SABINE FASCHALEK
Pittrice, grafica
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Grazia Deledda
- I -
Per un profilo biobibliografico di Grazia Deledda
scrittrice-giornalista
«Quella piccola signora è la grande scrittrice Grazia Deledda. Io credo
che si possa chiamare così senza invocare l’aiuto dell’iperbole. La si può
incontrare per quelle vie (a Roma) perché, fra quelle vie, è la sua casa. La
si può vedere nel giardino, un po’ orto, che circonda la casa. E premendo
il bottone del cancello, la si può anche vedere venire lei stessa ad aprire,
e allora si può anche udire una voce che dice:
“Venga. Oh, è lei”».
1
Questo è il ritratto quasi sconosciuto che Alfredo Panzini fece della sua
collega. A rendercelo noto è Marino Moretti nell’introduzione al carteggio,
durato un decennio, con la scrittrice sarda.
Anche Moretti ricorda così la sua amica scrittrice: «Quel che resta nel cuore,
della voce di una così grande e venerata amica, è ben questo: “Venga. Oh, è
lei”».
2
Grazia Deledda operò in un’epoca che ha avuto un grande significato per la
letteratura italiana, con autori del calibro di Pascoli, D’Annunzio, Pirandello,
Svevo, Verga. Genere principale di questi scrittori era la narrativa, romanzi e
novelle legati alla realtà, rispecchianti la vita.
Sullo sfondo della letteratura europea, vi erano Dickens, Balzac, Flaubert,
Zola, Tolstoj, Dostoevskij, autori che, differenti fra loro, scrivevano romanzi
maestosi, raffinati in ogni particolare. Oggetto del loro narrare era un piccolo
1
GRAZIA DELEDDA, Lettere di Grazia Deledda a Marino Moretti (1913-1923), Padova, Rebellato Editore,
1959, p. 14.
5
mondo autonomo, un microcosmo che rispecchiava un’intera società, con i
suoi problemi, i contrasti, il bene e il male.
Nutrita dalla lettura di questi romanzi, Grazia Deledda ha riversato nelle sue
opere l’impronta di questi grandi autori: «Oh la penna, la penna di Victor
Hugo per un’ora sola, per descrivere queste lotte interne, queste tempeste in
un cranio! Senza di essa chi potrà mai descriverle?».
3
L’ “onestà” della scrittrice sarda, che non si sottrae all’impegno di affrontare i
nodi più critici dell’esistenza, è stata riconosciuta e sottolineata da Carlo Bo
nella prolusione al Convegno deleddiano del 1988, a Roma.
4
Dal Convegno, è emersa la difficoltà da parte dei critici, di collocare le opere
della scrittrice in una precisa corrente letteraria.
L’opera della Deledda, infatti, si inserisce in un momento complesso e
difficilmente definibile della narrativa italiana moderna.
Natalino Sapegno ricorda a tal proposito che la critica era ben lontana
dall’accordarsi in un’opinione «sia sul valore, sia sul significato stesso e la
sostanza della sua opera».
5
All’inizio del Novecento, infatti, la letteratura e l’arte seguivano diverse
correnti, il romanticismo non si era ancora esaurito e iniziavano a farsi avanti
naturalismo, verismo, decadentismo.
Per Vittorio Spinazzola l’opera della Deledda si inquadra nella grande svolta
culturale di fine Ottocento, «con il crollo di fiducia nella ragione storica, il
tramonto del mito del progresso e la connessa dissoluzione del realismo
rappresentativo ottocentesco».
6
Giudizio condiviso quasi all’unanimità dai critici.
Una trentina di anni dopo, nel 1979, Anna Dolfi, nella sua monografia sulla
Deledda, ribadisce l’esistenza di una critica sempre dimidiata tra «una
3
GIUSEPPE PETRONIO, Letteratura italiana, I Contemporanei, Milano, Marzorati editore, 1963, p. 141.
4
NICOLA TANDA, Un’odissea de rimas nobas, Verso la letteratura degli italiani, Cagliari, Cuec, 2003.
5
NATALINO SAPEGNO, Pagine di storia letteraria, Palermo, Manfredi, 1960, pp. 281 sgg.
6
VITTORIO SPINAZZOLA, Atti del Convegno Nazionale di studi deleddiani, Cagliari, Editrice sarda Fossataro,
1974, p. 107.
6
singolare mistione di ammirazione e di rispetto per l’impegno professionale»,
e un senso di fastidio e stanchezza per la riduzione regionalistica, e «la
valorizzazione poi, della novità e dell’apporto misurato proprio nel legame a
una cultura locale».
