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INTRODUZIONE
L’Agricoltura italiana, insieme a quella europea, sta attraversando un difficile
momento caratterizzato da un cambiamento che avanza su diversi fronti, tra cui
assumono particolare rilevanza:
• quello economico, caratterizzato dalla globalizzazione dei mercati, dall’aumento
dei prezzi dei fattori di produzione, e da forti variazioni in tempi brevissimi dei
prezzi di vendita di alcuni prodotti, come i cereali;
• quello climatico, che vede mutamenti significativi nelle temperature ed ancor
più nelle precipitazioni per distribuzione ed intensità;
• quello sociale e delle politiche, imponendo con crescente forza l’adozione di
pratiche sempre più rispettose dell’ambiente e della salute dei cittadini, e nel
contempo riduce i contributi al settore e ne cambia le modalità di erogazione.
Il cambiamento si caratterizza per una forte incertezza nei modi e nei tempi di
attuazione, e questo rende particolarmente difficile il processo di adeguamento e di
innovazione che oggi è richiesto al mondo agricolo. In questo contesto la risorsa idrica
sta assumendo, ed ancor più assumerà, un ruolo strategico e centrale. Pertanto la sua
gestione richiede, l’adozione di adeguate misure e politiche in grado di far fronte a
possibili situazioni di scarsità, in particolare per il settore primario. Questo fenomeno
interessa le principali filiere di produzione agricola, quali i cereali, le colture industriali,
l’ortofrutta, l’olivo, la vite, per citarne solo alcune. L’uso efficiente e sostenibile
dell’acqua è una sfida sempre più pressante e costituisce l’obiettivo di numerose misure
di politica ambientale ed agricola che, delineate a livello comunitario, trovano a livello
regionale una puntuale applicazione.
Per poter determinare l’impatto delle varie misure di policy sul settore agricolo
è necessario impiegare strumenti analitici in grado di quantificarne gli impatti socio-
economici ed ambientali e di supportare processi decisionali complessi e partecipati,
come richiesto dalla Direttiva 60/2000/CE (Direttiva Quadro Acque). Il recepimento
della Direttiva, potrebbe portare ad una riduzione delle disponibilità idriche per il
settore primario e ad un aumento dei relativi costi con importanti conseguenze sullo
sviluppo rurale.
9
Obiettivo del lavoro in questione è l’applicazione di un modello matematico
capace di analizzare economicamente il valore delle risorse idriche impiegate
nell’irrigazione, e produrre informazioni capaci di sostenere il recepimento della
Direttiva Quadro sulle Acque relativamente al settore agricolo, per ciò che concerne
l’applicazione di un’eventuale tariffazione al consumo della risorsa idrica che sia capace
di aumentare l’efficienza del sistema e di incrementare le entrate dei soggetti gestori,
senza danneggiare ulteriormente l’agricoltura. Tale strumento, adattabile a situazioni
locali e temporali diverse, è in grado di cogliere la complessità e molteplicità dei sistemi
produttivi locali.
Per poter raggiungere gli obiettivi posti, il seguente studio è stato articolato come segue:
• La prima parte è stata dedicata all’esposizione della normativa di riferimento per
il settore agricolo. Partendo da una descrizione delle linee guida stabilite a
livello europeo, si è visto come queste vengono recepite prima a livello
nazionale ed infine a livello regionale, concentrando l’attenzione principalmente
su aspetti relativi all’irrigazione;
• La seconda parte riguarda in sostanza la struttura teorica del lavoro. Dopo aver
descritto dettagliatamente le modalità con le quali vengono ricavati i dati
necessari ad analizzare economicamente l’uso della risorsa idrica, si è spiegato
in maniera dettagliata come questi ultimi vengono elaborati per ottenere dei
risultati in grado soddisfare le finalità del lavoro;
• La terza parte contiene, invece, le analisi empiriche effettuate e le relative
interpretazioni sui valori ottenuti. Per ogni azienda considerata, vengono
mostrati i risultati derivati considerando tre differenti scenari: il breve periodo
(situazione attuale), il lungo periodo con una tariffazione basata sulla superficie
irrigata, ed il lungo periodo con una tariffazione basata sul consumo effettivo;
• La parte finale, rappresentata dalle conclusioni, cerca di compiere una sintesi
delle analisi effettate concentrando l’attenzione sui punti di forza e di debolezza
del lavoro svolto.
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CAPITOLO PRIMO
Normativa di riferimento sulle risorse idriche
1.1 Le risorse idriche nel contesto europeo
Le problematiche connesse alla qualità delle acque e ad un loro uso sostenibile
per fini irrigui, assumono un’importanza crescente da un punto di vista politico e
gestionale, in relazione alla sempre maggiore limitatezza della risorsa impiegabile per
uso umano.
