4
Introduzione.
Un‟indagine sul tempo, richiede di prendere le mosse dal libro IV
della Physica di Aristotele, il punto di partenza per analizzare tale
concetto. Lo Stagirita discute prima del moto e dopo del tempo.
Questi due concetti risultano connessi fra di loro. Come si sa, il
Filosofo definisce il tempo come la misura del prima e del poi del
movimento. Gli Stoici, da parte loro, sono concordi nel vedere il
tempo come estensione del movimento. Plotino inizia da tale analisi.
Ma le sue pagine mostrano un radicale mutamento di interesse e
prospettiva. Il problema del tempo è inquadrato nel contesto di un
universo visto come struttura eterna, stratificata in base alla gerarchia
delle ipostasi, Uno, Intelletto e Anima. La speculazione plotiniana è
rivolta a cogliere la realtà metafisica del tempo e non la sua apparenza
fenomenica. Plotino critica Aristotele per la definizione esposta prima,
in quanto ci dice solo cosa fa il tempo e non cosa esso sia. Il tempo
inoltre non è estensione del movimento piuttosto l‟estensione di
quest‟ultimo è nel tempo. Per di più Plotino preferisce affermare che il
tempo è misura e non numero del movimento, in quanto il moto è
continuo. Il movimento manifesta sì il tempo ma esso rimanda sempre
all‟eternità. Tempo e eternità si collegano mediante l‟Anima che
5
produce l‟universo a imitazione del mondo intelligibile. L‟Anima,
infatti, crea il tempo come crea il mondo. Ma essa non ha una realtà
temporale, in quanto è nell‟eternità. In Agostino si vede come il
neoplatismo penetra nella nascente cultura cristiana. In questo caso, il
tempo non è più considerato come un elemento dei fenomeni naturali
da studiare, in quanto è legato al tema della creazione del mondo e ai
rapporti tra Dio e le creature. Il tempo, considerato un mirabilia,
appare come un esperienza difficile da comprendere, avvolta nel
mistero. Il tutto però viene risolto in una spiegazione puramente
psicologica. Non vi è più contrasto tra presente, passato e futuro. Vi è
solo un attenzione presente dell‟anima a ciò che è rivolto alla
memoria, ossia al passato, e all‟anticipazione, ossia al futuro. Nel De
civitate Dei, il filosofo di Tagaste affronta il tema della creazione del
mondo e del tempo. Innanzitutto spiega che la differenza tra eternità e
tempo consiste nel ammettere che l‟eternità è priva di cambiamento, al
contrario del tempo. Così il mondo non è stato creato dopo molti spazi
di tempo, altrimenti non avrebbe senso parlare di mutazione. Il mondo
non è stato creato nel tempo, ma con il tempo. Infatti, se il mondo non
fu fatto insieme al tempo, ma dopo un certo tempo, si può affermare
che vi fu un tempo in cui non vi era il mondo. Per San. Agostino,
equivale a dire che vi era un tempo quando non vi era nessun tempo.
6
Questo è tanto assurdo quanto affermare che vi era il mondo quando
non vi era il mondo. Nel Medioevo il tema del tempo è ancora fonte di
discussione e la lettura dei testi dello Stagirita è condizionata dai
Commentari arabi. Prima fra tutti Averroè, il quale è convinto più di
Aristotele dell‟unicità del tempo. Esso può essere percepito solo
grazie alla percezione del movimento che a sua volta fa comprendere
all‟uomo di essere in uno stato ontologico di mutamento. Rispetto al
Filosofo, vi è più insistenza sulla relazione tra il tempo ed il nostro
esse trasmutabile, per cui la temporalità è una maniera di essere degli
esseri materiali che possiedono la capacità di mutare. È interessante
anche l‟idea di Alberto Magno, per il quale il tempo è la misura delle
mutabilità delle cose e non più del movimento. San Tommaso
comincia dall‟elaborazione aristotelica di Averroè, riprendendo
l‟unicità del tempo. A questo punto, si ha già una rilettura cristiana di
Aristotele, che giunge ad accentuare il rapporto tra tempo e
movimento dell‟ultima sfera, fino a farli quasi coincidere. Così si ha
una concezione cosmologica del tempo, grazie alle indicazioni di
Averroè e Avicenna. Ma a un certo punto, l‟indagine del tempo è
passata in secondo piano. Ad esempio, i neohegeliani considerano il
tempo logicamente assurdo. Alcuni filosofi, invece, sperano di
risolvere il problema del tempo chiarendo prima quello dello spazio.
