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INTRODUZIONE
La Politica Europea di Sicurezza e di Difesa
La Politica Europea di Sicurezza e Difesa rappresenta oggi lo strumento
principale della Politica Europea di Sicurezza Comune con il quale si
intende “(…)consentire all’Unione di sviluppare le proprie capacità civili e
militari di gestione delle crisi e di prevenzione dei conflitti su scala
internazionale contribuendo così al mantenimento della pace e della
sicurezza internazionale, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite
(..)”.
La volontà di avviare un processo di integrazione tra i Paesi europei anche
in ambito politico-militare risale già al secondo dopoguerra, quando forti
erano le preoccupazioni circa una rinascita militare tedesca e, soprattutto, un
eventuale attacco da parte del blocco sovietico.
Nel 1954 fu istituita a Parigi l’Unione dell’Europa occidentale (UEO) come
mera struttura militare di raccordo tra Belgio, Olanda, Lussemburgo, Gran
Bretagna, Francia, Italia e Repubblica federale tedesca; negli stessi anni, si
propose di creare una vera e propria organizzazione militare di tipo
continentale, capace di divincolarsi dalla supervisione politico-diplomatica
che gli Stati Uniti già esercitavano in Europa attraverso la NATO: tale
organizzazione, denominata Comunità europea di difesa (CED), fu
dapprima istituita nel 1952, ma il suo trattato istitutivo non fu mai ratificato
a causa della strenua opposizione francese.
L’unica alleanza militare a carattere regionale in Europa è rimasta, per più
di trent’anni l’UEO, che ha sempre operato all’ombra della NATO senza
alcun rilievo politico reale. Solo durante i negoziati per la firma del Trattato
di Maastricht si è riaperto il dibattito sull’esigenza di dotare l’allora
Comunità europea di una struttura operativa di difesa, sfociato nella
creazione della politica estera di sicurezza e difesa (PESD) quale aspetto
settoriale della più generale politica estera e di sicurezza comune (PESC).
Il trattato di Amsterdam (1997) ha, poi, compiuto un ulteriore passo in
avanti inserendo all’art.17 del previgente Trattato sull’Unione europea
4
(TUE) le cd “Missioni di Petersberg”, che il Consiglio dei Ministri
dell’UEO aveva istituito nel 1992 in seno a tale organizzazione. Si trattava,
in particolare, di: missioni umanitarie o di soccorso; attività di
mantenimento della pace; missioni di unità di combattimento nella gestione
della crisi, ivi comprese le missioni tese al ristabilimento della pace.
Per svolgere e gestire autonomamente tali missioni, l’Unione europea è stata
dotata di un primo nucleo operativo nel giugno 1999, in occasione del
Consiglio europeo di Colonia che ha predisposto un corpo di 50-60.000
uomini in grado di essere schierato nell’arco di 60 giorni e di mantenere la
posizione per almeno un anno.
Con la riforma di Lisbona, infine, nell’ambito della politica di sicurezza e
difesa comune (PSDC)
1
è stato previsto un ampliamento dello spettro delle
missioni cui l’Unione può dare corso, includendo anche la possibilità di
svolgere azioni congiunte in materia di disarmo, missioni di consulenza e
assistenza in materia militare, missioni di prevenzioni dei conflitti e
stabilizzazioni post-conflitto. Inoltre, tutte le missioni potranno contribuire
alla lotta contro il terrorismo, anche sotto forma di azioni di sostegno a
Paesi terzi per contrastare il terrorismo nei loro territori (art. 43, par. 1,
TUE).
1
Così come ora denominata la politica europea di sicurezza e difesa
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CAPITOLO I
PESC-PESD: Da St. Malo al Trattato di Lisbona
1.1 Dichiarazione di St. Malo e grande malinteso
Nel 1993 entrò in vigore il Trattato sull’UE
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attraverso il quale l’Unione si
dotava di una propria Politica Estera e l’occasione per dimostrare le proprie
capacità e la propria presenza sul palcoscenico internazionale fu offerta dal
Piano Owen-Stoltenberg per un cessate il fuoco nel conflitto in Bosnia in
cui, più precisamente, all’Unione veniva proposta l’amministrazione
provvisoria della città di Mostar, nella futura Federazione Croato-
Musulmana
3
. L’Amministrazione della città di Mostar da parte dell’Unione
europea (AMUE) è considerata la prima operazione dell’UE pianificata e
condotta attraverso la PESC. Con questa missione i Paesi membri volevano
dimostrare in primo luogo che, dopo un’iniziale fase di divisione, potevano
agire insieme concretamente grazie alla PESC. In secondo luogo, Mostar
doveva diventare l’esempio per la ricostruzione della Bosnia. Nonostante
l’Unione Europea non disponesse di una propria forza autonoma, a soli due
anni dalla creazione di una Politica Estera Comune fu in grado di lanciare
una missione molto ambiziosa come AMUE e una più circoscritta come
quella in Albania. Proprio da queste due missioni emersero alcune necessità
per l’Unione. Le due missioni erano state dispiegate in contesti geografici
limitati (Mostar, alcune città dell’Albania), e avevano avuto compiti
essenzialmente di formazione e monitoraggio dell’operato della polizia.