Sulla necessità di salvaguardare le risorse idriche si è soffermata l’attenzione
dell’Unione Europea già dal 1973, grazie al Primo Programma d’azione ambientale,
incentrato sulla lotta all’inquinamento delle acque e dell’aria. Nonostante l’interesse
comunitario per tali tematiche era forte, le politiche ambientali comunitarie lo erano
meno, rivestendo quest’ultime un mero ruolo accessorio, essendo prive di autonomia
riconosciuta, sia da un punto di vista formale che operativo. A distanza di pochi anni,
sono seguiti il Secondo (1977-1981), il Terzo (1982-1986), il Quarto (1987-1992)
programma di azione in materia ambientale. È solamente quest’ultimo che, recependo
gli obiettivi introdotti dal Trattato di Maastricht, conferisce all’azione comunitaria in
materia ambientale un fondamento giuridico e introduce i principi sui quali è tuttora
basata la strategia ambientale europea: prevenzione
1
, precauzione
2
, correzione alla
fonte
3
, sussidiarietà
4
in materia ambientale e principio “chi inquina paga”
5
. Il Trattato di
Maastricht, infatti, ha avuto il merito di dare avvio ad una politica ambientale basata
sulla “sostenibilità” dello sviluppo economico e tecnologico.
L’inserimento del concetto di sviluppo sostenibile tra gli obiettivi dell’Unione
Europea avviene con l’adozione del Quinto Programma d’azione (1993-2000). In
1
Prevenire il danno è migliore di qualsiasi intervento ex post sia perché il costo finanziario è minore sia perché i
danni sono spesso irreversibili.
2
Questo principio consente agli Stati Membri di avviare un’azione senza che siano state presentate tutte le prove che
portano a dimostrare l’esistenza di un pericolo per l’ambiente.
3
Considerando che i danni ambientali non hanno confine è necessario che ogni Stato Membro affronti i dissesti
ecologici evitandone l’esportazione a danno di altri Paesi.
4
L’azione dell’UE deve limitarsi ai soli interventi giustificati a livello comunitario, per gli altri ci devono pensare gli
Stati Membri.
5
In base a questo principio chi inquina deve sopportare la spesa della soppressione del danno.
11
particolare, per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche, tale Programma auspica
la messa in atto da parte degli Stati Membri, di strategie finalizzate a prevenire
l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee attraverso un’opera di prevenzione
alla fonte, a ripristinare una condizione ecologicamente sana delle risorse idriche in
modo da garantire una fonte sufficiente per l’estrazione di acqua potabile nonché
l’equilibrio tra domanda e disponibilità di acqua mediante un uso razionale della stessa.
Basandosi sulla valutazione globale di quello precedente, il Sesto Programma
d’azione (2001-2010), denominato “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”,
stabilisce: un progresso nell’attuazione della legislazione ambientale rispetto al passato;
una migliore ed approfondita integrazione dell’ambiente nelle politiche economiche e
sociali; e una maggiore responsabilizzazione dei cittadini e delle parti interessate nei
confronti dei problemi ambientali. Per quanto riguarda, nello specifico, la qualità delle
acque, l’obiettivo che si pone tale Programma è quello di garantire un uso sostenibile ed
un’elevata qualità della risorsa, tale che non si verifichino impatti o rischi inaccettabili
per la salute umana e per l’ambiente.
1.2 Direttiva 2000/60/CE
1.2.1 Premessa
Nonostante gli ambiziosi impegni delineati nei summenzionati programmi
europei, è solamente con la Direttiva Quadro per le acque (WFD), che si arriva a parlare
di gestione integrata comune delle risorse idriche dell’Unione.
La Direttiva 2000/60/CE del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea,
emanata il 23 ottobre 2000, partendo dal presupposto che l’acqua è un bene comune e
non un prodotto commerciale, e pertanto rappresenta un patrimonio che va protetto,
difeso e trattato come tale, istituisce un quadro di riferimento per tutti gli Stati Membri
nell’ambito del quale prevedere azioni comuni e complementari. La definizione di uso
sostenibile dell’acqua, alla quale tale norma si ispira, prevede il perseguimento della
preservazione del capitale naturale per le generazioni future (sostenibilità ecologica),
dell’allocazione efficiente di una risorsa scarsa (sostenibilità economica), e della
garanzia, per tutti, di un’equa condivisione e accessibilità di una risorsa fondamentale
per la vita e per la qualità dello sviluppo economico (sostenibilità sociale).
