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CAPITOLO PRIMO
IL CONCETTO DI CLIENTELISMO: NOZIONE E GENESI
STORICA
1. La nozione di clientelismo
Nell‟accezione comune con il termine clientelismo si allude a quel rapporto,
arricchito da elementi affettivi, che lega due soggetti di norma posti su gradi
differenti della scala sociale, in uno scambio di reciproco interesse in cui si
incontrano bisogno di protezione e asservimento ad un padrone (cd.
clientelismo sociale).
Con tale espressione si può fare anche riferimento a quelle pratiche,
ampiamente diffuse nell‟ambito dell‟apparato burocratico statale, con cui
funzionari infedeli elargiscono favori, benefici, attenzioni, nei confronti di
cittadini che non avrebbero merito o diritto alcuno ad un simile trattamento
preferenziale. Per il solo fatto di appartenere a una clientela, ovvero di far
parte del seguito di un qualche importante esponente politico, in cambio dei
cui favori si è garantito sostegno elettorale (di norma, con riferimento non
semplicemente ad un‟unica competizione elettorale). Un individuo si vede
assegnata una sorta di corsia preferenziale nel suo rapporto con
l‟Amministrazione, in virtù della mediazione offerta dal politico-patrono: è
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quello che, in via di generale approssimazione, si può definire clientelismo
politico.
Il che può tradursi, nella pratica di ogni giorno, nel saltare la fila o avanzare
nelle liste d‟attesa per usufruire di una determinata prestazione medica, nel
vedersi assegnato un posto di lavoro a seguito di una procedura concorsuale
aggiustata o accomodata, nell‟aggiudicarsi un appalto in virtù della presenza
nell‟Amministrazione di riferimento di un politico amico o a cui si è offerto
sostegno elettorale, nell‟esercitare pressioni sul Sindaco affinché interceda
presso il responsabile dell‟autore di una contravvenzione al Codice della
Strada perché l‟illecito si estingua (tale ultima fattispecie ha costituito la
prima – seppur prima facie banale – scaturigine alle indagini sul „caso
Mastella‟), e così continuando
1
.
Pur essendo indubbiamente, situazioni de visu differenti tra loro, non si può
tacere che simili, purtroppo frequenti, prassi finiscono per ingenerare, o
molto semplicemente per rafforzare, nella platea dei cittadini, l‟idea e la
sensazione di un‟assenza ovvero di una palese mancanza dell‟imparzialità
dell‟azione amministrativa. Più precisamente, per dirla con un tecnicismo che
sarà illustrato meglio nel capitolo successivo, l‟organizzazione dei pubblici
uffici italiani, ai più diversi livelli, difetta sovente di quello “statuto di
1
Appare opportuno avvertire sin da subito, come in letteratura non manchino precise distinzioni per
descrivere i diversi modi con cui l‟amministrazione si presenta al cittadino: ad esempio, S.
PIATTONI, Il clientelismo. L‟Italia in prospettiva comparata, Roma, 2005, definisce tali
comportamenti amministrativi “rapporti corrotti”, all‟interno dei quali si possono distinguere
diverse situazioni: campanilismo, favoritismo, clientelismo e corruzione.
9
autonomia burocratica” che la dottrina germanica additava quale presupposto
imprescindibile per il corretto funzionamento dell‟apparato burocratico,
qualunque sia il colore del partito al Governo.
Nella gran parte delle occasioni in cui il cittadino entra in contatto
(intenzionalmente ovvero forzatamente) con quel colosso dai piedi di argilla
che è la Pubblica Amministrazione, tale rapporto può assumere le più diverse
sfaccettature: dal clientelismo, alla richiesta impropria di favori
(concussione), all‟accordo volto a cedere utilità in cambio di atti d‟ufficio
(corruzione), fino a subire le conseguenze della endemica lentezza di tutto
l‟apparato burocratico.
Queste evidenze, nel sentire comune e non soltanto, sono pacificamente
riscontrate e molto spesso condivise. Le opinioni cominciano a divergere,
sovente in maniera irriducibile, quando ci si spende nello sforzo di indagare
le origini di tali simili comportamenti, molti dei quali ormai assurti al rango
di consuetudine e prassi amministrativa. Soprattutto, come nella fisiologia di
ogni serio dibattito, poiché scevro da ogni condizionamento ideologico, non
si riscontra unità di visioni e pareri in presenza di alcuni semplici quesiti: è il
clientelismo un fenomeno „tipico‟ italiano? Oppure è presente in altri Paesi?
E se sì, in che forme? E soprattutto trattasi di fenomeno ontologicamente
10
negativo, oppure, come non ha mancato di sottolineare la più moderna e
scrupolosa dottrina, dalle potenzialità “virtuose”
2
?
Proviamo a fornire un principio di risposta a tali quesiti prendendo le mosse
dalla definizione o, più correttamente, dalle definizioni maggiormente
invalse di clientelismo.
