2
Introduzione
Non c‟è, forse, niente di più importante della memoria per gli esseri umani.
Senza di essa non potremmo svolgere le più banali azioni quotidiane, né
riconoscere gli amici, leggere, parlare, costruire il nostro passato o, in
definitiva, dare un senso finito al nostro modo di vivere nel mondo. In un certo
senso si potrebbe asserire che noi siamo “la nostra memoria”. È caratteristica
che ci dà un passato, ci fa capire chi siamo e ci apre prospettive sul futuro. In
un continuo (ri)mescolarsi di Tempo e Spazio.
Nel nostro sistema culturale contemporaneo, le varie forme della
comunicazione mediatica o mass-mediatica (il cinema, il giornalismo, la
comunicazione pubblicitaria, il digitale), svolgono il ruolo di veri e propri
agenti dinamici, capaci di incidere, nel tempo e nello spazio, rispetto alla
memoria. Difatti, non portano solo all‟acquisizione di mémoires, ma anche alla
costruzione di ―ambienti di memoria‖
1
. Tali luoghi deputati preservano le
informazioni e il sapere, comunicano attraverso il tempo, influenzando,
dunque, la nostra percezione “dello scorrere” e, inevitabilmente, i processi
mnemonici
2
. In virtù della loro capacità di azione diretta sui meccanismi di
costruzione dei processi memoriali, le forme della produzione mediatica e
mass-mediatica, portano anche a riflettere sul rapporto tra storia e memoria nel
suo divenire, ovvero, sulla costruzione, nel tempo, di un insieme di esperienze
ricordate proprio a partire dai cosiddetti ―mediatori di memoria‖
3
. Tra questi,
si possono annoverare le fonti documentarie, ma anche i mezzi che
appartengono alla sfera dell‟invenzione e dell‟immaginazione. All‟interno di
un territorio oggetto di continue rinegoziazioni, dove narrazioni differenti
competono per avere un posto nella storia, un ruolo importante è giocato dal
supporto tecnologico e dalla forza mediatica di ciascuna forma del discorso
memoriale. Il cinema, basandosi su una tecnologia capace di rendere concreta
1
Agazzi Elena, Fortunati Vita (a cura di), Memoria e Saperi. Percorsi interdisciplinari,
Meltemi editore, Roma, 2007, pag. 375.
2
A subire l‟“effetto media”, sono soprattutto i processi culturali di costruzione e trasmissione
della memoria che, nel tempo, hanno ripercussioni complesse sulla definizione del senso
storico, sull‟idea di appartenenza, sulle questioni identitarie di gruppo ed individuali.
3
Agazzi Elena, Fortunati Vita (a cura di), Memoria e Saperi., op. cit., pag. 376.
3
la temporalità e di restituire la dimensione del passato, rientra all‟interno della
categoria dei mediatori di memoria. Si parla, pertanto, di una memoria
cinematografica che unisce in sé sia l‟idea di archivio della memoria sia quella
di pratiche mnemoniche. Il cinema stesso è “ricordato”, il consumo e la
produzione di pellicole diventano momenti che integrano il fatto raccontato,
cosicché l‟esperienza e la fruizione – tanto dei singoli quanto del collettivo –
contribuiscono alla formazione della memoria e alla legittimazione delle
pratiche di “memorizzazione”
4
. Il “cinematografo”, sunto e sintesi di tutte le
arti, è l‟espressione più vicina ai movimenti della psiche e della memoria
5
o,
come sosteneva Raymond Bellour:
«[…] Il suo meccanismo e il contesto nel quale si muove lo rendono la
macchina ideale che pone l‘oblio come presupposto del ricordo»
6
.
La macchina-cinema è strumento in grado di fissare ciò che viene evocato dal
meccanismo memoriale: mancanza di immagini significa mancanza di ricordo
7
.
E «senza ricordi, non abbiamo identità»
8
.
