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longitudinale e trasversale dell’umanità, accomunate nella loro
connessione con l’ente maligno.
Il comportamento dell’individuo, qualora valichi i limiti
rassicuranti della norma sociale, sconfina anch’esso nel
misterioso, nell’imprevedibile e nell’incontrollabile, generando
di conseguenza paura, e necessitando logicamente di misure di
difesa.
La credenza della trasformazione dell’uomo in animale
rappresenta un interessante esempio di comunione tra il
comportamento deviante dell’uomo e la pericolosità
dell’animale.
Mitologia e folklore di tutti i continenti attestano
l’ubiquitarietà della credenza nei cambiamenti in natura.
L’idea della trasformazione dell’uomo in un particolare
animale – sia esso il lupo, la tigre, l’orso, il leopardo – è in stretto
contatto con la diffusione di quest’ultimo in una data area
geografica e con il significato che esso assume in quel
determinato contesto culturale.
La credenza nella Licantropia (la trasformazione dell’uomo in
lupo) o fenomeno del lupo mannaro è quella maggiormente
rappresentata nella cultura occidentale e riconosce diversi
mitologemi.
12
Tale credenza così fortemente presente nelle tradizioni
popolari, è un tema così ricorrente nella mitologia micenea, greca
precoloniale e romana da indurci a ricordare il pensiero di
Giovan Battista Vico quando sostiene che le mitologie non
forzate e contorte, ma dirette e facili sono le vere storie dei primi
popoli e che le parole furono nel loro nascere narrazioni vere e
sincere.
E’ lecito quindi, o è almeno suggestivo, pensare che i Micenei,
i Greci antichi ed i Romani, dovettero osservare, vedere, annotare
“qualcosa” di molto simile alla trasformazione di un uomo in
lupo, se tanto fu fatto, detto e scritto.
1
Nel mio lavoro mi sono proposta di delineare il più
chiaramente possibile questo fenomeno, considerato come la più
pittoresca tra le credenze che riguardano i lupi; ho tracciato nel
primo capitolo la storia di questo ambivalente animale che nel
passaggio da una cultura all’altra, da creatura propiziatoria viene
trasformato in un truce mostro antropofago.
Il lupo rappresenta l’animale selvaggio che ha segnato
maggiormente la nostra civiltà dalla Grecia antica ai nostri
giorni.
1
VICO GIOVAN BATTISTA (1710), “DE ANTIQUISSIMA ITALORUM SAPIENTIA”,
RIPORTATO DA FIORILLO A., CERBONE R., MARTUCCI P., NAPOLITANO G., (1994)
LA LICANTROPIA, IN MAGGINI C., MARCHESI C., SALVATORE P., (a cura di),
MALINCONIA E DEPRESSIONE, (ATTI DEL CONGRESSO, 1994, PARMA), p. 107.
13
Nel secondo capitolo, mi sono servita della fiaba di
Cappuccetto Rosso per tentare di indagare e mettere in risalto un
altro aspetto di questo animale che mi premeva trattare: il lupo
come simbolo del maschio seduttore e il suo ruolo nell’emergere
della sessualità dell’età prepubere, e come personificazione di
tutte le tendenze asociali, aggressive e sensuali che esistono in
noi.
Il terzo capitolo si concentra sulla figura del licantropo nella
sua prospettiva antropologica. Qui traccio un excursus storico
del licantropo a partire dalla mitologia greca e quella nordica,
per passare poi al Medioevo e al Rinascimento e infine alla
tradizione folklorica.
Nel quarto capitolo mi occupo di illustrare i contributi delle
ricerche psicopatologiche avanzate sul fenomeno della
Licantropia, da Galeno ai primi anni '90.
Nel quinto capitolo, invece, ho tentato di sottolineare la natura
dualistica dell’uomo lupo, soffermandomi su alcuni suoi aspetti
peculiari e assimilandone la figura a quella di un altro mostruoso
personaggio, il serial killer.
Mentre nel sesto capitolo, ho raccolto e ho voluto offrire le
testimonianze di alcuni abitanti dell’isola di Lampedusa, da cui
14
emerge la Licantropia vissuta non come leggenda o
superstizione, ma come atroce e spaventosa realtà.
Sarà poi la volta delle conclusioni in cui ho evidenziato le
innumerevoli difficoltà che ho incontrato nell’affrontare le mie
ricerche.
Mi auguro di essere stata in grado di mettere in luce e chiarire
il più possibile, un fenomeno tanto affascinante quanto
controverso come quello della Licantropia, considerato
soprattutto come fatto culturale non del tutto interpretabile
secondo l’ottica psicopatologica che pure la illumina e ne
chiarisce, in parte, i meccanismi.
