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INTRODUZIONE
Le vite di chi lavora sembrano da qualche anno prigioniere del binomio
flessibilità / precarietà.
Da oltre dieci anni è iniziata in Italia la rivoluzione del mercato del lavoro,
relativamente alla quale si scontrano spesso punti di vista molto diversi.
Vi sono molte ragioni che sostengono il ricorso alle forme di lavoro
cosiddette flessibili: la competizione globale, i differenziali di costo e la
crisi economica costringono infatti molte realtà produttive e di servizi a una
programmazione a breve termine.
Oggi ben poche aziende sono in grado di pianificare a tre, cinque anni il
loro futuro: possono tracciare piani, ma sanno che molte intenzioni
andranno con il tempo a modificarsi.
I contratti di lavoro atipici svolgono una funzione di valvola di sicurezza
per gli imprenditori. In questo senso quello che da un lato è visto come una
minaccia, dall’altro è visto come un’opportunità.
Se è vero che il lavoro cambia e si trasforma, nascono e muoiono con
velocità impressionanti le professioni , i modelli produttivi, le tecnologie, è
anche vero però che rimane immutata l’esigenza di difendere e di estendere
i diritti di chi lavora, di affermare l’accesso all’occupazione per chi non la
ha, di realizzare le necessarie ed adeguate protezioni sociali, misurandoci
con nuovi flussi demografici e migratori, con le tematiche dell’ambiente e
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delle sue compatibilità, con l’innovazione delle tecnologie, con le profonde
trasformazioni che segnano il mercato del lavoro.
È incontrovertibile che il lavoro rimane infatti uno dei fondamenti
dell’identità degli adulti e dei giovani, degli uomini e delle donne.
È ancora il primo dei diritti sociali e il fattore prioritario dell’acquisizione
della piena cittadinanza: senza lavoro ognuno di noi è indebolito nella
propria soggettività e espropriato dall’appartenenza alla comunità.
Per far sì che le nuove forme di lavoro siano accettate e si abbia un
mutamento di prospettiva molto dipende dal legislatore.
A tale proposito ho analizzato le riforme che hanno introdotto nuove
tipologie contrattuali, più flessibili, o modificato alcuni istituti già presenti,
cercando di fare un confronto fra queste modalità contrattuali e l’istituto
cardine del mercato del lavoro italiano: il contratto a tempo indeterminato.
Nel tempo strumenti nuovi (part-time, interinale, stage), riadattati (contratto
a termine, apprendistato), recuperati (co.co.co. e lavoro parasubordinato in
generale) hanno consentito di coprire una domanda (e un’offerta di lavoro)
flessibile e, spesso, di legittimare forme di attività che erano rimaste
occultate e non normate.
Parallelamente è mutato negli ultimi anni l’accesso al mercato del lavoro.
In Italia si è passati infatti dal ruolo di monopolio del collocamento
pubblico nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro allo smantellamento
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di esso con l’ingresso di nuovi protagonisti, le agenzie di fornitura di lavoro
temporaneo.
Ho cercato di dare un’istantanea del fenomeno, quello dell’incremento della
fascia del lavoro non standard, con particolare ai “lavoratori a rischio
precarietà”. Il termine precarietà in questa accezione non connota
meramente la natura dei contratti a tempo, bensì la condizione sociale ed
umana (e ovviamente reddituale) che deriva da una sequenza di essi che
non ammette vie di uscita e che non permette alla persona di dare forma al
progetto di vita.
La condizione di precarietà alimenta un malessere sociale che influenza i
comportamenti individuali e collettivi. Il modo in cui vengono percepite e
rappresentate queste sensazioni di precarietà e insicurezza riguardo al posto
di lavoro influenza non soltanto i comportamenti dei singoli e delle famiglie
ma anche quello delle organizzazioni sindacali e delle forze politiche.
Evidenzierò nel Capitolo 5 il difficile ruolo del sindacato e le difficoltà che
esso incontra nell’organizzare, mobilitare, ma soprattutto rappresentare i
lavoratori atipici. L’individualizzazione dei contratti e la precarizzazione
delle forme lavorative con la conseguente frammentazione e dispersione
della classe lavoratrice privano infatti il sindacato del suo tipico potere di
contrattazione collettiva. Nel confronto coi lavoratori atipici il sindacato
affronta la sua sfida più dura, ma il suo ruolo, come dimostrano esperienze
concrete sul territorio, non è sicuramente esaurito.
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Infine occorre evidenziare il progetto per una riforma ispirato alla
flexsecurity sul modello nord-europeo che limiti le forti disuguaglianze che
caratterizzano al momento attuale il mercato del lavoro italiano cercando di
coniugare il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il
massimo possibile di sicurezza dei lavoratori nel mercato del lavoro
Nella nuova regolazione del lavoro mancano infatti all’appello nuovi
ammortizzatori sociali, lo sviluppo di servizi pubblici e privati ed un
sistema di tutele minime e universali perché la generazione “temporanea”
non diventi una generazione allo sbando.
