Introduzione Il termine fotografia deriva da due parole greche, photos e graphis , che significano
rispettivamente luce e scrittura. Riflettendo su questa definizione, il fotografo Ferdinando
Scianna sostiene che all'interno di essa è presente la prima e grande ambiguità circa la natura
dell'immagine fotografica: scrittura con la luce o scrittura di luce? Se riteniamo vera la prima
definizione, allora la fotografia è un linguaggio e il fotografo uno “scrittore”, dunque artista;
se riteniamo vera la seconda la fotografia è una semplice mediatrice tra l'uomo e la realtà, ed
il ruolo del fotografo è quello di attivare questo processo chimico-fisico che permette di
ottenere immagini su materiali fotosensibili, senza interferire nella sua realizzazione 1
.
Questa tesi, prendendo in considerazione l'uso che è stato fatto della fotografia in quanto
strumento d'informazione e documentazione nel corso della storia, si propone di dimostrare
che l'essenza della fotografia partecipa di entrambe le definizioni, si trovi dunque ad essere,
contemporaneamente, strumento di duplicazione del reale, ma anche mezzo di interpretazione
della realtà. “Le fotografie, sapete, sono mezze verità”, sosteneva il grande fotografo Ansel
Adams, mezze poiché se da un lato ciò che è presente nell'immagine fotografica doveva
trovarsi per forza nella realtà, per sua stessa definizione, dall'altro durante questa operazione
di prelievo intervengono molti elementi di soggettività, che possono interferire nella resa del
reale sia prima, che durante, o dopo lo scatto.
Nel primo capitolo della tesi si analizza il ruolo del documento fotografico nel corso della
storia, partendo dalla seconda metà dell'Ottocento fino agli anni Settanta del Novecento,
mettendo in evidenza i casi di manipolazione a cui è stata ripetutamente sottoposta l'immagine
fotografica. Vengono prese in analisi alcune immagini che sono state frutto di una messa in
scena, ma fatte passare come colte nel fatto, come L'ultimo riposo del cecchino ribelle di
1 http://www.divshare.com/download/14359291-c3e
Alexander Gardner, o immagini di cui rimane ancora oggi un dubbio relativamente alle
circostanze della loro realizzazione, come La valle dell’ombra della morte di Roger Fenton.
Si analizza l'uso della fotografia in quanto strumento di censura e propaganda, ampiamente
utilizzata non solo dai regimi dittatoriali come il fascismo o il nazismo, ma anche dalle
democrazie, che sfruttarono l'enorme potenziale della fotografia come strumento di consenso
soprattutto durante le due guerre mondiali. Questo tipo di manipolazione della realtà si
basava sulla scelta di cosa mostrare e come mostrarlo, sottoponendo queste decisioni alle
“verità superiori” delle ideologie di chi deteneva il potere e dunque il controllo
dell'informazione; ma faceva anche largo uso della censura, ovvero venivano radiate tutte
quelle immagini che potevano arrecare danno alle varie posizioni ideologiche degli Stati.
Anche questa è manipolazione. Molteplici sono le tecniche con cui si può deformare la realtà
o l'immagine che pretende di rappresentarla: si può alterare il senso di un'immagine
mettendole accanto un'altra fotografia, che porta alla creazione di un nuovo significato
estraneo a quello originale, oppure attribuendo all'immagine significati posteriori rispetto a
quelli del momento in cui è avvenuto lo scatto, in quanto il significato dell'immagine cambia
in base al contesto in cui viene inserita, al suo uso. Si può distorcere la realtà attraverso l'uso
di una falsa didascalia che accompagna l'immagine, in quanto le parole sono ritenute meno
ambigue della fotografia, dunque possono ribaltarne il senso fino ad una sua completa
falsificazione.
Nel corso della storia sono presenti casi in cui l'immagine viene ritoccata a posteriori, in
camera oscura, per motivi estetici: se alcune di queste operazioni non intaccano il significato
dei documenti fotografici, altre comportano una perdita a livello informativo, cosa che non
dovrebbe accadere nell'ambito della fotografia di reportage. Vengono prese in esame anche le
icone fotografiche, ovvero quelle immagini che sono diventate il simbolo dei grandi
avvenimenti storici, e vengono analizzate le circostanze della loro creazione: scopriamo così
che Il miliziano colpito a morte di Robert Capa potrebbe essere frutto di una messa in posa,
Flag raising on Iwo Jima raffigura una ripetizione dell'azione e non rappresenta il vero
momento in cui la bandiera americana venne issata per la prima volta sul monte Suribachi, la
fotografia che ritrae i soldati russi mentre issano la bandiera rossa nel Reichstag di Berlino è
una messa in scena voluta dallo stesso fotografo, ed è pure stata ritoccata in camera oscura.
Partendo dall'affermazione di Ferdinando Scianna: “Oggi sappiamo che l’informazione
determina i fatti almeno quanto i fatti producono l’informazione”, vengono prese in analisi
alcune immagini che hanno un rapporto ambiguo con la realtà, ovvero non si sono limitate a
registrare gli avvenimenti, ma in qualche modo li hanno anche provocati, sebbene
involontariamente. Questo è un esempio di manipolazione involontaria, ma pur sempre
manipolazione, in quanto osservando quelle immagini rimane un dubbio: se non ci fossero
stati i fotografi a documentare la scena, gli avvenimenti avrebbero avuto comunque luogo?
Il primo capitolo, dunque, è finalizzato a mostrare come l'immagine fotografica possa essere
manipolata attraverso varie modalità, che possono provocare un'alterazione del significato
primario della fotografia; nel contempo evidenzia il fatto che la manipolazione non è
prerogativa del digitale, ma esisteva già nel periodo dell'analogico.
