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INTRODUZIONE
La scissione dell’Europa in protestante e cattolica influì notevolmente anche
sull’arte di una piccola regione come i Paesi Bassi.
Dopo la restaurazione cattolica ad Anversa, i protestanti avevano dovuto
rifugiarsi nelle province settentrionali dei Paesi Bassi: quest’emigrazione,
pertanto, contribuì a diffondere un gusto pittorico avverso alle fastosità
meridionali e, in particolare, alla pittura sacra e di corte.
Dunque il gusto dei protestanti olandesi era completamente diverso da
quello prevalente oltre confine: gli artisti, pur avendo una tradizione
pittorica e una tecnica molto solida, avevano dovuto limitarsi a lavori privi
di ogni riferimento religioso o celebrativo e sussistevano, pertanto, solo il
genere della ritrattistica e della pittura di paesaggio*
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.
Poiché l’unica opportunità di farsi un nome consisteva nella
specializzazione in un determinato genere di pittura; così facendo essi,
portarono il loro mestiere ad un punto di perfezione che è impossibile non
ammirare, diventando in tal modo dei veri e propri specialisti.
Per questo motivo le opere dei nordici erano considerate spesso curiosità da
<cabinet de l’amateur>, al punto tale che questi maestri si spingevano
addirittura alla pittura su pietra, nella quale l’artista sfruttava le venature
fantastiche delle pietre dure trasformandole in monti e fiumi. Pertanto il
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G. Traina,Il paesaggio nel disegno del Cinquecento europeo,Roma,1973,pp.123-204.
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mondo nordico -alieno al classicismo-aveva un modo di concepire la vita
quotidiana completamente diverso da quello proprio degli artisti italiani ma
che grazie al nuovo spirito naturalistico assunse maggior peso anche a Roma
nel corso del Seicento.
Nel corso del xvi secolo, gli artisti fiamminghi presenti a Roma*
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si erano
creati una certa notorietà per la bravura a sistemare in un quadro le masse
alberate, le case, i corsi d’acqua, cercando di dare all’insieme un aspetto di
verità. I pittori fiamminghi rappresentavano spesso nei loro quadri feste da
ballo, feste di villaggio, mercati, incendi notturni, visioni allegoriche; la
facilità con cui essi creavano queste opere, ricche di episodi curiosi e
fantastici, sembrava segnare un modo nuovo di superare la verità mediante
l’immaginazione.
Fra le attività preferite dai pittori nordici, si trovavano spesso la pittura su
vetro, la miniatura e l’arazzo, richiedenti precisione minuta o incisività del
segno.
Questi artisti, inoltre, precorrevano sensibilmente le possibilità degli artisti
italiani nel soddisfare le richieste dell’economia privata, nell’arredamento di
ville e palazzi patrizi.
Il paesaggio nordico, infatti, era di piccole dimensioni, destinato
all’interno.Soltanto nella seconda metà del Cinquecento esso abbandonò il
rame e la piccola tela, fiorendo come genere decorativo nei grandi e
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L. Salerno,Pittori di paesaggio a Roma,Milano,1977,pag.27-32;40-55;105-107.
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luminosi saloni italiani attraverso la pratica dell’affresco. I paesisti nordici,
infatti, in Italia ebbero grande favore soprattutto come decoratori: e ciò li
spinse ad impadronirsi presto della tecnica a fresco.
Tuttavia la maggior parte di questi artisti giungeva in Italia suggestionata dal
fascino della grande composizione, orgoglio della pittura italiana, ed era per
questo che il loro desiderio più vivo non era quello di realizzare opere
raffiguranti dei paesaggi, ma piuttosto di imparare a disegnare e dipingere
figure a soggetto religioso e storico.
Sarà soltanto dal pontificato di Gregorio xiii che avrà inizio un periodo
d’accresciuta attività e maggiore considerazione per tutti gli artisti
fiamminghi.
Agli albori del xvii secolo, mentre la pittura italiana rimaneva
antropocentrica e considerava la figura umana come vero apice della
creazione, riscoperta nella perfezione delle sue proporzioni originarie
dall’arte del Rinascimento, nella visione fiamminga l’ambiente non
rappresentava soltanto uno sfondo neutro ma diveniva parte integrante o
addirittura soggetto del dipinto.
L’Italia aveva opposto all’arte nordica la <grande maniera> e, al realismo
analitico dei fiamminghi,corrispondeva la capacità italiana di esprimere i
canoni essenziali della proporzionalità e della prospettiva, strumenti
indispensabili per realizzare la sintesi definitiva.Gli artisti fiamminghi
presenti a Roma cercarono di proporre una sintesi delle due visioni: Gillis
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Van Coninxloo,per esempio,fù il creatore di un tipo di paesaggio
“fiammingo”, che ebbe diffusione internazionale. Alle opere del Van
Coninxloo si ispirò diversi anni dopo P.Bril per la realizzazione delle sue
tele.
