6 INTRODUZIONE
E` facile provare che tali varieta` hanno la stessa funzione di Hilbert. Questo esempio
mostra che il problema della classificazione degli insiemi finiti di punti e` troppo com-
plesso per essere risolto con uno strumento relativamente semplice come la funzione
di Hilbert.
Una volta accettato il fatto che varieta` diverse possono avere la stessa funzione di
Hilbert, introduciamo l’insieme Sn delle funzioni di Hilbert, HX, di insiemi finiti di
punti, X, in Pn e definiamo, per H ∈ Sn,
V(H) = { X : X ⊂ Pn e` un insieme finito di punti e HX = H }.
E` immediato osservare che la cardinalita` degli elementi di V(H) dipende esclusiva-
mente da H, inoltre si puo` provare che se X ∈ V(H), allora X non puo` contenere piu`
di σ(H) punti allineati. H contiene quindi molte informazioni sull’insieme V(H), ma
dalla sua rappresentazione come funzione non e` immediato individuare un elemento
di V(H), cioe` non e` immediato costruire un esempio che realizza H. Anche per
questa ragione nasce il desiderio di trovare un’alternativa alla funzione di Hilbert
che renda direttamente accessibili alcune informazioni, contenute in H, ma nascoste
dalla sua rappresentazione.
Gli n-tipi sono un’alternativa alla funzione di Hilbert per insiemi finiti di punti in
Pn, nel senso che esiste una bigezione
{ n-tipi } ←→ Sn;
inoltre gli n-tipi presentano il vantaggio di rendere di immediata costruzione un
esempio che realizza una funzione di Hilbert data.
La rielaborazione dell’informazione contenuta in H ∈ Sn che porta alla costruzione
dell’ n-tipo T ad essa associato, ci permette di trovare interessanti proprieta` di
V(H). Usando il tipo T riusciamo a trovare una limitazione al numero di punti che
X ∈ V(H) puo` avere su una varieta` lineare e su un’ipersuperficie di un qualunque
grado. Inoltre, se Y = X∩C, con C un’ipersuperficie, realizza la condizione estremale,
T ci permette immediatamente di trovare la funzione di Hilbert di Y e quella di X\Y.
Le precedenti osservazioni mostrano che i vettori di tipo rendono direttamente ac-
cessibili molte informazioni contenute nelle funzioni di Hilbert, ma nascoste dalla
loro rappresentazione. Sfortunatamente puo` accadere anche il contrario, cioe` la
costruzione del vettore di tipo associato ad H puo` rendere difficili da recupera-
re delle informazioni gia` disponibili nella rappresentazione di H. E` questo il caso
dell’ordinamento dei vettori di tipo ampiamente discusso nella sezione 5.3.
Attualmente la ricerca nell’ambito dei vettori di tipo sta seguendo due correnti
principali: la prima e` impegnata a scoprire, attraverso i vettori di tipo, le restrizioni
7che una funzione di Hilbert impone agli insiemi che la realizzano (cfr. sezione 5.1);
la seconda cerca, attraverso la traduzione di proprieta` algebriche e geometriche delle
funzioni di Hilbert in termini dei vettori di tipo (cfr. sezione 5.2), di riformulare, in
modo piu` semplice, risultati gia` noti.
Data H ∈ Sn il calcolo dell’n-tipo ad essa associato e` concettualmente semplice,
ma molto lungo e laborioso non appena si consideri n ≥ 3. Per questo abbiamo
sviluppato un “package”, nel linguaggio CoCoA, contenente funzioni dedicate alla
manipolazione delle O-successioni e dei vettori di tipo. L’uso di tali funzioni ci ha
permesso di esaminare un gran numero di esempi e di formulare le congetture che
sono diventate i risultati delle sezioni 5.2 e 5.3.
In questa tesi k rappresenta, quasi sempre, un campo infinito. Si potrebbe evitare
tale restrizione considerando, di volta in volta, un campo k con un numero di elementi
sufficientemente grande. Per rendere gli enunciati e le definizioni il piu` possibile
semplici, abbiamo preferito evitare tali continue specificazioni supponendo k un
campo infinito.
8 INTRODUZIONE
Capitolo 1
Algebra e Geometria
In questo capitolo richiameremo alcuni concetti di algebra commutativa e fisseremo le
notazioni che useremo in seguito; visto il carattere puramente introduttivo forniremo
le dimostrazioni solo di alcuni dei risultati esposti. Per le prove mancanti della
sezione 1.1 si faccia riferimento a [2]; per le dimostrazioni dei risultati delle sezioni
1.2 e 1.3 si possono consultare [11] e [14].
