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Introduzione
Il servizio idrico intergrato è un servizio pubblico locale a rilevanza economica.
Consiste nella gestione integrata dei servizi pubblici di captazione, adduzione e
distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue.
E’ un processo complesso. L’acqua infatti per giungere nelle nostre case, deve
essere innanzitutto prelevata, captata poi raccolta per essere trattata e divenire
potabile, ed infine immessa nella rete di adduzione e distribuzione. La stessa
quantità d’acqua, una volta utilizzata, inizia un nuovo percorso: viene dirottata negli
scarichi della rete fognaria fino a giungere all’impianto di depurazione. E’ restituita
all’ambiente pulita, senza sostanze che danneggiano la nostra salute o l’ambiente in
cui viviamo.
Non esiste alcun dubbio nel riconoscere che l’insieme di queste attività, siano da
riconoscersi come servizio pubblico essenziale. L’acqua insieme ad altri elementi, è
alla base degli ecosistemi, e di tutte le forme di vita, compresa quella dell’uomo. La
vita sul nostro pianeta si deve alla sua presenza. La nostra salute viene garantita
giornalmente dalla disponibilità di acqua corrente e potabile.
Ma tale garanzia ha un costo. La fornitura di acqua richiede infatti notevoli
investimenti; grandi capitali debbono essere impiegati non solo per la captazione
dell’acqua, per la costruzione di impianti e di reti ma anche per la loro
manutenzione. Si stima che nei soli paesi industrializzati serviranno all’incirca 200
miliardi di dollari ogni anno per la sola sostituzione degli impianti e delle tubature
già esistenti al fine di ridurre al minimo le perdite e garantirne la qualità.
Nell’affrontare l’argomento si è volutamente partire da lontano consci che per
capire fino in fondo l’importanza di un servizio essenziale ed universale come quello
idrico non si può prescindere dalla sua storia. La nascita delle civiltà ed lo sviluppo
sociale ed economico sono direttamente collegati alla possibilità di accesso
all’acqua. Fino a quando la risorsa rimane nelle falde, nei laghi o nei fiumi è un
elemento fisico naturale determinante per l’ecosistema. Solo con l’organizzazione di
un servizio diviene accessibile all’uso e svolge oltre la funzione ambientale anche
quella economica, sociale, sanitaria ed igienica. L’uomo ha da sempre cercato di
stabilire regole da applicare al governo dell’acqua. Il diritto romano distingueva le
acque pubbliche, che scorrevano nei fiumi o che sgorgavano dalle fontane da tutti
utilizzabili, dalle acque private situate nei fondi dei proprietari terrieri. Nei paesi a
tradizione anglosassone il diritto ad utilizzare l’acqua – diritto ripariale, è nato
come un vero e proprio diritto di proprietà allocato in proporzione alla estensione di
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terreno che si affacciava sul fiume, sul torrente o sul lago. Per i primi colonizzatori
dell’America settentrionale valeva invece il principio “il primo che arriva è il
proprietario della fonte”. L’attuale distinzione giuridica tra acque pubbliche e private
ha origini lontane. Il nostro codice civile tuttavia detta regole non molto diverse dal
quelle contenute nel codice di Giustiniano. Sì perché, in Italia al contrario di altri
paesi nel mondo dove i diritti idrici sono legati alla proprietà della terra, le risorse
idriche fanno parte del demanio pubblico. Il legislatore ha rafforzato tale condizione
giuridica quando afferma ”Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio
idrico integrato devono avvenire nel rispetto di piena ed esclusiva proprietà pubblica
delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in
particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio…omissis” (comma 1 ter, art. 15,
D.L. n. 135/2009).
Oggi aprire un rubinetto e vedere l’acqua potabile che scorre è “normale”; ma come
si vedrà la fornitura per usi civili anche nelle nostre società avanzate non è poi tanto
antica. A fine ‘800, inizio ‘900 si continuava a morire a causa dell’acqua malsana. La
rivoluzione igienica avverrà per opera di imprese private che costruiranno nella
maggior parte delle città europee ed americane i primi impianti di distribuzione. Il
sistema verrà reso pubblico solo più tardi quando i governi riconosceranno il
servizio come essenziale atto cioè a soddisfare un interesse generale della società.
