Introduzione Nel 1865 i mercati editoriali di due paesi in condizioni così diverse, come l'Inghilterra
vittoriana vicina al suo apogeo e l'arretrata Italia, alle prese con i problemi seguiti
all'unificazione, erano accomunati dalle abbondanti vendite della stessa opera, un
corposo pamphlet che, senza avere alcuna pretesa letteraria, si rivolgeva alle classi
lavoratrici per s pronarle a lavorare duramente, risparmiare e rendersi artefici del
proprio destino: il Self-Help di Samuel Smiles, destinato a diventare rapidamente uno
dei maggiori best seller della seconda metà del secolo a livello internazionale 1
. Questo
li bro era, a sua volta, solo l'ultimo esempio di una lunga serie di testi che,
principalmente nella Gran Bretagna artefice della rivoluzione industriale, ma in misura
minore anche nel nostro e in altri paesi, si proponevano da decenni di diffondere nei
ceti subordinati le virtù, le concezioni economiche e gli stili di vita della borghesia,
valorizzandone, a seconda dei contesti, pi ù gli aspetti legati alla dimensione produttiva
o quelli riguardanti la sfera morale.
L'obiettivo che ci si propone in questo lavoro è di seguire gli sviluppi di queste
letterature rivolte al popolo indagandone le origini, le matrici ideologiche di questi
scrittori, il ruolo svolto nel legittimare l'affermarsi del capitalismo industriale e del
modello di fabbrica in un momento cruciale di transizione ad un'economia
interamente regolata dal mercato, i loro rapporti con le classi dirigenti e la ricezione di
queste opere, istituendo un raffronto tra il caso inglese e quello italiano, anche se
verranno brevemente prese in considerazione altre realtà che ebbero un'influenza
secondaria sull'elaborazione di questo genere di testi nel nostro paese.
L'eterogeneità del materiale, quasi sempre affine nei contenuti, ma divergente sia per
le forme che ha di volta in volta assunto (narrativa, pamp hlet, trattatelli popolari) sia
per l'orientamento e le finalità di questi autori, che raramente si possono raggruppare
in vere e proprie “correnti”, ha reso difficile per gli studiosi identificare questa
1
Oltre alle informazioni qui contenute nei capitoli dedicati a Smiles, per valutare appieno l'immensa
fortuna di quest'opera, tradotta anche in francese, tedesco, greco e altre lingue, si veda Adriana Chemello,
La biblioteca del buon operaio. Romanzi e precetti per il popolo nell'Italia unita, Unicopli, Milano 1991,
pp. 45-46.
1
produzione letteraria sotto un unico nome: si è par lato perciò, più o meno
indifferentemente, di letteratura “lavorista”, “selfhelpista”, “per gli operai”,
“paternalista”. In questa sede , dove si intende rimarcare il nesso che lega autori pur
molto diversi, come Hannah More e Samuel Smiles per quanto rigua rda l'Inghilterra o,
per il caso italiano, Cesare Cantù e il “selfhelpista” Michele Lessona, si parlerà di
letteratura lavorista o selfhelpista solo in riferimento ai testi direttamente influenzati
da Smiles e dalle sue perorazioni a produrre “facendo da s é”; mentre, per questa
letteratura nel suo insieme, che include anche molti testi che all'opposto sottomettono
l'iniziativa individuale al primato della provvidenza e della religione, si è scelto di usare
il termine meno specifico di letteratura paternalis ta.
Questa espressione richiama indirettamente uno dei caratteri peculiari di questo
genere di libri, il relazionarsi con gli operai, i destinatari più comuni di queste opere,
trattandoli, con maggiore o minore benevolenza, alla stregua di bambini, incapa ci o
riottosi a conformarsi al modello di vita loro preposto; al contempo, molti di questi
testi non si limitarono ad essere una sequela di sterili ammaestramenti o di rigidi
precetti, cercando di ottenere la fedeltà e il consenso dei ceti subordinati all' ordine
sociale allettandoli con concessioni octroyés, accordate dall'alto .