In un paese dove le indennità di disoccupazione e la percentuale di
disoccupati con sussidio sono inferiori a tutti gli altri Paesi d’Europa e dove
non sono previste forme di sostegno per contrastare l’esclusione sociale, il
senso di precarietà ha le sue buone ragioni
Le due coalizioni che si sono susseguite al Governo in questo decennio
hanno annunciato e di volta in volta rinviato la riforma degli strumenti che
potrebbero far da sponda alle insicurezze reddituali e di conseguenza
sociali; nel frattempo si continua a dare alla famiglia il compito di fare da
“ammortizzatore sociale” tamponando le falle lasciate dalle politiche
pubbliche.
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1) IL RAPPORTO DI LAVORO
1.1 IL LAVORO SUBORDINATO
La nozione di prestatore di lavoro subordinato viene fornita dall’ art.
2094 del Codice Civile:
“E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione,
a collaborare nell’impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o
manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.”
Le caratteristiche fondamentali del rapporto di lavoro subordinato sono
quindi:
la subordinazione del rapporto e la dipendenza nei confronti del
datore di lavoro (vale a dire potere direttivo del datore di lavoro)
L’obbligo di collaborazione
L’oggetto della prestazione assegnata specificatamente dal datore di
lavoro al lavoratore
La retribuzione legata al tempo di lavoro e alla qualifica rivestita dal
lavoratore
Per capire meglio la nozione possiamo confrontarla con quella che il
Codice dà del lavoro autonomo.
Secondo l’art. 2222 del Codice Civile il lavoratore autonomo è colui che “si
obbliga a compiere, dietro un corrispettivo, un’opera o un servizio con
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lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei
confronti del committente”.
I caratteri fondamentali sono quindi:
La mancanza di subordinazione e di un rapporto di dipendenza tra
lavoratore e datore di lavoro
L’inesistenza dell’obbligo di collaborazione, avendo il lavoratore
autonomo una propria organizzazione d’impresa
L’oggetto della prestazione è il risultato finale
Il corrispettivo è costituito da un compenso fisso senza riferimento al
tempo di lavoro.
Dalle due previsioni si possono trarre alcuni elementi (apparentemente
decisivi) per la netta distinzione. In particolare, oltre i caratteri suesposti, si
è soliti affermare che il lavoratore dipendente, a differenza dell’autonomo,
assume un’obbligazione “di mezzi” e non “di risultato”, invece propria del
lavoro autonomo.
In altre parole il lavoratore subordinato si impegnerebbe non a garantire la
realizzazione di un certo obiettivo, ma più semplicemente a mettere le
proprie energie psico-fisiche a disposizione della controparte contrattuale
(alla quale viene quindi rimessa la propria utilizzazione).
Per la stessa ragione solo sul prestatore autonomo graverebbe l’elemento
del rischio (che è però a ben vedere un effetto della distinzione e non una
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sua causa: prima occorre qualificare il rapporto e poi è possibile imputare
l’assunzione del rischio).
In realtà ormai da tempo la dottrina ha messo in dubbio l’utilità della
distinzione tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato,
considerato che anche il lavoratore subordinato non può esimersi dal
rendere comunque un’attività utilmente sfruttabile da parte del creditore
poiché, in un certo senso, un qualche risultato deve pur essere garantito pur
se il lavoratore subordinato manterrebbe il diritto al corrispettivo anche in
caso di utilizzazione diseconomica, inutile o improduttiva della attività resa.
Per quanto riguarda il criterio della subordinazione esso presenta dei
caratteri scarsamente illuminati.
Si è soliti sostenere che la subordinazione consiste nella eterodirezione,
vale a dire nel fatto che il lavoratore subordinato debba osservare
scrupolosamente le direttive impartite dal suo datore di lavoro e detto
assoggettamento deve essere continuativo, con effetto di rendere il
prestatore di lavoro disponibile in ogni momento a seguire le istruzione che
il datore di lavoro gli impartisce nel corso del rapporto.
Si è però giustamente giunti ad osservare che in un certo senso anche il
lavoratore autonomo deve talvolta osservare le direttive più o meno
penetranti del suo committente senza comunque avere un contratto di
subordinazione.
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Ci troviamo quindi molto spesso di fronte a confini labili tra le due
definizioni.
