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1) L‟ITALIANO E IL FENOMENO PRESTITO
1.1 Due parole sul prestito linguistico
Prima di parlare più nel dettaglio del linguaggio economico e dell‟influsso inglese
sul lessico italiano, e in particolar modo della nomenclatura delle professioni,
occorre soffermarsi un attimo sul tema del prestito linguistico, in quanto ci tornerà
utile più avanti per capire meglio il metalinguaggio utilizzato per analizzare i nomi
delle professioni.
Cos‟è un prestito? La parola stessa ci dovrebbe fornire un indizio. Quando parliamo
di tale fenomeno ci stiamo riferendo a qualcosa che da sempre è la “spia” dei
rapporti tra due culture, ma soprattutto tra due lingue diverse. In sostanza avviene
che una parola, una struttura sintattica o un fonema stranieri vengano “prestati” da
una lingua A ad una lingua B ovvero entrino a far parte del patrimonio di
quest‟ultima. Con questa espressione si intende anche il fenomeno stesso di
adozione della parola straniera. Quindi avviene l‟acquisizione di un nuovo vocabolo
da parte di un idioma che prima non lo possedeva.
All‟interno di questo meccanismo possiamo operare una distinzione, poiché il
prestito linguistico avviene per due ragioni principali. Si dice “di necessità” quando
si recepisce una parola che indica qualcosa fino a quel momento sconosciuta dalla
comunità di parlanti che la riceve. Un esempio è l‟espressione patata, che si
riferisce ad un tubero sconosciuto agli occidentali e scoperto solo grazie ai viaggi
nelle Americhe, dove appunto, lo chiamavano batata
6
.
Parliamo invece di prestiti “di lusso” quando ci troviamo di fronte a parole che
indicano concetti già presenti nella lingua ricevente e già espressi da un termine con
il medesimo significato. Teoricamente sarebbero superflui, tuttavia si usano per la
particolare sfumatura espressiva che assumono o per il prestigio della cultura a cui
appartengono: valga il caso del già citato boutique.
6
Cfr. GRADIT, s. v. patata.
10
Se consideriamo poi i tratti formali di un prestito dobbiamo suddividere tra
“integrati” (o adattati) e “non integrati” (o integrali). I primi sono quelle voci che si
trasferiscono in una nuova lingua, ma subiscono una trasformazione fono-
morfologica (cioè dal punto di vista della pronuncia e della forma) in modo da
adattarle alla lingua ricevente, per esempio attraverso le tipiche desinenze di
quest‟ultima, come in toeletta (o toletta) per toilette oppure in bistecca per
beefsteak. Gli “integrali” si differenziano in quanto i termini vengono presi da una
lingua e portati “di peso” in un‟altra senza essere modificati, come bar, camion,
computer, film, ecc.
Un tipo peculiare di prestito è il “calco”, cioè un neologismo formato con materiale
indigeno sul modello straniero. Ne esistono due tipologie. Da un lato abbiamo il
“calco semantico”, che avviene quando una parola facente parte di una lingua
cambia significato deducendolo da una parola straniera. Tale eventualità può
implicare il “calco omonimico”, cioè basato anche sulla somiglianza fonica, come
autorizzare, che ha acquisito il significato di „permettere‟ sul modello del
francese autoriser e il “calco sinonimico”, il quale è basato sulla somiglianza del
significato, come nella coppia fuorilegge-outlaw. Dall‟altro lato si può dare il caso
del cosiddetto “calco traduzione”, che si ha quando si forma un nuovo composto
traducendo letteralmente i singoli componenti di una parola straniera,
come grattacielo per skyscraper o guerra fredda per cold war.
Un prestito linguistico tra due lingue appartenenti a popoli diversi in genere va sotto
il nome di „forestierismo‟, anche se sono utilizzati anche „stranierismo‟,
„barbarismo‟ o „xenismo‟ (dal greco xenos „straniero‟). Con anglicismo invece ci
riferiamo a quelle espressioni linguistiche provenienti dai Paesi anglosassoni, che
vengono recepite dall‟italiano. In realtà la dicitura più corretta e più italiana, come
non si stanca mai di far notare nei suoi scritti Gian Luigi Beccaria, è anglismo
7
.
Nello scrivere questa tesi di laurea, abbiamo utilizzato sempre la prima espressione,
confidando che il dotto professore ci perdoni per questa piccola esterofilia.
È chiaro che parlare di come le parole inglesi hanno modificato il nostro modo di
esprimerci non può prescindere dal fare un breve riepilogo della storia degli
7
Cfr. G. L. BECCARIA, Italiano antico e nuovo, Milano, Garzanti, 1988, p. 222.