1.1 Algebra
In questa sezione R rappresentera` un anello commutativo con identita`.
Iniziamo introducendo una generalizzazione del concetto di ideale primo:
Definizione Un ideale Q dell’anello R si dice primario se xy ∈ Q comporta x ∈ Q
oppure yn ∈ Q per qualche n ∈ N.
Gli ideali primari godono di interessanti proprieta`; ricordiamone alcune:
Proposizione 1.1 Sia Q un ideale primario di R, allora √Q e` un ideale primo
(i.e. il radicale di un ideale primario e` il piu` piccolo ideale primo che lo contiene).
Possiamo quindi dare la seguente definizione:
Definizione Siano Q un ideale primario e ℘ un ideale primo, se ℘ = √Q allora Q
e` detto ideale ℘-primario.
9
10 CAPITOLO 1. ALGEBRA E GEOMETRIA
Proposizione 1.2 Siano Q1 e Q2 ideali ℘-primari, allora Q1 ∩ Q2 e` un ideale
℘-primario.
Proposizione 1.3 Sia I un ideale di R; se
√
I e` un ideale massimale allora I e`
primario.
In seguito saremo interessati alla decomposizione di un ideale qualunque in ideali
primari; per questo diamo la seguente definizione:
Definizione Sia I un ideale di R, un’espressione del tipo
I = Q1 ∩ . . . ∩Qr (1.1)
e` detta decomposizione primaria di I se Qi e` un ideale primario per ogni i.
Se inoltre valgono le seguenti condizioni:
1.
√Qi 6=
√Qj per i 6= j;
2. per ogni j risulta
r⋂
i = 1
i 6= j
Qi 6⊆ Qj .
allora diciamo che 1.1 e` una decomposizione primaria minimale di I.
A priori non e` banale stabilire se un ideale I ammette una decomposizione primaria;
per questo e` utile il seguente teorema:
Teorema 1.4 Se R e` un anello noetheriano, allora ogni suo ideale ammette una
decomposizione primaria.
Usando la proposizione 1.2 possiamo affermare che, data una decomposizione prima-
ria di I, siamo in grado di estrarne una minimale; quindi, in un anello noetheriano,
ogni ideale ammette una decomposizione primaria minimale.
Esempio 1.5 Dati R = k[X,Y ] e I = (X2, XY ) e` facile verificare che
I = (X) ∩ (X2, Y ) = (X) ∩ (X,Y )2.
Usando la proposizione 1.3 concludiamo che l’ideale I ammette due decomposizioni
primarie minimali.
1.1. ALGEBRA 11
L’esempio precedente mostra che I non individua, in maniera univoca, gli ideali
primari che compaiono in una sua decomposizione. Il teorema seguente mostra che
I identifica i radicali di tali ideali.
Teorema 1.6 Sia I un ideale di R che ammette una decomposizione primaria
minimale
I = Q1 ∩ . . . ∩Qr,
allora
{
℘i : ℘i =
√
Qi per qualche i
}
=
{
℘ : ℘ e` un ideale primo di R tale che
℘ =
√
I : x per qualche x ∈ R
}
.
Il teorema precedente mostra che una decomposizione primaria minimale di un ideale
permette di associargli una famiglia di ideali primi indipendenti dalla decomposizione
scelta. Studiamo alcune proprieta` di tale famiglia:
Teorema 1.7 Consideriamo l’ideale nullo di R; se
(0) = Q1 ∩ . . . ∩Qr
e` una decomposizione primaria minimale di (0), con i Qi ideali ℘i-primari, allora
{ x : x ∈ R ed x e` uno zero divisore } =
r⋃
i=1
℘i,
ed inoltre
{ x : x ∈ R ed x e` un elemento nilpotente } =
r⋂
i=1
℘i.
Osserviamo che il teorema precedente ci permette di caratterizzare gli elementi nil-
potenti e gli zero divisori di R/I attraverso la conoscenza di una decomposizione
primaria minimale di I.
Diamo la seguente definizione:
Definizione Siano R un anello noetheriano ed I un suo ideale. Consideriamo una
decomposizone primaria minimale di I
I = Q1 ∩ . . . ∩Qr
e definiamo l’insieme dei primi associati ad I
Ass(I) =
{
℘i : ℘i =
√
Qi per qualche i
}
.
