LE FRODI MANAGERIALI: ELEMENTI E CAUSE
In questo capitolo si definiscono gli elementi principali che caratterizzano le frodi, ed in
particolare quelle manageriali: si partirà tentando di dare una definizione di frode,
contestualizzando il fenomeno ed esaminandone le principali caratteristiche; si cercherà poi
di delineare le diverse categorie di frodi, distinguendo i comportamenti volti, seppur
illecitamente, a beneficiare l’azienda stessa, da quelli invece messi in atto dal management
con il preciso obiettivo di trarre vantaggio personale; si discuteranno infine le possibili cause
di una frode manageriale, dividendo le motivazioni che portano ad attuare comportamenti
illeciti fra fattori interni ed esterni all’azienda e focalizzando l’attenzione in particolare su
questi ultimi e sul ruolo che il contesto istituzionale può ricoprire.
1.1 Definizione di frode
Non è semplice dare una definizione universalmente riconosciuta di frode; in termini generali
la frode è un insieme di attività disoneste e ingannevoli, caratterizzate da intenzionalità, volte
a sottrarre valore patrimoniale a un business, a vantaggio o meno di chi commette l’azione.
(Nasisi 2007). Un’altra definizione, che si concentra maggiormente sul danno alla comunità
finanziaria, è quella che definisce le frodi manageriali come “deliberate actions taken by
managers at any level to deceive, con, swindle, or cheat investors or other key stakeholders”
(Zahra et al. 2005: 804). Quale che sia la definizione che si voglia adottare, una spiegazione
chiara delle dinamiche di una frode è rintracciabile nella relazione di agenzia e nella teoria
principale-agente (Jensen and Meckling, 1976): secondo questa teoria, infatti, il rapporto
aziendale è spesso caratterizzato da un’asimmetria informativa primariamente fra
management e proprietà, e più in generale fra l’azienda ed i suoi pubblici di riferimento; la
relazione fra un principale ed un agente, che dovrebbe appunto agire nell’interesse del
principale, è spesso caratterizzata invece da una diversità e da un conflitto di interessi fra le
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due parti che lascia un ampio margine per comportamenti opportunistici ed illeciti, in
particolar modo da parte del management. Si può pertanto sostenere che un agente commette
una frode quando manipola l’informazione a sua disposizione, o ne omette delle parti facendo
leva sull’asimmetria informativa a proprio favore, al fine di persuadere un altro individuo, il
principale, ad adottare una condotta che costui non avrebbe scelto se fosse stato correttamente
informato. Poiché la differente disponibilità della conoscenza tra due parti che entrano in una
relazione economica è la situazione prevalente, la frode diventa fenomeno persistente e
diffuso tutte le volte che il costo di verifica della completezza e veridicità delle informazioni a
propria disposizione è enormemente elevato per la parte svantaggiata sotto il profilo
informativo (Nasisi 2007).
1.2 Categorie di frode
Nell’ambito dei diversi illeciti societari, le frodi possono essere distinte in due categorie, a
seconda dell’identità del beneficiario ultimo dell’azione fraudolenta: da una parte abbiamo
comportamenti identificabili come “corporate illegality” , definibili come “azioni messe in
atto da uno o più individui all’interno dell’organizzazione, che contravvengono alla legge e
che sono volte ad apportare beneficio all’organizzazione stessa” (Baucus, 1994; McKendall &
Wagner, 1997, Mishina et al. 2010; Szwajkowski, 1985; Vaughan, 1999); dall’altra abbiamo
la nozione di comportamento scorretto, un concetto piuttosto ampio che si riferisce a tutti quei
comportamenti messi in atto all’interno dell’organizzazione da singoli soggetti che, attraverso
la propria azione scorretta ed illecita, traggono vantaggio per se stessi ed arrecano in questo
caso un danno all’organizzazione: è il caso dell’assenteismo, dell’utilizzo di strumenti o
materiali di proprietà dell’organizzazione per fini propri, e di tutti quei comportamenti nei
quali il singolo soggetto contravviene al cosiddetto “contratto psicologico” (Rousseau 2000)
che lo lega all’organizzazione e che gli imporrebbe di agire soltanto in favore di essa. Un caso
particolare di comportamento scorretto sono proprio le frodi attuate da parte dei managers,
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nelle quali dipendenti inquadrati ad un alto livello dell’organigramma aziendale mettono in
atto un comportamento scorretto nei confronti dell’organizzazione ed a proprio vantaggio.