Da un punto di vista strettamente socio-antropologico, quindi prescindendo
da un esame delle strutture politico-burocratiche della comunità di
riferimento, il clientelismo può essere inteso come quel rapporto asimmetrico
che nasce tra individui posti, per ragioni storiche e di censo, a livelli di
gerarchia sociale profondamente differenti
3
. È evidente che a generare la
domanda di protezione da parte dell‟individuo più debole (normalmente
contadini ovvero quella porzione di popolazione che sconta i più bassi –
quando non addirittura inesistenti – tassi di scolarizzazione) sia uno stato di
soggezione e di bisogno insuperabile con le sole proprie forze. Ecco, quindi,
che si rende necessaria l‟intermediazione o, meglio, l‟intervento di un
soggetto più potente all‟interno della scala sociale. Intervento, e non
mediazione, poiché il rapporto che così si viene a instaurare tra patrono-
2
Cfr. S. PIATTONI, Le virtù del clientelismo, Laterza, 2007, secondo la quale “le motivazioni che
sottostanno allo scambio clientelare non sono qualitativamente diverse da quelle che spingono i
candidati di tutti i sistemi politici a ricercare il voto degli elettori e, quindi, il clientelismo può
essere considerato una strategia di raccolta del voto come altre”.
3
È la definizione di clientelismo che offre lo storiografo A. MACZAK, Il sistema delle clientele. I
rapporti tra signori e servi, magnati e funzionari, patroni e seguaci. Un fenomeno di ogni epoca e
paese, Prometeo, XIII, 1986, secondo il quale esso si sostanzierebbe in “una relazione che riguarda
persone con posizioni sociali ineguali, in cui il partner più potente protegge quello più debole
avendo in cambio diritto ai servizi e alla lealtà di quest‟ultimo”.
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protettore e cliente-indigente non scaturisce, come vedremo accadere nelle
forme più “mature” di clientelismo politico, per via contrattuale, ossia in
seguito ad una scelta in qualche modo libera del cliente-elettore di
impegnarsi, bensì sorge da una condizione socio-economica che un contesto
di vita immobile fa apparire immodificabile. Il patrono, offre protezione e
accesso a determinati beni in cambio di un controllo, a seconda dei casi più o
meno incisivo sulle famiglie e sulle terre appartenenti al cliente
4
.
Nell‟opinione di Boissevain il clientelismo può essere definito come “un
sistema autoperpetuantesi di credenze e valori basato sul sistema di valori
della società”
5
: secondo tale esimio studioso, ripreso in Italia da Signorelli
6
, i
clienti non si considerano soggetti passivi della relazione, ma è dal sistema di
valori, che pervade la loro esistenza e tradizione, che essi traggono i codici
culturali che li guideranno alla risoluzione dei problemi di ogni giorno.
L‟influsso che il modus agendi produce su un individuo allevato e cresciuto
in un determinato contesto, come anche il bagaglio di tradizioni e
convinzioni familiari, è a tal punto pervicace e profondo, da plasmare in
pieno la sua personalità e la capacità di relazione, così che quel soggetto non
abbandonerà quel retaggio di azioni e ricordi che costituiscono il suo humus
4
Secondo Waterbury (v. nota n. 8), “il clientelismo è più pronunciato laddove i deboli sono
sproporzionatamente deboli … e tendono a percepire le cose come date, fisse”.
5
Cfr. J. BOISSEVAIN, Rapporti diadici in azione: parentela e amicizia e clientela in Sicilia, in L.
GRAZIANO (a cura di), Clientelismo e mutamento politico, Milano, 1974.
6
Si legga la lucida riflessione, seppur datata, contenuta in A. SIGNORELLI, Chi può e chi aspetta.
Giovani e clientelismo in un‟area interna del Mezzogiorno, Napoli, 1983.
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più autentico neanche quando dovesse abbandonare la vita contadina per
trasferirsi in un contesto urbano. È quello che alcuni attenti studiosi hanno
dimostrato con riferimento a realtà fortemente sviluppate dal punto di vista
industriale e tecnologico, come ad esempio il Giappone
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, ed è quanto va
sostenendo anche Waterbury, che circoscrive un orizzonte all‟interno del
quale il clientelismo, come fenomeno sociale, possa perfettamente coesistere
e, al limite, finanche interagire con una società di mercato
8
. Pertanto, ciò
spiegherebbe il persistere di contesti clientelari (rectius: la ricerca anche in
tempi moderni di un patrono-protettore-procacciatore di beni) anche in
contesti a prima vista più emancipati, maturi, impersonali
9
.
Estremamente interessanti sono anche i risultati a cui sono giunti quegli studi
che hanno cercato di spiegare la nascita del clientelismo con la contestuale
professione di un credo religioso. C‟è chi ha posto l‟accento sul ruolo della
protezione che viene caldamente esaltata dalla religione araba
10
; chi ha
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A. WHITEHILL, S. TAKEZAWA, The other worker, Honolulu, 1968: in tal senso, la dottrina ha
spiegato che l‟attaccamento al patrono nella efficientissima industria del Sol Levante si accompagna
al rispetto che il lavoratore giapponese nutre nei confronti del datore di lavoro, che nella maggior
parte dei casi riveste anche il „ruolo‟ di patrono.