12 CAPITOLO 1. ALGEBRA E GEOMETRIA
Intoduciamo ora il concetto di anello graduato. In seguito utilizzeremo solo gradua-
zioni su Z, per questo limitiamo la definizione a questo caso particolare:
Definizione Un anello R si dice graduato se esiste una famiglia di suoi sottogruppi
{ Ri }i∈Z soddisfacente le seguenti condizioni:
1. R = ⊕
i∈ZRi;
2. per ogni i, j ∈ Z
Ri ·Rj ⊆ Ri+j .
Gli Ri sono detti parti omogenee di grado i di R. Un elemento x ∈ Rd si dice
elemento omogeneo di grado d o forma di grado d.
Esempio 1.8 Sia R = k[X1, . . . , Xn] l’anello dei polinomi in n indeterminate a coef-
fcienti nel campo k; definiamo Rd come il k-spazio vettoriale generato dall’insieme
{
Xα11 · · ·Xαnn :
n∑
i=1
αi = d
}
per d ≥ 0 e poniamo Rd = 0 per d < 0. E` facile verificare che abbiamo dotato R
della struttura di anello graduato. Osserviamo che R0 = k e che le indeterminate
hanno grado 1; questa graduazione e` detta graduazione standard di k[X1, . . . , Xn].
Come la struttura di ideale nasce per conservare, nel passaggio al quoziente, quella
di anello, cos`ı introduciamo gli ideali omogenei per conservare la struttura di anello
graduato:
Proposizione - Definizione 1.9 Dato un anello graduato R un suo ideale I si
dice omogeneo se vale una delle seguenti condizioni equivalenti:
1. I ammette un sistema di generatori costituito da elementi omogenei;
2. posto Id = I ∩Rd risulta I =
⊕
d∈Z Id;
3. se f ∈ I e f = ∑d∈Z fd e` la sua decomposizione in parti omogenee allora
fd ∈ I per ogni d.
1.1. ALGEBRA 13
Se R e` un anello graduato ed I e` un ideale omogeneo allora l’anello quoziente R/I
ha una naturale struttura di anello graduato definendo le sue parti omogenee nel
modo seguente:
(R/I)d = Rd/Id.
Introduciamo ora i morfismi di anelli graduati:
Definizione Siano A e B anelli graduati e f : A→ B un morfismo di anelli; f si
dice morfismo di anelli graduati se esiste d′ ∈ Z tale che
f(Ad) ⊆ Bd+d′ per ogni d.
In tal caso diciamo inoltre che f e` un morfismo di grado d′.
Richiamiamo alcuni elementi di teoria dei moduli.
Definizione Un R-modulo M si dice semplice se i suoi unici sottomoduli sono M
e { 0 }.
Definizione Sia M un R-modulo e consideriamo la seguente catena di inclusioni
di sottomoduli
M = M0 ⊃M1 ⊃ . . . ⊃Mn = { 0 }. (1.2)
Se Mi/Mi+1 e` un modulo semplice per 0 ≤ i < n diciamo che 1.2 e` una serie di
composizioni di M . Definiamo inoltre lunghezza della serie di composizioni 1.2 il
naturale n.
Usando le serie di composizioni introduciamo la lunghezza di un modulo:
Definizione SiaM unR-modulo, seM non ammette serie di composizioni diciamo
che M ha lunghezza su R infinita e scriviamo lR(M) = ∞; se M ammette serie di
composizioni definiamo lunghezza su R di M la quantita`
lR(M) = sup { n : n e` la lunghezza di una serie di composizioni di M } .
Ricordiamo che una successione di R-moduli e di morfismi di R-moduli
0
f0−→M1 f1−→ . . . fn−1−→ Mn fn−→ 0
e` una sequenza esatta se Ker(fi+1) = Im(fi) = 0 per 0 ≤ i < n. La lunghezza di un
modulo soddisfa un’interessante proprieta` rispetto alle sequenze esatte:
14 CAPITOLO 1. ALGEBRA E GEOMETRIA
Proposizione 1.10 Consideriamo la sequenza esatta di R-moduli
0 −→M1−→ . . . −→Mn −→ 0;
se gli Mi hanno lunghezza finita, allora
n∑
i=1
(−1)ilR(Mi) = 0.
Se R e` un campo e M e` un R-modulo allora la lunghezza su R di M e la sua
dimensione come spazio vettoriale sono legate dalla seguente proposizione:
Proposizione 1.11 Sia M un R-modulo; se R = k e` un campo, allora sono fatti
equivalenti:
1. M ha lunghezza finita su k;
2. M e` un k-spazio vettoriale di dimensione finita.
Se le precedenti condizioni valgono, allora dimkM = lk(M).