La gestione del servizio idrico integrato non è realizzabile se non si prendono in
considerazioni fattori quali la disponibilità della risorsa idrica, la morfologia del
territorio, la densità demografica, ed infine, le modalità d’utilizzo e di consumo della
risorsa. Nel primo capitolo si vuole mettere in evidenza come l’incremento della
popolazione, l’aumento dei consumi in alcune parti del mondo, le trasformazioni
degli stili di vita, i cambiamenti dei sistemi produttivi ed i mutamenti climatici
potrebbero determinare una situazione di stress idrico; l’analisi di tale situazione
verrà posta su due piani: quello economico e quello fisico. Si parla infatti di
mancanza economica della risorsa quando si è in presenza di limiti istituzionali o
infrastrutturali o finanziari che non permettono alla popolazione di usufruire anche
del semplice servizio di base di distribuzione di acqua corrente.
Già ai tempi di A. Smith il settore idrico, per le sue caratteristiche economiche era
stato definito l’eccezione alla regola generale. Tante erano e, come si avrà modo di
notare sono rimaste, le market failures che i normali meccanismi di mercato
risultano inverosimili. Così se da una parte il bisogno di imponenti infrastrutture fa
del settore un monopolio naturale, dall’altra la presenza di rilevanti sunk costs lo
rende non contendibile. In alcuni settori delle public utilities al fine di rendere
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competitivo il settore si sono separate artificialmente le varie fasi della filiera
produttiva, liberalizzando le attività non gravate dai costi irrecuperabili. Ma nel
servizio idrico integrato l’unbundling non è praticabile: il servizio di acquedotto, di
fognatura e di depurazione anche se separati operativamente rimangono monopoli
naturali. In tale situazione lo Stato interviene con provvedimenti volti alla
concorrenza per il mercato. Con tale meccanismo si interviene ex-ante, quando con
lo strumento della gara ad evidenza pubblica a base contrattuale si assegna il diritto
temporaneo a fornire un servizio pubblico all’operatore giudicato più efficiente del
settore in condizione di posizione dominante. Il soggetto pubblico mantiene lo stato
di monopolio al fine di tutelare gli obblighi del servizio pubblico ed utilizza la
procedura concorsuale per estrarre la rendita di monopolio a beneficio degli utenti.
Come si avrà modo di leggere nel capitolo 4, i modelli che lo Stato può utilizzare per
regolamentare il settore idrico sono tre: la gestione delegata, il monopolio privato
regolato e la gestione pubblica diretta. La scelta di un modello piuttosto che un altro
determina l’organizzazione complessiva del servizio e la conseguente performance
di settore.
Molti sono gli studi empirici che dimostrano come i risultati di settore siano
influenzati non solo dalle economie di scala, di scopo o di densità insite nella
funzione di costo delle produzioni condizionate da situazioni di monopolio naturale
ma anche dalla politiche che ogni Stato mette in atto.
Il servizio idrico integrato viene così ad inserirsi in un contesto sia giuridico che
economico molto complesso ed altamente dinamico. La funzione dello Stato
regolatore, i ruoli degli attori coinvolti ai vari livelli, costituiscono il perno sul quale si
fonda l’assetto idrico nel nostro Paese. L’attuale organizzazione del servizio
fondamentalmente si basa sullo schema voluto dalla legge Galli – legge 36
approvata nel 1994, intervento che ha radicalmente riformato il settore. In
precedenza il settore era estremamente frammentato; le gestioni del servizio di
acquedotto, di fognatura e di depurazione erano disgiunte. La riforma prevedeva la
gestione congiunta o meglio integrata dei tre servizi. L’obiettivo era di mettere in
atto due strategie: l’integrazione orizzontale dei territori e l’integrazione verticale
del ciclo industriale idrico, utilizzando quali strumenti fondamentali gli Ambiti
Territoriali Ottimali, porzioni di territori caratterizzati da unitarietà idrografica e
adeguatezza dimensionale, governati dai Comuni associati.