Una parte consistente di questa letteratura finisce così col porsi in stretta relazione con
le meccaniche che regolavano i rapporti tra imprenditori e salariati all'interno delle
fabbriche, caratterizzate da quel nesso paternalismo-deferenza ricercato in origine per
facilitare l'adattamento all'organizzazione di fabbrica da parte di masse di lavoratori
provenienti dalle campagne 2
. Non si può quindi sottovalutare la valenza ideologica dei
principali tra questi autori (come Smiles, ma anche Harriet Martineau ed altri), che
intesero esaltare e legittimare una borghesia industriale che in Gran Br etagna era già
consolidata, ma ancora priva di “cantori” che la difendessero da quanti rimpiangevano
un sistema rurale e preindustriale deplorando il rapido accumulo di ingenti ricchezze.
Proprio in quest'ottica la morale selfhelpista sarà importata in Ita lia 3
, dove l'intesa tra
2
Elisabetta Benenati, La scelta del paternalismo , Ro semberg & Sellier, Torino 1994, p. 168.
3
In un contesto segnato da un'evidente arretratezza nell'elaborazione teorica di un'etica del lavoro, e nel
quale, di conseguenza, questi libretti assumono una ancora più spiccata rilevanza ideologica, cfr. Mariella
Berra, L'etica del lavoro nella cul tura italiana dalla unità a Giolitti, Angeli, Milano 1981, pp. 19-26.
2
élites politiche ed industriali da un lato e scrittori lavoristi dall'altro si farà in un certo
momento piuttosto stretta, come testimoniano i premi istituiti apposita mente o le
opere patrocinate da una figura in anticipo rispetto ai suoi tempi come l'industriale
Alessandro Rossi; la speranza che questi libretti aumentassero la produttività e
favorissero l'armonia sociale, fattori ritenuti indispensabili per recuperare il grande
divario rispetto ad altre potenze industriali, andò col tempo delusa, ma ciò non impedì
che anche nel nostro paese si formasse “un vasto e non effimero orientamento
ideologico ed educativo” 4
che sviluppò diverse peculiarità rispetto alla letteratura
paternalista inglese, ma le cui ascendenze vanno in ogni caso ricercate nel paese che
sperimentò per primo la rivoluzione industriale.
La maggior parte del lavoro si concentrerà perciò sull'elaborazione di questa
letteratura paternalista in Gran Bretagna. Nel primo capitolo si individuerà negli scritti
di Hannah More, una educatrice decisa a combattere gli effetti nefasti della rivoluzione
francese e a mantenere saldo il legame, ormai allentatosi, tra la fede cristiana e le
masse popolari, una cesura rispetto ai sermoni che alcuni uomini di chiesa fecero
pubblicare saltuariamente indirizzandoli ai loro fedeli. Diverso per pianificazione ed
elaborazio ne concettuale, il consistente progetto editoriale della More si smarcò
almeno in parte dalla semplice riproposizione dei dogmi protestanti e dai minacciosi
richiami alla giustizia divina, mirando a legittimare il sistema politico e l'ordine sociale
esiste nte ricercando il consenso dei lettori, quei ceti subalterni che gli avvenimenti
francesi avevano improvvisamente elevato ad attori sociali potenzialmente distruttivi,
collocandoli in una dimensione ben diversa dalle plebi protagoniste dei tradizionali
tum ulti alimentari. I prodromi di questa nuova letteratura nascono così per cause
contingenti, contrastare la propaganda filo-rivoluzionaria, ma allo stesso tempo sono il
preludio all'adozione temporanea di misure politiche improntate ad un paternalismo di
fo ndo (in particolare, come si vedrà, la Speenhamland Law del 1795) in
controtendenza rispetto all'atteggiamento assunto dalle classi dirigenti nei decenni
precedenti 5
.
