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INTRODUZIONE
Il termine comunicare è storicamente collegato alla parola “comune”, che
deriva dal verbo latino “comunicare” (condividere, rendere comune), a sua
volta correlato alla parola latina “communis” (comune). Luigi Anolli (2002)
definisce la comunicazione come: “...uno scambio interattivo osservabile fra
due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo grado
di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato
sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di
segnalazione secondo la cultura di riferimento...” (p.26).
La comunicazione è, quindi, la trasmissione di informazioni attraverso
l’utilizzo di codici e si realizza attraverso vari livelli:
livello verbale espresso attraverso il linguaggio parlato o scritto;
livello paraverbale espresso ad esempio attraverso il tono, la velocità
ed il timbro del linguaggio;
livello non verbale espresso attraverso il linguaggio corporeo; questo
livello è connesso con il livello verbale;
livello simbolico visivo, espresso attraverso un linguaggio non
verbale con forte valenza simbolica; si prenda come esempio il
modo di vestire o di truccarsi.
Conversare significa creare un tessuto narrativo nuovo. La comunicazione
rappresenta la condizione fondamentale per la creazione di rapporti
relazionali. La conversazione si configura come atto sociale, vivente,
dinamicamente situato nel contesto e per interpretarlo solo a tale contesto
può essere ricondotto.
Le interruzioni rappresentano dei mezzi che possono ostacolare o facilitare
la conversazione, provocando i più svariati effetti.
In base agli scopi degli interlocutori che le mettono in atto ma anche in base
alle situazioni ed al contesto nel quale avvengono, le interruzioni vengono
classificate in modo diverso proprio per sottolineare la loro varietà.
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Questo lavoro è partito dall’approfondimento delle caratteristiche della
conversazione ed è stato strutturato in modo da concentrarsi sul fenomeno
delle interruzioni all’interno delle conversazioni, distinguendone i vari tipi.
Sono state prese in considerazione le diverse definizioni che molti studiosi
hanno dato del fenomeno e i diversi sistemi di codifica delle interruzioni,
proposti da vari autori. Inoltre, sono stati presi in esame vari studi presenti
in letteratura sul fenomeno delle interruzioni.
Sulla base di tali ricerche, è stato ideato e realizzato uno studio sperimentale
avente l’obiettivo di valutare gli effetti che possono avere i criteri di base
all’interno delle conversazioni.
Ampio spazio di questo lavoro è stato dedicato allo studio da noi effettuato
ed ai risultati ottenuti dalla somministrazione dell’esperimento ideato in
proposito. Attraverso questo lavoro è stato possibile riflettere sulle
implicazioni che questa ed altre ricerche sull’argomento potrebbero avere
all’interno dell’ambito della comunicazione.
La speranza è quella di aver fatto luce su aspetti delle interruzioni finora
poco studiati e di aver apportato quindi nuove conoscenze in un campo così
importante in modo da poter fornire una linea guida per le future ricerche.
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CAPITOLO 1.
LE INTERRUZIONI NELLA CONVERSAZIONE.
1.1 La conversazione.
Come afferma Bazzanella (2001), la conversazione è il frutto di una
collaborazione in cui il parlante di turno e gli interlocutori si avvicendano
per costruire un unico prodotto; dei vari partecipanti all’interazione, non
solo il parlante ma anche l’interlocutore partecipa alla costruzione del
messaggio. Il discorso è, dunque, il risultato di una co-produzione, per cui,
la conversazione non è solo unilaterale, ma ogni soggetto apporta il suo
contributo; vi è quindi una sorta di negoziazione tra i vari partecipanti
all’interazione. Caratteristica della conversazione è l’avvicendarsi dei turni
di parola, cioè come la parola passa da un parlante ad un altro.
Generalmente, in una conversazione fra due persone parla prima una, poi
l’altra, ordinatamente, in modo che il cambio di parlante si verifichi senza
discontinuità.
Zimmermann e West (1975) definiscono il turno come “non meramente
della durata temporale di un enunciato, ma anche come il diritto (e
l’obbligo) di parlare che è allocato ad un particolare soggetto che parla”.
Sacks, Schegloff e Jefferson (1974) suggeriscono che le conversazioni siano
analoghe all’economia, con i turni che servono come beni di valore. Le
regole di selezione da loro individuate per il cambio del parlante sono tre: il
parlante di turno seleziona il parlante successivo; qualcuno si auto
seleziona; il parlante che ha il turno lo mantiene. Essi hanno inoltre proposto
un modello per spiegare la produzione sequenziale della conversazione.