12
Essa rappresenta un momento di grande innovazione nelle politiche ambientali
europee per almeno due motivi. In primo luogo, segna un importante avanzamento delle
ambizioni e degli obiettivi di una politica dell’acqua orientata alla sostenibilità,
stabilendo il principio fondamentale del governo dell’ambiente sulla base di obiettivi di
qualità. In secondo luogo, rappresenta un’impegnativa sfida sotto il profilo istituzionale
sollecitando, da un lato la costituzione di un quadro di policy che abbia come
riferimento le unità geograficamente rilevanti ai fini degli obiettivi posti (i bacini
idrografici); dall’altro lato un’evoluzione dei meccanismi di governance in senso
democratico e partecipativo. Inoltre la Direttiva, proprio per l’ambizione dei suoi
obiettivi e la consapevolezza che essi comporteranno uno sforzo economico assai
consistente, considera l’analisi economica come uno strumento fondamentale e
imprescindibile di supporto alle decisioni, con il fine di censire e valutare le diverse
fonti di impatto antropico, di raggiungere un’allocazione efficiente dell’acqua fra i
diversi usi concorrenti e di scegliere correttamente il mix di obiettivi e di strumenti.
Essendo il settore agricolo, soprattutto nei Paesi mediterranei, uno di principali
utilizzatori d’acqua, ed occupando una porzione significativa del territorio, è evidente
che quest’ultimo si trova in prima linea nei confronti della nuova politica idrica. Il
settore agricolo, infatti, impatta sulla qualità delle risorse idriche (soprattutto
sotterranee); rappresenta un importante utilizzatore di acqua, soprattutto dove è diffusa
l’irrigazione, ed è un importante utilizzatore del suolo. L’applicazione della direttiva
può comportare effetti molto pesanti per il settore agricolo: limiti ai prelievi di acqua
per l’irrigazione, rispetto di principi di precauzione nelle attività potenzialmente
inquinanti, un accresciuto conflitto per l’uso del suolo finalizzato al mantenimento e
ripristino di zone umide, corridoi fluviali e fasce di espansione. Più in generale,
l’approccio integrato della direttiva richiede un coordinamento della politica idrica con
le politiche settoriali (politica agricola comunitaria, in primo luogo, ma anche altre
politiche agro-ambientali e agro-energetiche, come quelle relative ai biocarburanti), in
modo tale da evitare che da queste risultino incentivi distorti e incompatibili con
l’obiettivo generale di tutela delle acque.
Esso rappresenta, peraltro, anche un’importante opportunità per il settore
agricolo e per il sistema dei servizi idrici legati all’agricoltura. Un uso più efficiente
dell’acqua può, infatti, essere di stimolo per un miglioramento complessivo delle
13
pratiche agricole; mentre, da un altro lato, il progressivo abbandono di logiche
produttive intensive e il ritorno verso pratiche agricole più estensive che consentono di
ridurre la pressione sull’uso del suolo e favorire una visione dell’agricoltura come
fornitrice di servizi ambientali alla collettività.
1.2.2 Aspetti economici della Direttiva
Gli aspetti di natura economica dell’uso della risorsa idrica, sono richiamati
negli articoli 5
6
e 9
7
della Direttiva. In particolare, si riporta che il raggiungimento entro
il 2015 di “un buono stato” per tutti i corpi idrici dell’Unione dovrà essere valutato
considerando le condizioni dello stato delle acque europee, definite rispetto all’integrità
degli stessi ecosistemi acquatici.
Queste condizioni in base alle quali individuare gli interventi di miglioramento devono
essere acquisite dagli Stati Membri dando attuazione all’articolo 5 che prevede, per
ciascun distretto idrografico:
- l’analisi delle caratteristiche del distretto;
- l’esame dell’impatto delle attività umane sullo stato delle acque superficiali e
sulle acque sotterranee;
6
Caratteristiche del distretto idrografico, esame dell'impatto ambientale delle attività umane e analisi economica
dell'utilizzo idrico.
1) Gli Stati membri provvedono affinché, per ciascun distretto idrografico, o parte di distretto idrografico
internazionale compreso nel loro territorio, siano effettuati, secondo le specifiche tecniche che figurano negli allegati
II e III, e completati entro quattro anni dall'entrata in vigore della presente direttiva:
- un'analisi delle caratteristiche del distretto, - un esame dell'impatto delle attività umane sullo stato delle acque
superficiali e sulle acque sotterranee, e - un'analisi economica dell'utilizzo idrico.
2) Le analisi e gli esami di cui al paragrafo 1 sono riesaminati ed eventualmente aggiornati entro tredici anni
dall'entrata in vigore della presente direttiva e, successivamente, ogni sei anni.
