7
1. LEADERSHIP E
FOLLOWERHIP
1.1 INTRODUZIONE AL
CONCETTO DI
LEADERSHIP
Definire il termine di leadership in modo univoco e chiaro è un compito
assai arduo: si tratta, infatti, di un vocabolo altamente inflazionato, su cui non
esiste tuttora una concordanza di significato. A tal proposito, Stogdill ha
affermato negli anni settanta che «ci sono almeno tante definizioni di leadership,
quante sono state le persone che hanno cercato di definirne il concetto».
3
Nella
letteratura scientifica psico-sociale spesso si utilizza il termine di leadership
intendendo la capacità di influenzare e mobilitare i membri di un gruppo sociale
verso il raggiungimento di determinati obiettivi, fissati dal gruppo stesso.
Tuttavia, una tale definizione, appare riduttiva e parziale perché rende conto solo
di una minima parte della complessa realtà che ruota attorno alla figura del leader.
Si sono susseguite nel tempo varie formulazioni teoriche del concetto di
leadership focalizzando l‟attenzione ora su un aspetto ora su un altro. Molti studi
hanno cercato di evidenziare non solo l‟aspetto strumentale legato semplicemente
al raggiungimento dello scopo, ma anche tutte le altre funzioni, in ambito sociale
3
STOGDILL R.M. (1974), Handbook of leadership. A survey of literature, Free Press,New York.
8
e relazionale, che caratterizzano l‟esercizio della leadership come, ad esempio,
l‟interazione con i follower, la costituzione di un‟identità collettiva, la promozione
di una coesione sociale. Per cercare di orientarci in questo vasto repertorio di studi
e ricerche che la letteratura offre, è necessario, prima di tutto, distinguere il
concetto di leadership da altri quali il potere, l‟autorità ed il controllo, troppo
spesso utilizzati come sinonimi, creando ancora più confusione concettuale. Già
Hollander, nel 1985, ha voluto sottolineare la differenza esistente tra leadership e
potere: secondo l‟autore «la leadership implica l’influenza di un membro del
gruppo sugli altri (rispettivamente, leader e seguaci), in una situazione specifica,
in vista del raggiungimento degli obiettivi del gruppo, e produce persuasione».
4
Il
potere, invece, implica aspetti di coercizione e controllo, e produce compiacenza,
acquiescenza. A tal proposito, Novara e Sarchielli (1983) propongono le seguenti
distinzioni concettuali:
il potere è la capacità di influenzare o di vincere le resistenze degli altri,
assicurandosi comportamenti di adesione o di acquiescenza a seconda che,
rispettivamente, vengano convinti che il leader abbia ragione ed è colui
che detiene il potere oppure si lasciano dirigere dall‟alto,
indipendentemente dalla ragione, senza opporre resistenza;
l‟autorità è l'insieme di qualità proprie di una singola persona alle quali gli
individui si assoggettano in modo volontario per realizzare determinati
scopi comuni. Il concetto di "autorità" comprende la legittimazione, la
giustificazione ed il diritto di esercitare del potere; essa, infatti, è di norma
riconosciuta dagli altri membri del gruppo ad una particolare persona che,
come evidenzia Turner (1991), esercita un «potere di influenzare (o
controllare) fondato su norme sociali, tradizioni, valori e regole»;
il controllo è la modalità con cui viene valutato il conseguimento degli
obiettivi predefiniti e si assicura che venga rispettato un certo patto sociale
che lega fra loro leader e membri;
4
HOLLANDER E.P. (1985), Leadership and Power, in LINDZEY G., ARONSON E. (Eds.), The
Handbook of Social Psychology, New York, Random House, vol. 2
9
la leadership, pur comprendendo gli aspetti appena citati, possiede una
propria specificità, quale processo di influenza, caratterizzato dalla
capacità di creare un consenso volontario nelle persone coinvolte,
un‟accettazione soggettiva e motivata rispetto agli obiettivi del gruppo o
dell‟organizzazione.
Da questa chiarificazione concettuale, si evince quanto il potere, seppur
distinto dalla leadership, è fortemente legato ad essa, dato che è uno dei mezzi
mediante il quale un leader influenza i follower. In senso lato, si potrebbe definire
il potere come «l’energia essenziale per intraprendere e sostenere l’azione che
traduce l’intenzione in realtà».