In questo breve saggio si tenterà di analizzare, partendo dai dati empirici, “le
variabili” che influenzano la gestione del servizio idrico integrato così come oggi si
realizza nelle diverse aree del nostro Paese, cercando di mettere in luce le regole
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che la governano e le conseguenze economiche e sociali. Di volta in volta si cercherà
di evidenziarne anche le criticità. Si affronterà in aggiunta il delicato compito di
studiare la suddivisione delle competenze e delle funzioni in materia ambientale,
economica e socio-sanitaria ed i diversi ruoli giocati dalla molteplicità di attori
coinvolti quali la Comunità Europea, lo Stato, le Regioni, le Autorità d’Ambito
Territoriale, responsabili della regolazione decentrata ed infine i gestori. Il tentativo
sarà quello di capire se nell’attuale modello organizzativo esiste un equilibrio sia a
livello istituzionale che economico-finanziario o se si va incontro piuttosto ad una
sovrapposizione di ruoli e di compente che influenzano i fattori macroeconomici del
settore, come gli investimenti lo studio dei quali sarà contenuto nel capitolo 8.
Nel nostro paese dall’approvazione della Legge 36/94 (Legge Galli) il dibattito sulla
gestione del servizio idrico è una questione aperta e nemmeno il recente intervento
legislativo, “Decreto Salvainfrazioni” (D.L. n. 135/2009, convertito nella L. 166/2009)
che si avrà modo di analizzare nella parte dedicata alle forme di affidamento ed allo
sviluppo del prossimo futuro del servizio, contribuirà verosimilmente a risolvere.
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CAPITOLO 1 - IL GOVERNO DELL’ACQUA NEL TEMPO
1.1 Evoluzione storica dell’accesso e dell’utilizzo dell’acqua
Le precipitazioni e lo scorrimento dell’acqua sono determinanti non solo per gli
ecosistemi ma anche per rendere i luoghi abitabili all’uomo. Lo sviluppo di tutte le
civiltà è direttamente collegato alla presenza ed alla possibilità d’accesso all’acqua.
Ancora oggi i più poveri dei poveri del mondo abitano regioni, il Niger, la Sierra
Leone, il Ciad, l’ Etiopia, il Burundi, dove la disponibilità media annua pro-capite di
acqua - inferiore a 1.500 mc. - è la più bassa sulla terra, le precipitazioni presentano
una forte variabilità e mancano anche i più basilari sistemi di irrigazione o strutture
necessarie all’immagazzinamento d’acqua da distribuire per gli usi civili.
La risorsa fino a quando rimane nelle falde sotterranee, nei laghi o nei fiumi è un
elemento fisico naturale. Per renderla disponibile alle attività umane, utile
socialmente, ed economicamente, per essere utilizzata a scopi domestici, agricoli o
industriali necessita di operazioni complesse e di costose infrastrutture. Deve
essere captata, filtrata, depurata per essere distribuita. I reflui debbono essere
raccolti e purificati prima di essere reintrodotti nell’ambiente. Solo con
l’organizzazione di un servizio, quello idrico, integrato in tutte le fasi di produzione,
diviene accessibile agli usi richiesti e svolge oltre alla sua naturale funzione
ambientale anche quella sociale, sanitaria, igienica, ed economica.
Non vi è così da stupirsi se fin dai tempi più lontani, l’uomo ha cercato di stabilire
norme e regole da applicare alle modalità di accesso, di distribuzione e di utilizzo
dell’acqua, servizio questo, come si vedrà, con radici antichissime.
Il diritto legale sulle risorse idriche di superficie o del sottosuolo, water right, è stato
influenzato dai due principali sistemi giuridici: il common law e la civil law.
