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INTRODUZIONE
Tamburellare le dita sul tavolo, toccarsi il mento, annodare i capelli su un dito, giocare
con l’anello e molti altri comportamenti simili sono tutti segnali che produciamo e
osserviamo senza sosta nelle nostre interazioni quotidiane e di cui siamo nella maggior
parte dei casi inconsapevoli.
Il fatto che con questi gesti non si voglia comunicare alcunché non vuol dire però che
essi non vengano colti e non producano degli effetti, anche se il processo
d’interpretazione del linguaggio non verbale avviene per lo più in modo automatico e al
di fuori della nostra consapevolezza.
A tal proposito si pensi ai casi in cui il linguaggio del corpo di chi ci circonda ci causa
un incredibile disagio apparentemente senza motivo. Ad esempio un docente
universitario può rendere pesante l’atmosfera durante una lezione pur non facendo nulla
di particolarmente disdicevole (magari semplicemente stando troppo vicino agli studenti
mentre parla con loro o trattenendo delle risate mentre ascolta le loro opinioni,
stringendo le labbra fino a renderle livide).
Possono essere presentati molti altri esempi del genere che sono per noi causa di
situazioni spiacevoli: un conoscente può salutarci in modo per noi eccessivamente
confidenziale (magari abbracciandoci e baciandoci con troppo entusiasmo); uno sguardo
troppo prolungato e fisso (in determinate situazioni e da parte di determinate persone)
può metterci soggezione; un estraneo che su un autobus vuoto decide di sedersi proprio
accanto a noi, può indisporci o magari metterci paura a seconda dei casi.
In tutte queste situazioni la percezione inconscia del linguaggio non verbale ci porta a
sentire che c’è qualcosa che non va e quindi a reagire in vari modi: in modo istintivo e
involontario (rannicchiandosi in un angolo del sedile per evitare il contatto fisico con
una persona estranea; abbassando gli occhi per sfuggire ad uno sguardo fisso troppo
prolungato) o in modo diretto (scansandosi quando qualcuno cerca di abbracciarci o
dicendo verbalmente che la cosa ci infastidisce).
Attualmente psicologi e antropologi hanno identificato e catalogato numerosi segnali
non verbali e li hanno divulgati attraverso pubblicazioni e corsi. Questo ha fatto sì che
oggi chiunque sia interessato all’argomento possa, attraverso i vari libri e manuali,
imparare a comprendere e distinguere i segnali più significativi.
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Leggere e interpretare correttamente i messaggi non verbali non è però così semplice.
Solitamente l’errore più comune e più grave è quello di interpretare un gesto
isolatamente dagli altri o dalle circostanze.
Ad esempio uno stato d’ansia può emergere da un’alterazione del respiro, da un
abbassamento del tono della voce o da una mano contratta, segnali che possono anche
essere indicatori di rabbia.
I gesti sono paragonabili alle parole e come queste possono avere più significati.
Solo quando collochiamo un termine nel contesto di una frase, assieme ad altri, ne
comprendiamo con certezza il senso.
Analogamente, i gesti si combinano in “frasi”, ossia in gruppi o insiemi, che ci svelano i
veri sentimenti e atteggiamenti delle persone. Pertanto, per trarre una conclusione
corretta, è sempre necessario analizzare i gesti nel loro insieme.
Da ciò che è stato detto fin qui emerge che il linguaggio non verbale è di
fondamentale importanza per la nostra vita sociale. Basti pensare che interpretando
correttamente i piccoli gesti involontari che i nostri interlocutori producono, possiamo
non solo conoscerne meglio la personalità, lo stato emotivo del momento, l’opinione (e
molto altro), ma anche pilotare il discorso selezionando gli argomenti che trovano
interessanti e scartando quelli giudicati inopportuni o irritanti, così da intraprendere una
conversazione piacevole e produttiva piuttosto che noiosa e inutile.
Obiettivo della mia tesi sarà rendere più chiaro questo linguaggio silenzioso.
Nel primo capitolo considererò il rapporto tra la comunicazione verbale e non verbale.
Per fare ciò inizierò trattando delle origini del linguaggio corporeo e di quello verbale
per poi descrivere le funzione dell’uno rispetto all’atro. Riporterò per finire alcune tra le
principali teorie che hanno fatto sì che oggi la comunicazione non verbale e quella
verbale vengano considerate forme di linguaggio di pari importanza.
Nel secondo capitolo approfondirò il tema della comunicazione verbale dandone una
definizione più specifica. In seguito riporterò le teorie che hanno maggiormente
contribuito a definire il panorama attuale degli studi sul linguaggio del corpo.
Concluderò il capitolo con la descrizione delle principali funzioni della comunicazione
non verbale.
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Il terzo capitolo inizia con una classificazione dei canali della comunicazione corporea (
aspetto esteriore; prossemica; cinesica; volto; segnali vocali) e prosegue con la loro
descrizione dettagliata.
Terminerò con un capitolo dedicato ai diversi segnali della menzogna che ci
permettono di svelare quando qualcuno non è sincero.
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Capitolo 1
RAPPORTO
TRA LA COMUNICAZIONE VERBALE E NON VERBALE
La relazione tra la comunicazione verbale e non verbale è ancora oggi controversa.