11
anglicismi nell‟italiano. Per questo motivo è opportuno, secondo noi, tratteggiare,
senza pretese di completezza, la storia dei prestiti ricevuti dalla lingua inglese, al
fine di inquadrare il fenomeno della penetrazione dei termini anglosassoni nel
linguaggio economico.
1.2 La goccia che scava la pietra
Riportiamo qui un breve excursus con lo scopo di dimostrare che l‟ingresso degli
anglicismi in italiano è stato un fenomeno che non risale solo al XX secolo, ma che
ha interessato più epoche. Questo breve elenco di termini vuole essere uno sguardo
al passato per capire quali aree del nostro linguaggio economico sono state
influenzate dall‟inglese nel corso del tempo, ma cerca anche di mettere il risalto il
fatto che rapporti tra Italia e Inghilterra sono sempre avvenuti, nonostante la
lontananza geografica. E questo principalmente grazie all‟intermediazione del
francese che, oltre ad averci dato numerosissime parole, ha “ritoccato” e
“traghettato” fino a noi molti termini anglosassoni. Tuttavia ricordiamoci che il
merito di questi scambi culturali è stato dovuto per molto tempo all‟intraprendenza
mercantile e diplomatica dei vari stati italiani preunitari nei confronti
dell‟Inghilterra.
Numerosi sono gli studi diacronici sul percorso delle parole inglesi nella lingua
italiana, che operano ricostruzioni storiche a seconda delle fonti impiegate.
Ispirandoci alla Storia della lingua italiana, del grande linguista Bruno Migliorini,
possiamo far partire la nostra retrospettiva sugli anglicismi dell‟ambito economico
dal XIII secolo.
Risulta chiaro che gli scritti risalenti a questo periodo sono pochi e molte lingue
“volgari” stanno ancora cercando di affrancarsi completamente dal latino, il quale
resta ancora la lingua della Chiesa e delle altre classi colte. A seguito della
conquista normanna l‟Inghilterra intraprende nel Trecento una politica economica
volta ad inaugurare nuovi traffici commerciali con il continente e per questo si pone
alla ricerca di mercanti stranieri, in primo luogo italiani, per valorizzare una delle
12
risorse di primo piano dell‟isola, la lana grezza. Quindi contestualmente a questi
scambi fanno la loro comparsa stanforte (sorta di tessuto prodotto nella città di
Stanford) e la moneta dei pagamenti, gli sterlini appunto
8
.
Il Trecento si caratterizza per un alto grado di prosperità raggiunto dalle città
europee. Nacquero società commerciali di importanza internazionale e si
svilupparono le attività manifatturiere, portando un notevole accumulo di capitali.
Tuttavia a questo periodo risale anche la crisi economica, che colpì in particolar
modo le banche (nel 1350), e l‟epidemia di peste che si diffuse nel continente
amplificando gli effetti della crisi. I rapporti economici con l‟isola continuano. I
principali interlocutori sono ancora italiani ovvero i banchieri fiorentini dei Bardi e
dei Peruzzi, che prestarono ingentissime somme al re inglese Edoardo III per la
guerra contro la Francia. Questi però si rifiutò in seguito di restituire tali somme
completamente. I termini attestati in questo periodo sono: chierico nel senso di
„impiegato‟ (clerk), cocchetto cioè il «documento di avvenuto pagamento» (coket),
bigla ovvero „conto‟ (bill) e feo che ricalcava l‟inglese fee („stipendio‟)
9
.
Nel periodo rinascimentale, che copre parte del XV secolo e tutto il XVI, l‟Italia è
terra di invasioni da parte delle potenze straniere, in particolare Francia e Spagna,
che danno all‟italiano vari vocaboli appartenenti alla loro lingua. Tuttavia il primato
culturale resta saldamente in mano alla nostra penisola e le principali corti europee
abbondano di letterati e uomini di scienza italiani. La Repubblica di Venezia, che
insieme a Genovesi e Maiorchini aveva fin dal Trecento commerciato con i porti del
Mare del Nord, aveva provveduto a instaurare un‟ambasciata permanente a Londra
a tutela dei suoi interessi commerciali
10
. Molte voci anglosassoni, adattate e non,
sono state registrate nei carteggi dei vari ambasciatori della Serenissima o da
studiosi italiani qui trasferitisi per cercare fortuna, come il fiorentino Petruccio
Ubaldini, che scrisse la Relazione d‟Inghilterra e la Descrittione del Regno di
Scotia. I termini spaziano dal settore agricolo con acra (adattamento di acre,
„l‟unità di misura agraria inglese‟), a quello lavorativo con apprenditio
(latinizzazione di apprentice, indicante il tirocinio richiesto per potere esercitare
8
Cfr. B. MIGLIORINI, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1978, p. 164.