7
Si rinvengono ancora nei suoi romanzi, continua la
Dolfi,
gli echi di un attardato e sognante romanticismo, le schematizzazioni
semplificanti del feuilleton, le prove della ricezione della letteratura
nazionale e popolare del tempo, ma le annotazioni private sulla
conformazione della società, le dichiarazioni di poetica, lo stesso interno
organizzarsi dei libri più maturi, rivelano anche la coscienza specifica di
un problema letterario, la volontà di inserirsi, sia pur in modo spesso
atipico e contraddittorio, nel dibattito ancora vivo sul naturalismo.
8
Più restrittivo è il giudizio di Benedetto Croce, che così affermava: «le
materie che ella trovava erano sempre storie di amori e di colpe, e descrizioni
di paesaggi e costumanze della Sardegna».
9
La Deledda è stata posta, da Giancarlo Buzzi, sullo stesso piano del Verga e
della Serao, ossia di quegli scrittori che dai colori delle passioni di una terra
trassero le loro favole, la loro musica.
La magia della scrittura deleddiana, scrive a tal proposito Neria De Giovanni,
è da ricercarsi nella capacità della scrittrice di arrivare a «descrivere il
dramma umano, le contraddizioni, le attese, le speranze, le idealità dell’uomo
e della donna, in qualunque latitudine essi si trovino»,
10
partendo dalla
consapevolezza di voler interpretare e narrare il popolo sardo. Per questo
l’opera di Grazia Deledda è tra le più tradotte all’estero, per questo «un suo
7
ANNA DOLFI, Grazia Deledda, Milano, Mursia, 1979, p. 179.
8
Ibidem.
9
BENEDETTO CROCE, La letteratura della Nuova Italia, Bari, Laterza,1967.
10
Di Neria De Giovanni si segnalano i volumi Su Grazia Deledda e la letteratura femminile italiana del
secondo Novecento, 1987; Come leggere “Canne al vento” di Grazia Deledda, 1993; Carta di donna.
Narratrici italiane del 900, 1996; Fatalismo, religiosità e magia in Grazia Deledda, 1999; Il peso dell’eros.
Mito ed eros nella Sardegna di Grazia Deledda, 2001, E dicono che siamo poche. Scrittrici italiane
dell’ultimo Novecento, 2003.
7
libro, pur ambientato nelle campagne sarde, parla al cuore di tutti, fin nel
lontanissimo Giappone».
11
È più “viva” che mai, dunque, la scrittrice sarda che parla di «terre brulle e
desolate, di onore violato, di superstizione e di sanguinose faide».
12
Alla grande “poetessa del travaglio morale”, come la definisce Attilio
Momigliano, «l’avvenire serberà il posto che finora non gli fu assegnato».
13
Nessuno, dopo Manzoni, infatti, secondo lo studioso, ha arricchito e
approfondito come lei, in una vera opera d’arte, il nostro senso della vita.
I critici, dunque, pur essendosi affannati a collocare la Deledda in uno dei
tanti “ismi” del tempo, non vi sono riusciti, poiché, come scrive Dino
Provenzal, «ella sfugge ad una definizione quasi che si diverta a rompere
l’anello in cui vogliono chiuderla […] ha uno stile: il suo».
14
La Deledda fu figlia del suo tempo e del suo ambiente culturale.
Il contesto storico-sociale in cui si formò non fu certo quello dei grandi centri
di cultura.
Come ricorda Vittorio Spinazzola, quando la Deledda intraprese la carriera
letteraria «non erano molti, in Italia, i narratori di professione: cioè gli
scrittori che vedessero nel romanzo lo strumento adatto per stabilire un
rapporto saldo e continuativo con larghi settori di pubblico».
15
Nacque a Nuoro, nel “cuore” della Sardegna, il 27 settembre del 1871, da
famiglia benestante. Lì rimase fino a circa trent’anni, quando si sposò e si
trasferì definitivamente a Roma.
Sin da adolescente lesse con passione versi, novelle e romanzi scelti senza
alcun discernimento e, ben presto, cominciò a comporre anche lei, «costretta a
11
NERIA DE GIOVANNI, “Sono una signorina sarda, molto giovane e molto coraggiosa”: lettere inedite di
Grazia Deledda alla “Rivista letteraria” di Arturo Giordano, in «Il Banco di lettura», Arti grafiche Trieste,
30/2005, p.8.
