16
Studiai la scienza politica, le relazioni internazionali, la geografia politica, la geopolitica, la
cartografia, e lo scopo di tutto questo era analizzare la valle del Fergana, studiare i suoi attori e il
suo territorio fino ad arrivare all’elemento che ha e che continua a caratterizzare maggiormente
questa regione: i suoi confini.
Cominciai un dottorato sulla frontiera, a Gorizia, perché il dramma frontaliero del Fergana è stato
sicuramente l’elemento che ha alimentato la mia “ossessione per la frontiera”
1
.
Ho deciso di strutturare il mio lavoro sul Fergana seguendo uno schema, un percorso ben preciso:
dopo una premessa sul panorama centrasiatico e sull’enjeu delle frontiere e dell’enclavement
centrasiatico, la parte introduttiva della ricerca proporrà una presentazione della posta in gioco
Fergana, analisi concreta di cosa è la valle del Fergana, le sue ricchezze, le sue caratteristiche
fisiche. Non mi soffermerò molto su questa parte perché lo scopo del lavoro non è analizzare quanti
barili di petrolio sono estratti nel Fergana, o quanti gasdotti passano nel sottosuolo della valle.
Spesso si confonde il termine Geopolitica con il termine Geoeconomia o Geostrategia e spesso
dietro lavori di “Geopolitica” si nascondono ricerche di economia o di analisi delle risorse
energetiche. Le informazioni che saranno fornite in questo contesto, serviranno a dare un quadro
generale su quanto il Fergana rappresenti come posta in gioco nella lotta tra le rivalità di potere tra i
differenti attori territoriali che se la contendono. Il cuore della ricerca sarà dunque l’analisi della
lotta politica applicata ad un territorio di frontiera e dunque Geo-politica di una regione
transfrontaliera e le risorse della valle saranno un mezzo per raggiungere questo scopo e non lo
scopo stesso.
L’introduzione continuerà sulle ragioni del perché di una determinata scuola di Geopolitica, del
perché della scelta di una scuola francese, “alternativa”, quella di Yves Lacoste, nata nel secondo
dopoguerra, quando Geopolitica era ancora una parola tabù e nessuno osava nominarla. Lacoste
semplicemente dicendo cosa era successo, in pratica che la Geografia e la Geopolitica erano
1
Con questa espressione faccio riferimento a Michel Foucher e al suo lavoro intitolato “L’Obsession des frontières”,
Perrin , 2007.
17
diventate schiave del potere, liberò queste discipline dai pregiudizi e dai preconcetti dei precedenti
decenni permettendo così una rinascita del pensiero geografico e geopolitico
2
.
Il lavoro si svilupperà attraverso una prima parte, teorica, principalmente concentrata sull’analisi
degli attori territoriali che aspirano al potere sul territorio del Fergana cercando di imporre il loro
modello socio-culturale: lo Stato-Nazione e di conseguenza il sentimento nazionale-nazionalistico,
la Religione con le sue varianti autoctone e “d’importazione” e il Regionalismo culturale, un
sentimento socio-territoriale che permette alla valle di considerarsi un insieme non solo geografico,
ma anche culturalmente unico, di là delle divisioni politiche applicate al suo territorio.
La volontà di studio della regione Fergana nella sua interezza e la volontà di fare una geopolitica di
questo territorio a 360 gradi mi ha spinto ad analizzare il Fergana anche da punti di vista più insoliti
e meno comuni per un lavoro di geopolitica, come quello prettamente storico e come le
rappresentazioni del Regionalismo culturale attraverso gli studi archeologici sul Fergana dell’età
del bronzo.
In seguito la ricerca continuerà con una seconda parte attraverso l’analisi odierna delle
rappresentazioni degli attori territoriali sul territorio del Fergana, un territorio di frontiera.