Tradizionalmente per entrambi gli ordinamenti il diritto ad utilizzare l’acqua
dipendeva principalmente dall’uso che di essa se ne faceva sul terreno di cui si era
proprietari. In sostanza nella maggioranza delle società i diritti legali per usare quest’
elemento vitale erano, ma in molti paesi ancora lo sono, associati ai diritti di
proprietà della terra.
Il diritto romano, sebbene assegnasse una posizione privilegiata ai proprietari di
terreni adiacenti ai corsi d’acqua, negava però la possibilità di appropriarsi
dell’acqua che scorreva nei fiumi e nelle fontane pubbliche dopo la costruzione
degli acquedotti. Il codice di Giustiniano, pubblicato nel 533-34 d.C., disponeva che
l’acqua corrente insieme all’aria, ed ai mari non potesse essere posseduta; poteva
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essere utilizzata gratuitamente dalla comunità seguendo regole prestabilite al fine
di evitarne il sovra-utilizzo da parte di alcuni. L’ordinamento distingueva il diritto sui
maggiori corsi d’acqua, quelli navigabili, considerati beni comuni, il cui utilizzo era
aperto a tutti, dal diritto sui piccoli torrenti, canali, o fonti situati all’interno dei
terreni, considerati proprietà privata il cui utilizzo spettava solo ai loro detentori. La
separazione dunque era tra acque pubbliche, demaniali destinate alla navigazione o
all’approvvigionamento per usi civili, dalle acque private lasciate ai proprietari dei
suoli.
Nei paesi a tradizione anglosassone non esisteva questa distinzione. Lì, si sono
sviluppati con il tempo due approcci: il primo riguardava il diritto alle acque
rivierasche ed il secondo - the prior appropriation doctrine - il diritto “del primo che
arriva è il proprietario”.
La dottrina del diritto ripariale, che si era sostituita al ben più antico concetto di
diritto legato alla priorità in base all’uso che dell’acqua ne veniva fatto, stabiliva il
diritto all’accesso ed all’uso, come un vero e proprio diritto di proprietà allocato in
proporzione alla estensione di terreno che si affacciava sul bacino idrico, fiume,
torrente o lago che fosse. Il detentore di un diritto ripariale doveva fare dell’acqua
un utilizzo “ordinario”, inteso come ragionevole, sia che fosse finalizzato all’uso
domestico, o agricolo o a qualsiasi altro, purché non creasse interferenze con i
diritti degli altri proprietari, a monte o a valle. Ci doveva essere una quantità d’acqua
sufficiente per tutti i detentori dei diritti rivieraschi. La titolarità del diritto non
poteva essere venduta. Tale modalità in alcuni stati dell’America del Nord è ancora
in vigore.
The doctrine of riparianism incontrò notevoli difficoltà di applicazione quando i
colonizzatori provenienti dalle zone umide e piovese del Nord Europa giunsero nelle
terre aride dell’Ovest e del Sud Ovest del continente americano settentrionale.
L’acqua nel nuovo mondo era una risorsa pubblica che non apparteneva a nessuno. I
diritti al suo accesso venivano assegnati ai primi che arrivavano e che ne facevano
un uso specifico sia che provenisse da una fonte sotterranea, sia da un bacino
superficiale. Era la risposta pratica al bisogno di acqua manifestato all’inizio dai
minatori in cerca di oro e più tardi anche da altri, come i coltivatori o gli allevatori.
La titolarità, l’entitlement, veniva assegnata con un’ autorizzazione non tanto in
base al diritto di proprietà della terra ma in base ai benefici che se ne traevano dal
suo utilizzo specifico. Nel momento in cui decadevano tali benefici, si perdeva il suo
diritto d’uso. La data di appropriazione era importantissima. Il primo possessore in
ordine di tempo aveva un diritto superiore rispetto agli altri arrivati più tardi. In caso
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di insufficienza idrica egli poteva utilizzare tutta la risorsa disponibile lasciando così i
secondi senza nessuna fonte di approvvigionamento.