8
J. WATERBURY, North for the trade. The life and times of a Berber merchant, Berkeley, 1972.
9
“Cercarsi un protettore, compiacersi a proteggere, sono aspirazioni di tutti i tempi” sono le parole
che usa Bloch (ripreso da V. E. PARSI, La clientela. Per una tipologia dei legami personali in
politica, in Filosofia Politica, II, 1988) per descrivere un fenomeno tanto naturale quanto risalente
nel tempo, proprio dell‟uomo (tanto da interessare in principio unicamente l‟antropologia) e,
soltanto successivamente, caratterizzante – come si dimostrerà nel capitolo successivo – la politica a
ogni latitudine.
10
Cfr. J. LECA, Y. SCHEMEIL, Clientelismo e patrimonialismo nel mondo arabo, in Rivista di
Scienze Politiche Internazionale, IV, 1983.
13
indicato nella dottrina cattolica un forte incentivo alla formazione dell‟idea
della necessità di affidarsi a un soggetto intercessore per raggiungere un certo
grado di soddisfazione, se non di felicità (in ambito trascendente a tale
funzione ovvierebbero i santi patroni, come mediatori tra l‟uomo e Dio,
mentre a livello terreno l‟intermediazione tra uomo e Stato verrebbe
assicurata dai patroni – laici, in tale ultimo senso!)
11
; chi, più in generale, ha
visto nell‟affidamento all‟aldilà e ai giudizi di un oscuro Ente superiore
l‟accettazione del destino che ci si è visti assegnati come immutabile,
facendo venir meno ogni fermento alla partecipazione politica o meglio
annullando ogni possibile sforzo per uscire dalla condizione data
12
.
Scott sofferma, invece, la sua attenzione sulla condizione di partenza dei
soggetti che costituiscono la relazione clientelare, e sostiene che alla base del
clientelismo vi è “un caso specifico di rapporto diadico … che implica
un‟amicizia strumentale in cui un individuo di status socio-economico più
elevato (il patrono) usa la sua influenza e le sue risorse per procurare
protezione e benefici a persona di status inferiore (il cliente); questi ricambia
offrendo appoggio generale e assistenza, compresi servizi personali”
13
.
11
Si veda, in tal senso, l‟indagine sulla cattolicissima Polonia condotta da J. TARKOWSKI, Poland:
patrons and clients in a planned economy, in S. N. EISENSTDT, R. LEMARCHAND, Political
clientelism patronage and development, Londra, 1981.
12
Così S. N. EISENSTADT, R. LEMARCHAND, Political clientelism patronage and development,
Londra, 1981.
13
J. C. SCOTT, Corruzione, macchine politiche e cambiamento politico, in L. GRAZIANO (a cura di),
Clientelismo e mutamento politico, Milano, 1974.
14
Sin dai primi studi sul clientelismo, incentrati soprattutto su comunità chiuse
o non ancora toccate dalla forte industrializzazione del XIX secolo
14
,
caratteristica principale del rapporto clientelare è la diade patrono-cliente,
all‟interno della quale unicamente si solidifica lo scambio clientelare, l‟entità
che racchiude in sé quella che i più attenti osservatori del fenomeno hanno
successivamente definito la domanda e l‟offerta di clientelismo, in vista del
godimento dei beni pubblici.
In tal senso, la relazione personale è l‟elemento cardine perché il rapporto
clientelare possa sussistere: una diade particolarista, in quanto unicamente
tendente a soddisfare le limitate necessità strettamente personali delle parti, e
che per tale motivo “si fonda immediatamente sull‟uno e sull‟altro dei due
soggetti [in quanto] la defezione di uno dei due distrugge il tutto”
15
.
Da una tale prospettiva scientifica, si denota che i tratti fondamentali perché
si possa parlare di una relazione clientelare sono, oltre alla diade che
presuppone scambio e particolarismo, l‟asimmetria, tanto della prima quanto
del secondo
16
.
14
Sia consentito rimandare alle illuminanti indagini di J. K. CAMPBELL, Honour, family and
patronage: study of institutions and moral values in a Greek montain community, Oxford,
University press, in S. W. SCHMIDT, Friends, followers and factions, Berkeley, University press,
1964, su un gruppo di pastori nomadi del nord della Grecia; e di J. BOISSEVAIN, Saints and firewors.
Religion and politics in rural Malta, London School of Economics Monograph on Social
Anthropology, 1965.
15
La definizione, che ha fatto scuola, è di G. SIMMEL, Sulla differenziazione sociale, Lipsia, 1890.
16
Argomenta così M. C. PITRONE, Il clientelismo tra teoria e ricerca, Acireale, 1994.