Inoltre, erano state dispiegate senza rispondere a un disegno strategico
preciso, ma soprattutto con sistemi e organi ad hoc, creati caso per caso.
Queste esperienze sul campo e la nuova crisi balcanica, questa volta in
Kosovo, nonché le novità introdotte con il Trattato di Amsterdam erano
quasi un invito alla neonata Politica Estera a dotarsi di braccia per l’azione,
cioè di una capacità autonoma di intervento. Le due missioni avevano reso
2
Trattato di Maastricht (istitutivo dell’UE )
3
DUKE S., The elusive quest for European Security, London, 2000, pag.123.
6
ancora più evidente il carattere “dichiaratorio” della PESC che, vincolata dal
voto all’unanimità, esprimeva posizioni tanto generali da venir condivise da
tutti i Membri, ma difficili da implementare (risoluzione pacifica dei
conflitti, rifiuto dell’uso della forza e lotta contro al violazione dei diritti).
Inoltre, la cooperazione tra UE e UEO si era mostrata più complessa del
previsto: l’Unione aveva bisogno del proprio braccio operativo per rendere
più efficace la politica estera
4
.
Dopo il fallimento della CED, lo stato comatoso dell’UEO e le missioni
affrontate nel quadro PESC, con sullo sfondo la crisi kosovara, Francia e
Gran Bretagna il 4 dicembre 1998, nella località di St. Malo, firmavano la
Dichiarazione congiunta nella quale s’invitava l’Unione Europea a:
giocare un ruolo centrale sul piano internazionale;
essere in grado di intervenire autonomamente, con
strumenti militari ed essere capace a dispiegarli
rapidamente per rispondere a qualsiasi crisi, agendo in
conformità con gli impegni della NATO;
dotarsi delle strutture e dei mezzi per l'analisi degli
scenari, pianificazioni strategiche e strumenti di
intelligence.
La dichiarazione bilaterale fu ripresa in molti dei suoi passaggi e
rappresentò il nocciolo duro del Consiglio Europeo di Colonia del giugno
del 1999 con il quale nasceva ufficialmente la Politica Europea di Sicurezza
e Difesa (PESD): l’Unione dava alla PESC una minima capacità d’azione e
di intervento.
La nascita della PESD non può leggersi soltanto come la volontà del
“gigante economico” di cessare d’essere “un verme militare” poiché vi
concorsero altri fattori. In primis, con la fine della guerra fredda, l’Europa
aveva perso la sua importanza geopolitica. La fine della minaccia sovietica
aveva significato il tramonto della centralità europea nelle priorità
statunitensi, anzi l’invito statunitense ad un’autonomia europea nel campo
4
KEUKELEIRE S. E. MACNAUGHTAN J, The Foreign Policy of the European Union, New
York, 2008, pag. 163.
7
della sicurezza era la logica conseguenza della fine della guerra fredda
5
.
In secondo luogo, il processo d’integrazione economica, giunto a buon
punto, ebbe come conseguenza naturale una maggiore integrazione politica.
Bisogna sottolineare che con Maastricht i passi avanti in questa direzione
furono molto limitati, mentre la fine della guerra fredda metteva in luce il
divario tra la grandezza economica dell’UE e il suo esiguo peso politico
6
.
A questi aspetti “comunitari”, si devono aggiungere la svolta in Gran
Bretagna con il New Labour di Tony Blair che voleva impegnarsi
maggiormente nella politica europea e il cambiamento di visione della
Francia nei confronti della NATO. Inoltre, Blair nel 1999 sostenne la
necessità di un cambiamento del concetto di non interferenza, asserendo che
gravi violazioni dei diritti umani o atti di genocidio impongono alla
comunità internazionale d’intervenire. L’Unione doveva essere in grado di
gestire le crisi in conformità con quanto dichiarato tra gli obiettivi della
PESC: “preservare la pace e rafforzare la sicurezza internazionale” e
“sviluppare e consolidare la democrazia, lo stato di diritto, le libertà
fondamentali ed i diritti umani”.
La guerra in Bosnia, le atrocità che ne seguirono, l’immobilità degli europei
e la crisi kosovara furono i fattori esogeni.
Gli insegnamenti e gli inputs che gli europei trassero dalla guerra in Bosnia
furono notevoli. Il primo fu un insegnamento etico: la barbarie del
genocidio tornò prepotentemente in Europa e gli Stati europei rimasero
impassibili. La violenza e la brutalità della guerra in Bosnia, soprattutto,
avrebbero dovuto rappresentare dei validi motivi affinché gli europei
unissero i propri sforzi, superando le iniziali divisioni, invece, il primato
morale dell’Europa fu spazzato dal conflitto in ex- Jugoslavia
7
. Non soltanto
la Bosnia, ma anche il conflitto in Kosovo fu tra gli acceleratori del
processo d’integrazione militare: a quattro anni dalla pace di Dayton, l’UE
di fronte alla nuova crisi nel proprio cortile rimase impotente, l’ora
5
HOWORTH J., Security and Defence Policy in the European Union, London, 2007, pag. 53.
