Introduzione
In Italia, l’informazione sull’immigrazione presenta delle
caratteristiche simili a quelle che si constatano negli altri paesi europei,
ma anche delle specificità che, sotto certi aspetti, ne fanno un caso limite
nel panorama europeo. Parallelamente a quanto accade altrove,
l’immigrazione è vista soprattutto come problema, a tal punto che
l’espressione che la designa più spesso è una frase nominale che
essenzializza questa percezione: il problema immigrazione, mentre
dovrebbe essere vista piuttosto come una soluzione o come conseguenza
di altri problemi.
1
Tuttavia, a differenza di altri paesi europei, il tema
della criminalità in Italia occupa un posto rilevante all’interno del sistema
di rappresentazione mediale dell’immigrazione, soprattutto se lo si
compara ad altri argomenti, come i conflitti culturali, il razzismo o
l’integrazione. Questo deriva in primo luogo dal numero maggiore di
informazioni che trattano di questi aspetti nei media tradizionali, secondo
il principio del giornalismo classico per cui bad news is good news. In
secondo luogo però va constatato che, al di là delle informazioni sui
crimini, l’inquadramento in termini di illegalità serve spesso da
parametro di interpretazione per tutte le informazioni che riguardano i
migranti o il tema immigrazione. Il quadro tematico che predomina
infatti è quello della sicurezza, strumento indiretto per designare la
criminalità degli immigrati. Quest’insistenza tematica si è sedimentata
nella rappresentazione mediatica e nella percezione pubblica del
fenomeno immigrazione in primo luogo attraverso l’uso di categorie
ricorrenti e stereotipi come clandestino, vù cumprà o extracomunitario
che banalizzano la pluralità e la complessità degli individui, e
suggeriscono una concezione essenziale e definitiva che si fa condizione
predittrice di illegalità e quindi di devianza o criminalità. Le icone
negative sono elaborate anche attraverso il processo di “etnicizzazione
1
M ANERI,M., Les Médias dans le racisme consensuel, in Italies, Littérature Civilisation
Société. Revue d’études italiennes, n. 14, a.c. di URBANI, B., Universitè de Provence, 2010,
p. 503.
5
della notizia” per cui, come analizzerò dettagliatamente nel corso
dell’elaborato, si associa alle origini etniche vere o presunte qualunque
individuo o avvenimento negativo, si nomina l’autore di un crimine,
anche nei titoli, attraverso l’appellativo di nazionalità o per una
condizione che esplicita la sua condizione di straniero. Questa
procedura, condannata dai codici deontologici dei giornalisti, è invece
impiegata molto raramente quando lo straniero si trova nel ruolo di
vittima. Gli immigrati sono dunque oggetto di generalizzazioni e
stigmatizzazioni ad opera di categorie che li descrivono e al tempo stesso
ne prescrivono i comportamenti, essi sono così disumanizzati, anche in
quanto non hanno accesso ai media tradizionali e quindi non hanno la
possibilità di autorappresentarsi.
Questa ricerca nasce dunque da un lato dalla constatazione
dell’ignoranza con cui i media tradizionali italiani trattano l’argomento,
suggerendo una visione se non altro parziale del fenomeno immigrazione
in Italia, senza porre le basi per un discorso pubblico informato e
completo sull’aroemnto, e dall’altro lato nasce dalla convinzione della
necessità di sviluppare un discorso pubblico migliore sulla società
italiana in relazione al fenomeno migratorio.