4
Il consumo e la realizzazione dei film diventano elementi integranti di un fatto storico nel
momento della sua rievocazione, e la settima arte entra a far parte dei materiali cui attingono
commemorazioni e celebrazioni. La stessa cultura del cinema, infatti, è imbevuta di rituali del
ricordo, che si manifestano sia nelle differenti forme della retrospettiva e della rimessa in
circolazione commerciale dei “film d‟epoca”, coadiuvati da un preciso apparato critico, sia
nelle reminiscenze popolari, nel ricordo di alcune scene di film e nello stesso andare al cinema:
le sale, gli schermi, le situazioni collettive. Tutti questi fenomeni ricavano uno spazio culturale
per questo mezzo, lo collocano all‟interno dei motori della memoria.
La frequentazione dei film ha, inoltre, permeato la sfera pubblica e privata della vita
contemporanea. È divenuto un fatto culturale collettivo e strutturante dell‟identità nazionale.
Parlare di memoria cinematografica, dunque, non significa solo o non soltanto riferirsi al
contenuto del film (se i film, cioè, rappresentano l‟atto del ricordare), ma include anche il ruolo
che rispetto ad essa svolgono i mezzi di comunicazione di massa.
Agazzi Elena, Fortunati Vita (a cura di), Memoria e Saperi., op. cit., pag.437.
5
Henri Bergson nel 1896 in Materia e memoria mette in relazione la settima arte con i
procedimenti della coscienza, del sogno e della memoria. In L‘evoluzione creatrice (1907),
inoltre, applicherà al medium la metafora della memoria.
André Bazin, nel suo saggio Che cos‘ è il cinema (1961) riconosceva alla settima arte una
funzione sociale fondamentale, ovvero quella di soddisfare un bisogno della psicologia
collettiva: esorcizzare il tempo. Ciò in virtù della sua capacità di restituire un simulacro
altamente mimetico di ciò che è già passato.
6
Bellour Raymond, Le livre, aller, retour, in Raymond Bellour, Qu‘est-ce-qu‘une madeleine –
A propos du cd-rom «Immemory» de Chris Marker, Yves Gevaert Editeur, Centre George
Pompidou, Paris, 1997, pag. 97.
7
Questo pensiero porta al paradosso che le immagini, di solito create al fine di costruire la
memoria, diventano la memoria stessa.
8
Cechet Sansoè Luca, Speciale NUOVO CINEMA GIAPPONESE - Ricordati chi sei: memoria
e identità nel cinema giapponese contemporaneo, «EFFETTONOTTEonline» rivista di critica
cinematografica.
http://www.effettonotteonline.com/news/index.php?option=com_content&task=view&id=493
&Itemid=23
4
Il presente lavoro di ricerca parte proprio da questa affermazione del cineasta
giapponese Koreeda Hirokazu, per avviare una riflessione sui modi in cui la
memoria, i ricordi, vengono conservati e narrati attraverso il linguaggio
cinematografico. Elementi vitali dell‟analisi saranno proprio i film del
sopracitato regista, in modo particolare i primi tre lungometraggi: Maboroshi
no hikari (Maboroshi, 1995), Wandafuru raifu (After Life o Wonderful Life,
1998), Eiga ga tsukurareru (Distance, 2001). A partire da Maboroshi, Koreeda
dà avvio ad una riflessione sul ruolo e la funzione della memoria nei rapporti
umani. A questa affiancherà la tematica dell‟accettazione del lutto, ponendo
l‟attenzione sui modi in cui gli esseri umani riescono a superare il dolore della
perdita di un caro, e a convivere solo con i ricordi che li legano a chi non c‟è
più. È lo spazio come luogo della separazione; il tempo come agente della
mutazione.
Un cinema della scomparsa, del ricordo e della possibilità di materializzare
queste entità così astratte in un continuo e costante bisogno di riappropriazione
della propria memoria per dare un senso a sé stessi ed al proprio vivere.
L‟articolazione del lavoro consta essenzialmente di due parti:
Un primo capitolo, di carattere più generale, introduttivo dell‟opera del
regista in toto, con uno sguardo anche alla situazione dell‟industria e
della macchina-cinema giapponese nel periodo in cui Koreeda
Hirokazu muove i suoi primi passi dietro la macchina da presa, in
qualità di operatore per l‟emittente televisiva indipendente MAN
UNION.