12
Questa è l’opinione del saggista Massimo Onofri nell’accurata e interessante prefazione ad una edizione
delle opere della Deledda: GRAZIA DELEDDA, Grazia Deledda, a cura di Silvia Lutzoni, prefazione di
Massimo Onofri, Nuoro, Il Maestrale, 2010.
13
EMILIO CECCHI, Storia della letteratura italiana, vol. IX, Milano, Garzanti, 1987, p. 255.
14
GRAZIA DELEDDA, Canne al vento, a cura di Dino Provenzal, Milano, Mondadori, 1956.
15
VITTORIO SPINAZZOLA, op. cit., p. 105.
8
scrivere come da una forza sotterranea, […] trascriveva casi e affetti della sua
esperienza provinciale».
16
La sua vita procedeva sempre uguale e monotona, in una solitudine «fatta di
lavoro e di pace», avendo la netta percezione di sentire i giorni «cadere come
le gocce di una clessidra», di pensare «alla vanità della vita e di tutte le cose»,
allo scandire dei giorni che si susseguivano invariati, dei silenzi che
succedevano ai pensieri infiniti, ai sogni, agli sconforti.
La scrittura coincide con il tempo del silenzio e della solitudine, come scrive
la Deledda stessa, «nessun rumore umano giunge sino al mio tavolino […]
attraverso la finestra salgono a me i profumi della valle solitaria».
17
Nata in un’isola dalle tradizioni ferree e dai molti tabù, intelligente e sensibile
com’era, volse il suo sguardo intorno, cercando di comprendere se stessa e il
mondo circostante. E, pur riconoscendosi nel suo ambiente natale, avvertì una
pulsione interiore che la spinse ad infrangere determinate regole per trovare il
pertugio attraverso il quale conquistare quella libertà di pensiero e d’azione
che alle donne della Barbagia (della Sardegna) non era consentita.
Veniva da una Sardegna diversa per cultura e lingua: su di lei, inizialmente,
pesò il pesante pregiudizio nei confronti delle donne scrittrici.
18
Così si sfogava la Deledda in una lettera al critico e giornalista Stanis Manca:
I primi bozzetti che scrissi erano sardi, puramente sardi i personaggi, i
caratteri ritratti dal vivo, come più e meglio potei nella mia debole
fantasia di sedici anni. Credevo di far onore e piacere ai miei compatrioti
e mi aspettavo da loro chissà che; si figuri dunque il mio dolore, il primo
dolore che provai allorché, comparsi alla luce quei racconti, per poco non
venni lapidata dai miei conterranei. […] E questi eroi offesi, esasperati,
non potendo sfidarmi a duello, mi coprivano di maldicenza, di ingiurie,
di ridicolo, arrivando persino a dire che altri scriveva nell’ombra ed io
non facevo che firmare, tanto che il mio povero io, piccola e fragile
16
GRAZIA DELEDDA, Cosima, Grandi tascabili economici Newton, 2002, p. 984. Nel suo romanzo
autobiografico Cosima, quasi Grazia, pubblicato postumo nel 1937, a cura di Antonio Baldini, la Deledda ci
racconta i primi passi della piccola Cosima (era il suo secondo nome) nel mondo delle lettere fino al 1899
quando, dopo un viaggio a Cagliari, conobbe Palmiro Madesani, se ne innamorò, lo sposò e lo seguì a Roma.
17
Ibidem.
18
NERIA DE GIOVANNI, Grazia Deledda: il coraggio di credere nel proprio destino, in Grazia Deledda tra
memoria e futuro, p. 32.
9
creatura che non aveva mai fatto male ad alcuno, provò tale dispiacere,
tale disillusione, da caderne quasi ammalata.
19
La gente sarda non poteva perdonarle di vivere al di fuori dei canoni della
divisione dei ruoli rigorosamente sessista della cultura barbaricina: Grazia
non si dedicava ai lavori donneschi e scriveva storie d’amore e di vendetta,
con passioni e tinte troppo forti per una signorina per bene.
La giovanissima narratrice, per nulla ingenua, umile e schiva come vorrebbe
apparire, è determinata a farsi conoscere nel continente. Forse per compensare
il proprio isolamento, già durante gli anni nuoresi intrecciò relazioni epistolari
con larga parte del mondo letterario italiano.
L’attuale critica deleddiana non ha ben evidenziato il fatto che la giovane
scrittrice esordì, oltre che con poesie e novelle, anche con saggi critici e
recensioni.