La seconda parte del lavoro è il risultato degli ultimi quattro anni di ricerca sul campo in Asia
centrale. Il primo anno, inverno 2007, prima ancora di cominciare la ricerca di dottorato, servì come
primo approccio di studio all’Asia centrale. Il secondo, estate 2009, servì ad eseguire la parte
principale del lavoro sul campo: analisi della frontiera intesa come spazio di vita quotidiana e come
ostacolo quotidiano alle comunicazioni ferganiane, interviste qualitative e osservazione della
presenza delle rappresentazioni dei differenti attori territoriali che si manifestano costantemente sul
territorio del Fergana.
Durante l’estate 2009 il lavoro si svolse sulla frontiera uzbeco-kirghiza del Fergana e l’estate 2010
su quella uzbeco-tagica.
2
Lacoste Y., “La Géographie ça sert, d’abord, à faire la guerre", FM Maspero, Paris, 1976 e Lacoste Y, “Dictionnaire
de Géopolitique", Flammarion, Paris, 1995.
18
La ricerca è ovviamente arricchita dagli strumenti del geografo specialista di Geopolitica: le
interviste qualitative
3
a soggetti qualificati (esperti, studiosi, professori, professionisti) e soggetti
non qualificati (la popolazione), rappresentazioni fotografiche utili ad immortalare osservazioni,
idee e concetti altrimenti troppo astratti, la cartografia, imprescindibile strumento “geopolitologo”
che ci permetterà di presentare il Fergana in tutte le sue rappresentazioni.
La mia ricerca è, come disse Armand Frémont citando René Musset, entrambi professori di
Geografia all’Università di Caen: “Un lavoro da geografi dai piedi sporchi di fango”
4
, in effetti,
questo è l’unico modo per capire veramente un territorio.
Il lavoro si concluderà con l’analisi di quello che resta oggi di uno degli attori, l’ultimo, il
Regionalismo culturale, che possiamo definire la mia creazione, il mio apporto personale all’analisi
geopolitica del Fergana.
Differenti avvenimenti continuano a colpire e a marcare la quotidianità di questa regione, l’ultimo
dei quali gli “scontri etnici” nel Fergana kirghizo nel giugno 2010. La conclusione di questo lavoro
sarà consacrata all’analisi di questi ultimi avvenimenti e di come essi si collocano all’interno dei
giochi di potere e delle rivalità tra gli attori territoriali che continuano a contendersi questa posta in
gioco tanto ambita.
3
Le interviste qualitative intraprese con una quarantina di soggetti (in Appendice), iniziavano con un questionario di
base (in Appendice), ma nella maggior parte dei casi l’intervistato prendeva spunto dalle domande per parlare
liberamente senza rispettare i quesiti.
4
Frémont A., “Vi piace la geografia?” Carocci, 2005, p. 44.
19
Il contesto centrasiatico: concetti ed enclavement
Concetti
Una delle domande più frequenti che tormenta e divide gli studiosi dell’Asia centrale è: che cos’é
l’Asia centrale? Cosa si può definire Asia centrale?
E’ evidente che si tratta di un concetto molto particolare e soprattutto molto variabile.
É un concetto, proprio a causa del suo aggettivo centrale, facilmente adattabile a molte situazioni e
territori.
Personalmente sono arrivata alla conclusione che il concetto di Asia Centrale é un termine usato in
maniera diversa a seconda che la persona che ne sta facendo uso sia un geografo, un antropologo,
un archeologo o uno storico. Ogni tipo di studio assegna a quest’espressione un significato
differente.
20
Carta nº 1
Carta fisica e politica dell’Asia centrale (Fonte: Google Earth 2011)
21
Ad esempio, per la geografia fisica, l’Asia centrale é quella parte di Asia, il cuore dell’Heartland
5
,
che ha limiti e confini ben precisi, precisamente è quell’Asia che inizia ad ovest con il Mar Caspio
ed il fiume Volga, a nord con le ultime propaggini della taiga siberiana, ad est con le catene
montuose del Tian Shan e del Pamir, fino ad arrivare all’Hindu Kush, che costituisce il suo limite
sud-orientale.