9
Cfr. E. RE, Archivi inglesi e storia italiana, in Archivio storico italiano, 1913, vol. LXXI, pp. 249-282.
10
Cfr. L. SERIANNI, P. TRIFONE, Storia della lingua italiana, Torino, G. Einaudi, 1994, vol. III, p. 722.
13
liberamente un mestiere) a quello mercantile con avventurieri (l‟ellissi di Society of
Merchants Adventures, ovvero una società commerciale inglese di grande
importanza nel XV e XVI secolo, che godeva di “corsie” preferenziali nel
commercio, come ad esempio con le Fiandre
11
).
Il Seicento per molti rappresenta un secolo di trasformazioni che traghetta il vecchio
mondo rinascimentale fino all‟ “illuminato” e industrializzato Settecento. Si
caratterizza per una generalizzata crisi economica e l‟instabilità dei prezzi, per
l‟assolutismo del “Re Sole” e per le rivoluzioni in Inghilterra e Olanda. L‟Italia
sottomessa all‟egemonia della Spagna, la cui potenza politico-militare va tuttavia
tramontando, vede ridimensionato il suo ruolo di esportatrice di cultura.
Il XVIII secolo viene ricordato non solo perché è stata un‟epoca di grandi fermenti
intellettuali, ma anche per rivoluzioni in campo industriale che mutano l‟economia
del continente. La lingua italiana risente del prestigio della società francese e ne
viene colonizzata. Tuttavia gli stretti rapporti politici tra gli stati italiani e
l‟Inghilterra (principalmente in chiave anti-francese) e lo sviluppo industriale unito
all‟invasione del Mediterraneo dei prodotti made in England influenzano il nostro
lessico economico. Con le nuove merci inglesi accogliamo importare (import) e i
pagamenti sono effettuati con il biglietto di banco che è il calco di bank-note, coloro
che non vanno nei club (con l‟accezione di „circolo politico‟) preferiscono passare il
tempo nelle cosiddette coffee-house dove è possibile incontrare persone che si
riuniscono per parlare d‟affari: i broker.
L‟Ottocento è un secolo pieno di eventi di grande rilevanza: si assiste
all‟imperialismo napoleonico e alla successiva Restaurazione, al nazionalismo e ai
moti liberali, allo sviluppo delle linee di comunicazioni, dei mezzi di trasporto e
quindi dei commerci. La rivoluzione industriale da parte sua, trasformò un numero
sempre più grande di uomini da agricoltori e pastori in soggetti capaci di
maneggiare e far funzionare macchine complesse, azionate da nuove fonti di
energia. I principali leader (termine risalente a questo periodo) economici non sono
più i latifondisti, bensì i grandi industriali che si avvalgono dei nuovissimi ritrovati
11
Cfr. G. RANDO, Voci inglesi nelle «Relazioni» cinquecentesche degli ambasciatori veneti in Inghilterra
(1498-1557), in Lingua Nostra, 1970, vol. XXXI, p. 106.
14
della tecnica per incrementare la produzione e l‟efficienza. Se per la nostra penisola
il polo d‟attrazione culturale resta pur sempre la vicina Francia, lo scenario tecnico
ed economico vede l‟indiscussa supremazia dei Paesi di lingua anglosassone quindi
Stati Uniti e Inghilterra. A questi dobbiamo un gran numero di anglicismi che
vengono inglobati nella nostra lingua: budget, meeting, premium (che l‟italiano
rimodella in premio riferito al campo delle assicurazioni), trust, check (tradotto
subito con assegno), stock, performance e lock out riferito alla cosiddetta serrata.
1.3 Alcune considerazioni
Questa breve rassegna di anglicismi, che abbiamo redatto fermandoci volutamente
al XIX secolo, mostra come nella storia l‟afflusso dei termini inglesi sia stato lento,
ma costante. Come la famosa goccia che scava la pietra, l‟inglese, definita nel
Rinascimento da John Florio come un‟idioma che «vi farà bene in Inghilterra, ma
passate Dover, la non val niente
12
», si è insinuato poco alla volta nell‟italiano, fin
dai tempi in cui il nostro idioma era ancora la lingua delle persone erudite in
Europa. L‟aspetto più significativo che vogliamo mettere in risalto non consiste
tanto nell‟apporto quantitativo delle espressioni straniere, che comunque non è
numericamente tale da mettere in pericolo la solidità della nostro lingua, né va visto
in termini di “colonizzazione anglosassone”, quanto nel modo in cui l‟italiano li ha
recepiti.