7
Ciò si verifica perché si pensa che il problema del tempo sia minore
rispetto a quello dello spazio, considerato più complicato.
Reichenbach pensa che trattare il tema del tempo come parallelo al
problema dello spazio risulta dannoso per il tempo perché non tiene
conto delle sue caratteristiche particolari. Infatti, l‟autore spiega che
l‟ordine temporale è possibile in un dominio privo di ordinamento
spaziale, ossia del mondo delle esperienze psichiche di un individuo.
Il tempo ha una posizione di primo piano rispetto alle altre esperienze
coscienti, in quanto è più immediato. Ai giorni nostri quindi il tempo
continua ad essere analizzato. Le indagini di Guglielmo d‟Ockham e
Arthur Norman Prior hanno in questo contesto molta rilevanza. Il
logico neozelandese ha il merito di aver ripreso lo studio temporale,
soprattutto dal punto di vista della tense-logic. In particolare, l‟autore
moderno riporta fedelmente gli altri scrittori, gli antichi come i
moderni, che come egli affrontano tale problema. A parte i filosofi
antichi e medievali già citati, si ricordano le teorie della serie A e serie
B di McTaggart, le leggi temporali di Findlay, gli schemi di
Reichenbach, gli attualia e possibilia in Cocchiarella e così via.
Argomenti e autori fondamentali per la costruzione del pensiero di
Prior, dai quali egli parte. Ovviamente non bisogna dimenticare il suo
intento di simbolizzare la struttura ockhamista. Quindi una concezione
8
medievale che ritorna nella modernità con simboli moderni. Come a
dire che il pensiero del Venerabilis Inceptor è sempre attuale, anche
dal punto di vista della logica. Per Guglielmo d‟Ockham, voglio
aggiungere solo una citazione per sottolinearne ancora l‟importanza.
La citazione appartiene a Dijksterhuis e riguarda la riduzione del moto
da parte di Ockham ai suoi aspetti cinematica, considerati in termini
relativi. Anche il tempo è visto non come concetto assoluto ma
relativo. Ciò ha permesso allo studioso contemporaneo di affermare:
Ockham giunse ancora una volta molto vicino alla scienza
moderna nella quale il moto viene considerato un concetto
assolutamente relativo, mentre coloro che continuarono la
sua opera, i terministi parigini, prepararono la strada alla
dottrina assolutistica del moto che Newton doveva
professare così esplicitamente. Per la scienza odierna, il
moto è invero soltanto una vox: esso può infatti venire
predicato di ogni cosa che esso muova, ma anche, e
altrettanto bene, di ogni cosa che esso non muova, poiché è
sempre possibile indicare un sistema di riferimento in
relazione al quale le sue coordinate mutino e un altro in
relazione al quale non mutino con il tempo
1
.
Infatti, il francescano è convinto che dire “il moto esiste” o “esiste
qualcosa che si muove” sia uguale. Ciò vale anche per “il tempo esiste”
1
E. J. Dijksterhuis, Il meccanicismo e l‟immagine del mondo, Milano, 1971, pag. 233.
9
o “si muove qualcosa per mezzo di cui l‟anima può conoscere quanto
un‟altra cosa si muove”. Quel quanto sta ad indicare la durata di quello,
in questo caso di un movimento, che il tempo misura e verifica. Quindi
la capacità stessa del tempo di misurare.
10
Capitolo I.