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CAPITOLO 1
A PARTIRE DAL LUPO ……
1.1. SUPERIOR STABAT LUPUS.
Il simbolismo del lupo comprende gli aspetti duali della natura
buona e cattiva dell’uomo. Anche se predomina l’immagine
oscura e minacciosa del predatore intrepido e dell’assassino
vorace, il lupo personifica anche lo spirito protettivo e la madre
nutrice.
2
Studiando nei loro ristretti habitat naturali i pochi lupi rimasti,
gli etologi del secolo presente hanno scoperto, che il presunto
feroce predatore è in realtà d’abitudine un animale timido e mite,
monogamo, sollecito con la prole, non aggressivo nei confronti
dell’uomo. Una creatura, cioè, ben lontana dall’immagine
leggendaria che le ha cucito addosso l’uomo, dipingendola come
ladra, malvagia e avida di sangue: quasi che su di essa avesse
proiettato, come in un esorcismo, i peggiori difetti che in realtà
macchiano non la stirpe lupina, ma l’umanità stessa.
Fra lupo e uomo vibrano peraltro straordinarie consonanze.
16
Animale di origine paleoartica, il lupo migrò con l’uomo
primitivo dall’Eurasia all’America del nord attraversando,
durante le glaciazioni, lo stretto di Behring, e seguì le stirpi indo-
arie nella loro diffusione nell’Europa e nel sub-continente
indiano.
3
Fra tutti gli animali selvaggi, è quello che maggiormente ha
segnato la civiltà occidentale, prima come animale totemico, poi
come manifestazione diabolica.
4
Un canto funebre rumeno, recitato ancora agli inizi di questo
secolo, dice: “il lupo apparirà davanti a te …..prendilo come tuo
fratello, perché il lupo conosce l’ordine delle foreste …..egli ti
condurrà per via piana verso il paradiso …..”
5
L’idea che il lupo sia uno psicopompo, cioè una creatura
destinata a guidare nell’aldilà le anime dei morti, è antica quanto
la cultura delle stirpi d’origine indo - europea, come testimoniano
le urne funerarie in forma di testa di lupo nelle quali i primitivi
popoli nomadi custodivano le ceneri dei defunti.
Per le popolazioni non stanziali, nelle quali la cultura
dominante non era ancora quella agricola, ma quella della caccia,
2
CAGNOLARO, VOCE CANIDI IN AA.VV.,(1973), GLI ANIMALI VERTEBRATI E
MAMMIFERI, ENCICLOPEDIA ITALIANA DELLE SCIENZE, VOL. II, ISTITUTO GEOGR.
DE AGOSTINI, NOVARA, PP.535/38.
3
IBIDEM.
4
IBIDEM.
5
CHEVALIER J., GHURBRANT A., (1986), VOCE LUPO, DIZIONARIO DEI SIMBOLI,
MILANO.
17
il lupo era un rivale, un competitore che, nella medesima nicchia
ecologica, perseguiva le stesse prede. Ed era più abile, perché
più veloce, dotato di sensi più acuti, capace di vedere di notte e
“armato” dalla natura in modo terribile, con zanne e artigli.
Per riuscire nella caccia, bisognava ingraziarsene lo spirito: il
che, nelle culture sciamaniche, avveniva per via imitativa; vale a
dire, facendosi “invasare” dallo “spirito” della bestia sino ad
assumerne i poteri, il comportamento, perfino l’aspetto.
E’ nei rituali sciamanici delle culture nomadi paleolitiche che
gli antropologi rintracciano le radici di quella che, più tardi,
venne chiamata, con termine estensivo, “LICANTROPIA”:
ovvero la capacità, da parte di esseri umani, di trasformarsi in
determinate condizioni nell’animale totemico, ovverossia
rappresentativo e protettivo della tribù.
Per i cacciatori nomadi dell’Asia centrale, questo animale era
il lupo: lo sciamano delle steppe, con l’aiuto dei rituali estatici e
con l’assunzione del Fungo Sacro, l’Amanita Muscaria che
dilata la coscienza, faceva discendere entro di sé lo spirito del
lupo. Con indosso una pelle dell’animale totemico, ne assumeva
anche l’aspetto: e così quale lupo-Dio, guidava le danze
propiziatorie alla caccia, se non, come sembrerebbero dimostrare
certe pitture rupestri, la caccia stessa.