In questa ricerca si è pertanto cercato di tracciare in primo luogo un
quadro della situazione italiana e delle specifiche modalità con cui,
soprattutto negli ultimi anni i media mainstream - ed in particolare la
stampa - si sono occupati del fenomeno, attraverso pratiche e discorsi
che analizzerò nello specifico nel Cap. I. Si tratta di un capitolo
introduttivo, di natura teorica e di riflessione, volto a delineare il contesto
in cui le iniziative multiculturali prima e «Metropoli» poi si sono
sviluppate. Nel secondo capitolo dunque ho analizzato le alternative
proposte, che realizzano nel sistema dei media multi ed interculturali un
discorso capace di mettere in dubbio il ruolo predominante che hanno i
mass media nella costruzione del discorso pubblico sull’immigrazione e
che suppliscono alle mancanze di rappresentatività dei migranti
all’interno degli stessi media. Le iniziative multiculturali promosse da
immigrati, associazioni e istituzioni sono infatti un settore ormai
6
consolidato all’interno del panorama informativo italiano, capace di
imporsi come nuova arena comunicativa e di stimolare la partecipazione
al dibattito pubblico sull’immigrazione tanto dei cittadini immigrati
quanto degli italiani.
In particolare la mia analisi si focalizza su un’esperienza editoriale
unica nel suo genere, proprio per essersi rivolta ad un pubblico misto di
italiani ed immigrati, e per essere stato il primo - e per ora anche unico -
esempio in cui un media mainstream “promuove” un’iniziativa
multiculturale ad uno spazio settimanale interamente dedicato al tema
dell’immigrazione. Il terzo capitolo è dedicato infatti all’analisi di
«Metropoli, il giornale dell’Italia multietnica»; supplemento domenicale
della «Repubblica» fu pubblicato per la prima volta nel gennaio 2006,
prendendo il posto del sito internet «Il Passaporto» lanciato dal gruppo
editoriale «L’Espresso» nel 2004, che aveva riscosso un grande successo.
Il settimanale, scritto interamente in italiano, puntava a coinvolgere sia
un pubblico ampio ed eterogeneo qual è quello degli stranieri in Italia, sia
un pubblico italiano, composto dai lettori di «Repubblica» e dalle
istituzioni ed organizzazioni che operano nell’ambito dell’immigrazione.
La scelta di concentrare questa analisi proprio su «Metropoli», tra la
moltitudine di media multiculturali presenti in Italia, è stata determinata
da tre caratteristiche fondamentali che ne fanno un caso unico nel suo
genere all’interno del panorama dei media multiculturali italiani. In
primo luogo perché è considerato, per la sua periodicità, diffusione,
bacino d’utenza, e per l’ampia tipologia degli argomenti trattati, come un
media multiculturale “di massa”
2
. «Metropoli» era infatti un settimanale
composto di 16 pagine con una tiratura di circa 400.000 copie. In
secondo luogo perché si tratta di un’esperienza inedita in Italia, promossa
da un editore al di fuori del gruppo “Stranieri in Italia” che fino al lancio
di «Metropoli» era stato il maggior editore di testate a stampo
multiculturale. «L’Espresso» infatti è stata la prima impresa editoriale a
porsi nei confronti dei cittadini immigrati in un’ottica non solo
2
EUGÉNIE SAITTA, «Metropoli», un exemple de média pour le migrants en Italie, in Italies,
Littérature Civilisation Société. Revue d’études italiennes, n. 14, cit., p. 516.
7
solidaristica ma di mercato, standardizzando alcuni aspetti dei prodotti
informativi e, soprattutto, omogeneizzando la comunicazione sul
prodotto e le strategie di marketing. A questo proposito ho dedicato un
intero paragrafo all’analisi delle inserzioni pubblicitarie, pubbliche e
private, pubblicate su «Metropoli» dal 2006 al 2009, cioè dal primo
numero fino alle ultime pubblicazioni, al fine di individuare quali aziende
o enti pubblici si siano rivolti nello specifico al pubblico degli stranieri in
Italia ed evidenziare dunque che il target degli immigrati in Italia
secondo la prospettiva del settimanale, non è rappresentato né da soggetti
svantaggiati da tutelare, né tantomeno da invasori o nemici della società,
ma da consumatori di prodotti culturali e commerciali, che diventano la
mira di molti investitori. In questo contesto gli immigrati diventano il
pubblico di riferimento e sono percepiti come soggetti sociali e potenziali
consumatori di un prodotto culturale a loro indirizzato.