Questi illeciti, portati avanti principalmente mediante il peculato e l’appropriazione indebita
di capitali, risultano essere potenzialmente i più pericolosi per l’organizzazione, in quanto
messi in atto dai soggetti che più di tutti hanno in mano le sorti dell’impresa, ne determinano
l’orientamento strategico e gestiscono l’impiego di capitali economici.
È da notare come le differenti categorie di frode abbiano anche un diverso impatto sulla realtà
circostante l’impresa: mentre gli effetti negativi dei comportamenti scorretti tendono ad essere
confinati all’interno dell’organizzazione, le conseguenze della corporate illegality si
estendono ben oltre e possono arrecare gravissimi danni agli investitori ed alla comunità
finanziaria (Gabbioneta et al. 2010); infatti, mentre comportamenti come l’assenteismo o
l’appropriazione indebita da parte dei dipendenti vanno a svantaggio dell’organizzazione
senza recare direttamente danno agli investitori, illeciti quali il falso in bilancio o le violazioni
della normativa sulla concorrenza, esempi di corporate illegality volte ad incrementare i
profitti dell’impresa, sono potenzialmente molto pericolose per gli investitori e per la
comunità finanziaria nella quale l’impresa si inserisce (vedi casi Parmalat, Cirio, etc).
1.3 Possibili cause di una frode
Le cause per cui le organizzazioni ed i loro manager mettono in atto delle frodi possono
essere distinte sulla base di diversi fattori; un criterio di divisione è quello che vede da una
parte i fattori interni all’organizzazione e dall’altra i fattori esterni che possono spingere ad
attuare una frode.
Un primo fattore interno può essere quello del livello di performance delle organizzazioni: è
ampiamente dimostrato, infatti, come le organizzazioni il cui rendimento è buono abbiano
meno incentivi e convenienza ad attuare comportamenti fraudolenti e sia quindi meno
probabile riscontrarne un comportamento illecito (Baucus, 1994; Baucus & Near, 1991;
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Clinard & Yaeger, 1980; Cochran & Nigh, 1987; Harris & Bromiley, 2007; Hill et al., 1992;
McKendall & Wagner, 1997; McKendall et al., 2002; Staw & Szwajkowsky, 1975; Vaughan,
1999); le organizzazioni il cui livello di performance è invece basso metteranno più
facilmente in atto delle frodi per confortare le aspettative dei diversi stakeholders, ed in
particolare quelle degli azionisti, dei fornitori e delle banche.
Un altro fattore interno importante riguarda gli assetti di governance delle organizzazioni e la
composizione dei consigli di amministrazione: la presenza di non executive director
all’interno dei comitati di direzione delle imprese sembra giocare un ruolo decisivo nel ridurre
la probabilità che l’azienda possa intraprendere comportamenti fraudolenti, in quanto essi
rappresentano e garantiscono gli interessi degli azionisti esterni (Beasley, 1996; Burns &
Kedia, 2006; Dunn, 2004; Efendi et al. 2007; Johnson et al. 2008; Kesner et al. 1986; Harris
& Bromiley, 2007). Seppure la relazione fra gli incentivi monetari per gli executive director e
la loro probabilità di intraprendere comportamenti fraudolenti non sia del tutto dimostrata,
l’azione dei non executive director nel vigilare sul comportamento degli executive sembra
essere particolarmente efficace.
Gli attributi strutturali dell’impresa sembrano inoltre essere importanti per determinare la
propensione dell’azienda ad attuare corporate illegality: alcuni studi confermano come la
grandezza, la complessità ed il grado di decentralizzazione siano tutti fattori che favoriscono
l’attuazione di frodi (Baucus & Near, 1991; Clinard et al. 1979; Clinard & Yaeger, 1980;
Cochran & Nigh, 1987; Dalton & Kesner, 1988; Finney & Lesieur, 1982; Hill et al. 1992;
McKendall & Wagner, 1997). In termini generali, più un’organizzazione è complessa in
termini di numeri di sub unità e livelli di management e più sembra probabile che i suoi
dipendenti possano intraprendere comportamenti scorretti, in quanto la complessità riduce la
possibilità di controlli effettivi e capillari sull’operato dei manager e degli impiegati ai diversi
livelli, e lascia quindi ampio spazio per comportamenti fraudolenti (Finney & Lesieur, 1982).