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Della funzione totemica del lupo presso le popolazioni indo-
arie si ha traccia nelle infinite leggende che nacquero quando le
religioni virili, “solari” e d’impianto sciamanistico da loro
portate, vennero a scontrarsi e a fondersi con le religioni
femminili, “lunari”, e basate sui riti della fertilità adottate dalle
popolazioni europee autoctone che subirono l’invasione dei
nomadi provenienti dalle steppe asiatiche, agli albori dell’età del
bronzo .
Molte “leggende degli inizi” vedono il lupo come
protagonista.
6
Nel mito greco, Febo e Artemide, le divinità legate a sole e
luna, cioè gli astri luminiferi, vennero partoriti da Latona
trasformatasi in lupa.
7
Licaone, il capostipite dei Pelasgi, fondatore sul Monte Liceo
della prima città, Licosura, si identifica per via del nome, col
lupo (Lycos, in greco); e in lupo vero e proprio verrà trasformato,
quando il mito, col mutare delle condizioni culturali, assumerà
valenze negative.
8
6
KRAPPE A. H., (1952), LA GENÈSE DES MYTHES, PARIGI, RIPORTATO DA FIORILLO
A., CERBONE R., MARTUCCI P., NAPOLITANO G., (1994), LA LICANTROPIA, op. cit., pp.
107-108.
7
IBIDEM.
8
IBIDEM.
19
“Figli del lupo” si proclamano tanto i Celti, quanto i Sabini: ed
è per questo, che ad una lupa venne affidata la protezione dei due
divini gemelli, Romolo e Remo, fondatori dell’Urbe.
Secondo Diodoro Siculo, Osiride rinasce, dopo la divisione del
suo corpo, sotto forma di lupo.
9
“Lykaion”, territorio del lupo, era chiamato il bosco sacro che
circondava il tempio di Febo ad Atene; Aristotele usava tenervi
le sue lezioni, ed è questa l’origine del termine liceo.
10
L’immagine del lupo viene così connessa a quella della
sapienza, peraltro in conformità con le tradizioni che ne facevano
un animale iniziatico, ovvero rivelatore di conoscenze occulte.
La radice Lyk-, insita nel nome del lupo, è la stessa da cui
deriva il nome luce: la creatura che vede al buio è, dunque, anche
quella che dissipa le tenebre.
9
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10
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20
1.2. CREATURE D’INFERNO.
Nel passaggio dalle culture nomadi e cacciatrici a quelle
stanziali e agricole, muta radicalmente il modo di considerare il
lupo.
11
Il cacciatore ha bisogno dello spirito dell’animale da preda che
lo guidi ad uccidere; il contadino deve, invece, proteggere le
greggi da chi vuole uccidere.
Il sacrificio in onore del lupo, a poco a poco, da propiziatorio
si trasforma in scongiuro: non si prega più perché il grande
predatore intervenga, ma perché stia lontano.
Le cerimonie sacrificali, il più delle volte con vittime umane,
celebrate in onore del lupo, assumono valenze sinistre.
Esemplare in questo senso, è la leggenda di Licaone. I riti che,
in origine, si tenevano sul Monte Liceo, in Arcadia, assumevano
il carattere di sacrifici umani culminanti con un rito di
antropofagia: parte della vittima veniva consumata dai celebranti.
L’evoluzione culturale rende esecrabile questa modalità
rituale, e la fantasia mitica elabora prontamente un episodio che
fissi indelebilmente i nuovi parametri del sacro.
Giove, narra il mito riferito da Ovidio nelle “Metamorfosi”, si
reca, in incognito, in visita a Licaone, questi, incerto sulla natura
11
IBIDEM.
21
umana o divina del suo visitatore, decide di sottoporlo ad una
prova e gli offre, come banchetto ospitale, le carni di uno schiavo
(o, secondo, altre versioni, di un altro ospite, o di un ostaggio, o
addirittura del proprio figlio), e per primo ne gusta egli stesso:
confida che un Dio avrebbe scoperto la vera natura del sacrificio.
Sdegnato da tanta efferatezza, Giove arde con le sue folgori la
reggia di Licaone e trasforma quest’ultimo in lupo.
12
Il senso della leggenda è chiaro: il sacrificio cruento e
cannibalesco gradito un tempo alle divinità proprie di un popolo
nomade e cacciatore, è inviso, invece, agli dei di una società
agricola e stanziale. Licaone, lupo fatto re, da re ritorna lupo.
Degli antropofagi arcadi si diceva che, per espiazione,
dovessero ogni anno estrarre a sorte un membro della comunità;
questi era immerso nelle acque di un lago e ne usciva trasformato
in lupo, restando tale per nove anni, e poteva recuperare le forme
umane soltanto se si fosse astenuto dalla antropofagia. Echi di
questo mito si ritrovano, applicati alle più diverse popolazioni,
fino al medioevo. A poco, a poco da essere benefico per la tribù,
si trasforma in creatura infernale dedita a pratiche esecrabili.
