I
INTRODUZIONE
L’importanza di instaurare e custodire una relazione di qualità con la propria clientela,
in particolare con alcuni clienti, è un principio semplice, ma basilare, per qualsiasi
azienda: un cliente soddisfatto, che diventa cliente fedele, è un vantaggio competitivo
dai molti pregi.
Così il CRM si va a configurare come filosofia di business, un’attitudine verso gli
addetti e i clienti, supportata dai processi e dai sistemi, il cui scopo è la costruzione di
relazioni personalizzate di lungo periodo con il cliente, mediante la comprensione delle
esigenze e delle preferenze del singolo e l’aggiunta di valore per l’impresa e il cliente.
Il CRM innovativo, a supporto dei processi di marketing implementati sui canali
digitali, è un tema caldo, di cui si sta parlando molto e sono numerose le aziende che
hanno preso in considerazione l’attuazione di un nuovo programma di Customer
Relationship Management.
Spesso però non si considera sufficientemente che il CRM riguarda un insieme
complesso di elementi, che vanno dalle strategie alle tecnologie, passando per processi e
skills, che coinvolgono l’azienda tutta.
Si pensa piuttosto che, se sono installate componenti di CRM, come call center o
applicazioni marketing automation, la loro impresa si trasformerà automaticamente in
customer-oriented.
Il Customer Relationship Management non è una semplice questione di marketing né di
sistemi informativi, ma riguarda l’azienda e la sua visione nel loro complesso. Il
processo di implementazione del CRM non è semplice: per aver successo occorre
II
analizzare i processi alla luce delle aspettative del cliente; identificare i punti di forza e
di debolezza; ridisegnare i processi in funzione di ciò che il cliente vuole. Un approccio
vincente parte dalla strategia, non dalla tecnologia, e si focalizza sugli obiettivi di lungo
termine.
Nell’ottica secondo la quale il marketing - inteso come attività sociale - influenza la
società in cui opera ed è da essa influenzata, è logico comprendere quanto i paradigmi,
dal marketing operativo al marketing one to one, che prima risultavano essere adeguati,
cambiando il contesto economico e socio-culturale, non sono più in grado di assicurare
risultati efficaci. Il marketing relazionale si prospetta come risolutivo per una corretta
comprensione del mercato: perché valutare il rapporto tra cliente e impresa, significa
non una transazione, ma una Relazione.
Il lavoro intende aprire una finestra di riflessione su un momento di transizione delle
organizzazioni, che proiettate all’enterprise 2.0, rilevano l’importanza di inserire nuove
dinamiche e strategie di lavoro, proiettate a perfezionare gli strumenti di CRM,
concretizzando il principio di multicanalità, attraverso nuove modalità di gestione del
servizio, con il Social CRM.
La tesi del mio scritto si basa sul concetto generale secondo il quale la gestione dei
rapporti con i clienti in “modo classico” - nel senso transazionale e uno a uno - può
essere notevolmente migliorata, rendendo il rapporto meno strutturato, più
partecipativo, e creato intorno ad un modello di comunità aperta.
Questo nuovo approccio sembra trasformare il rapporto che le aziende hanno con i loro
partner e clienti. Ma cosa c’è alla base di questo approccio che lo separa dal CRM
tradizionale? Lo scenario tipico del Social CRM è un canale social di comunicazione
III
dove i clienti possono comunicare i loro problemi (assistenza clienti) o desideri (future
esigenze di sviluppo del prodotto) ad un’azienda.
D’altronde da sempre la relazione tra brand e consumatore è alla base del valore
percepito del brand stesso, ma indubbiamente il valore generato da questa relazione
risulta amplificato nell’era dei social network. Con l’avvento di Facebook e Twitter
(tanto per citare i più noti) il dialogo con la marca diventa social. Non è un caso che
siano sempre i consumatori e le persone comuni ad essere presenti per primi sulle reti
del web; le aziende ci arrivano solo dopo e ci arrivano quando cominciano a capire
l’importanza del presidiare la rete per mettersi in ascolto.