Nel 1888, a diciassette anni, la Deledda pubblicò il suo primo scritto intitolato
Sulla Montagna, nel settimanale illustrato «Paradiso dei bambini» edito da
Edoardo Perino, a Roma. Nello stesso anno pubblica sulla rivista del Perino il
racconto dal titolo Sangue sardo.
Sempre nel 1888 la Deledda comincia a collaborare al periodico «L’Ultima
moda», anch’esso dell’editore romano, con racconti più lunghi, pubblicati a
puntate e con lo pseudonimo Ilia di Saint-Ismael.
20
L’anno successivo, sullo stesso periodico, apparve un altro suo racconto Cose
infantili. Si tratta di bozzetti dall’intreccio semplice, ma che già nella
descrizione del paesaggio rivelano quel sentimento lirico della natura che si
affinerà nelle opere successive.
Dal 1891 redattore capo di «L’Ultima moda» fu Epaminonda Provaglio con il
quale la Deledda ebbe uno scambio epistolare durato dal 1891 al 1900.
19
Lettera dell’8 giugno 1891, in GIUSEPPE PETRONIO, Grazia Deledda, Letteratura italiana, i
Contemporanei, Milano, Marzorati editore, 1963, p. 138.
19
Nell’«Ultima Moda» pubblica nel 1888 Sangue sardo; seguono nello stesso
anno Remigia Helder e il romanzo Memorie di Fernanda.
10
Queste lettere aiutano a capire la persistenza di certi caratteri della sua
scrittura, pervasa da un’enfasi romantica, di cui la scrittrice si libererà solo a
cominciare dal romanzo Elias Portolu, uscito a puntate su «Nuova Antologia»
nel 1900, e poi pubblicato in volume da Roux e Viarengo e poi da Treves, nel
1917.
In una lettera del 15 maggio 1892, la scrittrice si presenta al redattore in
termini meno convenzionali:
Ho venti anni e sono bruna e un tantino anche…brutta, ma non tanto però
come sembro nell’orribile ritratto in prima pagina di Fior di Sardegna.
Sono una modestissima signorina di provincia che ha molta volontà e
coraggio in arte, ma che nella sua vita intima, solitaria e silenziosa, è la
più timida e mite ragazza del mondo. Del resto, però, non sono una
fanciulla come le altre: odio il sentimentalismo, e prendo la vita come
viene, con uno sfondo, quasi inconsapevole, di scetticismo e di ironia per
le piccole miserie dell’esistenza.
21
L’anno successivo scrive al Provaglio: «I libri e i giornali sono i miei amici e
guai a me senza di loro».
22
La collaborazione a «L’Ultima moda» si prolungherà fino al 1894 con
racconti e poesie, indicativi della scrittura giovanile della Deledda, ancora
oscillante tra l’elaborazione in prosa e quella in versi.
Nel 1891 ha inizio la collaborazione della Deledda a «Vita sarda», una rivista
di Cagliari, col racconto Vendette d’amore.
23
La collaborazione durerà fino al 1893, anno in cui la rivista cessò le
pubblicazioni.
Queste prove d’esordio, accolte con favore da un pubblico femminile,
ricalcano modelli della narrativa d’appendice.
21
NERIA DE GIOVANNI, op. cit. p. 32.
22
Ibidem, p. 33.
23
Il racconto Vendette d’amore, uscito a puntate dal maggio al luglio del 1891, sulla rivista di Cagliari «Vita
sarda», è dedicato allo scrittore sardo Enrico Costa, che la Deledda aveva ammirato nelle sue letture di
adolescente.
11
Accanto alla passione per la fruizione letteraria, che trova sfogo nella stesura
di romanzi e novelle, si fa strada una convinta attitudine al giornalismo e
un’attenzione agli aspetti socio-antropologici della società.
A suggerirle la strada della ricerca etnografica fu il conte Angelo De
Gubernatis,
24
che, nel 1894, la chiamò a collaborare a diversi periodici da lui
diretti, come la rivista milanese «Natura ed Arte» e la «Rivista delle tradizioni
popolari italiane».
Nel compendio della «Rivista delle tradizioni popolari italiane», Tradizioni
popolari di Nuoro in Sardegna, lo studioso cataloga il paesaggio naturale, le
antiche ideologie e le tradizioni della società pastorale-contadina, le sagre, i
tabù e le concezioni animistiche, lo spirito religioso (dalle pratiche del culto ai
pellegrinaggi), il senso laico e primitivo, il fatalismo e le pratiche magiche:
l’insieme, cioè, del patrimonio etnologico, antropologico e culturale della
Sardegna.