4
Guido Baglioni, L'ideologia della borghesia industrial e l'Italia liberale, Einaudi, Torino 1977, p. 326.
5
Edward P. Thompson, Società patrizia e cultura plebea: otto saggi di antropologia storica
3
Nel secondo capitolo si analizzeranno i trent'anni successivi alla pubblicazione della
narrativa edificante di Hannah More constatando un iniziale ripiegamento su posizioni
intransigenti e poco inclini a instaurare un dialogo con gli operai nella panflettistica
rivolta al popolo, per altro quasi inesistente fino agli anni '20; per comprendere l'eclissi
di questa letteratura, che con la More aveva riscosso un rimarchevole successo
commerci ale, si dovrà porre una particolare attenzione al contesto sociale e politico di
quegli anni, funestati dalla lunga guerra contro Napoleone e dalle agitazioni luddiste,
da picchi economici particolarmente negativi e dalle tensioni innescate dalle
discussio ni in merito alla riforma elettorale. Si ricollegherà, inoltre, la maggiore o
minore diffusione di questi testi rivolti agli operai alla contemporanea presenza di un
pericoloso competitor , rappresentato dalla stampa radicale la cui esistenza in questi
anni è ancora ostacolata da periodi di forte censura.
Tra gli anni '20 e i '30 le vaste trasformazioni a cui la Gran Bretagna andò incontro (in
primo luogo, l'abbandono delle vecchie poor laws paternaliste e la riforma elettorale)
avranno profonde ripercussion i sulla letteratura paternalista, come si analizzerà nel
terzo capitolo. Si assisterà così alla ripresa ideale della missione educativa, sia pure in
forme alquanto diverse come quelle dei libri di Harriet Martineau e della Society for
the Diffusion of the Useful Knowledge , che testimoniano una diversa concezione
dell'operaio e dell'etica del lavoro; benché la sua opera sia generalmente dimenticata,
la Martineau svolse un compito importante nel legittimare le riforme del nuovo
governo liberale e, più in gene rale, il capitalismo industriale in un'epoca cruciale in cui
si affermò la completa autoregolamentazione del mercato, tanto da essere più volte
ricordata per questo da Polanyi 6
.
Il quarto capitolo sarà invece una sorta di breve inciso soffermandosi sulla ricezione (o
sulla mancata ricezione) da parte delle working-classes dei valori trasmessi in questi
libri. L'obiettivo è di verificare, anche tramite qualche fonte primaria fornitaci da una
delle tante associazioni operaie che si diffusero largamente attorno a metà secolo, in
che misura questi insegnamenti, di carattere morale ed economico, fecero breccia tra
sull'Inghilterra del settecento , Einaudi, Torino 1981, pp. 275-277.
6
Karl Polanyi, La grande trasformazione , Einaudi, Torino 2010 [1° ed. 1944].
4
gli operai. Se concettualmente il paternalismo tende a presupporre un'accettazione
almeno parziale del subordinato, beneficiato in qualche modo anche se relegato in una
condizione di minorità da cui è difficile emanciparsi 7
, la mancanza di fonti dirette sulle
reazioni avute dai destinatari di queste opere (di cui non è sempre nota neanche la
tiratura), lascia degli interrogativi sulla reale diffusione di alcuni testi, specie di autori
minori.
Il quinto capitolo è interamente dedicato al Self-Help di Smiles, un testo che per la sua
importanza ha in un certo senso oscurato le opere ad esso antecedenti, e che darà vita
(anche in Italia) a un vero genere letterario “selfhelpista”, i cui artefici erano talvolta
educatori improvvisati che ambivano ad un tornaconto economico imitando
quest'opera. Come si vedrà, la morale selfhelpista costituisce un punto di svolta
fondamentale nella concezione dell'operaio, esaltando questa figura come l'artefice
del benessere nazionale ed attribuendogli il potere di elevarsi socialmente ribaltando
ogni gerarchia costit uita grazie al solo lavoro e al risparmio.