Un’utile generalizzazione del concetto di anello graduato e` quella di modulo gradua-
to:
Definizione Siano R un anello graduato e M un R-modulo, M si dice un R-
modulo graduato se esiste una famiglia di sottomoduli di M , {Mi }i∈Z, soddisfacente
le seguenti condizioni:
1. M = ⊕
i∈ZMi;
2. per ogni i, j ∈ Z
Ri ·Mj ⊆Mi+j .
Gli Mi sono detti parti omogenee di grado i di M . Un elemento m ∈ Mi si dice
elemento omogeneo di grado i o forma di grado i.
E` immediato osservare che un anello graduato R e` un R-modulo graduato.
Definizione Siano M un R-modulo graduato e d ∈ Z; costruiamo un nuovo R-
modulo graduato M(−d) definendo
M(−d)d′ = Md′−d.
1.1. ALGEBRA 15
Esempio 1.12 Consideriamo l’R-modulo graduato R = k[X,Y ] e costruiamo l’R-
modulo R(−1). E` facile osservare che
R(−1)1 = 〈1〉
come k-spazio vettoriale. Essendo 1 un elemento di grado 1, se R(−1) fosse un anello
graduato 1 · 1 = 1 dovrebbe avere grado 2; cio` non puo` pero` accadere perche` ogni
elemento non nullo ha un unico grado. Questo esempio ci mostra che R(−1) non
e` un anello graduato. In conclusione i moduli graduati sono, effettivamente, una
generalizzazione degli anelli graduati.
Introduciamo i sottomoduli omogenei:
Proposizione - Definizione 1.13 Sia M un R-modulo graduato; un suo sottomo-
dulo N si dice omogeneo se vale una delle seguenti condizioni equivalenti:
1. N ammette un sistema di generatori costituito da elementi omogenei;
2. posto Nd = N ∩Md risulta N = ⊕d∈ZNd;
3. se m ∈ N e m = ∑d∈Zmd e` la sua decomposizione in parti omogenee, allora
md ∈ N per ogni d.
Se M e` un R-modulo graduato e N e` un sottomodulo omogeneo, allora il quoziente
M/N ha una naturale struttura di R-modulo graduato definendo
(M/N)d = Md/Nd.
Concludiamo introducendo i morfismi di moduli graduati.
Definizione Siano M,N R-moduli graduati e f : M → N un morfismo di R-
moduli; f si dice morfismo di moduli graduati se esiste d′ ∈ Z tale che
f(Md) ⊆ Nd+d′ per ogni d.
Diciamo inoltre che f e` un morfismo di grado d′.
Esempio 1.14 Consideriamo le sequenza esatta di R-moduli graduati
0 −→M1 −→ . . . −→Mn −→ 0;
16 CAPITOLO 1. ALGEBRA E GEOMETRIA
se i morfismi coinvolti sono graduati e di grado zero allora, per ogni d, abbiamo un
sequenza esatta di R0-moduli:
0 −→ (M1)d −→ . . . −→ (Mn)d −→ 0.
Esempio 1.15 Consideriamo un R-modulo graduato M ed un elemento x ∈ Rd′
tale che
{ m : m ∈M e m · x = 0 } = { 0 } .
In queste ipotesi abbiamo la sequenza esatta
0 −→M x·−→M −→M/xM −→ 0. (1.3)
I morfismi che compaiono in 1.3 sono graduati, ma non di grado zero; infatti
Md x·−→Md+d′ .
Introducendo il modulo M(−d′) otteniamo una sequenza esatta con morfismi di
grado zero
0 −→M(−d′) x·−→M −→M/xM −→ 0.
Quindi, dall’esempio precedente, per ogni d abbiamo una sequenza esatta di R0-
moduli
0 −→ (M(−d′))d x·−→Md −→ (M/xM)d −→ 0;
se supponiamo che le parti omogenee di M siano R0-moduli di lunghezza finita
otteniamo le relazioni
lR0((M/xM)d) = lR0(Md)− lR0(Md−d′).
Concludiamo ricordando un fatto che ci sara` utile per introdurre le funzioni di Hilbert
.
Proposizione 1.16 Siano k un campo, R = k[X0, . . . , Xn] e M un R-modulo
graduato finitamente generato; allora
dimkMd <∞.