Il rapporto con De Gubernatis ha giocato un ruolo importante nella
formazione docimologica
25
della Deledda e l’analisi del carteggio consente di
percepire l’audacia della giovane scrittrice sarda.
Il corpus completo delle lettere inviate da Grazia Deledda ad Angelo De
Gubernatis è composto da 170 missive e abbraccia l’arco di tempo compreso
tra il 1892 e il 1909. Attraverso queste lettere scopriamo un mondo di
sentimenti, di curiosità, di interessi culturali: la personalità deleddiana ne
risulta più ricca e completa e il lettore ha modo di osservare aspetti finora
sconosciuti relativi a un periodo fondamentale per la formazione della
scrittrice e per le sue prime prove narrative.
24
Il conte Angelo De Gubernatis nacque a Torino il 7 Aprile 1840 e fu, appena ventitreenne, professore di
sanscrito e mitologia comparata all’Istituto di Studi Superiori di Firenze. In seguito ebbe la cattedra di
Letteratura italiana all’Università di Roma. Iniziatore o direttore di numerose riviste (dalla Rivista europea,
1869, a Natura ed arte, 1891, dalla Rivista delle tradizioni popolari italiane, 1893, a Vita italiana, 1894,
ecc.) il De Gubernatis, nel periodo in cui la Deledda gli scrisse la prima cartolina, stava preparandosi a
costituire la Società italiana per il folklore (Roma, 1893) e cercava soci e coadiutori un po’ dovunque nelle
varie regioni italiane; per il folklore sardo trovò nella giovanissima scrittrice nuorese una collaboratrice
entusiasta e un’abile, attivissima organizzatrice.
12
Da un paese che definisce «tanto pittoresco quanto disgraziato» una ragazza
sconosciuta di poco più di vent’anni scrive una lettera in cui si presenta a un
“illustrissimo” -così lo chiama- letterato cinquantenne che non ha mai visto.
Con poche frasi, e senza nessuna timidezza, disegna un autoritratto:
attraverso il circolo di montagne deserte e leggendarie che chiudono il
mio orizzonte, sento tutta la modernità della vita, dei tempi nuovi e dei
nuovi ideali. Credo anche di avere qualche percezione di arte, e sono
molto coraggiosa nella via, che, per intima vocazione, senza studi, senza
esser mai uscita dal mio piccolo nido selvaggio, ho intrapreso. Nessuno
mi ha ajutato, pochi mi hanno compreso - neppure la mia famiglia che è
intelligentissima,- e il poco che ho fatto l’ho fatto tutto da me […] La mia
vita è silenziosissima. Vivo in una casetta tranquilla perduta in una
piccola città che è poi un grosso villaggio.
26
Il 14 Aprile del 1892, Grazia Deledda scrive a De Gubernatis: «Leggo sempre
con piacere la sua «Rivista», e desidererei vedere il mio nome fra i
collaboratori; ma non oso mandarle qualche mio scritto, prima d’esser certa
ch’Ella vorrà farmi l’onore di pubblicarlo».
27
I giornali la fanno sognare. Come i libri, più dei libri: «I giornali le appaiono
come il grande libro del futuro. […] I giornali sono la sua rivolta e la sua
scuola».
28
Il primo maggio dello stesso anno, non senza ardire, così si presenta: «mi
permetto dirle che sono una giovanissima signorina sarda; che sono la sola
scrittrice che conti attualmente la Sardegna».
Nel giro di poco più di venti giorni, con tre brevi missive, la Deledda diventa
collaboratrice della rivista «Natura ed Arte».
In una lettera del 13 luglio 1893, così scrive:
come le ho promesso, comincerò la mia parte di raccolta per il folklore.
Anzi ho cominciato di già a spigolare, e ieri mi sono fatta dettare da un
pastore di Orosei una lauda per Sant’Antonio che è la cosa più strana e
25
Il carteggio della Deledda con De Gubernatis è consultabile on-line al sito web:
http://graziadeledda.splinder.com/archive/2008-10.
26
ELISABETTA RASY, La Grazia e il suo Angelo, «Il sole - 24 ore», 22 giugno 2008. L’articolo è consultabile
on-line al sito web: www.libreriadelledonne.it.
27
GRAZIA DELEDDA, Grazia Deledda, Premio Nobel per la Letteratura 1926, a cura di Cristobal De
Acevedo, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1966, p. 389.
28
ELISABETTA RASY, Tre passioni, Ritratti di donne nell’Italia unita, Milano, Bur, 2011, p. 62.
13