Sono giunti così ad individuare alcune regole in base alle quali i turni di
parola (turn-taking) vengono tenuti e cambiati generalmente attraverso un
numero molto limitato di sovrapposizioni.
Ma in che modo possiamo considerare completato un turno? Ebbene, come
già accennato, oltre ad alcune tracce linguistiche e non linguistiche che
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servono a regolare l’avvicendamento dei turni, sembra necessario introdurre
il concetto di completamento semantico: il soggetto interverrebbe quando
riterrebbe di aver già capito quello che il suo interlocutore intende dire,
dimostrando così sia partecipazione, ma anche, eventualmente, competenza.
Il cambio turno avverrebbe, perciò, nei cosiddetti punti di rilevanza
transizionale (PTR), cioè in quei punti della conversazione, identificati
tramite indicatori linguistici, in cui i partecipanti all’interazione
percepiscono la fine di un turno di parola. Accade spesso, però, soprattutto
nelle interazioni faccia a faccia ed informali con alto grado di familiarità,
che in una conversazione non vi sia un avvicendamento regolare dei turni
tra il parlante ed il suo interlocutore (ed eventualmente altre persone);
possono verificarsi così, sovrapposizioni, partenza simultanee, discorsi
paralleli ed interruzioni di vario tipo. Si è partiti quindi, dall’assunto che un
cambio di parola esiste solo se c’è il PRT.
In uno studio molto importante di Coon e Schwanenflugel (1996) gli
osservatori ingenui, nel percepire le interruzioni, farebbero riferimento al
punto di rilevanza transizionale, alla sovrapposizione e alla relazione.
Secondo le autrici si ha un PRT quando l’interrotto sta concludendo (è alla
fine di una parola, frase). La prima regola fondamentale del PRT è che
l’interrotto seleziona il prossimo interlocutore. Nel loro lavoro, le autrici
evidenziano, inoltre, le variabili che definiscono le interruzioni: punto di
rilevanza transazionale, sovrapposizione, relazione, cambio argomento,
cambio turno, genere del parlante e dell’interrompente. I risultati indicano,
quindi, che gli osservatori ingenui, nel discriminare tra interruzioni e non
interruzioni, utilizzano solo alcune delle definizioni di interruzione: il punto
di rilevanza transizionale, la sovrapposizione e la relazione. Emerge così
che il punto di rilevanza transizionale è la variabile più importante per
determinare l’interruzione, seguono poi la sovrapposizione e la relazione.
Gli osservatori percepiscono l’interruzione quando l’interrotto non riesce a
raggiungere un punto di rilevanza transazionale, quando c’è una
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sovrapposizione di sillabe più lunga, quando tra l’interrompente e
l’interrotto vi è una relazione negativa.
Secondo La France (1992) anche se le interruzioni si hanno quando il
discorso di una persona viene interrotto dal discorso di un altro, è
importante tenere a mente che la presenza di una sola parola in
sovrapposizione ad un’altra, non costituisce di per sé un motivo sufficiente
per poter parlare di interruzione, in quanto, l’ascolto attivo può portare a
parlare contemporaneamente senza essere considerato come interrompente.
Inoltre, se chi parla in sovrapposizione ad un’altra persona lo fa per
sostenere la posizione del suo interlocutore, la sovrapposizione può non
essere considerata come interruzione.
1.2 Cos’è un’interruzione?
La definizione di interruzione non è così semplice ed evidente come lo è per
il comune parlante, ma è in realtà estremamente complessa. In letteratura
sono vari i modi in cui viene definita un’interruzione ed in questo paragrafo
cercherò di mettere in rilievo i più importanti contributi al riguardo.
Alcune delle più semplici definizioni affermano che un’interruzione
rappresenta un qualsiasi periodo del discorso simultaneo in cui una persona
inizia a parlare dopo che un altro parlante aveva già iniziato a parlare.
Secondo Hawkins (1991) le interruzioni rappresentano una categoria di un
gruppo di fenomeni colloquiali chiamate sovrapposizioni di discorso. Le
sovrapposizioni di discorso sono periodi di discorso simultaneo nella
conversazione. Le interruzioni sono interessanti sovrapposizioni di discorso
in quanto violano le regole dell’alternanza di turni in due modi: in primo
luogo, le interruzioni comprendono periodi di conversazione simultanea tra
l’interrotto e colui che interrompe; inoltre, le interruzioni violano la regola
dell’alternanza dei turni che tutela il diritto di una persona a finire un turno
una volta iniziato.