Il sesto capitolo considera invece quanti, con meno fortuna dell'educatore scozzese
autore del Self-Help , ne ricalcarono più o meno fedelmente le orme negli anni '60,
mirando molto spesso a temperare la morale “rivoluzionaria” e, in definitiva,
scarsamente applicabile, proposta da Smiles. Nel settimo capitolo (l'ultimo sulla parte
inglese) si analizza l'esaurirsi di questo filone, che si protrarrà stancamente senza altre
elaborazioni originali o significative an cora sino alla fine del secolo, risultando tuttavia
solo più un genere letterario senza grandi pretese di teorizzare un'etica del lavoro da
propagandare agli operai.
L'ottavo capitolo riguarderà interamente lo sviluppo di una letteratura simile in Italia,
dalle sue premesse, che si possono rintracciare nell'opera di Cesare Cantù degli anni
'30 (una sorta di “masso erratico” apparentemente difficile da spiegare, se si considera
l'assenza di industrie moderne nella Lombardia dell'epoca), alla svolta caratteri zzata
dall'arrivo del Self-Help in Italia (1865) e al suo progressivo esaurirsi secondo un
percorso simile a quello inglese, eppure caratterizzato da vistose peculiarità. Lo
7
Elisabetta Benenati, op. cit. , pp. 17-18.
5
scetticismo che ancora circondava la diffusione delle fabbriche e figure come quel la di
Rossi rendeva infatti profondamente diverso il contesto generale in cui operavano
scrittori come Lessona o Strafforello, provocando un adattamento della morale
selfhelpista, non da tutti abbracciata con entusiasmo. A ciò contribuì inoltre l'influenza
della morale cattolica, profondamente diversa da quella protestante di Franklin o
Smiles, che rese meno evidente che in Inghilterra la transizione che questa letteratura
compie, sostituendo alla prevalenza delle tematiche religiose quella di tematiche
lai che e lavoriste. In questo capitolo si accennerà inoltre alla presenza di una
letteratura simile anche in Francia: ma al contrario di quanto supponevo all'inizio della
mia ricerca, pochi testi francesi ebbero un'influenza diretta sull'elaborazione della
le tteratura lavorista italiana, e in nessun caso la Francia esercitò una funzione di
mediazione culturale tra l'Inghilterra e l'Italia, poiché il nostro mercato editoriale si
dimostrò sin da subito particolarmente ricettivo nei confronti dei libri di Smiles.
Ci si potrà interrogare sull'utilità di studiare questa letteratura che, per quanto riguarda
le relazioni tra borghesia e classi operaie, costituisce una lente distorta, offrendoci una
visione normativa e spesso stereotipata dell'operaio. Il paternalismo ottocentesco, sia
per quanto riguarda le meccaniche relazionali all'interno delle fabbriche sia, in misura
minore, per quanto concerne il contributo offerto da questa modesta letteratura
pedagogica, è già stato del resto oggetto di numerosi studi, fioriti in particolare negli
anni settanta del secolo scorso, quando cioè la forza dei sindacati era indubbiamente
molto maggiore di adesso. Proprio per questo, forse può essere ancora utile ritornare
su forme alternative al confronto tra le organizzazioni dei lavoratori e gli imprenditori,
in questi tempi segnati dalla crisi delle organizzazioni sindacali, pressoché assenti nei
paesi emergenti e in difficoltà nei paesi sempre più terzializzati dell'Occidente.
6
Capitolo I: Parlare al popolo tra fervori mistici e lo spauracchio della ghigliottina. Una
prima letteratura paternalista nell'Inghilterra di fine '700 Nel 1792, nell'Inghilterra percorsa da una crescente inquietudine per la piega che
stavano prendendo gli avvenimenti in Francia, un lungimirante stampatore londinese
iniziò a vendere per due pence un trattatello popolare che rappresenta un punto di
svolta importante nel modo di relazionarsi delle classi dirigenti con i ceti subalterni.