L’antropologia, se vogliamo, é meno rigorosa della geografia fisica, non c’é niente di stabilito sulla
carta, l’Asia centrale rappresenta quell’insieme di usi, costumi e culture che si possono ritrovare
nelle sue popolazioni. Indipendentemente dalla loro lontananza o da ostacoli fisici o politici, l’Asia
centrale antropologica non guarda le carte o la storia, o meglio guarda come le carte e la storia
hanno influenzato le popolazioni, i loro usi, il loro modo di vivere, accomuna e studia bagagli
culturali che per varie motivazioni hanno portato le popolazioni a dividersi politicamente o
geograficamente, ma non “antropologicamente”, come per esempio, il nord dell’Afghanistan, le
province di Mazar-e-Sharif, Konduz, Feyzabad, hanno buona parte della popolazione di etnia
uzbeca e tagica e quindi vanno studiate come Asia centrale, distinte dalla maggioranza pashtun del
sud, molto più vicina alla cultura asiatico-meridionale legata al Pakistan e all’India.
L’Asia centrale é ancor più priva di confini per gli archeologi, che indistintamente associano l’età
del bronzo in uno scavo in Uzbekistan e in uno scavo in Iran, l’origine é la stessa, le pratiche e i riti
sono i medesimi, l’Asia centrale inizia dove sono ritrovate somiglianze al carbonio, non importano
le montagne, i deserti o le evoluzioni politiche o culturali che li possano dividere: il sistema
urbanistico dell’età del bronzo é lo stesso in Iran e nella valle dell’Amu-darya, questo conta, questa
é Asia centrale.
Per gli storici Asia centrale é quello che è accomunato dallo stesso passato, da qui la tendenza a
parlare di Asia centrale storica riferendosi solamente alle odierne cinque repubbliche ex socialiste,
perché loro hanno una storia ed un passato comune.
5
Celebre espressione di Sir Halford Mackinder che nel 1919 usò questo termine per indicare il cuore di quell’Isola-
Mondo, l’Eurasia, che avrebbe costituito la nuova super-potenza mondiale, surclassando il potere marittimo britannico.
22
L’Asia centrale delle cinque repubbliche é una definizione data da molti, anche da Organizzazioni
Internazionali come le Nazioni Unite: l’Asia Centrale per l’ONU é questa macroregione dell’Asia
relativamente nuova, nata per necessità di catalogazione dell’area dopo il crollo dell’URSS
6
.
La vecchia definizione sovietica non includeva il Kazakistan, troppo “russificato” e troppo
importante per la Russia per associarlo al resto dell’Asia Centrale.
L’UNESCO definisce, invece, i confini della regione secondo criteri climatici includendo così oltre
alle cinque repubbliche, anche altri stati: la Mongolia, la Cina occidentale (incluso il Tibet), il nord-
est dell’Iran, l’Afghanistan, il Pakistan occidentale, parte della Russia e le parti settentrionali di
India e Pakistan
7
.
Per Peter Hopkirk, l’Asia Centrale é uno scacchiere dove si gioca l’ottocentesca partita tra l’Orso e
il Leone
8
: lo scacchiere é qualsiasi punto dove si giochi la partita, dal Caucaso alla Siberia
9
.
Per quanto mi riguarda, l’espressione Asia Centrale nasce da un insieme di fattori e dall’esperienza
appresa dalle varie opinioni.
L’Asia Centrale é quel luogo fisico che trova i suoi confini e la sua omogeneità territoriale
latitudinalmente tra il Caucaso e la Cina propriamente detta, longitudinalmente tra le steppe kazake
e la catena montuosa dell’Hindu Kush; è l’incrocio tra due culture asiatiche completamente
differenti, quella delle popolazioni di origine turco-mongola originarie della regione del lago
Baikal, a nord dell’attuale Mongolia, popolazioni principalmente nomadi, caratteristiche ritrovabili
oggi nelle popolazioni kazake, kirghize e turkmene; di cui una parte, quelli che oggi chiamiamo
uzbechi, avendo trovato ricche oasi favorevoli alla sedentarizzazione nelle mesopotamiche terre tra
il Syr-Darya e l’Amu-Darya, decisero di lasciare il nomadismo, costruendo società e culture
sedentarie. Dall’altra parte ci sono i tagichi: popolazioni sedentarie, di lingua e cultura indo-
europea, eredità della presenza persiana nella regione, stanziate soprattutto nella zona sud-est della
regione centrasiatica.