Proprio l’evoluzione nell’uso dei social network ha portato all’utilizzo dei nuovi media
digitali come strumenti di promozione e di Customer Retionship Management. Il CRM
si evolve e quindi diventa Social CRM; uno strumento che permette ai brand di creare
valore sia per se stessi sia per i consumatori, attraverso la gestione di uno spazio virtuale
in cui mettersi in ascolto, dialogare e far crescere, in termini di quantità e di qualità, le
relazioni.
Inoltre saranno analizzate le tendenze organizzative delle nuove professioni all’interno
delle aziende che approcciano strategicamente l’evoluzione del Caring in puro assetto
Enterprise 2.0.
4
I PARTE
CAPITOLO I - L‟ENTERPRISE 2.0. LA DIMENSIONE ORGANIZZATIVA DEL
CAMBIAMENTO: UNA SPINTA DALL‟INTERNO PER COMUNICARE
L‟INNOVAZIONE ALL‟ESTERNO
INTRODUZIONE
Obiettivo di questo capitolo è di affrontare il tema del cambiamento organizzativo
tendente all‟innovazione dell‟Enterprise 2.0, ricostruendo il senso della stretta e fluida
connessione che esiste tra ambiti dell‟agire organizzativo, attori e strumenti innovativi
che sono stati di seguito segmentati e scomposti.
Nella realtà, gli individui, i gruppi, le aziende e i network di aziende che popolano il
business system, come qualsiasi altro essere vivente, sono inevitabilmente suscettibili di
un cambiamento costante: il “divenire”, diventa una caratteristica intrinseca
all‟esistenza stessa e quando essa viene meno l‟entità scompare e muore
1
.
Partendo da un‟analisi sociologica più classica che spiega il rapporto tra cambiamento e
complessità per la stabilizzazione della cultura organizzativa, che è alla base di un
radicale e duraturo processo di cambiamento, nel corso di questo capitolo tratterò
l‟Enterprise 2.0 che rappresenta senza dubbio la sfida più innovativa per le aziende; essa
non riguarda solo le grandi multinazionali ma interessa e deve interessare sempre di più
anche le piccole e medie imprese italiane. Queste infatti possono trovare nell‟utilizzo
dell‟open source, nei servizi web 2.0, nelle piattaforme collaborative e nell‟uso dei
1
De Vita, P., Mercurio, R., Testa, F. (2007). Organizzazione aziendale: assetto e meccanismi di
relazione. G. Giappichelli Editore: Torino.
5
social media risorse a basso costo e ad alta efficienza per lo sviluppo delle loro attività
operative.
Ancora oggi, e in particolare nel nostro Paese, il concetto di social enterprise è
caratterizzato da due visioni contrapposte:
Una visione piuttosto miope riguardo agli sviluppi futuri dell‟innovazione
digitale, che considera gli investimenti negli strumenti web 2.0 e di social
software un lusso da lasciare a tempi migliori;
Una visione pragmatica che, invece, la riconosce come un processo tangibile e
promettente per l‟innovazione organizzativa delle aziende.
Alessandro Prunesti, esperto di innovazione digitale e Enterprise 2.0, ritiene che
entrambe le versioni sono pienamente legittime, e per questo devono essere accolte
dagli innovatori aziendali con il massimo rispetto.
Lo stato generale di adozione degli strumenti Enterprise 2.0 mostra una certa tendenza
delle imprese, soprattutto a livello globale, a investire in questi strumenti. La situazione
di crisi economica sta paradossalmente favorendo questo ambito; infatti, l‟uso del web
2.0 viene interpretato come una leva che consente alle imprese di acquisire un valore
aggiunto da poter capitalizzare quando la crisi economica sarà finita.
6
1. Analizzare la cultura e la complessità organizzativa per il cambiamento
Gli approcci convenzionali allo studio della cultura e del cambiamento delle
organizzazioni sono stati, in parte, inadeguati, perché si è fatto riferimento a modelli
obsoleti che delineavano le dinamiche organizzative.
