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INTRODUZIONE
Prima di addentrarci nell’analisi dei nuovi schemi di riforma di
Basilea, è necessario premettere alcune considerazioni
sull’instabilità finanziaria, sulla crisi relativa al periodo 2007
– 2010 e sulla regolamentazione finanziaria.
La finanza internazionale è colpita da fasi periodiche di
instabilità; la stabilità finanziaria costituisce, dunque, uno
degli obiettivi primari per le autorità di vigilanza nazionali e
per gli organismi finanziari internazionali. Ma cosa si intende
per stabilità finanziaria? Non può essere definita come l’assenza
di crisi, né è assicurata quando la politica macroeconomica è
gestita allo scopo di ottenere una stabilità monetaria, ma si può
affermare che i moderni sistemi finanziari sono stabili quando
facilitano l’allocazione delle risorse fra settori, fra aree
geografiche e nel tempo; consentono la formazione dei prezzi nelle
attività finanziarie; limitano la concentrazione dei rischi e ne
consentono l’attenzione tramite l’uso di appositi strumenti ed
infine permettono il funzionamento del sistema anche quando è
soggetto a shock avversi.
All’interno della stabilità finanziaria è ricompreso un obiettivo
specifico di particolare rilevanza ovvero la stabilità bancaria.
L’instabilità in questo comparto può essere riconducibile alla
fragilità finanziaria di un intermediario per il combinato
disposto di una elevata leva e del diritto di prelievo dei
depositi. Sono state individuate delle soluzioni tra cui la più
importante è costituita dai requisiti patrimoniali associati ai
sistemi di valutazione e gestione del rischio.
Entrando nello specifico, nell’estate del 2007 si verificò una
grave crisi le cui cause furono inerenti i mutui statunitensi
subprime e le pratiche di sottoscrizione, proliferate nel settore
a partire dal 2004 ovvero mutuatari poco meritevoli di credito;
elevati rapporti prestiti/collaterale e verifica del reddito
scarsa o inesistente.
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Uno degli elementi fondamentali che contribuisce alla stabilità
del sistema finanziario è la regolamentazione: essa è causa, ma
anche effetto delle caratteristiche operative degli agenti e delle
specifiche esigenze nelle diverse situazioni economiche. La
regolamentazione ha il compito di intervenire in caso di
fallimenti del mercato (market failure) e si pone i tre obiettivi
di stabilità, equità nella distribuzione delle risorse ed
efficienza nell’utilizzo delle stesse.
Per lungo tempo, però, i sistemi finanziari e bancari hanno avuto
dimensioni prettamente nazionali, ma la crescente
internazionalizzazione ed, in particolare, l’integrazione europea
hanno posto problemi affatto nuovi. Essendo aumentate le
interconnessioni tra banche, si potrebbero generare rischi di
carattere sistemico; c’è stato quindi un primo passo verso una
regolamentazione finanziaria di carattere internazionale con la
predisposizione di uno schema comprendente degli accordi
denominati Basilea I e stipulati nel 1988. Sebbene si tenesse
conto solo del rischio di credito, conteneva il pensiero secondo
cui l’ammontare di capitale minimo richiesto per proteggersi da
eventuali perdite deve essere pari all’8 %; nel 1996 venne
aggiunto allo schema anche il rischio di mercato.
Basilea II, definito anche il Nuovo Accordo, è stato creato nel
2004 ed è con lo stesso che venne introdotto il rischio operativo
ed espanso il rischio di credito; la differenza con Basilea I è
che il rischio di credito venne espanso, oltre che agli strumenti
e alle attività, anche per permettere alle banche di utilizzare i
loro sistemi di rating interni. Basilea II, però, ha presentato
una serie di criticità evidenziate dalla crisi del 2007.
Innanzitutto, in molte giurisdizioni il perimetro stesso della
regolamentazione è risultato inadeguato, lasciando ampi spazi di
discrezionalità ai singoli ordinamenti con la conseguente crescita
eccessiva di alcuni settori non accompagnata da un appropriato
costo del rischio. Inoltre, si è rilevata una insufficienza nella
quantità e nella qualità del capitale degli intermediari rispetto
alle perdite sostenute durante il periodo della crisi. Non si è
riusciti a contenere il fenomeno della procicilicità ed, infine,
non venne considerato il rischio di liquidità.