6
UNDP “Uzbekistan Country Profile 2007”.
7
Dani A.H. e Masson V.M., “UNESCO History of Civilizations of Central Asia”, 1992, UNESCO, Paris.
8
Simbologia della geopolitica del grande gioco nel XIX secolo; l’Orso rappresenta la Russia, il Leone il Regno Unito.
9
Hopkirk P., “Il Grande Gioco”, 2004, Adelphi, Milano.
23
L’Asia centrale rappresenta letteralmente l’incrocio di queste due culture asiatiche, la nomade dal
nord e la sedentaria dal sud, l’espressione Asia centrale rappresenta il risultato di quest’unione.
Come tutti gli incroci, anche questo ha un suo cuore, un centro nevralgico: il luogo che rappresenta
più di qualunque altro questo mélange culturale, é il territorio della Repubblica dell’Uzbekistan.
L’Uzbekistan, nonostante la sua costruzione statale pressoché fittizia, rappresenta il paese più
etnicamente e culturalmente misto, ove al suo interno oltre alla numerosa maggioranza uzbeca,
troviamo molteplici minoranze, come le popolazioni karakalpake e kazake ad ovest, che
rappresentano la componente nomade, le oasi persiano-tagiche di Buchara e Samarcanda, la capitale
Tashkent ancora molto legata all’eredità culturale russa e la valle del Fergana, perfetto risultato
dell’unione di queste minoranze e da sempre riproduzione in scala più grande delle questioni e dei
fenomeni che toccano l’intera regione.
Dopo aver esaminato il relativismo della definizione di Asia centrale, e quanto questo termine possa
cambiare significato secondo chi lo usi, dobbiamo chiederci il perché di quest’espressione, perché
Asia centrale?
Altro termine molto diffuso per indicare questa parte di Asia, particolarmente usato nel XVIII e
XIX secolo fino all’arrivo dei bolscevichi è Turkestan.
Turkestan, terra dei turchi, terra delle tribù nomadi turco-mongole, terra di steppe e deserti,
definizione che evocava a chiunque s’imbattesse in essa un senso di nulla, un modo per indicare una
terra dove non c’è civiltà, non c’è governo.
Non a caso la parola è d’origine persiana, il suffisso -stan che ritroviamo ancora oggi in molti
toponimi della zona, indica la terra, la patria, dunque il Turkestan è la patria delle popolazioni
turche.
Il termine Turkestan, per decenni ha indicato il concetto di terra di nomadi e quindi terra di nessuno,
sia che si venisse dagli imperi meridionali persiani o indiani, sia che si venisse dall’estremo oriente
dell’impero celeste, sia dal nord che diventava sempre più russo, sulle carte geografiche del
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viaggiatore c’era sempre quel vuoto, quella zona indeterminata, segnato solamente con il toponimo
Turkestan.
Con la colonizzazione zarista della regione nella seconda metà del XIX secolo la regione perse le
uniche forme di unità statale che aveva, rappresentate dalle tre città-stato dei Khanati di Khiva,
Buchara e Kokand e divenne Turkestan russo: quella che fino ad ora era la terra di nessuno ora ha
un padrone e acquisisce un’entità agli occhi del mondo intero.
Presto il termine Turkestan sarà destinato a sparire da tutte le carte geografiche: con l’arrivo dei
sovietici negli anni ‘20, cominciò la nazionalizzazione del Turkestan, Stalin divise la regione in
cinque repubbliche, creando ex-novo cinque entità nazionali distinte, cosa assolutamente nuova ed
impensabile per gli abitanti del Turkestan che non avevano mai immaginato differenze e confini nel
loro territorio.
Ora sulle carte sovietiche all’altezza di quello che prima era il Turkestan ci sono cinque nomi:
Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan ed Uzbekistan. Cinque nomi rappresentanti
cinque gruppi socio-politici, e su questi cinque nomi, nelle carte arriva il termine Asia Media.