Il Tempo in Guglielmo d‟Ockham.
1. La Philosophia Naturalis sive Summulae in
libros Physicorum.
In quella che a noi è pervenuta come quarta parte della Philosophia
Naturalis sive Summulae in libros Physicorum
2
, Guglielmo d‟Ockham
si occupa per la prima volta, cronologicamente parlando, del tempo
3
.
Quest‟ultimo viene trattato rapportandolo al moto
4
ed il punto di
partenza è l‟analisi della Physica
5
di Aristotele. Però bisogna
specificare che la Philosophia Naturalis non è completa ma ci sono
pervenute solo quattro parti, di cui l‟ultima è oggetto della presente
indagine. In esse il logico affronta problemi delicati come l‟eternità
2
Secondo Leon Baudry , in Guillaume d‟Occam. Sa vie, ses oeuvres, ses idèe sociales et
politiques, è da considerare probabilmente posteriore all‟Expositio aurea e l‟Expositio sulla fisica
di Aristotele e scritta quindi prima del 1344.
3
Tale tema è trattato in modo uguale nel Commento alle Sentenze, come Carlo Giacon scrive in
Guglielmo di Occam. Saggio storico – critico sulla formazione e sulla decadenza della scolastica,
Milano, 1941, tomo II, pag. 540.
4
Come ha sottolineato Nicola Abbagnano, la nozione di movimento costituisce il motivo centrale
della speculazione fisica degli scolastici e attraverso essa si delineano e definiscono i concetti di
tempo e spazio. Ma l‟autore è convinto che la trattazione occamistica del tempo sia più elaborata
rispetto a quella sul moto, (Guglielmo di Ockham, Lanciano, 1931, pag. 217). Per Carlo Giacon, in
Guglielmo di Occam. Saggio storico–critico sulla formazione e sulla decadenza della scolastica,
la dottrina del logico medievale sul tempo è analoga, se non identica, a quella sul moto,
(Guglielmo di Occam. Saggio storico-critico sulla formazione e sulla decadenza della scolastica.
Milano, 1941, tomo II, pag. 540).
5
Anche se Ockham considera la definizione aristotelica del tempo, come ciò che enumera nel
movimento il prima e il poi, puramente nominale.
11
del tempo e del movimento e l‟esistenza del primo motore, che
verranno successivamente ampliati, come vedremo nel terzo capitolo,
nelle Quaestiones in libros physicorum. Nel periodo di composizione
dell‟opera Philosophia Naturalis, l‟autore si trova già in conflitto con
l‟autorità ecclesiastica e i problemi della fisica, all‟epoca,
costituiscono uno dei temi abituali delle sue meditazioni. A questo
punto è utile soffermarsi sul concetto di movimento in Ockham, prima
di approfondire quello del tempo. Secondo l‟autore medievale, il
moto, nonostante sia visto come una specie di flusso, non rappresenta
un‟entità distinta da ogni realtà permanente. Nei Quodlibet
6
, inoltre, il
logico definisce il movimento come ciò che non possiede una realtà
propria, ma si risolve interamente nelle realtà permanenti che
l‟esperienza ci offre. Tale concetto viene ripetuto anche nella
Philosophia Naturalis quando scrive:
motus non eft aliqua res fecundum fe totam distincta à rebus
permanentibus
7
.
Siffatta concezione del moto, come non distinto dalle cose
permanenti, è valida allo stesso modo per il tempo, come si vedrà in
6
Guglielmo di Ockham, Quodlibet Septem, Parisiis, 1487, Argentinae, 1941, I, q. V.
7
Guglielmo d‟Ockham, Philosophia Naturalis sive Summulae in libros Physicorum, London,
1963, parte III, cap. V, pag. 53.
12
seguito. Sempre a proposito dell‟opinione relativa al moto e il suo
collegarsi all‟esperienza, Ockham scrive:
vna de paffionibus rerum naturalium affignatur motus; omne
enim corpus naturale per fe fubfiftens eft mobile. Qua vis
hoc probari non poffit, tame eft notum per experientiam
8
.
