1
INTRODUZIONE
Questo lavoro si propone di illustrare l’istituto dell’imputabilità e, in
particolare, di una delle sue cause di esclusione: il vizio di mente di
cui agli artt. 88 – 89 c.p.
Al fine quindi di offrire una rappresentazione il più completa possibile
di tale istituto, si partirà da un’analisi dell’imputabilità nel suo
complesso, posando lo sguardo, in modo più approfondito, su alcuni
suoi aspetti particolarmente controversi come, ad esempio, il suo
fondamento o il suo rapporto con il fatto di reato, per poi passare ad
una breve considerazione delle sue cause di esclusione. Tra queste,
ovviamente, una maggiore attenzione sarà dedicata al vizio di mente.
Purtroppo – come si vedrà – numerose sono le incertezze che
accompagnano il giudizio sull’imputabilità o meno del soggetto
infermo di mente, non solo sotto il profilo del suo fondamento
empirico-psicopatologico, ma e per lo più quale conseguenza del
primo, anche sotto il profilo più strettamente giuridico-dommatico.
1
Se da un lato, infatti, si assiste ad un proliferare di nuovi e diversi
paradigmi psicopatologici con pretese esplicative della malattia
mentale, dall’altro tale molteplicità di ipotesi interpretative conduce
ad un inevitabile disorientamento del giudice e a decisioni
contrastanti.
Nelle pagine che seguono si cercherà proprio di offrire una
panoramica dapprima dei differenti orientamenti psicopatologici che,
nel tempo, si sono susseguiti e poi delle diverse posizioni che di volta
1
BERTOLINO, L’imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, Milano, 1990, p. 412,
cit.
2
in volta sono state adottate dalla giurisprudenza, soffermandoci anche
su singoli casi concreti.
Proprio alla giurisprudenza si deve riconoscere il merito di aver
intrapreso un percorso interpretativo del concetto di infermità di tipo
evolutivo e di aver attuato una graduale estensione dei confini di tale
istituto, riconoscendo anche ai disturbi atipici o, più in generale, alle
psicopatie e alle altre anomalie del carattere o della personalità,
efficacia scusante ai fini della esclusione ovvero diminuzione della
capacità intellettiva o volitiva.
In sintesi, comunque la sensazione generale che accompagna qualsiasi
tentativo di analisi e chiarimento della disciplina di cui agli artt. 85 –
88 – 89 c.p., in particolare per quanto riguarda il suo ambito operativo,
è caratterizzata da una sorta di disagio e difficoltà estremi. Disagio e
difficoltà tali da portare anche la dottrina italiana a riconoscere
apertamente l’inadeguatezza della disciplina in esame ed ad
auspicarne una sua rapida riforma cui si farà un necessario, seppur
breve, cenno.
Infine, uno sguardo deve essere rivolto anche al trattamento
sanzionatorio riservato ai soggetti infermi ovvero seminfermi di
mente. Ciò che, a tal proposito, si contesta, soprattutto in relazione ai
soggetti riconosciuti seminfermi di mente, è la manchevolezza di un
adeguato sistema di difesa sociale contro questa classe di delinquenti
che, dopo l’esecuzione di una pena detentiva, notevolmente diminuita
per le condizioni psichiche anormali, sono riammessi nella convivenza
sociale, esplicandovi una pericolosità, la quale non è stata certamente
distrutta dalla pena detentiva, ovviamente informata a finalità
custodiali piuttosto che di riabilitative.
Il profilo sanzionatorio rileva anche in relazione al processo di
estensione del concetto di infermità penalmente rilevante: infatti, se
3
prevale una esigenza di difesa sociale, si obietterà che l’equiparazione
tra semplice psicopatia e malattia mentale contrasta con gli scopi del
diritto penale, perché i numerosi soggetti affetti da disturbi della
personalità, confidando nell’esenzione da pena, sarebbero indotti ad
allentare ulteriormente i loro già deboli freni inibitori.
Se è invece preponderante, come sembra preferibile, la
preoccupazione di rispettare la ratio delle norme sull’imputabilità, in
nome del pieno rispetto del principio di colpevolezza, allora si dovrà
ammettere che anche le anomalie della personalità possono incidere, a
certe condizioni, sulla capacità di intendere e di volere.
2
Alla luce delle brevi considerazioni fin qui svolte si può desumere che
il giudice penale oggi, nel valutare i disturbi psichici rilevanti ai fini
del giudizio sull’imputabilità, si trova nella difficile situazione di
dover scegliere fra diversi e contrastanti modelli scientifici di
riferimento, il che, se da un lato gli consente ampi margini di
discrezionalità, dall’altro rischia di disorientarlo.