Sebbene siano state attuate alcune riforme ed altre siano ancora in atto, in alcuni
paesi degli Stati Uniti
1
(Alaska, Arizona, Colorado, Idhaho, Montana, Nevada, New
Mexico, Utah) tale pratica è ancora in vigore. Le attuali autorizzazioni specificano il
volume d’acqua utilizzabile, allo scopo di evitare inutili sprechi, e l’entitlement, può
essere trasferito e venduto, creando in tal modo un commercio sui diritti idrici.
La distinzione tra acque pubbliche e private derivante dal diritto romano ha
influenzato molti paesi tradizionalmente ad ordinamento civilistico (civil law). Così il
Codice di Napoleone, codice civile francese, promulgato nel 1804, dopo la
rivoluzione, mantenne la distinzione, ma per navigare o utilizzare l’acqua pubblica
era necessario ottenere una concessione. Tale pratica è ancora oggi in vigore nella
maggioranza dei paesi con ordinamenti civilistici, tra i quali il nostro.
Il nostro codice civile all’art. 822 recita: “Appartengono allo Stato i fiumi, i torrenti, i
laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia. Tali acque fanno parte
quindi del demanio idrico naturale detto necessario
2
e pertanto non possono
appartenere mai ai privati, perché sono inalienabili e imprescrittibili e non possono
essere oggetto di negozi giuridici privati.
Con la recente modifica in tema di servizi idrici apportata dal D.L. n. 135/2009 il
legislatore italiano sembra voglia ricordare a tutti i cittadini, probabilmente per il
noto dibattito sulle modalità della gestione del servizio, che “tutte le forme di
affidamento della gestione del servizio idrico integrato devono avvenire nel rispetto
dei principi di autonomia gestionale del gestore e di piena ed esclusiva proprietà
pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni
pubbliche,…omissis
3
”. Un’ulteriore conferma la si trova nel D.Lgs n. 85 del 28 maggio
2010 ad oggetto: “Attribuzione a Comuni, Provincie e Regioni di un proprio
patrimonio”, nel quale si stabilisce che entrano a far parte del patrimonio
disponibile degli enti territoriali i beni trasferiti in attuazione dello stesso decreto ad
eccezione dei beni appartenenti al demanio idrico.
Il codice civile, regolamenta diversamente il diritto delle acque esistenti sul fondo. Il
nostro ordinamento deriva da quello romano, e ancora oggi come allora, il
1
Hodgson, S. (2006)in Modern water rights – Theory and practice, FAO Legal Office, a pag. 13 scrive: “The flexibility of
the common law tradition is such that was accepted as the law in a number of states and it continues to apply in the
states of Alaska, Arizona, Colorado Idhaho, Montana, Nevada, New Mexico, Utah)”.
2
Fanno parte del demanio necessario tutti quei beni che per la loro utilità generale, non possono che appartenere allo
Stato o altri enti pubblici territoriali. I beni demaniali sono la “sostanza patrimoniale” dell’ente pubblico e sono
destinati a svolgere una funzione pubblica. Possono essere gravati di oneri attraverso la “concessione amministrativa”.
3
Si veda il comma 1 ter dell’art. 15 del D.L. n. 135/2009
8
proprietario del suolo agricolo ha il diritto di utilizzare le acque esistenti nel rispetto
di quanto previsto dalle leggi speciali in materia di acque pubbliche.
1.2 La fornitura di acqua corrente - contractual water right
Nella generica denominazione di water rights oltre ai diritti legali di astrazione ed
utilizzo d’acqua proveniente da un bacino o da una fonte sotterranea, vengono
annoverati anche quelli che riguardano la fornitura d’acqua attraverso un reticolato
di canali o di condotte e impianti, sia per usi civili, che industriali o agricoli.