5
Dunque, esso rappresenta una risorsa importante
per permettere al leader di influenzare gli altri e di ottenerne il consenso, è un
requisito senza il quale il leader non potrebbe guidare i follower: si potrebbe dire
che leadership e potere sono le due facce della stessa medaglia. Il potere può
essere distinto in due categorie, come osservava Etzioni nel 1961, a seconda che
derivi dal ruolo ricoperto oppure dalle qualità personali. Parliamo così di:
potere di posizione: proviene dal fatto di ricoprire una determinata
posizione all‟interno dell‟organizzazione che permette di utilizzare risorse
specifiche come il controllo su follower, ricompense e sanzioni, e il
riconoscimento di un‟autorità formale. Rappresenta, quindi, un tipo di
potere che viene dall‟alto e fluisce verso il basso;
potere personale: è costituito dalle qualità personali possedute dal leader
come la competenza tecnico-professionale, il carisma personale, la
capacità si stimolare sentimenti positivi, di lealtà e di identificazione.
Rappresenta un tipo di potere che viene dal basso, cioè riconosciuto dai
follower e per questo motivo si sentono ben disposti e impegnati nei
confronti del leader.
Dopo aver chiarito la distinzione concettuale di leadership da altri termini,
utilizzati spesso come sinonimi, è necessario ora cercare di delineare il concetto di
5
BENNIS W. E NANUS B. (1999), Leader, anatomia della leadership, Franco Angeli, Milano.
10
leadership. Partendo dalla radice etimologica del termine, si arriverà alle varie
definizioni che sottolineano chiaramente la sua complessità e, soprattutto, la sua
multidimensionalità. “Leadership” è un termine inglese che trova la sua radice nel
verbo to lead, ossia guidare, condurre. Dall‟alto germanico “witan” che significa
guidare, indirizzare e dal latino “cum ducere” che sta per tirare insieme,
coordinare, si giunge all‟italiano dove la parola più simile a tali significati è
“guida”, che indica l‟indirizzo verso una meta. Ma la parola leader è molto più
incisiva e ha un‟accezione più ampia, perché il termine “guida” potrebbe indicare
semplicemente un oggetto astratto od inanimato oppure «una persona che ci
conduce lungo un percorso ma senza compartecipare con noi alcunché».
6
Ma
allora come si può definire realmente la leadership, andando oltre il significato
letterale? Chi è il leader? Per questo motivo, per mantenere quindi l‟interezza del
significato del concetto di leadership, si è scelto di non tradurre il termine
leadership nella lingua italiana. La parola “leader” si trova, così, nel dizionario
italiano con la seguente definizione: «colui che indirizza verso una meta
determinata, suscita o provoca un determinato effetto; colui che indica il percorso
da seguire».
7
Nel tempo, tuttavia, sono state proposte svariate definizioni, in
relazione ai diversi approcci metodologici e alle diverse dimensioni culturali che
hanno influenzato l‟elaborazione del concetto di leadership, dimostrando che esso
è in continua evoluzione. Bass (1990), nella sua opera “Bass and Stogdill‟s
handbook of leadership”, ha raccolto in undici categorie i diversi significati
attribuiti alla leadership che sono stati elaborati nel corso dell‟ultimo secolo:
Leadership come focus della dinamica di gruppo. Elaborata nei primi anni
nel XX secolo da autori come Cooley e Brown
8
, questa definizione pone al
centro della scena il gruppo.
Leadership come personalità e suoi effetti. Gli autori che fanno parte di
questo indirizzo, ritengono, sulla scia della teoria dei tratti di cui si parlerà
6
TRENTINI G. (2002), Oltre il potere. Discorso sulla leadership, Franco Angeli, Milano.
7
GALLINO L. (1997), Utet – Dizionario di Sociologia, sec. edizione.
8
Brown, J.F. (1936): «Il leader non può essere separato dal gruppo, ma può essere trattato come
colui che detiene la posizione più elevata, con alto potenziale»
11
nel prossimo capitolo, di potere individuare delle caratteristiche personali
specifiche che contraddistinguono i leader dalle altre persone.
Leadership come l’arte di indurre il consenso. I leader sono gli unici
artefici della relazione con i collaboratori, i quali sono considerati oggetti
passivi e quindi oggetto di un‟ influenza unidirezionale.