2
V. FIANDACA, MUSCO, Diritto penale, parte generale, V edizione, Bologna, 2007, p.
332 ss.
4
CAPITOLO I
IL PROBLEMA DELL’IMPUTABILITA’
1. Considerazioni preliminari – 2. Il fondamento dell’imputabilità – 3. La collocazione
sistematica dell’imputabilità – 3.1. Le tesi che collocano l’imputabilità in una fase
precedente alla commissione del reato: imputabilità come capacità di diritto penale o
presupposto del reato – 3.2. Le tesi che relegano l’imputabilità in una fase successiva al
reato: l’ imputabilità come capacità di pena – 3.3. Le tesi che riconducono l’imputabilità
nella struttura del reato: imputabilità come nesso psichico del reato in funzione della
colpevolezza o come presupposto della colpevolezza
1. Considerazioni preliminari
A differenza di altri codici penali l’articolo 85 del Codice Penale
italiano offre una nozione di imputabilità. Dopo aver stabilito che
“ nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come
reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile”,
sancisce che “ E’ imputabile chi è capace di intendere e di volere”.
Nelle scelte originarie del legislatore del 1930 l’imputabilità
rappresentava soltanto una mera qualifica soggettiva del reo, così
come si evince dalla stessa Relazione che accompagna il Codice
Penale in cui si legge che l’art. 85 “regola la generica capacità di agire
nel campo penale senza riferimento ad un determinato fatto concreto;
la capacità, cioè, dell’individuo di volere, di discernere, e di
selezionare coscientemente i motivi, di inibirsi; dà, in altre parole, la
nozione della personalità di diritto penale, definendo la persona
5
normale, alla quale la legge può essere applicata.”
3
. In virtù poi
dell’accettato sistema del “doppio-binario” la pena assoggettabile al
reo si specializza proprio in funzione della presenza o no
dell’imputabilità, in pena o in misura di sicurezza.
4
Da una parte,
quindi, con il vigente Codice si attribuisce rilevanza penale ai fatti
conformi ad un modello criminoso anche se commessi da “non
imputabile”, dall’altra si respingono le istanze positivistiche di
parificazione di trattamento degli autori di fatti di reato, mantenendo
un regime sanzionatorio differenziato in base alle qualità soggettive
del reo.
5
Tornando al dato testuale dell’art. 85, occorre avviare l’indagine
dall’analisi della nozione di “capacità di intendere e di volere”.
La capacità di intendere è, secondo un consolidato insegnamento, non
solo la semplice attitudine del soggetto a conoscere ciò che si svolge
al di fuori di lui, nella realtà esterna, ma anche la capacità di rendersi
conto del valore sociale dell’atto che compie.
6
Non è necessario che
l’individuo sia in grado di giudicare che la sua azione è contraria alla
legge: basta che possa genericamente comprendere che essa contrasta
con le esigenze della vita in comune.
7
La giurisprudenza è in linea con tale posizione laddove afferma che
“La capacità di intendere è la idoneità del soggetto a comprendere il
significato del proprio comportamento e di valutarne le conseguenze
secondo una corretta interpretazione del mondo.”
8
3
Relazione al Re, in Gazzetta Ufficiale 26 ottobre 1930, n. 251.
4
MARINI, voce Imputabilità, in Dizionari Tematici Treccani, Roma, 2008.
5
MARINI, voce Imputabilità, in Dizionari Tematici Treccani, Roma, 2008.
6
V. PALAZZO, Corso di diritto penale, parte generale, III edizione, Torino, 2008, p. 436
ss.; FIANDACA, MUSCO, Diritto penale, parte generale, V edizione, Bologna, 2007, p.
332 ss.
7
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte Generale, XVI edizione, Milano, 2003, p.
610.
8
Cassazione penale, I Sezione, 13202/1990 in www.overlex.com
6
Non ha, pertanto, la capacità di intendere il soggetto pazzo che, a
causa della sua malattia, attribuisce un significato erroneo a quanto
avviene attorno a lui o chi, ad esempio, è affetto da gravi ossessioni,
come la mania di persecuzione, per cui interpreta in maniera esagerata
e scorretta i comportamenti altrui.
9
La capacità di volere rappresenta, invece, l’attitudine del soggetto ad
autodeterminarsi, ossia a porre in essere delle scelte autonome e libere
di comportamento, scegliendo la condotta che l’intelletto ha giudicato
preferibile fare. Nella seguente massima, la capacità di volere è
considerata come “La idoneità del soggetto a controllare i suoi
impulsi e di determinarsi secondo il motivo che appare più
ragionevole o preferibile in base ad una concezione di valore, la
attitudine a gestire una efficiente regolamentazione della propria,
libera autodeterminazione.”