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Tutti questi limiti hanno reso il documento inadeguato ed è per
questo motivo che il Comitato di Basilea ha provveduto alla sua
revisione e alla redazione del nuovo accordo – Basilea III.
Il programma di riforme presenta due dimensioni interconnesse
ovvero microprudenziale (a livello di singole banche allo scopo di
aumentare la resistenza dei singoli istituti bancari in periodi di
stress) e macroprudenziale (perché affronta i rischi sistemici che
possono accumularsi nel settore bancario).
Il nuovo accordo si suddivide in tre parti. Il primo pilastro –
Requisiti patrimoniali minimi – è da considerare come quello di
primaria importanza; il patrimonio di vigilanza deve essere
composto, secondo il Comitato, dal patrimonio di base e dal
patrimonio supplementare. Il calcolo dei requisiti patrimoniali
minimi complessivi si deve basare sulla definizione del patrimonio
di vigilanza stesso e sulla definizione di attività ponderate per
il rischio; il coefficiente complessivo non deve essere inferiore
al 8 %. Mentre il patrimonio di base (classe o Tier 1) è stato
elevato dal 4 al 6 %. Il patrimonio supplementare (classe o Tier
2), invece, non deve essere superiore al 100% del patrimonio di
base. Un maggior livello di capitale comporta una maggiore
capacità di assorbire le perdite e di affrontare al meglio
situazioni di tensione. Si può constatare il maggior peso
attribuito al Common equity, con un requisito totale pari al 7%,
composto dal 4,5 % ovvero la componente con la maggiore capacità
di assorbire le perdite, e dal Capital conservation buffer del 2,5
%. Tali misure entreranno in vigore, progressivamente, dal 1°
Gennaio 2015.
Altra novità è stata l’introduzione di un indice di leva
finanziaria del 3% (non-risk based leverage ratio) allo scopo di
contenere la leva finanziaria e di integrare i requisiti
patrimoniali basati sul rischio; tale indice entrerà in vigore,
progressivamente, il 1° Gennaio 2018.
Con Basilea III vengono introdotti degli standard minimi globali
di liquidità allo scopo di evitare l’improvviso esaurimento delle
fonti di finanziamento e per rafforzare la capacità di tenuta
delle banche di fronte a potenziali turbative nell’accesso al
finanziamento e gestire squilibri di liquidità strutturali di
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lungo periodo; con il Liquidity coverage ratio (LCR) verrà
richiesto alla banche di detenere attività liquide di elevata
qualità al quale si dovrà poi aggiungere il Net stable funding
ratio (NSFR) ovvero un indicatore strutturale di più lungo
periodo.
Il secondo pilatro – Processo di controllo prudenziale – ha come
obiettivo quello di garantire che le banche dispongano di un
capitale adeguato a sostenere tutti i rischi connessi alla loro
attività e di incoraggiare l’elaborazione e l’uso di tecniche
migliori per monitorare e gestire i rischi stessi. Con Basilea III
c’è un miglioramento nella gestione e supervisione del rischio
con, ad esempio, il rafforzamento delle prove di stress. Inoltre,
il Comitato sta elaborando delle misure allo scopo di evitare che
i rischi connessi a una singola banca si trasmettano al sistema
finanziario e all’intera economia.
Il terzo pilastro – Disciplina di mercato – si pone come obiettivo
quello di integrare il primo ed il secondo pilastro. Il Comitato
mira ad incoraggiare la disciplina di mercato tramite
l’individuazione di un insieme di requisiti di trasparenza
informativa che consentiranno agli operatori di mercato di
disporre di informazioni fondamentali sul patrimonio di vigilanza,
esposizione ai rischi e sull’adeguatezza patrimoniale. Il nuovo
accordo prevede che le banche e gli intermediari finanziari
debbano rendere pubbliche tutte le componenti della base
patrimoniale, le deduzioni applicate e un riscontro completo con i
conti finanziari; le banche dovranno rendere disponibile sul
proprio sito internet le clausole e le condizioni riguardanti ogni
strumento incluso nel patrimonio di vigilanza.