Infine un’ultima caratteristica che distingue «Metropoli» dai tratti
tipici di altri giornali multiculturali, e che ne fa quasi un’anomalia, un
caso unico nel suo genere risiede nel fatto che si trovava abbinato ad un
quotidiano nazionale, peculiarità che influisce ovviamente sulla struttura
stessa del settimanale, sulle tematiche affrontate e sulle scelte editoriali.
Questa specificità, inoltre, rende il caso in oggetto particolarmente
interessante, in quando rende particolarmente visibili le tensioni tra le
due differenti tipologie mediatiche, da un lato la «Repubblica» - che si è
fatto spesso portavoce di una visione sicuritaria del fenomeno
migratorio
3
- e dell’altro «Metropoli» che voleva dare spazio e visibilità
alle tante voci dei migranti in Italia, non solo creando uno spazio di
autorappresentazione per i cittadini immigrati – la redazione era
composta infatti da giornalisti e collaboratori stranieri - ma imponendosi
come voce nuova ed autorevole all’interno della rinnovata arena di
pubblica discussione sul tema immigrazione.
Al fine di evidenziare nel dettaglio le caratteristiche del settimanale,
dopo averne delineato gli aspetti generali, la tipologia del prodotto
3
Mi riferisco al dibattito seguito alla lettera di Claudio Poverini, Aiuto sono di sinistra ma
sto diventando razzista, pubblicata sulla prima pagina di «Repubblica» il 7 maggio 2007.
8
editoriale e la struttura interna mi sono concentrata nello specifico sul
tema della rappresentazione delle donne immigrate in Italia.
Circoscrivere questo argomento, in relazione alla grande quantità di
materiale che avevo a disposizione, mi ha permesso di dare alla mia
analisi anche una lettura diacronica, evidenziando alcuni degli aspetti
qualitativi (argomenti trattati, tipologie e canoni narrativi, contesto di
riferimento degli articoli) che hanno definito l’evoluzione di «Metropoli»
dall’inizio fino alla fine delle pubblicazioni. Inoltre, introducendo una
prospettiva di genere ho potuto evidenziare come il giornale si sia fatto
interprete, testimone e portavoce del processo di integrazione che
interessa le donne immigrate, caratterizzate da una propria specificità ed
individualità, e allo stesso tempo rappresentate come cittadine a tutti gli
effetti, attive e partecipi alla vita sociale e culturale del nostro paese.
Dall’analisi della rappresentazione delle donne immigrate emerge infatti
con maggiore evidenza la decisa opposizione alla tendenza consolidata
nei mass media di presentare gli immigrati come un’unità generica e
differenziata solo dalla provenienza nazionale, elemento che li esclude
automaticamente dall’ordinamento politico - giuridico statale e li pone
“al di fuori” del contesto culturale dominante. «Metropoli» vuole invece
mostrare “l’altra faccia dell’immigrazione”, associando le cittadine ed i
cittadini immigrati ad altri frame rispetto a quello consuetudinario della
cronaca, dedicando ampio spazio ad argomenti spesso banalizzati o
ignorati in altri contesti comunicativi, come la problematizzazione delle
tematiche di genere, attribuendo ai protagonisti dei fatti una piena
possibilità di auto rappresentazione, proponendo storie in cui i cittadini e
le cittadine immigrate sono protagonisti attivi, fautori dei molteplici
possibili percorsi di integrazione.
9
10
Capitolo 1
CONTESTO E ARENE PUBBLICHE
DELL’INFORMAZIONE
1. La rappresentazione sociale dell'immigrato nei media
tradizionali
In Italia la percezione, categorizzazione e rappresentazione degli
immigrati è legata anche alla tardiva presa di coscienza del fenomeno
della “nuova” immigrazione e al rifiuto di integrarlo, sia concettualmente
che fattualmente, come parte della realtà sociale. Per lungo tempo è
infatti perdurata la tendenza italiana ad autorappresentarsi come territorio
di emigrazione, anche quando, a partire dai primi anni Ottanta, l'Italia è
diventata soprattutto importatrice di forza lavoro straniera.