Leadership come esercizio di influenza. L‟influenza, in questo caso, non è
unidirezionale, ma riconosce la reciprocità della relazione tra individui.
Leadership come comportamento. Originata dall‟Organizational
Behavior
9
, corrente che si contrappone alla teoria dei tratti, la leadership
viene spiegata in funzione di comportamenti caratteristici dell‟esercizio
della stessa.
Leadership come forma di persuasione. L‟attenzione si focalizza sulla
relazione con i seguaci, cercando di rimuovere ogni implicazione alla
coercizione.
Leadership come relazione di potere. In questa definizione ciò che
acquista centralità è il potere del leader che si manifesta nel momento in
cui egli induce i seguaci ad attuare dei comportamenti per raggiungere un
obiettivo comune.
Leadership come strumento per raggiungere l’obiettivo. Anche in questo
caso, come in quello precedente, compare l‟elemento del raggiungimento
degli obiettivi comuni ma la differenza sta nel modo in cui questi obiettivi
vengono fatti raggiungere. Nella definizione precedente, infatti, assumeva
centralità il potere, in questa, invece, si dà particolare rilievo ai compiti di
motivazione, di coordinamento del leader.
Leadership come fattore emergente dell’interazione. L‟importanza di
questo enunciato sta nell‟aver messo in evidenza che la leadership emerge
dal processo di interazione tra individui e non avrebbe ragione di esistere
senza di esso.
9
Organizational Behavior (OB) è lo studio degli individui e il loro comportamento nell'ambito
dell'organizzazione, in un ambiente di lavoro. Si tratta di un campo interdisciplinare che
comprende la sociologia, la psicologia, la comunicazione e la gestione.
12
Leadership come ruolo di differenziazione. Fa parte della teoria dei ruoli
10
secondo la quale ogni individuo interagendo con altre persone o con un
gruppo gioca un ruolo, solitamente diverso dagli altri individui.
Leadership come l’iniziazione di una struttura. Con questa affermazione si
è voluto sostenere che la funzione di leadership è indispensabile per
l‟iniziazione e il mantenimento di una struttura organizzativa.
Una definizione importante che ha avuto notevole influenza nella
letteratura della leadership è quella proposta da Tannenbaum (1977). Egli descrive
la leadership come un processo di influenza interpersonale tra leader e follower,
10
Secondo la Teoria dei Ruoli di Moreno (1934) : una certa sequenza di azioni previste, detta
appunto "ruolo", fa capo ai singoli attori che occupano determinate posizioni all'interno di uno o
più gruppi, entro i quali esiste un equilibrio, determinato dal fatto che ad ogni "status" vengano
attribuite distinte funzioni. Sulla base della dinamica del ruolo, ogni individuo deve corrispondere
alle aspettative relative; il ruolo è quindi definibile come un modello di comportamento sociale
appropriato in relazione alle aspettative e al modo effettivo in cui un individuo si comporta in una
certa situazione". La teoria dei ruoli elabora taluni concetti:
a) L'attesa dei ruoli: il ruolo, predeterminato in base all'età, definisce ciò che gli altri si
aspettano da lui e particolarmente le imitazioni alle quali è invitato, e ciò che, in cambio,
il bambino si aspetta dagli altri.
b) La percezione dei ruoli: Il bambino impara ad avere consapevolezza del proprio ruolo
sociale in conseguenza al compimento di determinati atti che ricevono consenso perché
rispondenti al ruolo atteso. Il ruolo infatti, ossia l’insieme di aspettative, è sempre un
prodotto sociale, è l’esito della cristallizzazione delle norme e dei valori sociali che
definiscono le modalità e i contenuti comportamentali di una specifica posizione sociale.