A partire dal Settecento si riduce la tendenza a modificare i vocaboli inglesi,
accettati per lo più in modo integrale, senza grandi tentativi di adattamento alla
lingua nazionale, operazione che nelle altre lingue neolatine (francese e spagnolo in
particolare) viene sempre, quantomeno, tentata. È possibile rilevare
un‟accelerazione della penetrazione dei termini inglesi, seconda solo a quella dei
prestiti francesi, con l‟avvicinarsi ai nostri giorni. Gaetano Rando nell‟Introduzione
al DAIP calcola che «gli anglicismi entrati nella seconda metà dell‟Ottocento sono
12
G. L. BECCARIA, Per difesa e per amore: la lingua italiana oggi, Milano, Garzanti, 2006, p. 191.
15
numericamente superiori a quelli accolti nel corso di tutti i secoli precedenti
13
»,
attestandosi intorno alle settecento unità (di cui ben cinquecento integrali).
Quest‟ultimo dato permette di farsi un‟idea sulla portata degli eventi.
È pur vero che questa ossequiosità verso gli anglicismi riflette le vicende storiche
del nostro Paese, che in quell‟epoca ha già smesso definitivamente di essere un
punto di riferimento culturale e, al contrario, inizia ad essere attratta dallo stile di
vita (way of life) della popolazione inglese, come anche dalle sue conquiste in
campo sociale, politico ed economico (soprattutto in ambito industriale). In
particolare notiamo che l‟economia ha recepito espressioni appartenenti per lo più al
commercio, all‟ambito bancario e a quello lavorativo.
Tra i fattori puramente linguistici, che hanno condizionato una tale ricettività verso
gli influssi inglesi, ha grande rilevanza la somiglianza strutturale (lessicale e
strutturale) tra la lingua donatrice e quella ricevente. Come ci ricorda Gian Luigi
Beccaria, uno dei “segreti” del successo di questa lingua sta nel fatto che essa è
«straordinariamente ricca proprio perché fin dai suoi albori ha inglobato prestiti in
quantità da lingue di tutto il mondo
14
», in particolare dal francese e dall‟italiano.
Questa ibridazione romanza ha attenuato i caratteri germanici originari e allargato
la base latina. Il fondo latino in particolare è il principale comun denominatore con
l‟italiano. È possibile rintracciare parentele dimenticate anche in parole dell‟inglese
comune: street da strata ovvero „strada‟, cheese da caseus cioè „formaggio‟, pillow
da pulvinus in luogo di „cuscino‟. E non si dimentichi che secondo De Mauro il
27% del vocabolario inglese è di origine francese
15
.
L‟inglese, oltre a latinismi, italianismi e francesismi, ha recepito addirittura anche i
grecismi, a dimostrazione del fatto che non c‟è mai stata una vera politica puristica
né l‟istituzione di accademie ad hoc per quel che riguarda la lingua. E ciò vale sia
per l‟Inghilterra che per gli Stati Uniti. Il risultato è che rispetto al tedesco o
l‟olandese il lessico inglese è più assimilabile al francese e all‟italiano. Non c‟è da
stupirsi quindi se abbiamo preso in prestito anche quei vocaboli riguardanti gli
13
G. RANDO, Introduzione di Gaetano Rando a “Dizionario degli anglicismi nell‟italiano postunitario”,
presentazione di Luca Serianni, Firenze, L. S. Olschki, 1987, p. XVI.
14
G. L. BECCARIA, Per difesa e per amore, p. 183.
15
Cfr. H. WALTER, L‟avventura delle lingue in Occidente: origini, storia, geografia, prefazione di Tullio
De Mauro, Roma [etc.], traduzione di Sabina De Mauro, Laterza, 1999, p. XIII.
16
ambiti più intellettuali, tecnici o astratti. Ad esempio un gran numero di termini
italiani afferenti al mondo politica sono degli anglolatinismi per lo più ricevuti
nell‟Ottocento e, per fortuna, italianizzati: costituzione, radicale, autogoverno,
conservatore, assenteismo, ecc.
Soprattutto nella seconda metà del XX secolo, l‟inglese è diventata una lingua
veicolare di tutto il mondo. Non è più corretto parlare di anglicismi o meglio anglo-
americanismi, ma neanche di “europeismi” come annotava Leopardi nel suo
Zibaldone: è opportuna la definizione di Beccaria che ci parla di “mondialismi
16
”
ricordandoci che 340 milioni di persone lo parlano come madrelingua, in Cina sono
circa 250 milioni a studiarlo a scuola e nelle aziende, e lo stesso vale per nazioni
popolose come India e Russia. Inoltre è la lingua ufficiale delle telecomunicazioni
internazionali (si pensi ad internet).