Fino ad anni recenti tale auorappresentazione ha contribuito alla
creazione dell'immagine di un paese immune dal pregiudizio, perché
terra di emigranti, e del mito “italiani brava gente”. Un'immagine
positiva che resiste almeno fino alla fine degli anni Ottanta quando a
incrinarlo provvedono i primi crimini di stampo razzista contro gli
stranieri da poco stabilizzatisi nel nostro Paese. Una data simbolo è il
1989 quando viene assassinato Jerry Essan Masslo, lavoratore
sudafricano e rifugiato politico sfuggito all'apartheid. In realtà cliché e
stereotipi di stampo razzista non hanno mai smesso di agire
sotterraneamente nella nostra società: pregiudizi contro africani, zingari,
albanesi hanno alimentato per anni l'immaginario collettivo e la cultura di
massa in Italia.
Il ritardo e la sottovalutazione del fenomeno immigrazione in contesto
italiano ha interessato sia i professionisti dell'informazione sia il campo
11
delle politiche istituzionali e degli studi specialistici. La grande stampa
quotidiana scopre e registra il fenomeno dell'immigrazione e la nuova
figura sociale del lavoratore straniero solo verso la fine degli anni
Settanta, quando il fenomeno ha già una dimensione rilevante.
1
L'iniziale negazione della realtà dell'Italia quale paese d'immigrazione,
congiuntamente alla difficoltà di categorizzare il nuovo fenomeno si
riflettono sul modo stesso in cui vengono denominati e rappresentati i
migranti. Si utilizzano da subito stereotipi che indicano una percezione
totalizzante dell'altro, imprecisa e indistinta, ma che ha allo stesso tempo
la funzione di semplificare illusoriamente una complessità che non si
riesce a comprendere né a decifrare al fuori di banali categorizzazioni.
Dall'espressione napoletana vu' cuprà usata indistintamente per
identificare qualsiasi straniero non ricco proveniente dal Sud del mondo,
al più recente termine immigrato, una categoria che comprende migranti,
profughi e rifugiati e che consente di operare una gerarchizzazione
all'interno della totalità degli stranieri in funzione stigmatizzante.
Il termine immigrato inoltre, come suggerisce la sociologa Rivera,
suggerisce uno status definitivo, una condizione precaria e perennemente
marginale. In altri termini, connota come persistente una condizione che
invece è, e dovrebbe essere, transitoria: uno status provvisorio che
dovrebbe essere superato con la partecipazione sociale piena e la
cittadinanza
2
. Lo stesso termine clandestino allude ad uno status e una
differenza concepiti come essenziali e definitivi, definendo una
concezione di clandestinità “che diventa una categoria quasi ontologica”
3
e che si fa condizione predittrice di illegalità e quindi devianza o
criminalità.
Certo non tutti i contesti discorsivi pubblici utilizzano il termine
immigrato con un'accezione negativa o xenofoba, nel lessico
dell'antirazzismo anzi ricorre l'uso del termine connotato positivamente,
tanto da parlare di diritti e difesa degli immigrati e solidarietà per gli
1
MANSOUDI, M., Noi stranieri d'Italia. Immigrazione e mass media, Pisa, M. Pacini Fazzi,
1990, p. 33.
2
RIVERA, A, Immigrati, in GALISSOT, R. - KILANI, M. - RIVERA, A., L'imbroglio etnico in
quattordici parole chiave, Bari, Edizioni Dedalo, 2006, p. 207.
3
IVI, p. 216.
12
immigrati. A questo proposito va infatti ricordato che in Italia è attivo e
variegato il mondo dell'associazionismo, laico e cristiano, che ha colto
con tempestività l'importanza del fenomeno e che si è occupato di
rivendicare i diritti dei migranti, denunciando pratiche anche istituzionali
di discriminazione e segregazione o episodi di violenza razzista. Il
diffuso pregiudizio però va rafforzandosi sulla base di un discorso
pubblico e mediatico selettivo che registra solo le condizioni di
emarginazione, precarietà o privazione, tutti elementi che possono
rispecchiare anche le reali condizioni di vita di una fascia degli stranieri
che vivono in questo paese, ma che rappresentano solo l'aspetto più
visibile e controverso dell'immigrazione.