La distinzione però è molto importante per l’identificazione del rapporto
di lavoro, per capire cioè se abbiamo a che fare con un lavoratore
autonomo, subordinato o (come vedremo) parasubordinato e quindi
valutare se la tipologia contrattuale applicata è corretta e coerente con la
prestazione di lavoro oggetto del contratto o se, come capita spesso, è di
convenienza, atta ad aggirare determinati vincoli. Ma su questo punto
torneremo in seguito, anticipando però uno dei metodi proposti dalla
giurisprudenza per l’identificazione del lavoratore subordinato. Si tratta
del metodo cosiddetto “tipologico” che, deducendo dal tipo sociale di
lavoro subordinato i suoi tratti più comuni e diffusi, ne effettua la ricerca
nel singolo caso in esame, verificando se questi tratti ricorrano o meno e
con quale intensità.
Il metodo tipologico è un metodo scientificamente inesatto perché basato
non sulla perfetta coincidenza tra fattispecie astratta e concreta, ma sulla
maggiore o minore vicinanza tra queste. Ciò nonostante esso risulta
estremamente utile nelle singole contingenze concrete.
I criteri che la giurisprudenza solitamente trae dal tipo sociale della
subordinazione per distinguerla dall’autonomia, sono molteplici.
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Vediamone alcuni:
- Assunzione o meno dell’ obbligo di garantire la realizzazione di una
certa opera;
- Esistenza o meno di una organizzazione di impresa in capo al
prestatore di lavoro (nel primo caso si ha di regola autonomia);
- Determinazione del compenso in misura variabile per ciascuna
singola opera convenuta, ovvero in misura fissa ratione temporis;
- Assenza o meno di un orario di lavoro vincolato (l’orario fisso e
stabilito dal datore di lavoro è uno dei tratti più caratteristici della
subordinazione);
- Assenza o meno di un impegno a lavorare in luoghi scelti o
individuati dalla controparte;
- Proprietà in capo al prestatore di lavoro degli strumenti e delle
attrezzature (in questo caso si ha di regola autonomia);
- Discontinuità o continuità temporale della prestazione;
- Assoggettamento o meno al potere disciplinare della controparte
contrattuale;
- Nomen iuris usato dalle parti, cioè qualificazione formale che le parti
hanno dato al rapporto.
Il metodo tipologico non richiede che questi indici sussistano tutti al fine
di poter qualificare il rapporto come subordinato; al contrario, proprio
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perché applicato a figure di confine, è del tutto naturale che, a seconda
dei singoli casi concreti considerati, alcuni di questi ricorrano e altri no.
1.2 IL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO
Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nonostante sia
oggi affiancato da numerose forme contrattuali differenti, è ancora il più
diffuso ed è la forma contrattuale che offre maggiori garanzie al
prestatore di lavoro soprattutto per quanto riguarda la conservazione del
posto di lavoro in caso di malattia, infortunio e gravidanza e i rischi di
licenziamento illegittimo. È utile illustrarne le caratteristiche principali
per comprendere al meglio le ulteriori tipologie contrattuali che,
soprattutto negli ultimi anni, sono sorte e quindi valutarne le differenze e
le conseguenze.
Il rapporto di lavoro subordinato si costituisce mediante la conclusione del
relativo contratto fra il prestatore di lavoro che si impegna, in cambio della
retribuzione, a prestare il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione
del datore di lavoro.
La diversa forza contrattuale dei contraenti ha giustificato un ampio
intervento del legislatore teso a riequilibrare le posizioni di partenza e ad
impedire che il contraente più debole possa essere indotto ad accettare
condizioni inferiori a certi minimi fissati dalla legge e dalla contrattazione
collettiva.
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La volontà della parti, elemento costitutivo essenziale per la nascita del
rapporto di lavoro, assume un ruolo diverso e più circoscritto rispetto ad
altre figure contrattuali. Il contratto individuale, cioè, crea il contratto di
lavoro, ma non lo governa integralmente né ne esaurisce la
regolamentazione, la quale discende in larga parte dalla legge e dalla
contrattazione collettiva, tendenzialmente inderogabili in senso
peggiorativo.
I requisiti del contratto sono quelli previsti per il contratto in generale:
accordo tra le parti, causa, oggetto, forma se prescritta ad substantiam, cioè
pena l’invalidità dell’atto.
La regola generale è quella della libertà di forma. Per completezza occorre
però ricordare che vi sono alcune eccezioni in cui la forma scritta è prevista
ad substantiam (il contratto di apprendistato, di inserimento), e altre in cui
la forma scritta è richiesta ad probationem (ad esempio per il part-time)
1
.
La legge poi prevede la forma scritta per alcuni elementi accidentali del
contratto di lavoro che le parti possono apporre, ad esempio il patto di
prova, il patto di non concorrenza.
La maggior parte dei contratti di lavoro prevede un periodo di prova la
cui durata è fissata dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro, e che
comunque non può essere superiore a sei mesi.