Nel disegnare le regole di Basilea III sono state bilanciate due
necessità: da un lato, assicurare una riforma rigorosa, capace di
promuovere un sistema finanziario più stabile; dall’altro
minimizzare le potenziali ricadute negative della riforma sulla
crescita economica, soprattutto in una fase di ripresa ancora
incerta. L’effetto sugli intermediari dei principali paesi è stato
stimato tramite uno studio d’impatto quantitativo riferito al
Dicembre 2009. L’impatto sulla crescita economica sarebbe
complessivamente positivo, tenendo conto sia degli oneri di
adeguamento sia dei costi che dei benefici. Le analisi mostrano
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che, nella prima fase di entrata a regime della riforma, i più
elevati requisiti patrimoniali di capitale determinerebbero una
contrazione di massimo lo 0,22% poco dopo il 2018. I benefici nel
lungo periodo supererebbero i costi. Relativamente alle banche i
risultati avranno un impatto rilevante in quanto i livelli di
capitale dovranno crescere e strumenti di qualità inferiore
dovranno essere sostituiti con quelli più robusti (in grado di
assorbire perdite) e più costosi; tutto ciò implicherà effetti
relativamente minori negli anni iniziali. Per ciò che riguarda le
imprese, infine, ci sarà un ridimensionamento delle difficoltà di
accesso al credito pur in presenza di qualche tensione nel
finanziamento delle piccole e medie imprese.
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CAPITOLO I: STABILITA’ DELLE BANCHE E
REGOLAMENTAZIONE FINANZIARIA
Prima di addentrarci nell’analisi della crisi e dei documenti
relativi ai nuovi schemi di riforma di Basilea è necessario
inserire delle considerazioni generali sull’instabilità
finanziaria, sulla crisi 2007 – 2010 e sulla regolamentazione
finanziaria.
L’instabilità del sistema finanziario internazionale, fin dalla
metà degli anni ’70, trae origine da cambiamenti profondi nella
struttura incentivante degli investimenti (compresa la diminuzione
dei profitti delle attività manifatturiere alla fine degli anni
’60, con il conseguente passaggio degli investimenti di molte
società importanti dal comparto produttivo a quello finanziario);
dallo sviluppo della società e dell’economia dell’informazione; da
fattori istituzionali associati alla concentrazione ed alla
centralizzazione nel settore finanziario; dal declino del potere
dello Stato – Nazione; dall’abbreviarsi dell’orizzonte temporale
degli investimenti; ed, infine, dalla maggior mobilità geografica,
dovuta in parte a trasporti e comunicazioni più veloci ed ad altri
rivoluzionari sviluppi tecnologici.
È necessario soffermarsi e concentrarsi su parecchi aspetti in
modo tale da spiegare in maniera più dettagliata il motivo per cui
la finanza internazionale sia colpita da fasi periodiche di
instabilità. A partire dal crollo, nei primi anni ’70, del sistema
di Bretton Woods
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, basato sulla parità di cambio fisse, ancorate al
Dollaro Statunitense, l’economia mondiale ha sofferto di
sommovimenti come mai si erano verificati a partire dagli anni
’30.
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Gli accordi di Bretton Woods sono degli accordi stipulati, nel Luglio 1944, in
campo monetario nella cittadina del New Hampshire (Usa) fra i rappresentanti
dei 44 paesi impegnati nella guerra contro l'Asse. Il problema affrontato fu il
ripristino delle condizioni di convertibilità delle monete e la creazione di un
sistema di compensazione multilaterale delle bilance dei pagamenti al termine
della guerra. Ispiratore degli accordi fu J.M. Keynes che, in considerazione
della negativa esperienza delle politiche di stabilizzazione seguite alla Prima
guerra mondiale, aveva proposto nel 1942 la creazione di una Unione di
compensazione internazionale. (www.pbmstoria.it)