La diffusione su scala planetaria dell‟inglese è cominciata tuttavia “appena” due
secoli fa, nel XIX secolo, quando l‟Inghilterra tesse una grande rete di rapporti
mercantili e crea diversi insediamenti coloniali. Ma ciò è dipeso anche dalla sua
oggettiva facilità di apprendimento e dalla storica vastità dell‟impero coloniale
britannico, che in un certo senso sopravvive ancora nel sistema del “Commonwealth
britannico”. Quando si parla dell‟espansione dei termini anglosassoni non si può
comunque sottovalutare il grande apporto dato dal “multiplo statunitense”
(espressione di Giovanni Nencioni
17
).
Gli Stati Uniti hanno accresciuto la loro potenza economica, non solo con le armi,
ma soprattutto con il controllo dei mercati mondiali: è una nazione che investe
molto nelle università e nella ricerca applicata; la sua potenza tecnologica e
industriale ha fatto sì che la sua cultura acquistasse prestigio e non solo negli ambiti
scientifici, ma anche, ad esempio, nel cinema, nella musica, nel giornalismo, nello
sport, ecc. Lo stesso vale per l‟economia: a tutti fa comodo adottare fixing in luogo
di „quotazione ufficiale dell‟oro‟ nel mercato di questo metallo. Antitrust,
management, fiscal drag, holding, joint-venture, leasing…: ce n‟è per tutti i gusti.
Si pensi anche al linguaggio del marketing o a quello del commercio e degli
16
Cfr. G. L. BECCARIA, Per difesa e per amore, p. 185.
17
Cfr. ibidem, p. 192.
17
innovativi prodotti che hanno fatto la loro comparsa fino a oggi: walkman,
dispenser, mp3 player, Bluray, pay-TV e molti altri. Come anche nel settore della
moda, ambito dove l‟Italia può vantare un certo primato, esistono espressioni come
hot pants, unisex, new-look, nude-look, new-glamour. Per non parlare dei colossi
americani come Coca Cola o Microsoft, che esportano in tutto il mondo prodotti,
ma anche modi di esprimersi e soprattutto modi di vivere che ne sono alla base.
Fin dal secondo dopoguerra, noi italiani siamo stati succubi della cultura americana,
tanto che stiamo modificando le nostre abitudini, oltre che la nostra lingua. Ma non
è un problema solo nostro: è un po‟ tutto il mondo occidentalizzato e capitalista che
è interessato da questo fenomeno. La lingua degli affari (o del business?), in
particolare, è stata un po‟ l‟apripista a questa ondata di nuove espressioni in quanto
il primato degli Stati Uniti è stato prima di tutto economico e sta pervadendo
moltissime nazioni. Effetto (collaterale) globalizzazione? Può essere. Di una cosa
siamo certi: finché l‟Occidente vedrà negli Stati Uniti il faro del capitalismo
continueremo ad essere circondati da definizioni quali broker, manager e account-
executive. Sempre che, in questo settore, lo “scettro”, anche linguistico, non passi in
mano al drago cinese
18
, in tal caso le conseguenze sarebbero difficilmente
prevedibili.
18
Cfr. J. MEARSHEIMER, Se il drago cinese scende in guerra, in Corriere della Sera, 15 marzo 2005 p. 1.
18
2) COME CAMBIA IL LESSICO ECONOMICO
2.1 Che lingua parlano gli economisti?
Nel capitolo precedente abbiamo inquadrato il fenomeno del prestito linguistico e
cercato di capire quali sono le principali motivazioni che hanno portato ad una
diffusione così vasta della lingua inglese.
In questa sezione invece ci preme spostare l‟attenzione sull‟italiano economico nel
tentativo di tracciarne un po‟ le origini, di analizzarne le caratteristiche e di fare “un
punto della situazione” a riguardo.