6
GNESOTTO N. ( a cura di ), La politica europea di sciurezza e difesa dell’UE, Parigi, 2004,
pag. 38.
7
GNESOTTO N., op. cit. pag. 42.
8
dell’Europa tardava a scoccare e non si era ancora dotata né di un sistema
decisionale adeguato e tantomeno degli strumenti per intervenire.
Nell’autunno del 1998, poco prima dell’inizio della crisi kosovara, Blair
dichiarò che “l’incapacità delle ricche nazioni europee a contenere una crisi
all’interno dei propri confini è patetica”
8
.
Il secondo insegnamento concerneva l’uso della forza e l’inadeguatezza
delle Forze Armate europee, costituite per rispondere ad una invasione
terrestre da parte di un esercito regolare e incapaci di adeguarsi alle nuove
sfide alla sicurezza dello scenario post guerra fredda.
In terzo luogo, la guerra in Bosnia dimostrò il divario esistente tra la
potenza effettiva di alcuni membri dell’Unione e l’inerzia decisionale della
stessa.
Infine, la crisi balcanica dimostrò tutta la volontà statunitense affinché gli
europei imparassero a gestire da soli le proprie crisi, però il dramma
bosniaco fu risolto soltanto con l’intervento dell’Alleanza Atlantica nella
seconda parte del conflitto.
La reazione dell’Amministrazione statunitense a Saint Malo ebbe una certa
ambiguità, che caratterizzerà l’approccio americano nei confronti della
politica di difesa europea: se nel decennio 1989-’99 gli USA avevano
premuto per una maggiore autonomia nel settore della difesa, quando questa
si stava realizzando si mostrarono sospettosi.
Il 7 dicembre del 1998 l’allora Segretario di Stato Albright pubblicò sul
Financial Times un articolo in cui invitava gli europei al rispetto delle 3D:
no discrimination, no decoupling, no duplication. In base al principio delle
tre D in merito alla difesa europea si doveva evitare ogni “inutile”
duplicazione di strutture militari che avessero potuto determinare in
qualsivoglia misura un allentamento dei rapporti fra Stati Uniti e Stati
membri europei e una “discriminazione” rispetto agli Stati dell’Alleanza ma
non dell’Unione europea
9
. Jolyon Howorth ed altri sostengono che le paure
8
SHEPHERD A., A milestone in the history of EU: Kosovo and EU’s International role,
International Affairs, 2009 , pag. 516.
9
VALVO A.L., L’Unione Europea dal Trattato “costituzionale” al Trattato di Lisbona,
Roma, 2008, pag. 201.
9
statunitensi furono dettate maggiormente da una certa impulsività che da un
ragionamento approfondito: la PESD non vuol essere competitiva nei
confronti degli USA, fin da St. Malo viene infatti ribadita la centralità e
l’insostituibilità dell’Alleanza. In generale, è da notare un trend per cui
Washington si è mostrata sempre sospettosa verso qualsiasi progetto di
integrazione europea. Alla fine della Seconda guerra mondiale, gli USA
accolsero con diffidenza il progetto del mercato unico europeo, temendo che
potesse minare i propri interessi nel lungo periodo, ma proprio nel lungo
periodo le due sponde dell’Atlantico beneficiarono dei vantaggi derivanti da
un mercato europeo integrato. Lo stesso ragionamento può esser fatto per la
moneta unica europea. Con l’euro gli americani temevano che tale progetto
avrebbe minacciato la stabilità del mercato mondiale, invece sia il governo
statunitense che il settore privato, oggi, sfruttano i vantaggi provocati da una
moneta stabile e di un partner commerciale che utilizza una valuta singola.
A questo punto è evidente che la PESD non fu un errore d’inesperienza di
Tony Blair e tantomeno la volontà di un impegno deciso in Europa, il Primo
ministro inglese, semplicemente, accelerò il processo d'integrazione delle
politiche di sicurezza e difesa a livello europeo, ma non lo generò.
Ovviamente, alla base di St. Malo ci fu anche il fraintendimento franco-
britannico: per la Francia la PESD avrebbe dovuto rappresentare
l’ambizione europea ad una propria difesa indipendente dalla NATO,
mentre per la Gran Bretagna la PESD avrebbe aiutato i paesi europei a
ridurre il divario tecnologico tra le due sponde dell’Atlantico, riconoscendo
il primato della NATO nella difesa europea, come sottolineato in ogni
documento ufficiale dell’UE.
Infine, la PESD non è, e difficilmente sarà, lo strumento attraverso il quale
l’UE potrà bilanciare la superpotenza statunitense perché non ne ha né i
mezzi e tantomeno la volontà. La PESD non ambisce a creare un esercito
europeo. La Politica di difesa è semplicemente un sistema di
armonizzazione delle politiche nazionali in materia di difesa. Si tratta della
fusione del settore della difesa, di un processo d’integrazione degli interessi
statali nel campo della sicurezza. La PESD è la continuazione del processo