Nella maggioranze dei casi il fornitore ha la titolarità per accedere alla risorsa; la
persona o l’ente alla quale viene consegnata l’acqua, in cambio di un prezzo o di
una tariffa, ha il diritto di ricevere il servizio, cioè la fornitura di una certa quantità
d’acqua per mezzo di una rete di condotte artificiali (assetts). La base legale di
questo rapporto tra fornitore e consumatore è un accordo o un contratto -
contractual water right. Si tratta in pratica del rapporto che si viene a creare ogni
qualvolta si chiede l’ allacciamento alla rete idrica per usufruire d’acqua corrente e
potabile alla società/ente incaricato della gestione del servizio idrico integrato nella
propria area di abitazione. Lo stesso accade quando a farne richiesta è un’azienda
pubblica o privata o un ente.
Oggi l’avere a disposizione, pagando quanto dovuto per il servizio, nei luoghi in cui
viviamo acqua potabile, tutto sommato, sembra facile, anzi molti di noi lo danno per
scontato, come se fosse sempre esistita e come se dovesse esistere per sempre !
Non dovremmo dimenticare invece che nei paesi maggiormente industrializzati,
Stati Uniti compresi, fino alla fine del XIX secolo i servizi idrici non erano così diffusi.
Le malattie trasmesse da acqua insalubre provocavano gravi malattie soprattutto
infantili e ancora oggi a livello mondiale questa piaga sociale stenta a scomparire.
Nel 2000, le vittime causate da malattie dovute all’utilizzo di acqua malsana e
mancanza di servizi igienici furono 1,7 milioni.
4
I primi a scoprire quanto fosse importante per lo sviluppo ed il benessere sociale di
una comunità la presenza di acqua corrente furono gli “ingegneri” di Babilonia nel
3000 a.C. i quali costruirono un imponente sistema di adduzione dell’acqua in onere
del proprio re e della dea della fertilità, che si trasformò ben presto anche in una
“benedizione” terrena. Al di fuori delle mura della città vi era un sistema di
4
Fonte dei dati: U.N.D.P.(United Nation Development Programme – Report 2006) in Bergkamp, G. e Sadogg, C.W.
(2008): State of the World, pag. 254.
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irrigazione imponente, mentre all’interno dei muri di cinta erano presenti uno
svariato numero di fontane e canaletti, accessibili a tutti.
Le acropoli greche costruite in cima ai colli, per ragioni difensive, raccoglievano
l’acqua piovana in cisterne scavate nelle rocce. A Cnosso già nel 1500 a.c. l’acqua
raccolta veniva incanalata fino a sgorgare nelle cantine degli edifici.
Per i Romani l’acqua era qualcosa di sacro, accompagnava la maggior parte dei riti
imperiali. Fontane e terme abbellivano la città eterna grazie alla presenza di undici
acquedotti, costruiti dal 321 a.C. al 226 d.C. e finanziati quasi sempre con i proventi
delle conquiste militari. Il curator aquorum, cioè il sovraintendente agli acquedotti,
veniva delegato direttamente dall’imperatore ed aveva il compito di “vegliare” sulla
qualità dell’ acqua pubblica e di assicurarsi che il servizio di acquedotto fosse
efficiente e disponibile per tutti. Solo i più ricchi però potevano permettersi l’acqua
a domicilio. Gli altri si rifornivano dalle fontane situate agli angoli delle vie.
Gli acquedotti romani, grandi opere di ingegneria idraulica, erano in grado di
rifornire la città di un milione di mc. d’ acqua al giorno che permetteva di consumare
150 lt.
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per abitante, disponibilità molto simile a quella di un romano odierno. Le
persone addette al servizio di acquedotto erano circa 700 e venivano retribuite dalle
casse pubbliche o direttamente dall’imperatore. Nel 97 d.C., venne nominato
curator aquarum Sesto Giulio Frontino il quale si dedicò anche alla redazione di un
trattato tecnico ricco di particolari sugli acquedotti. La sua maggiore
preoccupazione, era la continua necessità di manutenzione delle condotte:
onerosità molto attuale anche nel servizio idrico integrato italiano. Anche le
concessioni private, che permettevano la fornitura di acqua a domicilio creavano
continue difficoltà: i serbatoi e le tubature erano costruite con il piombo ed abituali
erano i furti di acqua da rivendere, praticati forando i condotti, non solo dai ladri
ma anche dagli stessi addetti alle riparazioni. La rete di distribuzione aveva bisogno
di continua vigilanza.