Norme che possono essere sia esplicite (codici giuridici o deontologici) sia implicite
(regole di un gruppo di pari, etichetta etc.). Il ruolo ha dunque, oltre alla dimensione di
aspettativa, anche una dimensione normativa: l’assunzione di un ruolo obbliga l’attore
ad agire secondo comportamenti attesi;
c) L'impegno nei ruoli: La risposta attiva del bambino alla domanda degli altri può essere
più o meno intensa, in dipendenza di una serie di fattori che concernono la natura della
comunicazione.
d) L'integrazione dei ruoli con la personalità: Se è vero che i ruoli sembrano dipendere
essenzialmente dalle norme sociali, e costituire l'identità sociale del soggetto, questa
non va semplicemente considerata come la somma dei personaggi. Le cosiddette qualità
riferite all'io - io sono onesto, sincero , impulsivo, etc. - non differiscono
fondamentalmente dai ruoli - io sono un figlio, un fratello, un soldato - : si tratta
piuttosto di apprendimento dei modelli proposti. Con la personalità invece entra in
gioco anche la valutazione di tali modelli in base al loro apporto ad una « sensibilità »
individuale, attorno alla quale il soggetto elabora un piano di vita. Non si può concepire
questa attività indipendentemente dai ruoli svolti; essa può tuttavia giungere al rifiuto di
questo o quel ruolo e comportare già nel bambino una opposizione alle aspettative degli
educatori. A questo titolo, è una funzione di crisi esattamente come è una funzione di
armonizzazione.
13
tramite un processo di comunicazione, avente luogo in una determinata situazione
e con il fine di raggiungere scopi prefissati. Questo tipo di definizione permette di
estendere il concetto di leadership a tutte quelle relazioni interpersonali nelle quali
siano presenti tentativi d‟influenza. Inoltre, Tannenbaum sottolinea che la
leadership è un processo dinamico piuttosto che un ruolo statico e prescrittivo in
quanto è variabile da una situazione all‟altra, tenendo conto della soggettività del
leader, delle qualità dei collaboratori e della temporaneità dei momenti. Si tratta di
una visione sistemica della relazione tra il leader ed il dipendente in cui ognuno
influenza ed è influenzato al tempo stesso dal comportamento dell‟altro, tenendo
presente il contesto in cui si sviluppa la relazione e considerandolo come terza
variabile interveniente. Infine, un concetto fondamentale che rientra nella
definizione fornita dall‟autore è quello di “situazione” in cui l‟influenza è
esercitata. La situazione comprende:
- fenomeni fisici come il luogo, la disposizione dei mobili, il rumore;
- la presenza di altri individui;
- l‟organizzazione come sistema sociale;
- una cultura ampia che racchiude anche le prescrizioni di ruolo;
- obiettivi, sia personali che di gruppo e dell‟organizzazione stessa.
Molti ancora hanno tentato di illustrare esaustivamente il concetto di
leadership senza, però, mai arrivare ad una definizione condivisa. Tra le voci più
autorevoli della letteratura sulla leadership ricordiamo Brown: «Il leader è la
persona che può influenzare gli altri membri di un gruppo più di quanto sia essa
stessa influenzata»
11
; Turner: «Il leader è colui che mostra più iniziativa nel
dirigere, suggerire, consigliare, proporre idee rispetto agli altri membri del
gruppo; occupa una posizione elevata nella gerarchia di status e ricopre una
posizione centrale nella rete di comunicazione nel gruppo»
12
e Drucker «La sola
11
BROWN R. (1990), Psicologia sociale dei gruppi. Dinamiche intragruppo e intergruppi, Bologna,
Il Mulino.
12
QUAGLINO G.P. (1999), Leadership, Raffaello Cortina Editore, Milano.
14
definizione di leader è quella di qualcuno che ha dei seguaci».
13
La pluralità di
definizioni che si sono prodotte nel tempo, e che tuttora continuano a susseguirsi,
dimostrano il fatto, già sottolineato inizialmente, che il fenomeno della leadership
è complesso e variegato. Esso è riscontrabile in contesti diversi e, pertanto,
diventa difficile inquadrare il concetto in un‟unica area teorica. La leadership è,
infatti un fenomeno organizzativo, ma anche sociale, politico e psicologico. Si
può notare, comunque, che nella vastità e nella diversità delle prospettive, esiste
un punto d‟accordo: vi è influenza tra individui ogni volta che vi è interazione tra
essi, e la leadership è proprio il processo volto ad influenzare le attività degli altri
al fine di conseguire un obiettivo specifico, garantendo al singolo e al gruppo di
esprimersi al meglio delle proprie possibilità, sviluppando il proprio potenziale.
