V
INTRODUZIONE
Un asserto o un insieme di proposizioni (e quindi un’informazione o un insieme di
informazioni) sono oggettive se sono pubblicamente controllabili: pubblicamente
controllabili in base a fatti e quindi passibili di smentita o conferma.
Dario Antiseri
In senso assoluto è dunque preferibile sforzarsi di far conoscere ciò che accadrà
attraverso ciò che è accaduto, perché un procedimento del genere produce più
sapere.
Aristotele
Il problema dell’oggettività e dell’obiettività costituisce una
questione a lungo dibattuta nel giornalismo, sia internazionale che
italiano. Nel nostro Paese, in particolare, è prevalente l’opinione di chi
considera l’obiettività un falso mito, «notoriamente uno pseudoconcetto,
puramente soggettivo»
1
. Questa problematica comporta delle evidenti
ripercussioni in ambito deontologico ed epistemologico, poiché incide in
maniera radicale nel modo in cui un giornalista riporta una notizia: questi
può assumere a priori una posizione di parte oppure no, riportare notizie
volutamente false oppure tentare di rimanere in buona fede, e così via.
1
E. Scalfari, L’obiettività di Vespa, in L’Espresso, 9 dicembre 2004.
VI
Nel nostro ambito di ricerca, non ci occuperemo tanto delle
ripercussioni etiche determinate da un certo modo di “fare notizia”. Ciò
che andremo ad analizzare riguarda piuttosto il livello di oggettività che
un testo giornalistico è in grado di raggiungere. Si tratta, dunque, di
affrontare la questione dell’oggettività in un ambito strettamente testuale,
non già contestuale. Ciò significa che la nostra attenzione non sarà
troppo focalizzata sull’aderenza ai fatti in quanto tale, ma piuttosto su
quei meccanismi o strategie di cui l’autore si avvale per la
rappresentazione dei fatti stessi. Per oggettività, qui, intendiamo proprio
questo: la rappresentazione dei fatti o, meglio, di versioni dei fatti, che
possono, dunque, essere coerenti, non coerenti, contraddittorie e via
discorrendo; di conseguenza, l’analisi non è tanto centrata sulla
questione del “vero o falso”.
Tale assunto corrisponde, in realtà, agli assiomi già formulati dalla
linguistica e dalla semiologia strutturali e presenti anche nella semiotica
più matura. Secondo tali asserti, infatti, il linguaggio non ha la facoltà di
rispecchiare le cose del mondo reale, ma di significarle; linguaggio e
mondo reale costituiscono due sistemi, ognuno retto da specifiche regole
interne. Di conseguenza, quando un linguaggio, sistema significante,
riferisce delle cose del mondo reale, si occupa di «tradurle al proprio
interno, di risemantizzarle con altri mezzi espressivi, di trasferirle nel
proprio piano del contenuto»
2
. Questi principi di base determinano
talune conseguenze per l’analisi semiotica del discorso giornalistico: ciò
che andremo a rilevare, dunque, saranno le impressioni alla realtà che il
giornalista è in grado di trasmettere al lettore. A tal fine, egli si serve di
2
G. Marrone, Corpi sociali. Processi comunicativi e semiotica del testo, Einaudi,
2001, p. 89.
VII
particolari strategie linguistiche di tipo sintattico e semantico: ad
esempio, il ricorso a discorsi diretti, piuttosto che indiretti, per riportare
le dichiarazioni di testimoni, oppure il riferimento di molti particolari o
dettagli. L’impiego di tali stratagemmi ha, come conseguenza, la
produzione di determinati “effetti di credenza” sui destinatari
3
; tali
effetti, tuttavia, si manifestano anche e soprattutto in base al tipo di
contratto interpretativo che sussiste tra autore e lettore. Questo contratto
costituisce la base del rapporto di fiducia che s’instaura tacitamente tra
giornalista e destinatario, e che varia da un quotidiano ad un altro; tale
rapporto è determinato dal modo in cui «all’interno del discorso si
costruisce la notizia, la si condivide con il lettore, la si dà come sicura o
come incerta»
4
. Questo presupposto, a sua volta, è noto fin dal principio
tanto al lettore quanto all’autore stesso: ciò significa che, da un lato, le
aspettative del destinatario di un determinato quotidiano possono essere
diverse in funzione del quotidiano stesso; lo stesso vale, dall’altro lato,
per i criteri di notiziabilità adoperati dal giornalista di quella testata. In
poche parole, chi legge un giornale come l’Unità avrà delle attese
diverse rispetto al momento in cui si imbatte in un giornale come il
Corriere della Sera, essendo il primo un giornale più esplicitamente
schierato rispetto al secondo. Questo esempio appare analogo, tra l’altro,
all’analisi comparata effettuata da Eric Landowski a proposito dei
francesi Libération e Le Monde, sostenendo che il primo fosse
caratterizzato da una “tendenza soggettivante” predominante rispetto alla
“tendenza oggettivante” del secondo (Landowski, 1989). Ogni
quotidiano, infatti, presuppone la presenza di entrambe le disposizioni, di
3
Ibidem, p. 90.