1
Ciò significa che mentre sono sempre ammessi come prova la confessione e il giuramento
decisorio, la prova testimoniale è consentita ove il contraente abbia perduto senza sua colpa il
documento che gli forniva la prova. La forma scritta ad probationem è richiesta anche per il
contratto a progetto.
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Durante il periodo di prova lavoratore e datore di lavoro sono liberi di
interrompere il rapporto. Il lavoratore ha diritto alla retribuzione prevista
dal contratto di categoria e al momento dell’ interruzione deve essergli
corrisposto il trattamento di fine rapporto, le ferie e la relativa
percentuale di tredicesima.
1.2.1 Le caratteristiche della prestazione lavorativa
Il contenuto del rapporto di lavoro ha al proprio centro la prestazione
lavorativa che il lavoratore ha l’obbligo di eseguire e il datore di lavoro ha
diritto di ricevere.
Tale prestazione consiste nello svolgimento della mansioni per cui è stato
assunto (specificate nel contratto). In base alle mansioni svolte il lavoratore
è inquadrato nella qualifica ad esse corrispondente.
Le qualifiche si individuano all’interno delle diverse categorie di lavoratori
che la legge (art. 2095 c.c.) distingue in: dirigenti, quadri, impiegati, operai.
All’interno delle diverse categorie i contratti collettivi prevedono un
complesso e articolato sistema di qualifiche. Ad ogni qualifica
corrispondono determinate mansioni ed una determinata retribuzione.
Il datore di lavoro deve adibire il dipendente alle mansioni per cui è stato
assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che ha
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successivamente acquisito
2
. Può assegnargli mansioni diverse solo se
corrispondenti alla stessa qualifica o a una qualifica superiore
3
.
Il lavoro deve essere prestato secondo un certo orario, variamente fissato
dai contratti di lavoro: per il gran numero delle categorie dei lavoratori
l’orario prevede generalmente un numero di ore pari o inferiore alle 40 ore
settimanali.
Se il lavoratore accetta di lavorare oltre l’orario contrattuale si ha la
prestazione di lavoro straordinario, che va retribuito in misura superiore al
lavoro ordinario. Una retribuzione maggiorata spetta anche per il lavoro
notturno e per quello festivo.
Il lavoro deve essere intervallato da periodi di riposo settimanale e a ferie
annuali retribuite (art. 36, c. 3 cost.). Il riposo settimanale coincide di regola
con la domenica, cui si aggiungono le festività nazionali. Le ferie devono
svolgersi per un periodo possibilmente continuativo, in modo da conciliare
le esigenze dell’imprenditore e l’interesse del lavoratore (art. 2109). La loro
durata è stabilita normalmente dai contratti collettivi.
In presenza di determinate circostanze, previste da determinate leggi, può
aversi una sospensione della prestazione lavorativa (malattia, infortunio,
2
Non è ammessa in nessun caso la diminuzione della retribuzione (art 13 L. 300/70, St.. lav.)
3
Se il dipendente svolge mansioni superiori ha diritto al superiore trattamento economico che vi
corrisponde e se il trasferimento si protrae per più di tre mesi l’ acquisizione della nuova qualifica
diviene definitiva (art. 2103 c.c., sost. da St. lav.).
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gravidanza, ecc.): in tutti questi casi il lavoratore ha diritto alla
conservazione del posto e conserva pure, in tutto o in parte, la retribuzione.
Oltre all’obbligo principale di prestare il lavoro, il lavoratore ha alcuni
obblighi accessori che si riassumono nella formula dovere di fedeltà
4
.
Il datore di lavoro ha il potere di infliggere al lavoratore sanzioni
disciplinari (ammonizione, multa, sospensione) quando egli viola i suoi
obblighi contrattuali. Le sanzioni sono graduate in relazione alla gravità
delle infrazioni commesse e devono essere applicate nel rispetto di
determinate procedure per consentire al lavoratore di difendersi.
Solo per quelle di eccezionale gravità si può arrivare al licenziamento.
1.2.2 La tutela della personalità del lavoratore e la retribuzione
La prestazione di lavoro subordinato coinvolge in modo molto intenso la
persona del lavoratore. Di qui l’esigenza di assicurare una forte protezione
agli aspetti della sua personalità che potrebbero ricevere lesioni
dall’organizzazione del lavoro o dai comportamenti dell’imprenditore.
La prima esigenza è tutelare la vita e l’integrità fisica del lavoratore.
La legge vi provvede attraverso una complessa normativa che impone
all’imprenditore l’obbligo (sanzionato penalmente) di adottare nella sua
4
Sono (art. 2105 c.c.):
L’obbligo di non divulgare segreti aziendali, la cui conoscenza potrebbe avvantaggiare le
imprese concorrenti;
L’obbligo di non svolgere attività in concorrenza con il datore di lavoro.