1.1.1 Leader e leadership
Prima di procedere nella disamina del fenomeno della leadership, è
opportuno chiarire una semplice, ma fondamentale differenza tra i termini di
leader e leadership. Come sottolinea Kotter (1989), spesso vengono utilizzati
erroneamente come sinonimi, mentre è necessario distinguere che:
il leader è colui che occupa questo ruolo all‟interno di un gruppo,
indipendentemente dal fatto che possieda o meno le abilità necessarie
ad esercitare la leadership;
la leadership è l‟esercizio di abilità specifiche.
Non sempre, infatti, chi occupa il ruolo di leader in un‟organizzazione è in
grado di esercitare la propria leadership in modo efficace. A questo proposito
13
DRUCKER P.F., (1989), Economia, politica e management, Etas Libri, Milano.
15
Kouzes e Posner (1987) distinguono tra leadership riconosciuta ed imposta, le cui
caratteristiche vengono riportate di seguito:
leadership riconosciuta, derivata dall‟esercizio di alcune abilità quali:
- abilità personali: attitudine del leader di gestire se stesso e il
proprio stato emozionale in modo da assumere l‟atteggiamento più
adeguato per affrontare ciascuna situazione;
- abilità relazionali: capacità del leader di motivare, comunicare e
negoziare con i propri collaboratori;
- abilità di pensiero strategico: capacità utilizzate dal leader per
definire con chiarezza l‟obiettivo e il piano di azioni specifiche per
conseguirlo;
- abilità di pensiero sistemico
14
: consentono al leader di conoscere il
funzionamento dell‟organizzazione nella quale opera e di valutare
l‟impatto delle proprie scelte su di essa, consapevole del fatto che il
sistema funziona in modo organico grazie all‟interazione fra le
parti;
leadership imposta, nella quale il potere deriva esclusivamente dal ruolo
occupato dal leader all‟interno dell‟organizzazione. Si basa esclusivamente
su rapporti gerarchici e su direttive da rispettare. Non essendo basata,
dunque, su specifiche caratteristiche personali e relazionali del leader non
genererà stima tra i collaboratori, quindi nel tempo è destinata ad essere
perdente rispetto la leadership riconosciuta.
Pertanto il leader è colui che “detiene il potere”, mentre la leadership è la
capacità di gestire tale potere.
14
Il pensiero sistemico propone una nuova maniera di guardare il mondo e l’impresa, per
cercare di dominarne meglio la complessità: considerare non gli elementi singoli ma l’insieme
delle parti, intese come un tutto unico, concentrandosi sulle relazioni tra gli elementi piuttosto
che sui singoli elementi presi separatamente.
16
1.1.2 Leadership vs Management
«Management is doing the things right, leadership is doing the right
things» (Warren Bennis, 1996). Questa frase di Bennis sintetizza in modo chiaro
la differenza sostanziale, sottolineata frequentemente in ambito aziendale, che
esiste tra il ruolo del manager e quello del leader. Il management è generalmente
definito come “far compiere agli altri le azioni necessarie”, mentre la leadership
consiste nel “convincere gli altri a far compiere le azioni necessarie”. Il
management è spesso basato su un potere prettamente gerarchico e si fonda su una
relazione di autorità. La leadership, invece, si basa sul potere personale, sulla
capacità di comunicare un obiettivo, di condividerlo con i collaboratori e di
ottenere il loro impegno per il suo raggiungimento. Nel libro di Bennis “Come
diventare un leader” vengono elencate una lista delle differenze principali:
Il Manager amministra ed il Leader innova;
Il Manager sostiene il Leader sviluppa;
Il Manager si concentra sui sistemi e la struttura, il Leader si concentra
sulle persone;
Il Manager si basa sul controllo, il leader ispira fiducia;
Il Manager accetta la realtà, il Leader si interroga e ricerca nuove realtà e
situazioni;
Il Manager ha una vista a corto raggio, il Leader ha una prospettiva a
lungo raggio;
Il Manager chiede come e quando, il Leader chiede cosa e perché;
Il Manager ha il suo occhio sempre sulla linea di fondo, il leader ha il suo
occhio verso l'orizzonte;
Il Manager accetta lo status quo; il Leader le sfida.