4
Ibidem, p. 114.
VIII
cui una tende a prevalere sull’altra: per questo motivo, il giornalista, in
ogni atto enunciante, compie due operazioni concomitanti che
descrivono la tensione tra racconto e discorso. Da un lato, egli si occupa
di «offrire un racconto sul mondo esterno, […] a prescindere da sé e dai
suoi lettori, in un luogo e in un tempo che non sono né i suoi né quelli
del suo pubblico – e che, proprio per questo, si configurano come
“oggettivi”» e, dall’altro, si occupa, allo stesso tempo, di «tenere un
discorso al suo destinatario, […] ponendo così l’accento sulla propria
esistenza “soggettiva»
5
. Questo assunto ci sembra del tutto opportuno
per condurre la nostra ricerca: anche in un’analisi eminentemente
testuale - come quella che ci accingiamo a compiere - si deve comunque
tener presente, come presupposto, che in ogni enunciazione una certa
dose di soggettività è ineliminabile. D’altro canto, non ci appare
condivisibile l’opinione di quanti affermano che l’oggettività, al pari
dell’obiettività, non esiste: è il caso di Eugenio Scalfari, fondatore di
Repubblica, e di gran parte dei giornalisti italiani. Essendo una tendenza
insita in ogni enunciazione giornalistica, accanto alla “tendenza
soggettivante”, ci sembra più opportuno considerare l’oggettività come
un ideale, più o meno realizzabile, verso cui ogni buon giornalista
dovrebbe tendere.
L’analisi che condurremo nelle prossime pagine sarà di tipo
essenzialmente sintattico: ciò significa che prenderemo in considerazione
quei lessemi, o quelle parole, che ci appaiono più indicativi ai fini della
nostra indagine. Lessico e sintassi, infatti, costituiscono due forme
linguistiche tra loro complementari, strettamente dipendenti l’una
5
Ibidem, p. 79.
IX
dall’altra
6
. Ci proporremo di dimostrare come la scelta di determinati
pronomi, verbi o aggettivi, piuttosto che altri, implichino taluni effetti di
senso che non si avrebbero nel caso di un utilizzo di termini diversi;
questi effetti di senso possono conferire un certo grado di oggettività al
testo, oppure di soggettività. Questo tipo di indagine costituisce, a nostro
giudizio, un primo step per dedurre la significazione complessiva data
dall’asserto di riferimento. Non dimentichiamo, infatti, che il «senso di
una qualsiasi frase non è dato dalla somma dei significati delle singole
parole che la compongono»
7
, ma dalla sua significazione globale, da un
punto di vista semantico.
Una volta individuate le strategie linguistiche ritenute pertinenti,
secondo la loro implicazione della soggettività o dell’oggettività, ci
porremo il fine di escogitare una metodologia atta a conferire un maggior
grado di oggettività agli asserti presi in considerazione. Poiché, come già
detto, un’implicazione della soggettività dell’enunciatore è inevitabile, ci
occuperemo di scorgere delle possibilità linguistiche alternative che
l’autore non ha preso in considerazione, o perché troppo coinvolto negli
episodi da lui descritti, o perché volutamente intenzionato ad assumere
una posizione di parte in merito. Teniamo a precisare che anche le nostre
considerazioni possono essere altrettanto “perfettibili”, poiché anche la
nostra soggettività sarà inevitabilmente coinvolta nell’analisi che
andremo ad eseguire. Per questa ragione, ci proporremo di costruire un
modello che abbia possibilmente «una struttura flessibile e aperta a
eventuali integrazioni»
8
, dunque verificabile; ciò significa che, con la
6
S. Cattaruzza, L’indicazione della realtà. Teoria dei segni e della conoscenza in Karl
Bühler, Mimesis, 2008, p. 133.