Crollati i canoni proporzionali e prospettici del Rinascimento, dopo il 1600
anche a Roma queste convenzioni manieristiche decaddero spingendo l’arte
a basarsi sulla percezione sensibile del mondo reale.Nel Seicento il
paesaggio non rappresentò più soltanto un tema, ma la pittura paesaggistica
si trasformò nel polo d’attrazione di una nuova sensibilità.
Dobbiamo osservare però che l’avvio del nuovo secolo segnò una svolta
decisiva soltanto a Roma perché fù lì che si incontrarono i Carracci,
Caravaggio, Elsheimer ed i pittori del nord, fautori di una nuova pittura della
realtà destinati a diffondere, dopo il 1630, lo spirito del più moderno
realismo.
Il primo grande artista le cui incisioni paesistiche divennero opere d’arte di
qualità elevatissima fu Adam Elsheimer.Egli fu legato da profonda e sincera
amicizia a Paolo Bril che, infatti, fu testimone di nozze al matrimonio del
tedesco.Lo stile di Elsheimer inizialmente fu quello tipico dei pittori
nordici, ma in seguito agli studi condotti a Venezia migliorò sensibilmente
sia nella resa della luce sia nel colore, mettendo in evidenza il suo
temperamento lirico nella rappresentazione del cielo notturno.
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Il nuovo interesse per la natura, che il Seicento esprimeva anche attraverso
la pittura di paesaggio, non poteva prescindere dalla cultura dell’epoca.I
pittori adattarono la natura alla nuova concezione del cosmo e soprattutto
alle convinzioni letterarie che si avevano della campagna e della vita
agreste.Alla fine del Cinquecento, a Roma, si cercò di interpretare la natura
in base al modello offerto dal mondo classico e, attraverso la costruzione
delle ville, si affermarono i due concetti che all’epoca si avevano della
natura: quello che la vedeva subordinata all’arte, e quello che la concepiva
libera e selvaggia, non imbrigliata dalle regole imposte dall’uomo.Inoltre il
principio oraziano dell’< ut pictura poesis >e il concetto delle arti sorelle
spiegavano l’influenza della letteratura sulla nuova pittura di paesaggio.
Fra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, la scuola pittorica
romana*
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era dominata dall’antica tradizione letteraria dell’Arcadia,
riportata in auge dalla lettura dei versi di Ovidio e di Virgilio. In questo
ambito culturale, furono proprio i pittori fiamminghi a sentire maggiormente
l’incanto della mitologia: Elsheimer, per esempio, fu affascinato da questa
tematica che gli sembrava essenziale, quanto lo studio dal vero della natura,
per la realizzazione di un’opera dignitosa dal punto di vista estetico.La
scelta di questi temi nascondeva una sottigliezza che anche oggi non bisogna
lasciarsi sfuggire, perché essi, intendevano rappresentare simbolicamente il
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G. L. Masetti Zannini,Pittori della seconda metà del Cinquecento in
Roma:documenti e regesti,Roma,1974,pagg46-54;90-123.
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rapporto fra la terra e il cielo, tra gli elementi della natura e il susseguirsi del
giorno e della notte.
La fase culminante di questa tradizione, sia pittorica che letteraria, si ebbe
quando nella seconda metà del secolo un gruppetto di letterati, che si riuniva
a Roma nel palazzo della regina Cristina di Svezia (palazzo Riario, poi
Corsini), fondò l’Accademia degli Arcadi. Ma se nei primi decenni del
secolo la nuova pittura cercava anche nella paesistica motivi letterari o
giustificazioni morali, con il passare degli anni si determinò la rottura:
intorno al 1625 con il Van Laer e, specialmente dopo il ’30, con i pittori
olandesi diventarono sempre più numerosi i quadri di paesaggio non
alludenti ad un soggetto o ad un significato preciso: segno evidente che
furono proprio i pittori nordici ad alimentare la ribellione nel cuore stesso
di Roma con la loro formazione protestante e calvinista.
I pittori fiamminghi erano giunti a Roma per cercarvi una natura diversa, la
luce, i colori, i monumenti antichi e la cultura classica,e per diffondere lo
spirito della rivoluzione protestante ribellandosi alla supremazia della
Chiesa e al mito stesso della città <eterna>.
Uno dei generi più fortunati che i pittori fiamminghi introdussero a Roma
nel Seicento fù senza dubbio la natura morta, genere derivato dall’olandese
“still leven” (vita ferma) e relativo alla rappresentazione di soggetti
inanimati. Molte nature morte floreali mostravano composizioni che
riunivano insieme fiori che in realtà non fiorivano nello stesso periodo