La grandezza degli acquedotti romani corre di pari passo alla grandezza di Roma
antica. Con l’arrivo del medioevo i grandi monumenti idraulici vennero abbandonati.
Le città si chiusero per motivi di difesa e l’acqua fu conservata in grandi cisterne; le
fognature, mancando acqua corrente, scomparvero definitivamente. Tutto era
gettato per strada, ad eccezione degli escrementi che dovevano essere sotterrati nei
cortili. La popolazione si dissetò anche scavando pozzi nei cortili delle proprie
abitazioni; pozzi tuttavia poco profondi (6-7 metri), facilmente contaminabili. In
molti luoghi l’acqua a questa profondità era paludosa o salmastra. Gli scarichi
5
Fonte dei dati in da Altomore, G.(2006): Acqua S.p.A.,pag. 206.
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fognari continuarono a scorrere a cielo aperto, infiltrandosi facilmente nelle falde
freatiche di lieve profondità dalle quali la popolazione attingeva l’acqua. La
colonizzazione di topi ed altri animali da fogna era un fatto normale.
Non si può certo negare che il paesaggio urbano medioevale non fosse
maleodorante! Ma forse non era l’odore che doveva mettere in allarme ma i virus
ed i batteri che l’acqua malsana trasportava con sé. Passeranno ancora molti anni
prima che la popolazione si rendesse conto di questo. Durante tutto il medioevo e
fino alla fine del secolo XIX in tutte le nazioni si sviluppano tremende epidemie per
la mancanza di acqua corrente e potabile.
Nelle città si soffriva soprattutto di tifo, diarrea, malaria, scorbuto, tubercolosi,
malattie causate principalmente dalla contaminazione dell'acqua; di peste invece
soffrivano tutti; arrivava nei porti europei dalle navi provenienti dalle rotte dell’Est e
dell’Asia. Debellarla era difficile perché, tra le cause oltre che la malnutrizione, vi
erano anche le scarse condizioni igieniche in cui tutta l’Europa versava. Anche il
vaiolo giunto agli europei durante le invasioni del popolo Arabo si diffuse facilmente
oltre che per l’alimentazione malsana anche per la mancanza di pulizia.
In tutta Europa e negli Stati Uniti fino alla fine del XIX sec. ed al primo decennio del
XX sec. le malattie trasmesse dall’acqua contaminata continuarono a mietere
vittime, soprattutto tra i bambini. A Cincinnati, nell’Ohio, nel 1900 su 1000 bambini
nati vivi, 140 morivano di diarrea e 40 di febbre tifoide.
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Tra il 1835 ed il 1911 un
milione di italiani morirono di colera che trovava nell’acqua, priva di filtrazione e
clorazione, il terreno di coltura per svilupparsi.
La costruzione degli acquedotti e delle reti idriche in grado di rifornire gli abitanti di
acqua non solo corrente ma anche potabile si fonde con il progresso sociale che ha
portato all’affermazione della democrazia nei nostri paesi.
Sì, perché durante l’800 in molte città esisteva la rete idrica; era gestita da società
private. In maggioranza erano compagnie francesi ed inglesi le quali investivano
ingenti capitali per la costruzioni di impianti che servivano principalmente il centro
delle città. Il servizio idrico era considerato un vero affare. La crescita demografica
delle città e la consapevolezza delle persone che dissetarsi con l’acqua sbagliata
poteva condurle alla morte, rese il servizio un bene con elevato valore economico.
Esemplari sono le vicissitudine del servizio idrico a Londra, dove la prima società
privata che si occupa di distribuzione d’acqua risale al 1581. Ma nella città, come
nella maggior parte delle altre capitali europee, le fasce di popolazione che
potevano pagare l’allacciamento alle rete idrica erano davvero poche. La qualità
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Fonte dei dati: University of California Berkley e MPIDR 2006 in Ciervo, M. (2009): Geopolitica dell’Acqua, pag 30.