L‟approccio alla complessità può, invece, offrire una nuova prospettiva che conduce ad
una diversa lettura degli agenti di cambiamento.
Ci sono molti approcci e definizioni sulla Cultura organizzativa. Kroebe e Kluckhohn,
nel 1952, riportano circa 156 definizioni di cultura, che riorganizzano in sei diverse
categorie. Negli anni sono state riportate altre definizioni, ma molte non sono state
ancora accettate dalla comunità scientifica. La nozione di una sola definizione di cultura
può essere inutile, in quanto induce a pensare alla cultura come una “cosa” o solo uno
stato che “appartiene” ad un‟organizzazione.
Questo punto di vista viene superato da quei modelli che cercano di distinguere i diversi
“tipi” di cultura organizzativa. Uno dei modelli più noti è quello sviluppato da Roger
Harrison (Harrison & Stokes 1992), che caratterizza la cultura, con: potenza (power),
ruolo (role), successo (achievement) o sostegno (support). Charles Handy, ha
sviluppato, in modo diverso, l‟idea di Harrison nell‟opera “Gods of Management”
(1995), parlando di:
club (Zeus), il potere è concentrato nelle mani di un individuo, il capo alto
role (Apollo), un ruolo forte e la cultura pone un premio in ordine ed efficienza
task (Athena), la potenza deriva dall‟esperienza necessaria per completare
un'attività o un progetto
7
existential (Dionysus), le organizzazioni esistono per le persone, quindi per
realizzare i loro obiettivi
2
Seppure questi approcci possono essere utili, tendono a favorire una visione meccanica
del cambiamento culturale.
Ad esempio, posso citare la diagnosi effettuata da Harrison e Stokes, che invita a
puntare sia sulla cultura esistente che su quella preferita, suggerendo che solo
comprendendo la strada da percorrere, si ottiene la possibilità di trovare il modo per
arrivare.
Naturalmente, questo è l‟approccio convenzionale all‟analisi della cultura, riassunto
così da Wilkins e Patterson (1985):
1. Dove abbiamo bisogno di andare strategicamente come organizzazione?
2. A che punto siamo come cultura?
3. Quali sono i gap tra dove siamo come cultura e dove dovremmo essere?
4. Qual è il nostro piano di azione per superare queste lacune?
Questo approccio classico si basa su due assunti. Il primo, che le organizzazioni sono, di
solito e preferibilmente, in uno o nell‟altro stato.
Questo pensiero è stato espresso al meglio da Kurt Lewin, che nel 1946 proponeva il
famoso modello “unfreeze – change – freeze” (scongelare, cambiare, congelare);
secondo cui, il processo di cambiamento impone un “trauma” per l‟organizzazione, che
2
Handy, C. (1995). Gods of Management: The Changing Work of Organizations. Oxford University
Press, USA.
8
la destabilizza dal suo stato di equilibrio, permettendo il cambiamento nel mentre della
fase di instabilità, per poi rientrare in uno stato di equilibrio più vicino al proprio
ideale.
3
Il secondo assunto, invece, afferma che in qualche modo la capacità di fare il
cambiamento e orientare l‟attività ad un risultato concreto, stia in un‟analisi efficace, in
una pianificazione corretta e in azioni appropriate.
Eppure questa saggezza, adottata da molti manager e consulenti, deve essere messa in
discussione. È stato dimostrato che questi approcci al cambiamento siano poco duraturi
perché poco radicali. La comunità scientifica si è interrogata affinché ci siano
prospettive alternative che possano offrire un altro approccio.
1.1 La cultura del web
Un modello di cultura, sviluppato da Jerry Johnson, può aiutarci a spiegare la differenza
tra due diversi approcci.
Johnson definisce il suo modello “la cultura del web”.
3
Kurt Lewin: Change Management Model. s.d. http://www.change-management-
coach.com/kurt_lewin.html.