L'opera era intitolata Village Politics , e la sua autrice era u na riformatrice evangelica da
poco nota ai suoi contemporanei, Hannah More. Nondimeno, l'immediato successo del
libretto 1
e di a ltri suoi scritti posteriori rese rapidamente celebre l'autrice, scatenando
accesi dibattiti sull'opportunità di cercare un dialogo, sia pure da posizioni di enorme
disparità, con le masse prive del diritto di voto, rischiando così di stimolare il loro
des iderio di leggere e di interessarsi alle questioni politiche e sociali.
Al di là delle impressioni contrastanti che la rivoluzione francese stava suscitando,
l'Inghilterra si trovava in una fase di transizione dal punto di vista economico-sociale,
ed era percorsa da fervori religiosi che non affioravano più da molto tempo;
l'innovativa opera della More è figlia di quest'epoca di inquietudini, in cui si presentiva
che il vecchio mondo “preindustriale” 2
non sarebbe durato eternamente, e che ciò
implicava, tra le altre cose, un r ipensamento delle modalità con cui rapportarsi alle
“folle” popolari, destinate di lì a non molto ad assurgere al rango di “masse”. La
fisionomia del paese che si rivelava alla vista di Hannah More e dei suoi contemporanei
era stata profondamente cambiata dalle enclosures e dai primi effetti della rivoluzione
1
Come si vedrà, le tirature dei libri della More raggiunsero vette abnormi se paragonate all'esistenza di un
“pubblico”, per giunta popolare, a fine Settecento. I Village Politics , inoltre, ebbero l'onore di un
adattamento immediato proprio in italiano, e il nostro sembrerebbe l'unico paese non anglosassone ad
aver tradotto un'opera della More, almeno prima della sua morte: Hannah More, Politica del villaggio.
Dialogo tradotto per estratto dall'inglese , Cracas, Roma 1793. Questa ricezione così precoce si spiega
molto probabilmente col carattere contro-rivoluzionario dell'opera, che non doveva certo dispiacere allo
Stato Pontificio.
2
L'istituzione di una netta dicotomia tra “industrializzazione” e un “mondo pre-industriale” è stata da più
parti contestata (si veda, ad esempio, Thompson, che parla di una transizione non all'industrialismo ma al
“capitalismo industriale” e rimarca l'alto sviluppo tecnico delle manifatture ingle si già da inizio
Settecento, in Edward P. Thompson, Società patrizia e cultura plebea: otto saggi di antropologia storica
sull'Inghilterra del settecento , Einaudi, Torino 1981, p. 26). Tuttavia ciò che qui importa maggiormente è
la percezione del cambiamen to (esagerato o ridimensionato, temuto o sperato) da parte dei vari attori
sociali nel quadro di un continuo “discorso paternalista” rivolto ai ceti popolari dai tempi della More.
7
industriale, ma non ancora stravolta. Com'è noto, i circa quarant'anni precedenti alla
presa della Bastiglia erano stati caratterizzati dalla comparsa sul suolo inglese di nuovi
macchinari, opera di un a generazione di tecnici improvvisati e imbevuti di fede nel
progresso che rese materialmente possibile l'avvio della rivoluzione industriale. Questa
ebbe inizialmente un ritmo abbastanza lento, tanto che gran parte dei contemporanei
non ne colse subito la portata epocale né avvertì stravolgimenti nella propria esistenza.
La stessa letteratura paternalista riflette questa percezione, se si pensa al mondo entro
cui si muovono i personaggi della More, delimitato spazialmente dai confini delle
circoscrizioni p arrocchiali e dominato dalla gentry , un insieme di possidenti e notabili
di campagna nettamente separato nelle gerarchie sociali dalle plebi settecentesche,
eppure tenuto nei loro confronti a continue obbligazioni sociali di tipo filantropico 3
.