In seguito al suo esordio nel lungometraggio, avvenuto, come
precedentemente accennato, con Maboroshi nel 1995, le varie analisi
delle sue produzioni filmiche hanno evidenziato, dal punto di vista
tecnico-stilistico, delle analogie con la prassi registica tipica di due
sensei
9
della macchina da presa: Ozu Yasujirō e Hou Hsiao-hsien.
Doveroso pare, allora, prima di addentrarsi nell‟analisi del “come
viene rappresentato l‟elemento memoriale” in Maboroshi, After Life e
Distance, approfondire fin dove e in che maniera si insinuano lo
“spettro” di Ozu e di Hou nell‟arte “più che umana” di Koreeda.
9
Sensei: termine giapponese che significa Maestro o gerarchicamente superiore (usato anche
verso medici, etc.).
5
Un secondo capitolo, dedicato all‟analisi, nucleo centrale della ricerca.
Cercare di affrontare il tema della memoria, può divenire un‟arma a
doppio taglio, per l‟ampio raggio d‟azione che tale facoltà è in grado di
coprire: è oggetto d‟interesse comune ai vari ambiti del sapere – dalle
scienze sociali a quelle biomediche, dal campo letterario all‟ambito
mass-mediale fino ad arrivare a quello religioso – i quali, seppur
differiscono nei mezzi, nei canali e nei sistemi di studio, diffusione,
aggregazione e celebrazione del ricordo, concordano nell‟asserire che
non esiste una definizione unitaria della memoria e che essa è
dinamica. Deve essere vista come un‟attività che si svolge nell‟hic et
nunc, nella quale il passato viene caricato di un determinato significato
simbolico. Nel collocare il problema della memoria nell‟elastico del
rapporto tra “chi ne produce” e “chi ne fruisce”, le categorie Spazio-
Tempo sono sottoposte a processi di (ri)definizione.
Un focus particolare viene posto sui modi in cui, attraverso la
“macchina cinema”, il discorso memoriale può prendere forma
concreta. Con la consapevolezza che il lavoro cinematografico, usando
le parole di Chris Marker:
«non è un lavoro di raccolta documentaria,
ma un‘operazione che si svolge al livello
della memoria»
10
.
Paul Ricoeur in La memoria, la storia, l‘oblio espone il paradosso
della «presenza dell‟assente», affermando che:
«l‘immaginazione e la memoria hanno come
tratto comune la presenza di ciò che è
assente e come tratto differenziale, da un
lato la sospensione di qualsiasi posizione di
realtà e la visione di un irreale, dall‘altro la
posizione di un reale precedente»
11
.
È attraverso processi di “simbolizzazione” dello spazio sociale, facendo, cioè,
ricorso a “marche esterne”, attribuendo una fattezza tangibile all‟irreale, che
tale paradosso trova compimento e risoluzione. La strada verso la
10
Perniola Ivelise, Chris Marker o Del film-saggio, Lindau Editore, Torino, 2003, pag. 53.
11
Ricoeur Paul, La memoria, la storia, l‘oblio, Raffaello Cortina editore, Milano, 2003,
pag. 67.
6
“metamorfosi” passa attraverso tre canali che operano in veste di
Segna-memoria: Luoghi, Oggetti ed Eventi.
Nell‟analizzare i modi in cui, in Maboroshi, After Life e Distance, Koreeda
tratti, sviluppi e rappresenti il tema della memoria, tali “indicatori” saranno
assunti come chiave di lettura delle singole pellicole, nella misura in cui
divengono l‟elemento preminente e caratterizzante di un‟opera anziché di
un‟altra. In un percorso verso il «non [esser] più»
12
.