Una visione parziale che esclude o taglia fuori dall'orizzonte della
rappresentazione non solo le storie riuscite di integrazione ma che per lo
più tende ad occultare o minimizzare il ruolo attivo e produttivo svolto
dai lavoratori migranti, non solo in ambito economico (nelle fabbriche
del Nord, nei centri agricoli del Sud, nel commercio, nei servizi o nella
cura delle persone) ma anche e soprattutto in ambito culturale. Si pensi
anche alla mancanza quasi assoluta di informazione sull'immigrazione
regolare, sulle cosiddette prime e seconde generazioni e sulle interazioni
costruttive con gli italiani.
Questo discorso pubblico e mediale che associa stigmatizzando la
figura dell'immigrato a quella di nemico pubblico della società, capo
espiatorio cui imputare fenomeni complessi come il degrado urbano, o su
cui riversare il diffuso sentimento di insicurezza che caratterizza le
società occidentali contemporanee, si è visto intensificare sempre di più
negli ultimi anni. Un discorso in cui partecipano diversi attori sociali,
istituzionali e non, interni ed esterni al sistema mediale che
contribuiscono alla costruzione dello stereotipo del migrante in quanto
tale, come nemico simbolico della società e incolmabilmente distante dal
“nostro” universo collettivo.
Il Censis ha ad esempio rilevato in numerose ricerche la
demonizzazione di tali gruppi sociali operata da parte dei media
tradizionali, affermando in particolare che:
13
Sono proprio i media che fanno emergere anche
attraverso generi diversi da quello informativo,
l’iconografia più disparata in merito agli immigrati:
persona sporca e povera; fonte di disagio anche per
l’immagine turistica dei luoghi in cui sbarca; pericolosa
per la nostra salute; invadente e perennemente protesa a
far vacillare la sicurezza sociale ed economica che ci
siamo conquistati.
4
Questi dati, che emergevano già dalle ricerche del 2002, sono ancora
oggi fortemente condivisibili, anzi si può affermare che nell’attuale
contesto sociale siano ancora più validi, considerando l’evidenza di un
quadro complessivo di inadeguata rappresentazione dei diversi attori
sociali, in cui, come sottolinea Alessandro Dal Lago, «le vere vittime
dell’impatto tra migranti e società italiana contrariamente all’opinione
pubblica prevalente sono i migranti».
5
Partendo dal presupposto che la questione non può essere limitata ad
un mito contemporaneo alimentato solo dai mezzi di comunicazione di
massa, ma riguarda il generale l’atteggiamento di chiusura della nostra
società nei confronti degli stranieri, e dimostrato in primis dalle nostre
istituzioni, risulta utile ai fini di questa ricerca analizzare nel dettaglio
alcuni dei discorsi mediatici e pubblici attorno ai quali negli ultimi
decenni si è costruito l'immaginario collettivo legato al mondo
dell'immigrazione, come si è detto, in maniera totalizzante e fortemente
criminalizzante.
Basandomi su alcune autorevoli ricerche statistiche e sulle recenti
analisi di Marcello Maneri e Alessandro Dal Lago analizzerò nei
paragrafi che seguono le specifiche modalità con cui i media, in quanto
canali privilegiati, ed insieme deformanti, della conoscenza dei fenomeni
sociali contribuiscono alla rappresentazione sociale dell’immigrato.
4
Censis, L’immagine degli immigrati e delle minoranze etniche nei media, Rapporto finale,
Roma, 2002, p. 56.
5
DAL LAGO, A., Non persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Milano,
Feltrinelli, 2009, pp. 7 – 10.
14
2. Specifiche modalità di trattazione del tema immigrazione
nei media tradizionali
La maggior parte dei mezzi d'informazione italiani nel trattare il tema
dell'immigrazione contribuisce più o meno indirettamente a fomentare la
paura dello sconosciuto, sia mediante il contenuto dei messaggi che
veicola, sia nel linguaggio e nel metodo che sceglie per dare le notizie.