9
Figura 1 - The Cultural Web (Johnson 1992)
Il paradigma al centro rappresenta l‟insieme del nucleo di convinzioni che derivano
dalla molteplicità di conversazioni e mantiene l‟unità della cultura.
I petali sono le manifestazioni della cultura, come risultato dell‟influenza del
paradigma.
La maggior parte dei programmi di cambiamento si concentrano sui petali, cercando di
attuare un cambiamento attraverso la semplice osservazione delle strutture, dei sistemi e
dei processi. L‟esperienza ha dimostrato che di solito queste iniziative portano ad uno
scarso risultato. Nei programmi di cambiamento vengono sprecate molte energie
(denaro) in programmi, attraverso l‟utilizzo di esercizi di comunicazione, consulenze,
workshop, e così via. Nei primi mesi il cambiamento sembra prendere forma, ma
gradualmente la novità e la spinta si esauriscono e l‟organizzazione tende a riprendere la
vecchia configurazione. La ragione di tutto ciò è semplice da intuire, anche se molto
10
spesso trascurata: se non cambia il paradigma alla base della cultura, non ci sarà
cambiamento radicale e duraturo.
1.2 Cambiamento di paradigma
Il paradigma è un insieme auto consistente di idee e credenze, che agisce come un filtro
influenzando la nostra percezione delle cose. Il termine è stato coniato da Thomas Kuhn
nella sua celebre opera “Structure of Scientific Revolutions”, pubblicato nel 1962.
Fritjof Capra ha adattato la definizione originale di Kuhn, proponendola in una forma
più adatta allo studio delle organizzazioni:
“Un paradigma è una costellazione di concetti, valori, percezioni e pratiche condivise
da una comunità, che forma una particolare visione della realtà che è alla base del
modo in cui una comunità si organizza.”
4
È importante affermare che i paradigmi non sono riconducibili ad un errore; al
contrario, senza paradigmi che ci aiutino a dare ordine e senso al mondo, ci troveremmo
di fronte ad un massa di dati in entrata da gestire quotidianamente. È il fatto stesso che
il paradigma agisce come filtro, che aiuta a rendere la vita più gestibile, oltre ad offrire
una concreta sensazione di stabilità in un mondo mutevole.
Quindi, non è la presenza di paradigmi a causare difficoltà, ma la loro
stabilità/instabilità.
4
Capra, F. (1997). The Web of Life. London: Harper Collins.
11
Ma qual è la provenienza dei paradigmi? I paradigmi non vengono imposti da dirigenti
né da consulenti, ma emergono da una molteplicità di interazioni tra individui
all‟interno di una comunità.
Tendenzialmente l‟emergere di cambiamenti nei sistemi complessi avviene come
risposta alle interazioni tra agenti di un sistema. In un‟organizzazione gli agenti sono le
persone, loro stessi sistemi complessi.
La teoria della complessità suggerisce che quando c‟è molta connettività tra gli agenti è
probabile che si verifichi spontaneamente l‟emergenza. Il concetto di emergenza è
complesso da esaminare, ma nel tempo alcune cose sono diventate più chiare.
1.3 Un approccio epidemiologico
Alcune organizzazioni hanno bisogno di più strutture e rassicurazioni. Recentemente,
Richard Seel, in collaborazione con la divisione IT di una grande organizzazione di
servizio pubblico, che era in fase di cambiamento e stabilizzazione di una nuova cultura,
ha sviluppato un approccio radicale che offrisse una prospettiva di cambiamento
significativo. Il modello proposto da Seel si basa su un approccio epidemiologico
orientato al cambiamento della cultura. Il modello proposto non è nuovo; già
l‟antropologo francese Dan Sperber (1996) ha utilizzato un modello simile per alcuni
anni, sebbene non nel contesto dello sviluppo organizzativo. Secondo questo modello
una metafora appropriata per delineare gli agenti di cambiamento è il virus, un virus
benigno accolto dall‟organizzazione ospitante.