Il secondo capitolo prende in esame l'avvento del digitale, con tutte le conseguenze che
comporta questa nuova forma di registrazione della realtà nella comunicazione fotografica.
Con l'avvento del digitale, infatti, la pratica di manipolazione è indiscutibilmente facilitata,
grazie alla nascita di software di foto-ritocco economici e semplici da usare, con cui si può
fare praticamente di tutto in maniera rapida, fino a ricreare un'immagine ex novo attraverso
l'utilizzo dei pixel. Inoltre, assistiamo ad una diffusione mondiale di immagini attraverso la
Rete, con cui siamo quotidianamente bombardati, che da una parte aumentano le possibilità di
venire in contatto con falsi fotografici, dall'altra provocano un'ipersaturazione di immagini,
con il pericolo che il fruitore trovi difficoltà ad orientarsi in questo fenomeno di
spettacolarizzazione della realtà, anche sul piano etico. Un'altra conseguenza è l'impossibilità
di risalire sempre all'immagine originale, poiché la fotografia digitale non possiede il negativo
di partenza che invece era presente nella fotografia analogica. Da queste conseguenze nasce
il problema etico: fino a che punto è lecito manipolare un'immagine nell'ambito del
fotogiornalismo? Qual è il confine da non superare? Queste problematiche, già presenti nel
periodo dell'analogico, si intensificano con la nascita del digitale, a causa dell'estrema facilità
di manipolazione che esso comporta. Secondo Michele Smargiassi: “Se qualcosa sta finendo
con l’avvento delle tecnologie numeriche applicate all’immagine, non è la veridicità della
fotografia, che non è mai esistita in termini assoluti, ma il postulato della veridicità ”.
L'avvento del digitale ha condotto all’estremo la fragilità del mezzo fotografico, portando alla
necessità, da parte delle associazioni di fotogiornalisti, dei giornali e delle agenzie di stampa,
di elaborare codici deontologici finalizzati a regolare i comportamenti nell'ambito della
comunicazione visiva. Si assiste così alla nascita di normative etiche tese a garantire al
fruitore la veridicità dei fatti riportati, la completezza dell'informazione, l'assenza di
manipolazioni che possano influire sul significato dell'immagine, ma ciò non è sufficiente ad
eliminare del tutto le pratiche illecite che vengono effettuate nell'ambito del fotogiornalismo.
Il terzo capitolo è dedicato appunto a quei casi relativamente recenti di manipolazioni, che
sono avvenuti dopo la nascita del digitale. Vediamo che si tratta in maggior parte di
alterazioni che hanno luogo nella fase di post-produzione, contrariamente a quanto avveniva
nel periodo dell'analogico, grazie alla facilità con cui è possibile modificare le fotografie
attraverso i software di foto-ritocco. La tesi prende in esame casi in cui sono state modificate
le caratteristiche dei soggetti rappresentati, per motivi ideologici ma anche semplicemente
estetici, circostanze in cui sono stati eliminati, aggiunti o spostati elementi della fotografia,
che hanno portato, chi più chi meno, ad un'alterazione del contenuto informativo. Le tecniche
di manipolazione consistono anche nell'utilizzo dei contrasti e della saturazione, le cui
normative deontologiche non sono chiare e dunque non è sempre possibile emettere un
giudizio netto: fino a che punto è lecito saturare o contrastare i colori di un'immagine senza
che ne venga manipolato il significato? Vedremo che gli autori di queste alterazioni, a torto o
a ragione, hanno subito conseguenze spiacevoli a seguito della loro azione di foto-ritocco.
Si prende in esame l'uso delle didascalie e di come esse possano distorcere la verità
dell'avvenimento, ma di come anche l'assenza totale di contestualizzazione possa provocare la
stessa conseguenza. Un caso interessante di “manipolazione” della realtà è quello che
riguarda l'uso dell'immagine fotografica dopo l'attentato dell'undici settembre: notiamo che
nelle prime pagine dei quotidiani americani, nello stesso giorno dell’attentato e in quello
successivo, si ripetevano le medesime immagini, nonostante fosse stata la tragedia più
fotografata nella storia del fotogiornalismo; ma non solo, queste immagini sembravano
richiamare fortemente due icone americane della seconda guerra mondiale. A cosa è dovuta
questa scelta? Clément Chéroux, nel suo libro Diplopia. L’immagine fotografica nell’era dei
media globalizzati: saggio sull'11 settembre 2001 , cercherà di dimostrare come quest'opera
mediatica abbia contribuito a plasmare il popolo americano verso una determinata direzione
ideologica, quella sostenuta del Presidente Bush e dall'ala politica favorevole ad
un'operazione bellica.
Infine nel terzo capitolo è presente una riflessione etica circa i limiti oltre i quali il documento
fotografico non è più tale, ovvero quella linea di demarcazione che separa un intervento
manipolatorio lecito da uno illecito. Quando è che la manipolazione dell'immagine diviene
un atto disonesto? Chi sono gli attori che entrano in gioco nella creazione del documento
fotografico? Quali sono le norme da rispettare ai fini di un'informazione onesta e completa?
Si cercherà di rispondere a questi quesiti, nel tentativo di individuare delle possibili soluzioni
a queste problematiche attuali, il cui interesse dovrebbe essere di tutti, dato che ognuno di noi
è, chi più chi meno, fruitore di immagini e dunque possibile vittima di operazioni
manipolatorie.