Ciò rafforza ancora di più la loro correlazione, poiché il movimento
non solo riguarda ciò che si muove ma ciò risulta addirittura tacito
dall‟esperienza. La descrizione di tale concetto prosegue così:
motus in fubftantia dividitur in generationem, corruptionem,
tamquam duos motus, quoru vnus eft deperditiuus, alius
acquifituus. Per generationem enim acquiritur forma
fubftantialis, per corruptionem amittitur
9
.
Quindi, anche il moto, come tutto ciò che è esperibile, è soggetto ad
un inizio ed una fine. Poi nel capitolo quinto, dopo aver parlato del
cambiamento, si ritorna al moto, stavolta nominando lo Stagirita.
Diffinit Ariftoteles motum fecundum expofitores tertji
Phyficorum duplici diffinitione, quorum vnam dicunt esse
formalem, aliam materialem, quae tamen non differunt nifi
vocaliter. […] Motus eft actus entis in potentia, fecundum
quod in potentia
10
.
8
Ibidem, cap. I, pag. 47.
9
Ibidem.
10
Ibidem, cap. V, pag. 52.
13
Ockham riprende quest‟ultima definizione da Aristotele per farla sua e
aggiunge:
Motus eft actus mobilis in quantum mobile eft
11
.
Di nuovo si ribadisce il legame tra moto e ciò che si muove.
2. Quid Non Est Tempus.
Ockham, a differenza di come svilupperà le Quaestiones, non
manifesta da subito quale teoria cerchi di dimostrare o confutare.
Soltanto alla fine del capitolo arriva alla conclusione definitiva, senza
avanzare all‟inizio alcuna opinione. Aristotele appare sempre in primo
piano, infatti l‟autore, nel primo capitolo della quarta parte, esordisce
così:
Qvoniam fecundum Phil. tempus eft motus, vel aliquid ipfius
motus, ideo poft confiderationem de motu videndu eft de
tempore
12
.
Quindi, dopo aver trattato l‟argomento del moto, può considerare il
tempo. Il logico medievale procede per via remotiis, ossia:
Antequam videatur quid fit tempus, videndum non eft iftans
quid non eft te pus
13
.
11
Ibidem, cap. VI, pag. 56.
12
Ibidem, parte IV, cap. I, pag. 85.
14
Quindi la prima cosa da chiarire è che il tempo non è l‟istante, ma il
concetto di istans in sé verrà definito in seguito. Ora il discorso si
concentra solo su ciò che non è. Ockham spiega innanzitutto che
molti vedono l‟istante come:
quędam res fluens, quę fcilicet ftatim corrumpitur, vel
deficit, ita quod non manet
14
,
come un qualcosa che è in continuo fluire, si corrompe ed è per questo
distinto da ciò che è permanente. Alcuni, inoltre, aggiungono che
l‟istante è una cosa che non può rimanere costante nel tempo. Invece il
logico medievale dimostra che tali opinioni sono false. Infatti da
subito ci chiarisce che se l‟istante rappresenta qualcosa di distinto da
ciò che è permanente, allora sarebbe frequente. Infatti si legge:
Quia fi iftans fit talis res, fequetur, quod‟ in quodlibet
tempore efsét infinitę res fecundum fe totas diftinctę, no
facientes vnum per fe, probatur, quia quodlibet infta s effet
fecundu fe totum diftinctum à quodlibet alio, no faciunt
per fe vnum, etiam infinita inftantia funt in quodlibet
tempore, confequens eft falfum, impoffibile
15
.
Quindi se l‟istante fosse diverso da ciò che è permanente, ogni istante
risulterebbe a se stante, diviso dagli altri e nel tempo esisterebbero
13
Ibidem.
14
Ibidem.
15
Ibidem.
15
infiniti istanti come infinite cose. Ovviamente ciò non è possibile.