7
Recupero dei costi relativi ai servizi idrici.
1) Gli Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e
relativi alle risorse, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'allegato III e, in particolare,
secondo il principio "chi inquina paga". Gli Stati membri provvedono entro il 2010:
- a che le politiche dei prezzi dell'acqua incentivino adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo
efficiente e contribuiscano in tal modo agli obiettivi ambientali della presente direttiva, - a un adeguato contributo al
recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell'acqua, suddivisi almeno in industria,
famiglie e agricoltura, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'allegato III e tenendo conto del principio
"chi inquina paga".
Al riguardo, gli Stati membri possono tener conto delle ripercussioni sociali, ambientali ed economiche del recupero,
nonché delle condizioni geografiche e climatiche della regione o delle regioni in questione.
2) Nei piani di gestione dei bacini idrografici, gli Stati membri riferiscono circa i passi previsti per attuare il
paragrafo 1 che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi ambientali della presente direttiva, nonché circa il
contributo dei vari settori di impiego dell'acqua al recupero dei costi dei servizi idrici.
3) Il presente articolo non osta al finanziamento di particolari misure di prevenzione o di risanamento volte al
conseguimento degli obiettivi della presente direttiva. 4. Gli Stati membri non violano la presente direttiva qualora
decidano, secondo prassi consolidate, di non applicare le disposizioni di cui al paragrafo 1, secondo periodo, e le
pertinenti disposizioni del paragrafo 2 per una determinata attività di impiego delle acque, ove ciò non comprometta i
fini ed il raggiungimento degli obiettivi della presente direttiva. Gli Stati membri riferiscono sui motivi della
applicazione incompleta del paragrafo 1, secondo periodo, nei piani di gestione dei bacini idrografici.
14
- un’analisi economica dell’uso idrico.
Tali aspetti vengono messi a punto seguendo le specifiche tecniche riportate negli
allegati II e III della Direttiva.
Obiettivo dell’analisi delle caratteristiche del distretto è quello di valutare tutti gli
usi della risorsa ed individuare quelli che possono contribuire al rischio di non
raggiungimento degli obiettivi ambientali
8
fissati dalla norma. La valutazione include
anche l‘analisi di tutti i corpi idrici superficiali o sotterranei per i quali viene individuata
l’ubicazione ed il perimetro, per procedere poi ad una caratterizzazione in base a quanto
stabilito nell’allegato II della Direttiva. Qualora vengano identificati dei corpi idrici
definiti a rischio, siano essi superficiali o sotterranei, si procede ad una caratterizzazione
ulteriore, con lo scopo di valutare in maniera più esatta l’entità del rischio in questione e
di individuare le eventuali possibili misure da adottare, come previsto dall’articolo 11
(programma di misure).
Parallelamente all’analisi di contesto e di impatto, i Paesi Membri devono operare
un’analisi economica che deve riportare una serie di informazioni sufficienti e
adeguatamente dettagliate (tenuto conto dei costi connessi alla raccolta dei dati) con il
fine di:
- effettuare i pertinenti calcoli necessari per prendere in considerazione il principio
del recupero dei costi dei servizi idrici, tenuto conto delle previsioni a lungo termine
riguardo all’offerta e alla domanda di acqua in ogni distretto idrografico e, se
necessario, operare stime del valore, dei prezzi e dei costi connessi ai servizi idrici e
dell’investimento corrispondente, con le relative previsioni;
- formarsi un’opinione circa la combinazione delle misure più redditizie,
relativamente agli usi idrici, da includere nel programma di misure in base ad una stima
dei potenziali costi delle stesse.
Il principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici (full cost recovery, FCR) viene
richiamato dall’articolo 9. La Direttiva, infatti, nell’introdurre una spinta integrazione
fra analisi economica e politiche ambientali per le risorse idriche, prevede che gli Stati
8
Gli Stati Membri:
• Impediscono il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici;
• Proteggono, migliorano e ripristinano tutti i corpi idrici superficiali, artificiali e fortemente modificati;
• Attuano le misure necessarie per impedire o limitare l'immissione di inquinanti nelle acque sotterranee e per
impedirne il deterioramento;
• Attuano le misure necessarie a invertire le tendenze significative e durature all'aumento della
concentrazione di qualsiasi inquinante derivante dall'impatto dell'attività umana nei corpi idrici sotterranei.