10
Pertanto, è privo di capacità di volere il soggetto che, pur valutando
esattamente la realtà esterna, non è in grado di opporre resistenza a
pulsioni e stimoli di origine interna, come, ad esempio, per il
cleptomane o il piromane.
L’indagine sulla volontà è particolarmente complessa ed è oggetto, più
che di una ricerca scientifica, di una riflessione filosofica.
11
Fra l’altro,
non risulta che nell’ultimo secolo le scienze psichiatriche abbiano
acquisito conoscenze veramente nuove intorno alla capacità del volere
ed è anche per questo che, secondo alcuni autori della mente, sarebbe
opportuno eliminare dall’indagine sull’imputabilità, la considerazione
della capacità di volere (come è avvenuto, ad esempio, nella
legislazione degli Stati Uniti d’America che, dal 12 ottobre 1984,
9
CARACCIOLI, Manuale di diritto penale, Parte Generale, II Edizione, Padova, 2005, p.
554.
10
Cassazione Penale, I Sezione, 13202/1990, cit.
11
COSTANZO, Il vizio di mente nei procedimenti penali, fra categorie scientifiche e
categorie giuridiche, Acireale, 2007.
7
considera solo la capacità di intendere in tema di mental illness e
insanity defence). Dall’altra parte, recenti acquisizioni della
psichiatria riconoscono spazi non esigui di responsabilità al malato
mentale, ritenendo che anche in presenza di certe malattie psichiche si
mantenga una certa quota di responsabilità (la legge n. 180/1978 mira
alla risocializzazione dell’infermo di mente e, fra le altre cose, fa leva
sulla sua responsabilizzazione).
Secondo il concetto della legge, l’imputabilità si riferisce
essenzialmente alla maturità psicologica dell’agente e alla sua sanità
mentale, pertanto la capacità di intendere e di volere non sarà presente
in due categorie di individui: in quelli che non hanno un sufficiente
sviluppo intellettuale e in coloro che sono affetti da gravi anomalie
psichiche.
12
Affinchè un soggetto possa essere considerato imputabile occorre che
ci sia il concorso di entrambe queste capacità: nel momento in cui
anche una sola manca l’agente deve ritenersi non imputabile. Inoltre è
lo stesso articolo 85 c.p. a richiedere che l’imputabilità sussista al
momento in cui si è commesso il fatto. Esiste, quindi, ed è essenziale
in materia, un preciso riferimento cronologico.
Ora, nessun problema si pone per i c.d. reati “istantanei” che si
realizzano con una sola condotta: in questo caso l’agente deve essere
capace di intendere e di volere nel momento di realizzazione della
condotta. Se la condotta si compone di più atti il requisito deve
sussistere durante tutto l’arco temporale di commissione di tali atti.
Non rileva, invece, il momento in cui si verifica l’evento naturalistico,
ciò che conta, anche nei reati d’evento, è il momento di realizzazione
dell’atto tipico.
12
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte Generale, XVI Edizione, Milano, 2003,
cit.
8
Per quanto riguarda i reati permanenti la capacità di intendere e di
volere rileva nel momento in cui cessa la permanenza e quindi,
quando il reato si consuma; infine, con riferimento ai reati continuati,
l’imputabilità dovrà valutarsi in riferimento a ciascun reato.
13
Certamente è da ritenersi che l’imputabilità sia un modo di essere
dell’individuo, uno stato della persona, ma nonostante questa
apparente chiarezza, rimane uno degli istituti penali più discussi e
complessi.
La stessa menzione legislativa separata della capacità di intendere, da
un lato, e di volere, dall’altro, suscita riserve: la psiche dell’uomo è
un’entità fondamentalmente unitaria, per cui le diverse sue funzioni si
rapportano l’una all’altra influenzandosi vicendevolmente.
14
Altro punto critico è poi la estrema genericità della formula “capacità
di intendere e di volere”, che, inevitabilmente, rischia di risolversi in
una esplicitazione pressoché tautologica, tenuto conto anche e
soprattutto del suo evidente contenuto psicologico.
Ciò premesso, ai fini di un approfondimento del presente lavoro, due
sono le questioni che verranno affrontate in questo capitolo: una prima
questione attiene al fondamento dell’imputabilità come categoria
penalistica, mentre una seconda questione concerne la collocazione
sistematica dell’istituto.