Asia Media, Srednjaja Azija, rappresenta una sorta di ponte, una sorta di Asia, ma non troppo, come
se i sovietici volessero dire: “Si, è geograficamente Asia, ma è stata civilizzata!” ed è diventata
media, cancellando il termine Turkestan e dunque ogni riferimento alle popolazioni che ci
risiedono.
Il termine Asia Centrale (Central'naja Azija) arriva sulle carte e sugli atlanti di tutto il mondo come
toponomastica ufficiale solamente con l’indipendenza delle cinque repubbliche dall’Unione
Sovietica, all’inizio degli anni ‘90.
In questo termine rimane quel relativismo eurocentrico già presente in Asia Media; questa parte di
Asia è infatti centrale rispetto all’Europa: dopo il Vicino Oriente e il Medio Oriente, e prima della
Cina, c’è l’Asia Centrale.
Tra quelle che rappresentano le due grandi culture, i due grandi blocchi complementari ed opposti,
lo Yin e lo Yang del grande continente eurasiatico, tra l’Europa e la Cina, c’è questa terra, centrale,
25
ma in realtà, paradossalmente, periferica; forse proprio a causa della sua centralità, di quella sua
posizione di passaggio e di tramite tra le due grandi culture, l’Asia centrale ha assunto nel tempo il
ruolo di regione periferica, forse la più periferica, seguendo lo schema centro-periferia di
Wallerstein
10
. L’Asia centrale rappresenta il prototipo della periferia culturale, economica e politica
non solo rispetto al centro per antonomasia, l’Europa, ma anche rispetto alla Cina, dopo la sua
consacrazione a centro non più solo culturale ma anche economico. Paradossalmente la definizione
di questa parte di Asia come centrale, l’ha resa periferia, penalizzando la sua evoluzione e
rendendola solamente uno spartiacque di grandi centri.
Questo termine Asia centrale, non è mai piaciuto neppure ai centrasiatici, non si sono mai
riconosciuti in questa definizione, perché non erano più identificati per quelli che erano, vale a dire
dei turchi.
L’unico lato positivo del termine Asia centrale è che esso può legittimamente contenere anche
quella parte di regione abitata dall’etnia tagica di origine persiana, che fino ad ora era erroneamente
definita Turkestan.
Quando esplose il fenomeno del nazionalismo nelle cinque repubbliche, con le indipendenze del
1992, i fautori di questa nuova corrente non accettarono il termine Asia Centrale assegnatogli dalla
comunità internazionale, e anche grazie ad un panturchismo
11
riemergente, riversarono le loro
aspirazioni esaltando l’omogeneità culturale con la Turchia che diventò la nuova guida politica
economica e culturale delle nuove cinque repubbliche. Riemerse così dalla memoria storica il
termine Turkestan, ritenuto il più appropriato ed il più rappresentativo
12
.
Andando indietro nel tempo ci si rende conto di quanto questa regione sia sempre stata definita per
quello che era fisicamente. Per i conquistatori “occidentali” che provenivano dal sud, l’Asia
Centrale diventa Transoxania o Mawarah-al-nahr, entrambi i termini, il primo di origine latina, il
secondo arabo significano “al di là del fiume”, al di là dell’Oxus, oggi Amu-Darya, frontiera
10
Wallerstein I., “Il sistema mondiale dell’economia moderna”, 1978, Il Mulino, Bologna.
11
Movimento politico che mirava alla riunificazione di tutti i popoli turchi in un solo Stato.
12
Balci B., “Missionnaires de l’Islam en Asie Centrale. Les Ecoles turques“, 2003, M&L, Paris, p.44.
26
naturale tra il mondo conosciuto a sud e il nulla, l’ignoto a nord. Ecco perché sia i persiani che gli
arabi, una volta sorpassate le sponde dell’Oxus, non sapendo come definire quelle terre prive di
storia e di civiltà le chiamarono semplicemente terra al di là del fiume.
Un altro termine che evoca la fantasia mitologica che è stata usata per descrivere questa parte di
mondo è Turan. Anche questo termine deriva da una descrizione dell’area in relazione a qualcun
altro che sono ancora i persiani.