Come ricorda la Sibhatu nel Cittadino che non c'è:
Nel linguaggio comune la parola problema
accompagna sempre quella di immigrazione
6
Questo diffuso sentimento di diffidenza è determinato in primo luogo
dal fatto che i migranti difficilmente hanno accesso ai canali informativi
tradizionali e quindi non vedono soddisfatto il diritto ad auto-
rappresentarsi. L'immigrato, infatti, nei media è il grande assente, nel
senso che si parla di lui, anche troppo, ma senza la sua voce, «manca la
conoscenza della sua quotidianità»
7
. Di un migrante, quasi sempre
estraneo e sconosciuto se pur in Italia da più di venti anni, è quasi
impossibile leggere un intervista sulla stampa a larga diffusione o vedere
un servizio giornalistico in cui il diretto interessato sia portavoce di se
stesso.
Sugli immigrati ci sono tanti commenti, tanti servizi ed
interpretazioni, ma il protagonista principale, l'immigrato stesso, è spesso
assente, infatti, non solo i media si interrogano poco su chi siano
realmente questi migranti, su cosa abbiano lasciato alle spalle, cosa
pensino o come si sentano, quali siano le loro aspirazioni, ma si
occupano di loro solo entro il triangolo clandestinità - criminalità - arrivi.
La maggior parte delle notizie veicolate dai media cosiddetti tradizionali
non registra il fenomeno della migrazione in maniera attenta e completa
6
S IBATHU, R., Il cittadino che non c'è. L'immigrazione nei media italiani, Roma, Edup,
2004, p. 27.
7
Ibid.
15
ma lo fa ancora in termini di sicurezza, problema o emergenza sociale.
Il risultato delle indagini compiute sui media italiani nella metà degli
anni Novanta corrispondeva a quella fornita dai media europei di paesi di
più antica tradizione migratoria, Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi. Per
questi ultimi paesi però da molti anni si è accostata a questi temi la
questione relativa alla convivenza culturale, religiosa e sociale con le
minoranze ormai stabilmente presenti nel territorio nazionale, una
questione che fatica ad affacciarsi all'agenda dei media italiani.
Questo diffuso atteggiamento di indifferenza ed ignoranza da parte del
sistema dei media, che alimenta e “giustifica” la xenofobia e il razzismo
dell'opinione pubblica, riflette una precisa volontà di non favorire - se
non di impedire - la comprensione di un fenomeno auspicabile per la
nostra società quale l'inserimento e l'integrazione dei futuri cittadini
italiani. L'importanza dell'integrazione di tutti i cittadini all'interno della
società in cui si trovano a vivere risulta ancor più importante in
riferimento al contesto transnazionale contemporaneo, dove i circuiti
economici trascendono i confini degli stati e la dimensione globale
sovrasta quella locale. Come ricorda ancora la Sibhatu: «il mondo è in
movimento. Migrazioni epocali nel bene e nel male stanno rapidamente
modificando la geografia umana del pianeta. Dalla gestione di queste ed
altre realtà simili dipenderà il nostro futuro».
8
Le notizie diffuse in larga scala sembrano perseguire un obbiettivo del
tutto opposto a quello di costruire ponti tra culture, favorire la
comprensione e valorizzare la diversità. Sempre più spesso l'arena
mediatica italiana rappresenta un'immagine distorta, stigmatizzante e
criminalizzante sia del fenomeno delle migrazioni qualificandolo come
“invasione” ed in termini di legalità e sicurezza, sia dei cittadini stranieri
immigrati che si trovano a vivere, per scelta o per imposizione, per
periodi più o meno lunghi di tempo in Italia.
Come affermano le numerose ricerche svolte per lo più in ambito
universitario nel corso degli ultimi anni e come sintetizza il sociologo
Marcello Maneri:
8
IVI, p. 68.