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Membri, nell’attuazione delle proprie politiche, tengano conto del principio del
recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse,
partendo dai risultati dell’analisi economica effettuata in base all’allegato 3 e secondo il
principio “chi inquina paga”. L’obiettivo è l’introduzione, entro il 2010, di politiche dei
prezzi dell’acqua capaci di incentivare adeguatamente gli utenti ad usare le risorse
idriche in modo efficiente e contribuire, di conseguenza, agli obiettivi ambientali
previsti dalla norma. Tali politiche devono, inoltre, prevedere un adeguato contributo al
recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell’acqua,
suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura. Al riguardo, gli Stati devono tener
conto delle ripercussioni sociali, ambientali ed economiche del recupero, nonché delle
condizioni geografiche e climatiche della regione o delle regioni in questione.
In sintesi, il principio economico fatto proprio dalla Direttiva stabilisce che il
criterio per l’allocazione dei benefici è un principio di responsabilità, temperato dalla
necessità di garantire la riproduzione del capitale idrico nel lungo termine e
l’accessibilità alle funzioni essenziali. Questo principio generale risponde a diversi
obiettivi, in parte sinergici:
- stabilire in modo non ambiguo su chi devono gravare i costi, secondo un principio
generale e condiviso di equità;
- utilizzare la leva tariffaria come strumento di gestione della domanda (un
utilizzatore sarà, infatti, disposto a pagare un certo prezzo per l’acqua solo se il valore
totale che ricava dalle funzioni ambientali di cui si appropria superano quel prezzo);
- garantire che la finanza del settore idrico possa contare il più possibile su risorse
endogene (ossia, generate direttamente o indirettamente dalla gestione), per garantirne
l’autonomia imprenditoriale; in questo modo, il settore idrico verrebbe sottratto al
bilancio pubblico e messo in condizione di essere finanziariamente autosufficiente.
Come già descritto, il principio è inteso in modo non tassativo in quanto la norma
non contiene l’obbligo di raggiungere la copertura dei costi attraverso le tariffe e non
impedisce agli Stati Membri di utilizzare il denaro pubblico per finanziare opere e
interventi nel settore idrico. In tal senso, la legislazione italiana ha previsto tali principi,
con riferimento al settore civile, nella legge Galli (36/94) che stabilisce che le tariffe
devono coprire il costo integrale del servizio, comprensivo degli ammortamenti e della
remunerazione del capitale investito.
16
I Piani di gestione dei bacini idrografici rappresentano, in questo caso, lo
strumento attraverso il quale gli Stati Membri devono riportare le misure intraprese per
attuare l’articolo 9 per il raggiungimento degli obiettivi ambientali e circa il contributo
dei vari settori di impiego dell’acqua al recupero dei costi dei servizi idrici.
Un approfondimento sugli strumenti economici in attuazione dei principi sanciti
dalla Direttiva sarà descritto nel capitolo successivo del lavoro. Di seguito, si riporta
invece l’evoluzione della normativa di riferimento nazionale e regionale sulle acque.
1.3 Le risorse idriche nel contesto nazionale e regionale
1.3.1 Evoluzione normativa nazionale
La normativa italiana degli ultimi decenni in materia di risorse idriche ha
individuato nel concetto di risorsa pubblica da tutelare il principio di riferimento.
L’ultimo atto normativo, in ordine cronologico, è rappresentato dal d.lgs. 152/06, in
recepimento di una serie di direttive comunitarie, tra cui la 2000/60. Le norme nazionali
che possiamo considerare di riferimento in materia di acque sono: il regio decreto
215/33, le leggi 183/89 e36/94 e il D.lgs. 152/99.
Il regio decreto n. 215 del 13 febbraio 1933 “Nuove norme per la bonifica
integrale”, è stata una legge profondamente innovativa perché, oltre ad introdurre i
Consorzi di bonifica, ha esteso il concetto di bonifica ad un significato più generale di
sistemazione e valorizzazione del territorio, in particolar modo per l’agricoltura. Fino al
1933 la normativa trattava la bonifica esclusivamente dal punto di vista sanitario
(eliminazione malaria) e dal punto di vista idraulico (eliminazione delle paludi). Con il
R.D. 215/33, invece, ai Consorzi spetta il perseguimento di un maggior numero di
obiettivi, tra i quali troviamo: la regolazione delle acque mediante opere di bonifica
idraulica; la realizzazione di dissodamenti, piantagioni boschive e piantagioni agrarie; e
la realizzazione di opere di provvista e di utilizzazione agricola delle acque.
La legge del 18 maggio 1989, n. 183 “Norme per il riassetto organizzativo e
funzionale della difesa del suolo”, aveva come obiettivo principale quello di
riorganizzare il quadro delle competenze e di impostare una politica di settore, mediante