Il linguaggio economico è una cosiddetta lingua speciale o anche un linguaggio
settoriale come il giornalese, il politichese, il burocratese, ecc. Michele Cortelazzo
definisce così una lingua speciale: «una varietà funzionale di una lingua naturale
relativa ad un settore specialistico che viene usata per soddisfare i bisogni
comunicativi del settore specialistico a cui si riferisce ed è costituita al livello
lessicale da una serie di corrispondenze aggiuntive rispetto a quelle generali e
comuni della lingua
19
». Roman Sosnowski aggiunge ulteriori particolari: «Le
caratteristiche lessicali delle lingue speciali sono prevalentemente determinate dalle
specifiche esigenze che deve affrontare la comunicazione tra gli specialisti. A
queste esigenze appartiene la necessità di denominare oggetti di esprimere concetti
che non fanno parte della realtà quotidiana e di approfondire certe sfere della
conoscenza. Quindi ogni lingua speciale adopera una serie di vocaboli e di
espressioni che differiscono dalla lingua comune o per gli aspetti formali […] o per
gli aspetti funzionali
20
». La formazione di una lingua speciale risponde quindi a
necessità pratiche di riferirsi ad un particolare ambito. Sempre Sosnowski ci ricorda
che in passato lo studio delle lingue speciali, nell‟ambito dei vari idiomi nazionali, è
stato molto frammentario, in quanto i principali studi linguistici si sono concentrati
19
M. CORTELAZZO, Lingue speciali: la dimensione verticale, Padova, Unipress, 1990, p. 246.
20
R. SOSNOWSKI, Origini della lingua dell‟economia in Italia: dal XIII al XVI secolo, presentazione di
Stanislaw Widlak, Milano, Franco Angeli, 2006, p. 13.
19
spesso e volentieri sulla lingua letteraria. È questo anche il caso dell‟italiano: esso è
visto spesso come sola lingua letteraria, mentre si ignora che ha dato un grande
impulso alla nascita di un codice linguistico europeo per l‟economia.
Fin dalle sue origini, l‟italiano comune si è differenziato internamente, sviluppando
quei linguaggi settoriali essenziali ai diversi settori di attività. Addirittura secondo
Adriano Bruttini è stata la lingua mercantile e contabile del medioevo ad avere un
ruolo di spicco nell‟affermarsi del toscano come lingua nazionale
21
. Questa varietà
regionale infatti è stata fino al Rinascimento la lingua franca del commercio e molti
libri sulla contabilità, le transazioni economiche, le cambiali e i documenti bancari
erano scritti in volgare toscano. Ciò fu chiaramente dovuto allo strapotere
economico della Toscana del tempo, forte soprattutto delle sue banche a cui perfino
i pontefici si rivolgevano.
I testi di carattere pratico realizzati in quel periodo, oltre che avere fini divulgativi,
ci appaiono come prime manifestazioni della lingua speciale. Il linguaggio
economico, emancipandosi abbastanza presto dal latino, che continuava ad essere
usato soprattutto in ambito scientifico, dimostra di avere in sé già caratteri di
autonomia. La nuova realtà sociale cinquecentesca, la comparsa di nuovi mestieri e
soprattutto la mancanza di una tradizione scritta permettono l‟affermazione del
volgare che era una lingua più consona alle pratiche economiche e quindi più vicina
ai bisogni degli operatori del settore
22
.
Questa “concretezza” la possiamo notare nell‟espressione lettera di cambio, uno
strumento finanziario che serviva a mascherare il prestito con interesse. Ciò era
dovuto al fatto che la Chiesa vedeva negativamente l‟attività del mercante e
giudicava illegale la pratica dell‟usura. Il linguaggio economico è stato quindi il
frutto di una costante pratica da parte dei mercanti che avevano la necessità di
controllare un patrimonio che non era più il loro, bensì dell‟impresa. I nomi delle
sezioni del libro contabile dare e avere compaiono proprio per tenere sotto controllo
debiti e crediti accesi nei confronti delle persone. Si noti che fin dai suoi esordi
questa lingua speciale attinge dal lessico comune (“dare e avere”, “lettera di
21
Cfr. A. BRUTTINI, Pubblicità e contabilità secondo il metodo italiano della partita doppia in Inghilterra,
1669-1731, Siena, Quaderni senesi di Economia Aziendale e Ragioneria, 1987, p. 4.
22
Cfr. R. SOSNOWSKI, Origini, p. 20.
20
cambio”) per creare una terminologia che sia valida per operazioni contabili che in
fondo hanno la stessa natura. In pratica si assiste, dice Sosnowski, alla: «parola
della lingua comune che si cristallizza come termine specialistico perde valori
accessori che eventualmente la caratterizzano nella lingua comune e acquisisce una
sola, precisa accezione, sebbene possa rimanere polisemica se fuori dal contesto
specialistico
23
». Il termine rischio perde il suo generico significato di pericolo e
passa a significare il „premio pagato per assicurare la merce‟. Oppure valga
l‟esempio di chetanza (quietanza) o contenta (riferendosi alla „lettera di contenta‟)
che derivavano dalla formula latina sum quietus et contentus. La necessità di un
linguaggio comune per agevolare le pratiche commerciali porta anche a prendere in
prestito termini prettamente locali come il veneziano doana „dogana‟ o il senese
pulissa per „polizza‟. Il lessico economico nel tempo si è mostrato così ricettivo
(non solo nei secoli a noi più vicini in cui è chiaro l‟influsso dell‟inglese e del
francese), da prescindere dai conflitti tra culture diverse. Molti sono gli arabismi
che tuttora fanno bella mostra di sé, ma che sono stati inglobati al tempo delle
Crociate: sensale, tariffa, zero, cifra, e molte altre
24
.