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Le interruzioni sono, però, un fenomeno troppo complesso per essere
descritto in modo così semplice e, in accordo con quanto detto da Roger,
Bull e Smith (1988) deve essere fatta una distinzione fra le interruzioni ed il
discorso simultaneo. Il discorso simultaneo si riferisce semplicemente a due
o più persone che parlano nello stesso momento, mentre le interruzioni sono
atti che realmente interrompono l'espressione del parlante. Una definizione
adeguata deve, quindi, distinguere il discorso simultaneo dalla vera
interruzione, in quanto, in primo luogo, non tutte le interruzioni implicano
un discorso simultaneo, ed in secondo luogo, esistono sovrapposizioni tra
parlanti che denotano intesse ed attenzione senza avere l’intenzione di
disturbare il parlante di turno. Sempre secondo Roger, Bull e Smith (1988)
l’interruzione può essere definita dal punto di vista dell’osservatore.
Secondo la loro definizione, se un osservatore sente che l’intervento di un
secondo parlante interrompe l’enunciazione del primo parlante, allora, si è
verificata un’interruzione. Importante però è tenere presente che pur
sottolineando gli effetti dirompenti dell’interruzione, il parere di un
osservatore può differire notevolmente dal parere di un altro. Essi distinsero,
inoltre, tra interruzioni con successo e senza successo sulla base del grado di
dirompenza dell’enunciato del secondo parlante.
West & Zimmerman (1983) individuano ed illustrano delle differenze tra le
interruzioni “superficiali” (shallow interruptions) e quelle “profonde” (deep
interruptions). Le interruzioni superficiali si riferirebbero alle simultaneità
che si verificano tra la seconda o la penultima sillaba di un tipo di unità e le
prime e le seconde o le penultime e le ultime sillabe di un tipo di unità (per
esempio le costruzioni frasali e lessicali). Le interruzioni profonde si
riferirebbero, invece, all’insorgenza della simultaneità di più di due sillabe
all’inizio o alla fine di un tipo di unità.
Secondo Hawkins (1988), a livello strutturale, le interruzioni profonde
sarebbero inizi di simultaneità che avvengono molto di più che tra due
sillabe continuamente tra l’inizio e la fine.
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Le interruzioni profonde, quindi, interrompono l’altro non consentendogli di
completare la propria idea e spesso il parlante perde il proprio turno prima
di prima di aver concluso. Inoltre, si ritiene che le interruzioni profonde
vengano usate per dominare il partner con cui si sta conversando. Data
questa definizione, nessuna delle seguenti costituisce un’interruzione
profonda: la comunicazione back-channels (mmh; ti seguo; si,si; esatto), gli
errori di transizione del discorso, gli errori delle battute di entrata nel turn-
taking, trasmissione/interpretazione (verbale e non verbale).
Goldberg (1990) distingue, invece, le interruzioni neutre da quelle cariche
da un punto di vista relazionale. Le interruzioni neutre derivano dai diritti e
dai doveri del partecipante che ascolta (come ad esempio: mostrare ascolto
attivo e continuo; ottenere l’immediata attenzione del parlante presentando
argomenti più importanti di quelli di cui si parla e così via); le interruzioni
cariche da un punto di vista relazionale derivano, invece, dalle esigenze del
partecipante che ascolta (come ad esempio: garantirsi a breve il turno alla
fine del turno in corso; raggiungere l’adeguato posizionamento dei
commenti e del prossimo argomento; soddisfare i propri bisogni di dignità e
la concezione di giustizia distributiva presentando un proprio argomento o i
propri punti di vista, indipendente dall’adattamento al discorso precedente o
dall’effetto che possono avere sul parlante). Le interruzioni neutre da un
punto di vista relazionale sono quelle che vogliono soddisfare i bisogni
immediati della situazione comunicativa e non implicano una minaccia circa
la sottrazione del turno di parola. Hanno lo scopo di provocare una
ripetizione o un chiarimento sul discorso interrotto oppure possono
focalizzarsi su un evento esterno alla conversazione che necessita di
attenzione immediata prima che il discorso continui. In ogni caso, ci si
aspetta che l’interrompente, dopo l’intervento, rinunci al turno, cedendolo
nuovamente all’interrotto. Al contrario, le interruzioni cariche da un punto
di vista relazionale, sono quelle che derivano dai desideri
dell’interrompente, per cui non ci si aspetta che quest’ultimo rinunci al
turno né che il discorso torni allo stato in cui era prima dell’interruzione.