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Sembra inoltre che, all’interno delle organizzazioni più grandi e delle multinazionali, i diversi
professionisti sempre più spesso subordinino i propri valori professionali alle logiche di
profitto ed agli imperativi del business. Essendo il loro lavoro ed i loro avanzamenti di
carriera soggetti ai giudizi del management, i professionisti impiegati dall’impresa (in
particolare avvocati, revisori contabili e tutti coloro che hanno in qualche modo il compito di
controllare e garantire parte dell’operato dell’impresa) tendono ad abbandonare i valori
costituenti della propria professione per adottare logiche favorevoli all’organizzazione ed a
scapito della collettività (Wallace, 1995). Questi comportamenti possono quindi portare i
dipendenti a tacere irregolarità delle quali sono testimoni, rendendoli complici se non artefici
delle frodi (Mitchell et al. 1994). Questi effetti sono particolarmente evidenti nelle
organizzazioni di grandi dimensioni, dove i professionisti si trovano ad una “distanza” elevata
dagli altri appartenenti alla propria comunità professionale ed è quindi più facile che adottino
nuovi valori e principi, acquisiti all’interno dell’organizzazione, a scapito di quelli
tradizionalmente propri della professione. Questo accade anche in quanto tali professionisti
trovano all’interno dell’organizzazione incentivi economici uguali o superiori a quelli di cui
usualmente beneficiano coloro che riconducono la propria appartenenza ad una categoria
professionale (Invernizzi, 2006).
Nell’analizzare il contesto esterno all’organizzazione, invece, fattori chiave che possono
spingere a mettere in atto comportamenti illeciti sono individuabili in primo luogo nella
competizione e nella concentrazione del settore in cui si opera (Baucus, 1994; Baucus &
Near, 1991; Clinard et al. 1979; McKendall & Wagner, 1997; Staw & Szwajkowsky, 1975);
le organizzazioni che operano in settori molto competitivi, concentrati e caratterizzati da
margini ridotti sembrano più propense ad attuare frodi, confermando le ipotesi di correlazione
fra bassi livelli di performance e corporate illegality.
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Recentemente alcuni studi hanno evidenziato il ruolo e l’importanza del contesto istituzionale
nel determinare le condizioni all’interno delle quali una frode si verifica: in particolare lo
studio di Gabbioneta et al. (2011) dimostra come l’azione combinata di assunti cognitivi errati
e di prassi istituzionali consolidate nella valutazione delle organizzazioni possa, in alcune
circostanze, essere una motivazione importante nell’indurre le organizzazioni ad attuare una
frode ed un fattore altrettanto importante nel determinare forti ritardi nella scoperta dei
comportamenti illeciti.
Inoltre Misangyi et al. (2008) evidenziano come ogni tentativo di capire il fenomeno della
corruzione “richieda di considerare il modo in cui il contesto istituzionale influenza il
framework cognitivo ed il repertorio di comportamenti degli attori, le risorse che il contesto
istituzionale fornisce agli attori ed il modo in cui il contesto istituzionale può perdere la
propria influenza ed eventualmente essere modificato” (Mysangyi et al. 2008: 754). Si
evidenzia poi come il timore di non riuscire a soddisfare le aspettative degli investitori possa
portare organizzazioni con un livello di performance già di per se alto ad incrementare
ulteriormente i propri guadagni attraverso azioni illecite; si ipotizza paradossalmente come, a
fronte di ricavi maggiori del previsto, l’organizzazione intraprenda azioni fraudolente con il
fine di mantenere la traiettoria dei ricavi ai nuovi livelli e conservare così il consenso della
comunità finanziaria. Earle et al. (2010) osservano infine che il ripetuto utilizzo di una pratica
illecita all’interno di una comunità la renda “normale” e quindi socialmente accettabile
all’interno di quel contesto sociale, contribuendo così alla sua diffusione e legittimazione.