Questo linguaggio arcaico e tuttavia non standardizzato subirà un importante
cambiamento con l‟affermarsi della nuova mentalità scientifica e la diffusione del
metodo sperimentale nel Seicento e nel Settecento. In particolare, nell‟Ottocento,
con la nascita delle scienze moderne l‟economia diventò soprattutto l‟economia
politica inglobando le precedenti discipline pratiche come la contabilità e la pratica
bancaria
25
.
Il linguaggio dell‟economia si è inoltre da sempre caratterizzato per essere molto
radicato nel quotidiano e per il suo rinnovamento lessicale continuo che è andato di
pari passo con le innovazioni tecnologiche da cui sempre è dipeso. Ciò ha portato da
una parte alla progressiva scomparsa dei cosiddetti “mestieri antichi” (e al disuso
delle rispettive voci) come l‟ombrellaio, il maniscalco, lo spazzacamino e il
calzolaio, dall‟altra l‟affermarsi di ulteriori sotto-specializzazioni di questo
linguaggio settoriale: infatti sappiamo che la terminologia della corrispondenza
23
ibidem, p. 45.
24
Cfr. ibidem, pp. 46-47, 58.
25
Cfr. ibidem, pp. 21-25.
21
commerciale, borsistica, bancaria, assicurativa, ecc., hanno tratti peculiari seppur
appartenendo all‟ambito economico.
A testimonianza del fatto che l‟economia si caratterizza per la maggiore
contingenza del suo lessico (rispetto magari alla terminologia medica o della
biologia) appare utile riportare l‟intervento Economia e Linguaggio di Gian Luigi
Beccaria nel convegno “Aziendalismo Universale? Linguaggio economico e
descrizioni della realtà” tenutosi il 18/02/2002. L‟illustre studioso sostiene
addirittura l‟emotività di questo linguaggio quando cita termini come ristagno
(riallacciandosi alla metafora del denaro come liquido o fonte di ricchezza),
scrematura delle aziende, milioni rastrellati e poi ancora raffreddamento della
domanda, inflazione strisciante, terremoto dei mercati e stangata. Inoltre nota
anche il largo uso di termini appartenenti all‟ambito medico: nel suo acuto
intervento leggiamo appunto di diagnosi, di terapia, di tonificare la domanda, di
mercato azionario prossimo al collasso, di depressione, di nervosismo del mercato
azionario, di stato patologico di un bilancio, di monete ammalate, di consulto, della
Borsa che dopo la fase di encefalogramma piatto si sveglia dal suo torpore
26
.
Che l‟italiano dell‟economia sia più legato alla sfera strettamente “umana” e, per
tale motivo, spesso accostato alla metafora del corpo umano è testimoniato da
esempi come “la mano invisibile” di Adam Smith, il denaro-sangue che circola
nell‟organismo statale o i problemi economici visti come le malattie
27
.
Altro aspetto da mettere in risalto è il modo in cui è usato questo metalinguaggio.
Esso preferisce essere vago ed eccessivamente tecnico, optando spesso per uno stile
molto vicino al politichese. Forse sarà perché si riferisce ad un argomento delicato
quale può essere quello delle nostre tasche? Ancora Beccaria paventa questa
colorita possibilità citando esempi di tecnicismi come allineamento monetario in
luogo di svalutazione, depressione economica per crisi, licenziamento da sostituire
con ridimensionamento. Giacomo Devoto dice infatti che «quando si tratta di un
bilancio che ci sta a cuore le entrate contratte ci danno una consolazione verbale
26
http://digitallibrary.sissa.it/retrieve/780/aziendalismo.pdf, p. 12.
27
Cfr. R. SOSNOWSKI, Origini, p. 105.
22
che le entrate diminuite ci negherebbero
28
». Notevole è la somiglianza con quelle
espressioni appartenenti al mondo della politica e volutamente oscure come
scollamento della maggioranza o coesistenza ma nel dissenso
29
. Ci troviamo di
fronte ad una lingua inesistente e astratta.
Ma talvolta anche le parole più semplici possono risultare complicate: progresso,
crescita, rendere moderno, andare avanti, sviluppo sono tutte cose che
auspichiamo, sono parole dal significato inequivocabile. O no? In realtà possono
essere più oscure di quanto si creda se non c‟è nessuno che spiega in che modo
modernizzare il Paese, farlo crescere e quindi progredire; in tal caso queste
espressioni risultano più incomprensibili e vuote dei termini strettamente
specialistici.