Inoltre se fosse vero che non è qualcosa di permanente, l‟istante
singolarmente preso riuscirebbe ad introdurre da subito l‟essere. Se
riuscisse a definire subito l‟essere, allora esso sarebbe un accidente,
divisibile o indivisibile. Tra le cose corporali però non vi è nulla di
indivisibile. Quindi se l‟istante fosse davvero indivisibile, dovrebbe
avere come soggetto qualcosa di indivisibile e questo potrebbe essere
solo l‟anima intellettiva. Ma se il soggetto dell‟istante fosse divisibile,
si troverebbe solo in un corpo mobile. Ovviamente tale soggetto non si
troverà in un‟unica parte di un corpo ma estesa nel corpo intero e di
conseguenza si troverà una stessa cosa contemporaneamente in ogni
parte del corpo. Ciò non è possibile, quindi in base all‟estensione non
è un accidente indivisibile né un accidente divisibile. Se fosse vero
questo ultimo caso, bisognerebbe considerare l‟istante come lungo,
profondo e largo. Ciò è assurdo perché ne seguirebbe che:
totu cęlu in quo ponitur fubiectiue continue perderet,
acquireret aliqua nouam re
16
e acquisterebbe sempre qualcosa di nuovo. Dopo ciò, l‟autore pone
varie ipotesi che sono poi rigettate tutte. Infine, esamina le varie
difficoltà connesse con la concezione che l‟istante sia una realtà
16
Ibidem, pag. 86.
16
indivisibile, che si corrompe immediatamente, distinta da realtà
permanente. Infatti, il discorso conclude così:
quod ifta ns non fit talis res, quia fruftra fit per plura, quod
poteft fieri per pauciora, fed fine tali re omnia poffunt
falvari, quae ponu tur falvari per tandem, ergo frustra
ponitur, minor patet, quia omnia quae poffunt falvari per
tale rem, poffunt falvari per hoc quod cęlum eft fecundu
fuas partes in tali fitu
17
.
Nel passo sopra riportato si riconoscono due importanti espressioni.
La prima, ossia:
quia fruftra fit per plura, quod potest fieri per pauciora,
è una delle formulazioni del cosiddetto rasoio di Ockham. In questo
caso si nota come il logico usi tale metodo anche come esegesi. Infatti,
in questo contesto il rasoio è adoperato per l‟interpretazione di
Aristotele. Ockham non rinnega mai il principio di economia; non
viene mai meno ai canoni della sua metodologia. Nel caso specifico, il
suo metodo è utilizzato per interpretare la Physica di Aristotele. La
seconda proposizione rilevante è la seguente:
omnia poffunt falvari.
17
Ibidem.
17
Quest‟ultima non appartiene al filosofo medievale, bensì a Simplicio
ed è riscontrabile nel suo commento alla Physica dello Stagirita
18
. Si
sottolinea che l‟espressione salvari si deve intendere come salvare i
fenomeni, ossia spiegarli e trovarne le cause. Quindi solo risolvendo il
perché, si riesce a salvare il fenomeno e a non contraddirlo e la
scienza consiste proprio in questa operazione.
Alla fine del capitolo, Ockham conclude affermando che:
non eft intentio Phi. quod iftans fit talis res alia indivifibilis
flatim corrumpenda diftincta ab omni re permanente
19
.
Con ciò si intende che non è intenzione di Aristotele dire che il tempo
sia discreto e l‟istante indivisibile. Però qui Ockham riporta soltanto
l‟opinione del filosofo greco e non la sua. Più avanti si vedrà come il
logico inglese risolva la questione.
Nel secondo capitolo, l‟autore continua su ciò che non è il tempo,
provando che esso:
non eft alia res fecu dum fe tota diftincta ab omni re
permanente
20
.
18
È stato possibile pervenire a tale informazione grazie alle dispense del professore Nicola Russo,
scritte per il corso di filosofia della scienza nell‟anno 2004/2005.
19
Ibidem.
20
Ibidem, cap. II.