Queste distinzioni permettono di porre l‟accento sulle caratteristiche di
gestione e di amministrazione tipiche del manager e su quelle di influenza e di
17
guida tipiche del leader. Bennis e Nanus (1987) affermano che il leader è
interessato al know-why
15
, prima del know-how, cioè prima di capire come fare
qualcosa, prova a capire il perché si debba compierla. L‟attività del leader, quindi,
è maggiormente orientata al problem finding
16
, piuttosto che al problem solving,
ossia la soluzione del problema. Proprio per queste capacità di scopritore di
problemi, più che risolutore, il leader non ha solo il compito di dare ordini, ma si
relaziona con tutti i suoi follower, influenzandoli, formandoli ed educandoli. Il
manager, invece, è orientato più al problem solving ed alla ricerca dell‟operatività
e dell‟efficienza. Il tema della differenza tra leadership e management è diventato
oggetto di discussione alla fine degli anni ‟50, in un contributo di Selznick (1957)
in cui sosteneva che «la leadership non equivale alla gestione dell’ufficio, al
prestigio, all’autorità o al decision making […] non serve identificare la
leadership con tutto ciò che viene fatto da coloro che occupano posizioni di
vertice. L’attività alla quale ci riferiamo può essere o non essere intrapresa da
coloro che formalmente detengono posizioni d’autorità»
17
. Alla fine degli anni
‟70, il discorso viene ripreso con nuova forza da Zaleznik (1977) che descrive la
leadership come la capacità di influenzare gli altri, una capacità che non è
necessariamente riconducibile al management.
15
Il know-how ci insegna come comportarci, ma non cosa fare quando si verificano problemi o
variazioni, anche piccole, delle condizioni generali. Se, invece, comprendiamo il know-why, ossia
il perchè dobbiamo agire in un determinato modo, saremo in grado di superare ogni difficoltà.
Ogni azienda e ogni persona dovrebbe avere oltre al know-how, un proprio know-why, inteso
come progetto e obiettivo in funzione del quale orientare ogni scelta strategica aziendale e
professionale. Conoscere il perché delle proprie scelte, sapere dove si vuole arrivare, definire i
propri obiettivi, tutto questo è il know-why.
16
Il termine problem finding che letteralmente significa “scoperta di un problema”, indica una
parte del processo mentale che porta alla risoluzione di un problema (problem solving). Il
problem finding è quella fase che comprende l’individuazione e la definizione di una situazione
problematica a partire proprio dalla decisione di fermarsi a pensare. Il problem finding si attiva
nel momento in cui ci troviamo davanti ad una situazione di squilibrio tra obiettivi e bisogni-
desideri e che richiede un primo atto cognitivo, quello di fermarsi a pensare per definire e
delineare le caratteristiche del problema.
17
Selznick, P. (1957) Leadership in Administration, A Sociological Interpretation New York:
Harper & Row.
18
Un altro studioso fortemente interessato ad approfondire questa
contrapposizione è Kotter
18
(1988). Egli afferma che i manager si occupano di
tecniche di pianificazione, di controllo delle risorse per raggiungere obiettivi
futuri, ed in funzione di questo si avvalgono di un sistema puntuale di verifica e
controllo delle prestazioni dei collaboratori. I leader, invece, si concentrano sulle
eventuali opportunità di cambiamento e sviluppo dell‟organizzazione, e per
realizzare tali condizioni incoraggiano la crescita professionale dei follower,
rendendoli consapevoli del proprio ruolo e contributo, attraverso la conoscenza
delle loro possibilità, ma anche dei loro limiti. Il manager usa il potere e il ruolo
formale di autorità per condizionare le azioni dei collaboratori mentre il leader
modifica il modo di pensare dei seguaci. Infatti la leadership è un processo volto
allo sviluppo di una visione futura che venga condivisa da tutti, follower
compresi. A tal fine diventano quindi fondamentali le seguenti azioni:
l‟orientamento, cioè la capacità di dirigere e influenzare gli altri verso una
specifica meta;
la motivazione, quindi l‟insieme dei motivi e delle ragioni che causano
determinati comportamenti;
l‟ispirazione, cioè l‟impulso e la voglia interiorizzata di perseguire una
meta.