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All’interno di quest’ultimo tipo di interruzione (cioè all’interno delle
interruzioni non neutre), possiamo distinguere tra interruzioni orientate al
potere (power oriented) e orientate alla relazione (rapport oriented). La
differenza fondamentale è il grado in cui sono rivolte ai desideri positivi
(quelli che riguardano la sensazione che quanto si sta dicendo sia di
interesse per l’interlocutore) e negativi (cioè il desiderio di essere ascoltati)
del parlante. Le interruzioni power oriented hanno lo scopo di strappare la
parola al parlante ottenendo così il controllo del contenuto o del processo
conversazionale.
Pertanto, alla base di tali distinzioni, le interruzioni orientate al potere sono
quelle che vedono gli interlocutori proiettati verso obiettivi differenti che
riflettono i propri interessi personali, indipendentemente dall’altro. Così,
l’interruzione spesso implica un tentativo di cambiare l’argomento della
conversazione attraverso affermazioni e rivendicazioni. Queste interruzioni
sono spesso viste come intrusive, scortesi, inappropriate e rendono
l’interrompente antipatico, aggressivo, ostile. Le interruzioni orientate alla
relazione, al contrario, coinvolgono gli interlocutori, attraverso domande e
richieste, in obiettivi condivisi o sovrapposti, anche se gli obiettivi o gli stili
personali di ciascuno non sono gli stessi. Pertanto, tali interruzioni saranno
percepite come espressione di empatia, interesse, coinvolgimento,
cooperazione, dal momento che restituiscono al parlante un feedback. Tali
interruzioni incoraggiano il discorso del parlante, introducendo brevi
commenti di informazione o valutativi o chiedendo al parlante di fornire
ulteriori informazioni.
Nel mezzo del continuum power-rapport oriented possiamo poi collocare le
interruzioni competitive, che presentano caratteristiche di entrambe le
interruzioni: restano sullo stesso argomento, ma sono rivolte alla faccia
negativa del parlante. Entrambe le parti della conversazione, in pratica,
cercano di far riconoscere all’altro il proprio punto di vista o la propria
esperienza, credendosi in qualche modo superiore.
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La letteratura suggerisce che le interruzioni possono assolvere svariate
funzioni, possono sia fungere da facilitatori sociali, sia avere effetti
dirompenti anche se sembra improbabile che gli effetti dirompenti risultino
normalmente da un’interruzione superficiale; piuttosto, sembra più
probabile che tali effetti siano associati alle interruzioni profonde. Inoltre, le
interruzioni possono avere, a loro volta, effetti diversi sugli uomini e sulle
donne e, naturalmente, esistono delle differenze di comportamento e
valutazione in base a variabili socioculturali ed etniche.
Come teorizzano, inoltre, Crown e Cummins (1998), l’interruzione vocale si
riferisce a determinati aspetti della personalità, quali dominanza, bisogno di
approvazione sociale, estroversione ed intelligenza.
Per quanto riguarda il coinvolgimento nella conversazione, Bell (1985) ha
valutato le interruzioni come espressione positiva legata all’impegnarsi nella
conversazione; questo confermerebbe l’ipotesi che la frequenza del discorso
simultaneo possa essere indice di accresciuta partecipazione alla
conversazione.
È bene ora soffermarsi su quelli che Bazzanella (2001) definisce parametri
“oggettivi” e “contestuali” al fine di dare un quadro più preciso del
fenomeno delle interruzioni. Per oggettivi si intendono quei parametri che
sono indipendenti dal contesto particolare, indipendenti dalla situazione in
cui ci si trova; rientrano, ad esempio, in questa categoria: tono e/o volume di
voce alto, durata della sovrapposizione, insistenza e persistenza, vicinanza
del punto di rilevanza transazionale e così via. Per contestuali si intendono
quei paramenti che data la loro natura devono essere valutati di volta in
volta nella situazione specifica; si considerano in questa categoria i rapporti
di status, gli stili individuali e le abitudini culturali, l’urgenza psicologica o
la causa di forza maggiore. Tali parametri, oggettivi e contestuali,
contribuiscono insieme alla determinazione complessiva dell’interruzione e
non si può prescindere dal verificare la cooccorenza e l’interazione di questi
paramenti nell’analisi dell’interruzione.