16
I Media italiani presentano a questo proposito
alcune caratteristiche ricorrenti, comuni per molti versi
a quelle di molti Paesi europei. Un'insistenza, nei temi
trattati, su tutto ciò che qualifica l'immigrazione come
problema di criminalità, pressione migratoria (“gli
sbarchi”, “l'invasione”) e di terrorismo. Una totale
assenza sul punto di vista dei migranti: a parlare nelle
notizie sono sempre organizzazioni, istituzioni e ceto
politico autoctoni. Una rappresentazione degli
immigrati come soggetti passivi, oppure attivi, ma in
questo caso di azioni negative. Un uso sistematico della
generalizzazione, anche attraverso l'utilizzo di categorie
collettive (appellativi di nazionalità, termini come
“immigrato”, “extracomunitario”, “clandestino”) anche
per fatti singoli, soprattutto se critici. Un tono di voce di
tipo allarmistico ed emergenziale. La preponderanza dei
generi della politica interna e soprattutto della cronaca
(dove a parlare di immigrati è quasi sempre il giurista di
cronaca nera e giudiziaria). Una costruzione
enunciazionale che dipinge il mondo come un campo in
cui si confrontano due schieramenti, “noi” e “loro” in
cui loro ci minacciano (se non ci servono).
9
Drammatizzazione, unilateralità dei punti di vista, banalizzazione e
allarmismo sono le categorie funzionali alle rappresentazioni mediatiche.
Naturalmente a volte i media tradizionali presentano anche storie
positive, che vedono gli stranieri come protagonisti di azioni meritevoli,
soprattutto in campo lavorativo, ma non sono le storie che occupano le
prime pagine dei quotidiani, e che dunque possono innestare un
cambiamento se pur graduale nell’opinione o suscitare una qualche
reazione politica. Sono casi isolati che non riflettono la complessa ed
eterogenea composizione della nuova società italiana (composta da 5
9
MANERI, M, I media multiculturali, riconsiderati in MANERI, M. - MELI, A., (a.c. di), Un
diverso parlare. Il fenomeno dei media multiculturali in Italia, Roma, Carocci, 2007, p. 93.
17
milioni di immigrati regolari in continuo aumento) e tanto meno possono
essere capaci di avviare processi dinamici di incontro, di costruzione di
un noi sociale che prescinda dalle differenze etiche e culturali, che
rappresenti tutti gli individui che compongono la nascente società
meticcia ed interculturale.
La gestione dei mezzi di comunicazione di massa, che hanno l'enorme
potere non solo di orientare l'opinione pubblica ma di filtrare ed
interpretare i dati di realtà, presuppone la responsabilità di investire in
informazioni che orientino il futuro del paese nella direzione del dialogo,
della partecipazione e dell'integrazione di tutti coloro che contribuiscono
alla crescita culturale, demografica ed economica di questo paese. Per le
scienze sociali integrarsi significa occupare un posto funzionale
all'interno delle comunità di accoglienza. In questo senso integrazione è
il contrario di assimilazione, processo che riduce la possibilità di
arricchire la comunità di arrivo grazie alla propria specificità culturale.
L'integrazione presuppone invece un'appartenenza dinamica e di
cooperazione che superi differenze e divisioni scambiando ricchezze
culturali.
Se i migranti non hanno libertà di parola e accesso ai canali
informativi e culturali sarà facile che si costituiscano due universi non
comunicanti, o peggio, tra loro contrapposti. Si pensi solo all'evidenza
che, chi non ha contatti con il mondo dell'immigrazione al di fuori di ciò
che apprende dai media, penserà facilmente a questo in termini
problematici o xenofobi in linea con l'immagine sociale (mediatica e
politicizzata) veicolata dai canali generalisti. Se infatti l'esperienza
televisiva ha sostituito, se non ri – prodotto, l'esperienza metropolitana e
la modernizzazione e il territorio della vita nazionale -culturalmente
inteso - è quello dei media, si può parlare di un immaginario collettivo in
Italia filtrato attraverso quegli stessi media che lo veicolano, elaborano e
producono.
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