13
CARACCIOLI, Manuale di diritto penale, parte generale, II Edizione, Padova, 2005, p.
556, cit.
14
FIANDACA, MUSCO, Diritto penale, parte generale, V edizione, Bologna, 2007, p. 332,
cit.
9
2. Il fondamento dell’imputabilità
Uno dei problemi cardine del diritto penale, oggetto da sempre di
numerose dispute dottrinarie
15
, è certamente quello riguardante il
fondamento dell’imputabilità, ossia la ragione per la quale essa ha
diritto di cittadinanza nel nostro sistema giuridico.
La teoria tradizionale fa appello al libero arbitrio e alla concezione
retributiva della pena.
16
La pena, in quanto castigo per il male commesso, ha senso se il
soggetto ha agito coscientemente e liberamente. In altre parole,
presuppone che egli abbia consapevolmente scelto il male, mentre
aveva la possibilità di scegliere il bene.
17
Tale consapevolezza manca
nei soggetti con uno sviluppo intellettuale insufficiente o negli infermi
di mente, pertanto essi non potranno essere biasimati per il male
commesso.
La teoria si basa su un concetto insoluto e complesso come quello del
libero arbitrio
18
: infatti, se da un lato, non sappiamo con certezza se la
nostra coscienza di essere liberi sia realtà o mera illusione, dall’altro, è
15
Per un approfondimento sul tema e una rassegna dei diversi indirizzi v. SCARANO,
Libera volontà e libero arbitrio nel diritto penale, Milano, 1937; ; MANTOVANI, Diritto
penale, parte generale, V Edizione, Padova, 2007, p. 547 ss.
16
PAGLIARO, Principi di diritto penale, parte generale, VIII Edizione, Milano, 2003, p.
639; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, XVI Edizione, Milano, 2003,
p. 612; MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, V Edizione, Padova, 2007, p. 547.
17
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte generale, XVI Edizione, Milano, 2003, p.
612, cit.
18
FRANCESCHETTI, Corso di diritto penale, Piacenza, 2003, p. 621; ANTOLISEI, Manuale
di diritto penale, parte Generale, XVI Edizione, Milano, 2003, p. 612; BATTAGLINI,
Principi di diritto penale, Milano, 1929, p. 86; BETTIOL, PETTOELLO, MANTOVANI,
Diritto penale, XII edizione, Padova, 1986.
10
ben lungi dall’essere provato che nel campo psichico domini
illimitatamente il principio di causalità.
19
Per cercare di evitare i problemi posti da tale dilemma filosofico si è
tentato di fondare l’imputabilità su altre basi. Ne sono derivate varie
teorie tra cui la tesi della normalità
20
, dell’identità personale
21
e
dell’intimidabilità
22
.
La teoria della normalità considera imputabile soltanto l’uomo
spiritualmente sano e maturo, ossia colui che è in grado di agire
normalmente sotto determinati impulsi esterni.
A tale teoria può essere contestato che il concetto di normalità è
piuttosto evanescente e che, tra l’altro, non si vede perché debbano
essere puniti gli uomini normali e non quelli anormali.
23
Una singolare teoria è quella dell’identità personale per la quale
l’imputabilità consiste nell’appartenenza dell’atto al suo autore, quindi
il soggetto è imputabile quando l’atto è espressione della sua
personalità. A questo punto, però, rimane difficile spiegare perché, ad
esempio, l’atto compiuto da un minore non possa essere considerato
come espressione della sua personalità.
Infine, per la teoria dell’intimidabilità il fondamento dell’imputabilità
va ricercato nella efficacia intimidatrice della pena. Pertanto non ha
senso applicare la pena agli immaturi, piuttosto che agli infermi di
mente in quanto costoro non sono in grado di percepirne la coazione
psicologica. E’ pur vero però che, alla luce del sapere psichiatrico
19
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte Generale, XVI Edizione, Milano, 2003, p.
613, cit.
20
Tale teoria fu professata in Italia da POLETTI, L’azione normale come base della
responsabilità dei delinquenti, Udine, 1889.
21
E’ la teoria sostenuta da TARDE, Etudes pénals et sociales, 1892; La Philosophie
penale, 1890.
22
Fu professata specialmente da IMPALLOMENI, Istituzioni di diritto penale, Torino, 1908,
p. 238; ALIMENA, Imputabilità e causalità, Modena, 1904.
23
FRANCESCHETTI, Corso di diritto penale, Piacenza, 2003, p.622, cit.; ANTOLISEI,
Manuale di diritto penale, parte Generale, XVI Edizione, Milano, 2003, p. 613.