Per identificare sinteticamente i differenti ruoli del manager e del leader, si
usano spesso due verbi ben distinti: il verbo “comandare” attinente alla figura del
manager e il verbo “guidare” attinente alla figura del leader. Tutto questo non
significa però che il leader debba essere giudicato migliore del manager perché,
all‟interno dell‟azienda, entrambe le figure risultano indispensabili. Esistono,
infatti, situazioni in cui è prioritario amministrare ed altre in cui si deve motivare
e supportare il personale. Soprattutto in un contesto competitivo come quello
attuale, la classificazione rigida tra manager e leader non può essere più
completamente accettata. Infatti, le ultime teorie sono volte più all‟integrazione
18
John Kotter Paolo, nato nel 1947, è professore presso la Harvard Business School ed è
considerato un'autorità nel campo della leadership.
19
tra i due ruoli che alla loro contrapposizione. Il leader, quindi, dovrà essere allo
stesso tempo anche manager, cercando di raggiungere gli obiettivi di efficienza
oltre a quelli di efficacia. Per questi motivi, oggi, la formazione manageriale nelle
grandi aziende è focalizzata principalmente su tematiche quali la gestione delle
risorse umane, la leadership e la motivazione. Per sopravvivere nel contesto
economico contemporaneo stanno diventando sempre più importanti qualità come
l‟innovazione e la creatività; in tal senso i manager, se vogliono vincere la
concorrenza e rendere la propria organizzazione competitiva, dovranno essere in
grado di trovare nuovi metodi di risoluzione dei problemi in modo da anticipare i
concorrenti sul mercato. A questo punto, si può parlare di manager integrato:
saper guidare, e non più comandare, i collaboratori su cui esercitare la propria
autorità con l‟obiettivo di far coincidere sempre l‟efficienza con l‟efficacia.
1.2 LA FOLLOWERSHIP
La followership è stata una disciplina poco studiata. Sin dai primi studi
sulla leadership si è posto al centro dell‟attenzione quasi esclusivamente la figura
del leader, considerato l‟unico elemento, all‟interno del sistema organizzativo,
capace di determinare in maniera univoca il successo o il fallimento dell‟intera
organizzazione. Questa convinzione ha portato gli studiosi verso la ricerca di
connotazioni personali e di modelli comportamentali del ruolo del leader che
hanno ignorato per molto tempo la reale e influente relazione che intercorre tra i
leader e il resto del gruppo, ossia i follower. Sebbene già nel 1933 Mary Parker
Follett
19
, pioniera nel campo della teoria organizzativa e comportamento
19
Mary Parker Follett (1868-1933) è una pensatrice americana interessante, una pioniera
nell'ambito delle relazioni e dell'organizzazione industriale, un'autrice progressista ed
un'esponente della corrente di pensiero pluralista. Si dedicò all'elaborazione di una scienza
20
organizzativo, aveva auspicato una maggiore ricerca sulla followership, un
argomento a suo parere, della massima importanza, ma troppo poco considerato,
la ricerca rimase comunque centrata sul ruolo del leader. Uno dei motivi principali
per cui i seguaci sono stati sistematicamente posti in secondo piano è la
connotazione negativa legata al termine "follower". La followership può essere
definita come la capacità di seguire effettivamente le direttive e sostenere gli
sforzi del leader, per massimizzare i risultati, all‟interno di un'organizzazione
strutturata. Tuttavia, il termine "followership" è spesso legato a concetti negativi
quali passività, debolezza e conformismo. Un altro motivo per cui si è sviluppata
poco la ricerca sui seguaci nasce da un equivoco secondo cui la leadership è più
importante della followership. Il presupposto di una buona followership è
semplicemente fare ciò che si è detto e il raggiungimento di un obiettivo in modo
efficace rappresenta il risultato di una buona leadership, senza valorizzare il
merito dei follower. La letteratura organizzativa è piena di studi sulle
caratteristiche del leader che sottolineano la convinzione che la buona o cattiva
leadership spiega in gran parte i risultati organizzativi. Tuttavia, questa visione
ignora il fatto che i leader devono ai propri seguaci il raggiungimento degli scopi
prefissati. L‟efficacia di un leader, infatti, dipende in larga misura dalla volontà
dei seguaci e dal loro consenso. Senza seguaci non può esistere un leader. In
merito a ciò, Hansen (1987) ha dichiarato che una followership attiva è
conseguenza dell‟accettazione dell‟autorità del leader, il quale viene, quindi,
legittimato alla direzione del gruppo. Anche Depree (1992) ha affermato che i
leader sono in grado di realizzare gli obiettivi solo se ricevono l‟autorizzazione
dei seguaci. I cambiamenti che stanno avvenendo nei luoghi di lavoro sottolineano
manageriale, cui diede un'impostazione decisamente anti-taylorista, privilegiando i concetti di
integrazione e cooperazione. Per la sorprendente sensibilità ed attualità che essa rivela
nell'intuire l'importanza delle relazioni sociali all'interno dell'impresa, la sua scienza del
management ha ricevuto anche in tempi recenti una qualche attenzione da parte degli esperti del
settore. Al centro della sua analisi era posto non l'individuo o il gruppo, ma la "dinamica
relazionale individuo-gruppo" vista alla luce delle scoperte operate dalla contemporanea
sociologia e psicologia sociale. Scriveva la Follett: «non esiste una cosa come 'l'individuo', così
come non esiste 'la società'; vi è solo il gruppo e l'unità di gruppo [group unit] - l'individuo
sociale». L'attenzione alla relazione e alle dinamiche creative del gruppo portava la Follett a
parlare di "new individualism".