Per la prima volta questo termine è usato nel Libro dei Re (Shahnamé) di Ferdowsi, poeta persiano
vissuto nell’XI secolo, ove al capitolo relativo alla tripartizione del mondo da parte del re
Féreydoun, il poeta scrive: “Féreydoun fece regnare la giustizia. Egli praticava la magia, ma a fin di
bene. Apprezzando molto il carattere ed il temperamento dei suoi tre figli, Salm, Tour e Iradj, egli
decise di dividere tra tutti e tre il suo impero che abbracciava tutto l’universo. A Salm donò il regno
dell’ovest, il paese dei Rumi
13
, a Tour quello dell’est, il Turkestan, Turan appunto; a Iradj, il più
giovane, egli ha riservato l’Iran, il centro del mondo”
14
.
Anche in questo caso, quindi, il nome attribuito all’Asia Centrale, è di riferimento a qualcos’altro,
in questo caso al nome del figlio di un re persiano e Turan diventa tutto quello che si trova a nord
del centro del mondo, è la terra dei nomadi e anche in questo caso tutto quello che c’è al di là del
fiume dell’Oxus. Féreydoun continua nella descrizione dei territori del grande impero iranico e
quando parla del Turan, pone l’accento sul fatto che queste sono terre abitate da nomadi, che sono
l’opposto del regno di Iradj, centro del mondo civile e sedentario.
La parola Turan sarà, in seguito, presa come termine rappresentativo dall’ideologia panturca per
indicare il grande Stato dei popoli turchi.
Nei secoli XVII e XVIII, un altro termine, riferito a questa parte di Asia, era possibile trovare sulle
carte geografiche europee: Tartaria.
Questo termine deriva dalla conquista dei principati russi da parte dei mongoli di Gengis Khan
(chiamati tatari in Europa) nel XIII secolo. L’occupazione durò due secoli trasformando i moderni
13
Termine persiano per indicare le popolazioni cristiane.
14
Roy O., "La nouvelle Asie Centrale ou la fabrication des nations", Seuil, Paris, 1997.
27
ed occidentali principati russi nel Canato dell’Orda d’Oro, feudo periferico dell’impero mongolo
che aveva sede a Karakorum, nell’attuale Mongolia.
Tanto era il disprezzo per questi oppressori asiatici e selvaggi che avevano osato soggiogare la
cultura cristiano-bizantina dei principati russi, che in Europa, per molto tempo si usò il termine
Tartaria, per indicare grossolanamente tutto quello che era al di là del fiume Volga.
Il primo che riabilitò queste genti dell’est agli occhi occidentali, pur chiamando questa regione
Tartaria, fu Marco Polo che oltre ad essere il primo visitatore europeo di questa terra considerata
angusta, remota e pericolosa, fu il primo a scoprire che alle estreme propaggini del continente
eurasiatico non c’era la Tartaria, ma il Catai, anche se in quel periodo soggiogato dalla presenza
tatara e governata dall’imperatore Kublai Khan, diretto discendente di Gengis Khan. Il Catai risultò
subito agli occhi del giovane mercante dalmata come una regione ancora più remota ed ancora più
sconosciuta
15
.
E’ forse qui che l’Europa, scoprendo un’altra Asia, un’Asia ancora più remota, trasforma il Catai
nell’estremo oriente e la Tartaria nella terra di mezzo, nella terra dei conquistatori asiatici ma ormai
familiari rispetto all’ignota civiltà cinese; e forse è qui che la Tartaria diventa agli occhi occidentali
Asia Centrale
16
.
Enclavement
Il problema dell’Enclavement dell’Asia centrale è un problema che emerge, per la prima volta, nel
XX secolo, con la caduta dell’URSS nel 1991.
Fenomeno da molti sottovalutato, l’implosione dell’URSS ha improvvisamente aumentato il
numero di paesi enclavé nel mondo.
15
Polo M., “Il Milione”, 1990, Mondatori, Milano.
16
Per approfondire questo aspetto : Damiani I., “Central Asia, Turkestan, Turan: many words for a single land” paper
nel sito COST http://www.eastbordnet.org 2010.