12
OVIDIO, METAMORFOSI, LIBRO I, VV.196/239.
22
I residui della primordiale religione sciamanistica si
trasformano, già in epoca classica, in culti infernali e
stregoneschi.
13
L’antica capacità degli sciamani di identificarsi con gli animali
totemici assume connotazioni tenebrose.
Nasce la figura dello stregone, in contatto per via diabolica con
le istintualità più perverse. Il sacrificio umano, con il suo
corollario cannibalico, da cerimonia sacrale trascende alle
pratiche abominevoli della profanazione dei cadaveri e della
necrofagia, perversioni attribuite ai rappresentanti dell’antico
animismo sciamanico, ormai totalmente travisato e stravolto.
Il potere della metamorfosi, ovvero la capacità di riprodurre le
caratteristiche dell’animale totemico, già prerogativa sacerdotale,
diventa segno di una punizione divina o frutto di un’alleanza con
i poteri delle tenebre.
Quanto al lupo, da animale propiziatorio, assume, e non le
perderà più, le caratteristiche di mostro antropofago, di belva
feroce “vomitata” dalle tenebre e di creatura infernale.
Da psicopompo, si fa guardiano del regno dei morti: Cerbero
che impedisce alle anime di uscire dal loro triste regno, è un lupo
con tre teste.
13
MACCULLOCH J. A., (1913), LYCANTHROPY, IN HASTING J.,(A CURA DI),
ENCYCLOPEDIA OF RELIGION AND ETHICS, EDIMBURGH, VOL. III.
23
Ade, re degli inferi, porta un elmo di pelle di lupo che lo rende
invisibile, e lo stesso valeva per Ajta, il Dio etrusco del mondo
sotterraneo.
Presso i Celti il lupo è carnivoro necrofilo, e lo si dipinge
seduto sulle zampe posteriori, nell’atto di divorare un morto.
Nasce anche la sua fama di persecutore di bambini: la lupa
Mormolice era un demone femminile con la quale le madri
greche minacciavano i loro piccoli, corrispettivo in qualche modo
del “lupo cattivo” delle fiabe nostrane. Era stata nutrice del
mostro infernale Acheronte, e si diceva che rendeva zoppi i
bambini disobbedienti.
14
1.3. I GUERRIERI DALLA PELLE DI LUPO.
Nell’ottavo capitolo della “Volsunga Saga”
15
è riferita la
storia di Sigmundr e Sinfjotli che attraversando una foresta,
giungono ad una casa nella quale giacciono addormentati due
figli di re.
Alla parete, sulle loro teste, sono appese due pelli di lupo: i
due dormienti sono vittime di un incantesimo in seguito al quale
14
IBIDEM.
15
OLSEN M.,(1906-1908), VOLSUNGA SAGA OK RAGNARSSAGA LOJBROKA, KOBEN-
HAUN, CAP.V-VIII, RIPORTATO DA CHIARI G., (1981), IL LUPO MANNARO, IN AA.VV.,
MAL DI LUNA, NEWTON COMPTON, ROMA.
24
soltanto una notte ogni dieci possono liberarsi dalla pelle di lupo
e riprendere l’apparenza umana. Ma quella notte, sfiniti, non
possono trascorrerla che dormendo.
Sigmundr e Sinfjotli indossano incautamente le pelli e il
maleficio ricade su di loro. Non possono più liberarsene, e non
parlano più con voce umana, ma con voce di lupo, anche se fra di
loro continuano ad intendersi. Travolti dall’istinto delle belve, si
gettano nella foresta, dove vagano per nove giorni, conducendo
la vita dei lupi. Al decimo, recuperano l’aspetto umano, danno le
pelli alle fiamme, perché non possano più nuocere ad alcuno.
Dalla leggenda, una delle molte che nei miti nordici trattano di
fiere e di trasformazioni in fiere, traspare una concezione sinistra
del lupo, considerato l’incarnazione del dolore e della
lacerazione.
Della diffusione delle credenze sulla trasformazioni di uomini
in lupi presso i popoli nordici, fa fede Olaus Magnus che, nella
“Historia de gentibus septentrionalibus” (1561), racconta di
come la notte di Natale si radunino in un certo luogo molti
uomini mutati in lupi. Questi guerrieri così feroci e di così triste
fama, venivano chiamati “Ulfhedhnar”, cioè, guerrieri “dalla
casacca di pelle di lupo”. Il carattere di questi guerrieri è descritto
in modo scarno, ma efficace, e ci porta alla mente l’immagine