Per altro verso, la celebrazione degli “eroi del lavoro”, i pionieri dell'industrializzazione
tardo settecentesca, non è rintracciabile nella letteratura inglese sino alla m età del
secolo successivo con Smiles, e ancora fino agli anni '30 la sensazione che si ricava
dall'analisi di ballate e altre forme di espressione operaia è che anche all'epoca le
working-classes faticassero a rendersi conto dell'irreversibilità delle tras formazioni in
atto 4
. Se poi si rivolge l'attenzione alle riflessioni maturate in seno alla middle-cl ass , si
può constatare che il grande dibattito sulle conseguenze delle trasformazioni in atto
noto come Condition of England appassionò gli animi di Carlyle e di un'opinione
pubblica smarrita solo a partire dagli anni '30.
Anche diversi dati economici sugg eriscono di attenuare la rapidità di questo processo:
fino a metà '800 la meccanizzazione toccò infatti aree spazialmente delimitate nel nord
del paese (Lancashire, West Riding), mentre il lavoro a domicilio conviveva in molte
zone con le nuove fabbriche, che per la maggior parte potevano contare su una forza
di cavalli/vapore relativamente limitata 5
. Inolt re, le norme che ostacolavano la mobilità
della manodopera (l' Act of Settlement del 1662) vennero abolite solo nel 1795, e
3
Asa Briggs, The age of improvement , 1783-1867, D. McKay, New York 1962 [1° ed. 1959], p. 13.
4
Martha J. Vicinus, The industrial muse. A study of nineteenth century british working-class literature ,
Croom Helm, London 1974 , in particolare pp. 40-42.
5
Si veda, ad esempio, J ohn Belchem, Industrialization and the working class: the english experience,
1750-1900 , Scolar Press, Aldershot 1991, pp. 9-10.
8
Polanyi rileva che non si giunse alla completa liberalizzazione del mercato del lavoro
prima della riforma delle poor laws del 1834, quando tramontò un sistema che per
decenni si era fondato sulle tutele sociali rappresentate dalla Speenhamland Law e
sulle leggi che regolavano il sistema delle corporazioni (lo Statute of Artificers in vigore
dal 1563 al 1814)
6
.
In ogni caso, le strutture sociali del paese stavano inesorabilmente cambiando a
seguito dell'incremento demografico, della comparsa del sistema di fabbrica, della
nascita di una working-class urbana, facendo spostare i l peso demografico ed
economico verso nord, provocando le prime richieste di revisione delle circoscrizioni
elettorali 7
. Manchester, Birmingham, Liverpool, oltre naturalmente alla capitale, si
svilupparono convulsamente, giungendo a includere decine di migliaia di immigrati
dalle campagne circostanti ad ogni decennio 8
.
Le condizioni economiche dei nuovi inurbati, benché generalmente più favorevoli delle
misere prospettive che si presentavano a contadini e piccoli proprietari terrieri, erano
comunque ass ai precarie. Se l'andamento dei salari reali tra '700 e '800 rimane un
problema ancora dibattuto 9
, è accertato che tre quarti della pag a dei nuovi operai
fosse impiegata per procurarsi il cibo, che spesso era quello adulterato e scadente dei
saturday nights markets che accoglievano le working-classes urbane alla fine della
settimana, mentre quasi tutto il resto veniva speso nell'affitto d i case che iniziarono a
diventare salubri solo con gli interventi legislativi di metà Ottocento 10
. Era insomma un
fatto comune che le famiglie delle industrious classes urbane, al pari di quelle rurali,
conoscessero cic licamente la povertà in periodi critici come la nascita di un nuovo
6
“Prima dell'ultimo decennio del diciottesimo secolo in nessuno dei due paesi [Francia e Inghilterra]
l'istituzione di un libero mercato del lavoro non fu neanche discussa e l'idea dell'autoregolazione della vita
economica era completamente aldilà degli orizzonti dell'epoca. Il mercantilista si interessava allo sviluppo
delle risorse del paese, incluso il pieno impiego, attraverso lo scambio ed il commercio; l'organizzazione
tradizionale della terra e del lavoro era data per scontata”, Karl Polanyi, La grande trasformazione,
Einaudi, Torino 2010 [1° ed. 1944], p. 91.