21
ancora di più la necessità di approfondire l‟esame della followership. La struttura
organizzativa tradizionale gerarchica tra leader e seguaci si è erosa nel tempo
grazie all‟espansione delle reti sociali e alla crescente responsabilizzazione dei
follower dovuta soprattutto alla capacità di accedere alle informazioni molto più
facilmente rispetto al passato. Ad esempio, oggi i dipendenti hanno accesso alle
informazioni sulle loro società e sui suoi concorrenti tramite Internet. Come
osserva Brown (2000), i leader «non sono più la fonte esclusiva di informazioni
vitali per lo sviluppo dell’organizzazione; pertanto non possono più aspettarsi di
essere seguiti ciecamente dai loro ormai ben informati collaboratori».
20
Inoltre,
episodi sempre più frequenti di fusioni di aziende, acquisizioni e downsizing
21
creano seguaci più stanchi e demotivati, incidendo così sulla produttività generale
dell‟organizzazione. Queste variazioni nel mondo del lavoro rappresentano un
forte segnale della necessità di rivalutare la followership e il suo fondamentale
contributo. Molti leader hanno capito che lo sviluppo delle abilità dei seguaci è
fondamentale per creare organizzazioni ad alte prestazioni. Lawrence e Nohria
(2002) hanno affermato che le imprese che non riescono a sviluppare la loro forza
lavoro non possono essere competitive in futuro. Mentre l'era industriale è stata
caratterizzata da un rigido comando e controllo con una struttura altamente
gerarchica, l'avvento dell'era dell'informazione ha evidenziato strutture più piatte
22
20
BROWN S. (2000), Customer relationship management: linking people, process and tecnology,
John Wiley & Son, New York.
21
L'assunto fondamentale della filosofia del downsizing è che un'organizzazione tende nel tempo
ad "ingrassare", in termini di staff centrali e di strutture, generando una moltiplicazione dei
processi ed una loro eccessiva burocratizzazione. Di solito, queste distorsioni vengono generate
da un'esagerata e male applicata politica di divisione e specializzazione del lavoro, che porta alla
creazione di una serie di attività poco collegate ed allocate in unità organizzative raggruppate
secondo il principio funzionale. L'obiettivo del downsizing è essenzialmente il miglioramento dei
risultati economici dell'azienda, perseguito attraverso una politica di riduzione dei costi. Il
cambiamento ha dunque come guida soprattutto delle considerazioni di carattere economico e si
concretizza attraverso uno snellimento delle unità organizzative e nella definizione di meccanismi
contabili atti alla rilevazione sistematica e dettagliata dei costi.
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Le strutture organizzative si distinguono in piatte o alte, a seconda che abbiano un ridotto od
un più elevato numero di livelli gerarchici. A parità di numero di addetti, una struttura piatta avrà
unità organizzative di maggiori dimensioni rispetto ad una alta. Nelle strutture piatte, inoltre,
l’ambito di controllo è tendenzialmente più ampio che nelle strutture alte. Le strutture piatte
comportano minori costi, avendo meno posizioni manageriali da retribuire; inoltre la minore
distanza tra vertice aziendale e organi operativi velocizza e rende più tempestivi i processi
decisionali e di comunicazione, evitando anche distorsioni interpretative. Di contro, le strutture