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I MOTIVI DEI RITARDI NELLA SCOPERTA DELLE FRODI
MANAGERIALI
In questo secondo capitolo si entrerà nel dettaglio delle ragioni per cui molto spesso le frodi
manageriali vengono scoperte e rivelate con anni di ritardo rispetto a quando sono cominciate.
L’analisi teorica comincerà esaminando brevemente i contributi che la teoria “principale-
agente” (Jensen and Meckling, 1976) ed altre prospettive “classiche” forniscono nello
spiegare i ritardi nella scoperta delle frodi; si introdurrà poi l’ipotesi forte sulla quale si basa
questo lavoro, ovvero il ruolo che le categorie “socio-cognitive” sembrano ricoprire
nell’influenzare l’analisi che i diversi financial markets’ participants effettuano
sull’organizzazione e come queste analisi incomplete o errate siano alla base di forti ritardi
nella scoperta dei comportamenti fraudolenti delle organizzazioni.
2.1 Teoria principale – agente e prospettive classiche
Il modello “principale – agente” (Jensen and Meckling, 1976) ben illustra come la
separazione fra proprietà e management in un’organizzazione possa dar luogo a
comportamenti opportunistici ed illeciti da parte del management. Essendo questa separazione
dei poteri presente nella gran parte delle organizzazioni moderne di grandi dimensioni, il
modello sottolinea come l’organizzazione stessa, e la sua proprietà in particolare, si trovi a
dover far fronte a veri e propri “costi” da sostenere per cautelarsi da rischi derivanti da
potenziali conflitti e divergenze di interessi da parte del management. Il modello spiega da un
lato il motivo per cui molto spesso le frodi manageriali sono messe in atto dai manager al fine
di trarne vantaggio personale e con interessi completamente estranei a quelli
dell’organizzazione, e dall’altro costituisce un solido motivo di ritardi nella scoperta di tali
frodi; infatti, grazie ad una forte asimmetria informativa in proprio favore, il management può
essere in grado di attuare e nascondere per lungo tempo dei comportamenti fraudolenti. Un
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modo per ridurre il rischio di comportamenti opportunistici da parte del management nei
confronti dell’organizzazione e dei suoi azionisti è quello di dividere il potere di decision
making, compito del Cda, da quello di implementazione delle decisioni, compito dei manager
(Fama and Jensen, 1983). Il Cda diventa in questo modo il meccanismo primario di controllo
sull’operato del top management. Ulteriori controlli sull’operato del top management sono poi
demandati a controllori e revisori interni ed esterni.
Molte ricerche hanno quindi cercato di stabilire se un incremento dei controlli sull’operato del
top management possa costituire un efficace strumento di prevenzione delle frodi o di
facilitazione nella loro scoperta. Oltre al ruolo dei non executive director ed alla presenza di
membri esterni nel Cda, tema già discusso in precedenza, alcune ricerche si sono focalizzate
sul contributo che le agenzie di audit di terza parte possono fornire nel facilitare la scoperta di
frodi manageriali. Molti studi hanno proposto procedure e tecniche di audit innovative per
individuare eventuali frodi in maniera più efficace (Reckers and Schultz, 1993; Johnson and
Rudesill, 2001; Wilks and Zimbelman, 2004; Carpenter, 2007; Hoffman and Zimbelman,
2009): queste spaziano dal ragionamento strategico (Wilks and Zimbelman 2004; Hoffman
and Zimbelman 2009) al brainstorming (Carpenter 2007; Hoffman and Zimbelman, 2009).
Altri studi hanno analizzato i costi monetari e reputazionali che le agenzie si trovano a
sostenere ogni qualvolta falliscono nell’individuare prontamente una frode (Matsumura and
Tucker, 1992; Bonner et al. 1998; Patterson and Noel, 2003; Patterson and Wright, 2003;
Firth et al. 2005); questi studi hanno individuato una forte correlazione fra l’attività degli
auditors e le ricompense legate a tali attività quando portate a termine con successo.
2.2 Il ruolo delle variabili socio-cognitive
Il modello “principale-agente” e le teorie appena esposte aiutano a comprendere meglio quale
possa essere il ruolo degli auditors nel prevenire e rivelare prontamente eventuali frodi, ma
risultano poco significativi nello spiegare lo svolgersi di una frode ed in particolare il
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