 l’attività di venture capital, nata negli Stati
Uniti, aveva appena attraversato l’Atlantico. Infatti, fu in Irlanda e Gran Bretagna, i due
Stati che storicamente collegano l’Europa all’America, che si realizzarono i primi
investimenti europei in capitale di rischio, anche grazie ad affiliazioni di firm degli
USA
12
. Agli inizi degli anni ’80 ci furono quindi le prime creazioni di società di venture
capital e private equity europee. Queste società ricalcarono il modello americano
(usandone anche le conoscenze, date le affiliazioni), con le sole, ma fondamentali,
differenze ambientali tipiche dei paesi europei. Infatti, il sistema economico-finanziario
continentale era molto differente, poiché non si era evoluto come quello degli Stati
Uniti: l’habitat istituzionale era impreparato, il livello di tassazione più elevato e la
legislazione sul sistema finanziario non prevedeva questa forma di investimento.
Queste sono le principali motivazioni per le quali ci fu una grande difficoltà nella
crescita delle venture capital europee in confronto agli Stati Uniti.
L’incentivazione fiscale fu sicuramente un importante catalizzatore per lo sviluppo del
settore. Infatti, se negli USA l’aliquota si abbassò progressivamente (tanto da arrivare al
20% nel 1981), in Europa, la maggior parte dei paesi, aveva in vigore una tassazione del
11
JEFFREY D. NUECHTERLEIN, “International venture capital: the role of start-up financing in the United
States, Europe, and Asia”, in DeSouza P., Economic strategy and national security, Westview Press, Boulder (CO), 2002,
disponibile online: http://www.gvia.org/gvia_vc_outlook.pdf.
12
BRUTON G., FRIED V., MANIGART S., “Institutional influence on the worldwide expansion of venture
capital”, Entrepreneurship Theory and Practice, Vol. 29, n° 6, p. 737-760, 2005.
7
60% (o superiore) sui capital gain
13
. Inoltre, un modo per favorire lo sviluppo di nuove
start up è sempre stato sicuramente la minor tassazione sulle stock option, che al tempo
iniziarono a essere usate per trattenere o attrarre il personale più qualificato. Si può
quindi notare come le condizioni fiscali americane siano risultate più favorevoli rispetto
a quelle europee.
Figura 1.2: Investimenti europei in early and expansion
stage financing. (per milione di PIL)
Fonte: SCHERTLER, A., Venture capital in Europe’s common market: a
quantitative description, Kiel Institute of World Economics, working
paper n° 1087, Kiel, 2001, p. 21.
Solo negli anni ’90 il mercato europeo del venture capital iniziò a svilupparsi e a essere
considerato come fonte di finanziamento per le nuove imprese. Gli investimenti nelle
fasi seed e start up (quelle con il più alto tasso di rischio rispetto al private equity), crebbero
annualmente del 20% in quel decennio, fino a picchi del 46% nella seconda metà dei
’90. Nel 1995 vennero investiti 0,27 miliardi di euro nel venture capital, che divennero 2,7
13
GOMPERS P., LERNER J. “The venture capital revolution”, Journal of Economic Perspectives, Vol. 15, n° 2, p. 145-
168, 2001.