7
G. Marrone, op. cit., p. 77.
8
S. Cattaruzza, op. cit., p. 111.
X
massima onestà, non pretendiamo affatto di addurre conclusioni faziose
o deterministiche. Il nostro intento, tuttavia, è quello di dimostrare che
una maggiore oggettivizzazione del linguaggio giornalistico è sempre
possibile e che, quindi, non deve essere considerato come una possibilità
metodologica esclusa a priori. Nel corso dell’analisi, saranno menzionati
anche i titoli degli articoli e una breve descrizione delle fotografie a essi
eventualmente allegate. Riteniamo di dover precisare che abbiamo scelto
di includere l’esame delle immagini correlate agli articoli in una nota a
piè di pagina, in modo molto sintetico: a nostro giudizio, infatti, un
esame adeguato delle immagini meriterebbe un’analisi semiotica a parte,
in ragione della loro estrema complessità.
La nostra tesi sarà strutturata complessivamente in tre capitoli,
escludendo la parte dedicata alle conclusioni finali. Nel primo capitolo,
esporremo i contributi teorici di alcuni semiologi e linguisti che ci sono
sembrati del tutto pertinenti al nostro oggetto di analisi. Innanzitutto, ci
occuperemo di definire i concetti e le nozioni di cui intendiamo avvalerci
nel corso della nostra indagine; ricorreremo, ad esempio, alle definizioni
di enunciazione, enunciato, discorso e frase come sono contenute nel
Dizionario di Semiotica elaborato da Algirdas Julien Greimas e Joseph
Courtés. Tuttavia, i riferimenti teorici fondamentali si riferiscono alle
opere di due linguisti francesi che hanno segnato una notevole svolta
qualitativa negli studi semiotici, in virtù dell’importanza essenziale da
loro accordata al soggetto in quanto istanza enunciante e all’atto stesso
dell’enunciazione. Il primo è Emile Benveniste, che ha enormemente
sviluppato le considerazioni strutturalistiche sul linguaggio formulate da
Ferdinand de Saussure. Benveniste fu il primo a rilevare l’importanza
dell’esperienza del soggetto come fondamento dell’attività linguistica da
XI
lui esercitata: tali considerazioni gli derivarono dai suoi numerosi studi
sulle lingue indoeuropee e in ambito antropologico. Il secondo studioso
di riferimento è il linguista Jean-Claude Coquet, allievo di Greimas e
dello stesso Benveniste, che ha il merito di aver ulteriormente elaborato
le considerazioni del suo maestro. In particolare, egli ha posto l’accento
sull’inestricabile relazione che intercorre tra il linguaggio come attività
del logos, da un lato, e la physis, come sistema delle cose reali, dall’altro
lato: il linguaggio, dunque, permette di esprimere l’esperienza del reale e
tale esperienza non può prescindere dalla soggettività del parlante.
Nel secondo capitolo, procederemo ad una prima applicazione delle
risorse teoriche forniteci da questi linguisti. Analizzeremo quattro
articoli di giornale, due reportage e due articoli di analisi, per la
precisione; questa scelta ha il fine di rilevare se, seguendo un’analisi
comparata tra i due tipi di testo, vi siano delle differenze per ciò che
attiene il grado di soggettività o di oggettività implicato nel testo stesso.
Questi articoli riguardano due episodi molto recenti, vale a dire la crisi
libica e la manifestazione studentesca dello scorso 14 dicembre a Roma.
In base alle considerazioni che formuleremo in seguito all’analisi di
questi articoli, ci occuperemo di procedere, nel terzo capitolo,
all’elaborazione deduttiva di un modello di analisi che possa essere
ritenuto valido in altre sedi di applicazione. Di qui, invertiremo il nostro
percorso metodologico: ci occuperemo, infatti, di procedere con
un’analisi di tipo induttivo, al fine di verificare se il modello elaborato
possa essere adatto per l’analisi di altri testi giornalistici. In questo caso,
gli articoli scelti non saranno tratti da edizioni recenti di quotidiani
italiani: analizzeremo, infatti, tre articoli tratti da alcuni quotidiani del
1956 e due articoli provenienti da due testate straniere. Tale scelta è
XII
dovuta alla volontà di introdurre un ulteriore parametro per verificare il
grado di oggettività di un testo: in altre parole, ci occuperemo di
controllare se il nostro modello possa essere ugualmente valido sia su
articoli scritti in epoche più remote sia su articoli non italiani. Allo stesso
modo, l’analisi di questi cinque articoli ci permetterà di capire se essi
implichino il ricorso alla soggettività o all’oggettività in modo analogo
rispetto alla scrittura giornalistica dei nostri giorni.