In I linguaggi settoriali in Italia, il lessicologo francese Andre Phal nota che tra le
principali “derive” della sintassi dei linguaggi scientifici vi è la “nominalizzazione”
ovvero il processo che vede la sistematica sostituzione dei costruttivi verbali con
sintagmi basati su un sostantivo semplice o con suffisso. Questo fenomeno è
presente anche nel linguaggio economico: la frase “si accumulano i consumi” si
trasforma in “l‟accumulazione dei consumi”. Lo scopo è: «inserire enunciati chiari e
precisi in contesti sintattici semplificati, senza ricorrere alla complessa
subordinazione della sintassi tradizionale
30
». I mass media fanno un grande uso (o
meglio abuso) delle espressioni dell‟economia, le quali vengono date in pasto ai
lettori dopo essere state rivestite talvolta di una patina di giornalese affinché
risultino più appetibili. Questo comporta ulteriori particolarità che
contraddistinguono questo linguaggio settoriale. Beccaria rileva l‟intensificarsi
dell‟uso: di locuzioni verbo+sostantivo (procedere alla verifica invece di
verificare), dei verbi derivati da sostantivi (come disdettare, da disdetta), dei
soggetti della frase astratti con verbi in forma passiva o impersonale (il versamento
va effettuato dal cittadino)
31
.
28
G. DEVOTO, Lingue speciali. Dalle cronache della finanza, in Lingua nostra, 1939, vol. I, pp. 144-121.
29
http://digitallibrary.sissa.it/retrieve/780/aziendalismo.pdf, p.13.
30
G. L. BECCARIA...[et al.], I linguaggi settoriali in Italia, Milano, Bompiani, 1973, p. 192.
31
http://digitallibrary.sissa.it/retrieve/780/aziendalismo.pdf, p. 14.
23
Tuttavia i cambiamenti più significativi che hanno interessato il linguaggio
economico sono quelli dovuti alla diffusione delle parole inglesi in seguito al
successo conseguito dall‟Inghilterra prima e dagli Stati Uniti poi nel campo
dell‟economia. L‟inglese è ormai la lingua usata al livello internazionale per le
comunicazioni e gli scambi commerciali. Inevitabilmente essa ha finito per
colonizzare anche l‟italiano comune e settoriale.
Nel 1981 Dardano faceva notare che le voci anglosassoni entrate nel nostro lessico
economico-finanziario sono per lo più «anglolatinismi che entrati in una serie di
espressioni fisse, vengono usate in ambito internazionale per evidenti ragioni di
comodità e comunicatività
32
». Esempi sono: fluctuation („fluttuazione‟),
industrialization („industrializzazione‟) e inflationary spiral („spirale
inflazionistica‟). Non ci si deve stupire se nascono continuamente espressioni
innovative che la nostra lingua recepisce all‟istante. In fondo i fenomeni economici,
che generalmente hanno luogo in America, si ripercuotono in tempo reale in Europa
e quindi nel nostro Paese grazie alla velocità con cui viaggiano le informazioni.
Questa immediatezza nel comunicare le novità “il più in tempo reale possibile”, di
cui i media sono i più grandi promotori, non permette alle varie lingue nazionali di
assorbire e metabolizzare le recenti espressioni adattandole al proprio contesto e
questo vale soprattutto per l‟italiano
33
.
Francesca Rosati ha giustamente notato che una delle caratteristiche peculiari
dell‟inglese riguarda la facilità con cui possono essere composte nuove parole
(word-formation) per indicare nuovi concetti, mettendo a disposizione una risorsa
virtualmente illimitata in modo da creare nuove espressioni semplicemente
combinando parole o parti di esse. Ed a questo proposito mostriamo qui una serie di
esempi che dimostrano tale attitudine di questo idioma: chairman, benchmark,
eurobond, free-capital, offshore, output, network, know-how, e-business, e-
commerce, e-trade…e l‟elenco potrebbe continuare ancora. Ma anche le sigle,
aggiunge Rosati, sono diffuse e utilizzate ignorandone talvolta di quali parole
rappresentano l‟abbreviazione. Valgano i casi di plc per „public limited company‟ o
32
M. DARDANO, Il linguaggio dei giornali italiani: il sottocodice economico-finanziario, Bari, Laterza,
1981, pp. 222-230.
33
Cfr. F. ROSATI, Anglicismi nel lessico economico e finanziario italiano, Roma, Aracne, 2004, p. 22.