Di indubbio valore, nel condurre la ricerca, l‟apporto fornito da interviste
rilasciate dal regista durante le sue partecipazioni ai festival internazionali,
dichiarazioni e recensioni riportate su riviste di settore specializzate – si
vedano i Cahiers du Cinéma, Positif, Filmcritica, Variety ad esempio –
l‟accesso ad i pressbook dei film, fonte preziosa di informazioni. A queste,
vanno ad aggiungersi testi di stampo più “accademico”, utili per l‟approccio
alla tematica della memoria valutata partendo da un punto di vista “generale”
inizialmente, per restringere poi il campo d‟interesse al settore di nostra
pertinenza (ovvero, l‟ambito cinematografico): La memoria, la storia e l‘oblio
di Paul Ricoeur, Memoria e saperi. Percorsi interdisciplinari di Elena Agazzi e
Vita Fortunati, per citarne alcuni. In merito al breve excursus sulla situazione
dell‟industria e della macchina-cinema giapponese nel ventennio ‟70-‟90, fonte
utile è stato il testo Storia del cinema giapponese di Maria Roberta Novielli.
«Senza ricordi non abbiamo identità»: la memoria nel cinema di Koreeda
Hirokazu. Tecniche di conservazione dell‟Io (più interiore che esteriore) nel
cinema giapponese contemporaneo.
12
Ricoeur Paul, La memoria, la storia, l‘oblio, op. cit., pag. XVI.
7
Koreeda Hirokazu
Un cinema “più che umano”
1.1 Confessioni di un autore
«Volevo diventare uno scrittore, ma il programma alla Waseda era
piuttosto intenso per quanto riguardava le lingue – due ore di inglese e
quattro ore di cinese. Pensai, a che mi serve? Così, smisi di frequentare
le lezioni. Vicino all‘università, c‘erano molti cinema, così tutte le
mattine uscivo da casa e andavo a vedere film invece che a lezione.
Questo è uno dei più cari ricordi che ho. Prima di allora non mi ero mai
interessato ad alcun regista, ma da quel momento iniziai a seguire dei
corsi su Ozu, Kurosawa, Naruse, Truffaut, Renoir, Fellini. Essendo per
natura una persona alquanto introspettiva, ero sempre stato interessato
a diventare uno sceneggiatore più che un regista»
13
.
Nell‟intervista rilasciata a Tanaka Shimon, l‟11giugno 2009 per la rivista
online TheRumpus.Net, Koreeda Hirokazu
14
racconta la storia di un amore, di
un colpo di fulmine, tra lui e la settima arte, che lo porterà a diventare uno dei
maggiori esponenti del panorama cinematografico giapponese contemporaneo.
Dopo la laurea nel 1987 alla facoltà di letteratura di Waseda, sempre più
interessato al mondo del cinema, sapendo di non avere alcuna possibilità di
lavorare dietro la macchina da presa per uno dei grandi studios, che andavano
spostando i loro interessi dalla produzione alla distribuzione e alla gestione
13
Di seguito il testo originale:
«[...] I did want to become a novelist, but the program at Waseda was pretty intense in terms of
language requirements — two hours of English and four hours of Chinese. I thought, what do I
need this for? So I stopped going to class. In the neighborhood around Waseda, there were all
these movie theaters, so every morning I left the house and watched movies instead of going to
class. The experience of encountering films then is one of my greatest memories. Before that
I‘d never paid any attention to directors, but there I was taking a crash course in Ozu,
Kurosawa, Naruse, Truffaut, Renoir, Fellini. Because I‘ve always been naturally a more
introspective person, I was more interested in becoming a screenwriter than a director».
Tanaka Shimon, The Rumpus Interview with Hirokazu Koreeda, 11 giugno 2009.
http://therumpus.net/2009/06/the-rumpus-interview-with-hirokazu-koreeda/
14
Koreeda Hirokazu nasce a Tokyo il 6 giugno 1962. Nella sua filmografia ha affrontato in
particolare i temi della memoria e dell‟elaborazione del lutto. Può, anzi, viene considerato
(come avremo anche modo di vedere nelle pagine che seguono), l‟erede contemporaneo di Ozu
Yasujirō.