7
Cfr. Asa Briggs, op. cit. , pp. 50-56; Robert K. Webb, The british working class reader, 1790-1848 , A. M.
Kelley, New York 1971 [1° ed. 1955], pp. 36-41.
8
A fine '700 un terzo della popolazione si era ormai inurbata, John Belchem, op. cit. , p. 37.
9
Pur tenendo conto delle enormi differenze per luogo e categoria lavorativa, l'andamento dei salari sembra
relativamente stabile nel periodo 1790-1860, ma occ orre tenere presenti altri elementi, come i periodi
ciclici di disoccupazione, le multe sul luogo di lavoro, la situazione del nucleo familiare ecc. cfr. Edward
H. Hunt, op. cit ., p. 63 e John Belchem, op. cit. , p. 13.
10
John Belchem, op. cit. , pp. 28-30.
9
figlio o l'inabilità al lavoro del capofamiglia 11
.
All'interno delle fabbriche, specialmente nella prima fase dell'industrializzazione, gli
operai erano poco protetti, dovendo sottostare alle rigide norme del nuovo sistema di
fabbrica, che si traducevano in multe ricorrenti e sanzioni di vario tipo, ed essendo
esposti al rischio continuo di perdere il lavoro a causa della larga disponibilità di
manodopera causata dalle migrazioni interne. Ciononostante, gli operai non erano del
tutto alla mercé del loro datore di lavoro, avendo qualche strumento per contrattare i
salari: se da metà '700 il parlamento smise di svolgere un'opera di mediazione nei
conflitti t ra i proprietari di opifici e le corporazioni, che anzi decaddero venendo
addirittura messe fuori legge in certi settori 12
, il loro posto venne preso da nuove
associazioni anch'esse composte in massima parte da operai specializzati. Questi
cercarono, in diversi casi riuscendovi a lungo, di arginare la concorrenza rappresentata
dalla manodopera non specializzata, che non sarà veramente protagonista dei gra ndi
conflitti sociali fino al movimento cartista, e che dopo il fallimento del 1848 non sarà
estesamente rappresentata dalle trades unions ancora sino agli anni '70. Oltre a
marcare una differenza nei confronti delle masse di lavoratori non specializzati, le
prime unions erano impegnate in rivendicazioni salariali di solito condotte attraverso
forme di ostilità latente verso gli imprenditori, che non sfociavano in aperti conflitti che
avrebbero richiesto l'intervento repressivo delle autorità. In questo mod o club di
operai specializzati potevano organizzare piccole azioni di sabotaggio, come il
rallentamento dei ritmi del lavoro, per poi negoziare informalmente le condizioni
lavorative nascondendosi dietro il paravento legale delle friendly societes , associa zioni
che formalmente avevano il solo scopo di fornire assistenza economica agli aderenti e
alle loro famiglie nel caso di morte o invalidità 13
. Le friendly societies si diffusero
rapidamente dalla seconda metà del Settecento, a sottoline are una percezione di
maggiore insicurezza nelle relazioni lavorative, e vennero pienamente legalizzate nel
1793 con un atto evidentemente volto alla distensione sociale, in un momento in cui
11
Edward H. Hunt, op. cit. , p. 118.
12
Henry Pelling, Storia del sindacalismo inglese , Palazzi editore, Milano 1972 [1°ed. 1963], pp. 29-30.
13
Ivi , pp. 31-32.
10