Per un lungo periodo si è proclamata la superiorità del linguaggio orale su quello
corporeo, considerando il primo il mezzo più raffinato ed evoluto attraverso cui gli
uomini si mettono in relazione tra loro. Questo appare quasi incredibile se si pensa che,
il linguaggio verbale è dal punto di vista evolutivo un'acquisizione recente e che viene
usato per lo più per convogliare fatti e dati. Quest’ultimo si è probabilmente sviluppato
in un arco di tempo compreso tra due milioni e cinquecentomila anni fa, in cui il nostro
cervello ha triplicato le proprie dimensioni. In precedenza il linguaggio del corpo e i
versi rappresentavano gli strumenti principali per trasmettere stati d’animo e sentimenti,
il che peraltro accade tuttora. Il punto è che, concentrandoci sulle parole che i nostri
interlocutori pronunciano, ci scordiamo della comunicazione non verbale e
dell’importanza che riveste nella vita quotidiana. Il linguaggio orale, tuttavia, ci ricorda
la sua rilevanza, basti pensare a espressioni d’uso comune quali: “Togliti questo peso
dallo stomaco”; “fai buon viso a cattiva sorte”; “affrontalo a testa alta” ecc.
In tempi relativamente recenti, diversi studi hanno reso evidente quanto gli aspetti
verbali e non verbali del linguaggio siano strettamente interconnessi tra loro,
permettendo di considerarli come aspetti differenti, ma anche dipendenti e interagenti,
dello stesso processo comunicativo.
Oggi gran parte dei ricercatori concorda sul fatto che la parola venga usata soprattutto
per trasmettere informazioni e che il linguaggio corporeo sia invece utilizzato per
negoziare nei rapporti interpersonali, talora in sostituzione della comunicazione verbale.
Una donna può, ad esempio, lanciare ad un uomo una semplice occhiata e inviargli così
un messaggio ben preciso anche senza parlare.
Indipendentemente dalla cultura, parole e movimenti sono correlati in modo tanto
prevedibile che, secondo l’antropologo Ray Birdwhistell (1970), un individuo esperto
riesce in genere a descrivere i movimenti che una persona fa solo ascoltandone la voce.
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L’antropologo sapeva persino individuare la lingua usata da un soggetto osservandone i
gesti.
Condon e Ogston (1966), chiamano il coordinamento tra i movimenti del corpo di un
soggetto ed il suo parlato, self-synchrony (autosincronia). Essa riguarda i movimenti di
tutte le parti del corpo, anche se questo non vuol dire che ogni movimento di chi parla
sia in qualche modo correlato al discorso. Inoltre, i diversi aspetti non verbali della
comunicazione possono essere sincronizzati tra loro nella connessione con il parlato.
Alcuni movimenti di parti del corpo possono accompagnare accenti vocali o
cambiamenti di tono della voce, prendendo l’aspetto di movimenti ripetitivi, ritmici. Ad
esempio, i cenni del capo o le flessioni ed estensioni della’avambraccio seguono il ritmo
e la velocità vocale del discorso; oppure gli apici di alcuni cenni e movimenti ampi delle
braccia coincidono con accenti enfatici del tono della voce.
Anche se c’è ancora molto da capire riguardo alla natura dei rapporti tra il linguaggio
orale e quello corporeo, alcune loro funzioni sono comunque state chiarite.
Una prima funzione che gli aspetti non verbali possono assumere nella comunicazione
è quella referenziale. Essa è la funzione preminente della comunicazione, in generale, e
consiste nello scambio di informazioni tra gli interlocutori su un oggetto o “referente”.
Nonostante il canale privilegiato per questa forma di trasmissione sia quello verbale,
anche gli elementi non verbali possono adempiere a tale funzione. Sherer (1980), nel
delineare una tipologia di segni non verbali, afferma che essi funzionano in modo
referenziale sia quando essi stessi “stanno per” un referente, sia quando incidono sul
significato di segni verbali co-occorenti. Il primo caso può essere quello degli emblemi
(di cui tratterò ampiamente nel terzo capitolo) ovvero quei gesti codificati in modo
univoco entro una stessa cultura, direttamente traducibili in parole e aventi una funzione
comunicativa esplicitamente utilizzata e riconosciuta come tale. Gli emblemi possono
anche sostituire del tutto la comunicazione verbale come in certe professioni (il vigile
urbano quando dirige il traffico) o quando l’uso delle parole è interdetto da rumori,
distanze eccessive oppure quando il canale verbale è momentaneamente occupato
perché già in uso (come quando si parla al telefono e si utilizzano gesti o altri segnali
non verbali per comunicare con una terza persona, senza interrompere il flusso del
parlato).
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Nel caso di co-occorrenza con il parlato, invece, il comportamento non verbale può
sostenere, modificare, completare il discorso. I segni non verbali, possono cioè,
enfatizzare, illustrare o chiarire, elaborare o amplificare il contenuto del messaggio
espresso a parole. Ad esempio sia i gesti che lo sguardo possono essere usati per dare
enfasi; le pause stesse possono essere usate per conferire importanza a un discorso o per
segnalare un momento di riflessione su ciò che vien detto. Anche i movimenti del capo
sono strettamente connessi al parlato e possono essere utilizzati non soltanto nella loro
funzione emblematica, come dire ”si” (movimento della testa su/giù) o “no” (
movimenti del capo destra/sinistra), ma anche con altri significati: scuotere
vigorosamente la testa accompagna parole enfatiche come “molto”, “grande”, oppure
superlativi quali “tantissimo”, “moltissimo” ecc.; mentre un ampio movimento
orizzontale della testa (da sinistra a destra) può essere usato con funzione inclusiva,
pronunciando, ad esempio, le parole “tutti quanti”, “tutto” ecc. Ancora, lo spostamento
del capo in direzione di un’altra persona mentre si parla può accompagnare una
citazione di un discorso (precedente) di questa.
Un’altra funzione della comunicazione non verbale in relazione al linguaggio verbale
è quella metacomunicativa, la quale fa da complemento rispetto alla funzione
referenziale poiché, se quest’ultima serve alla trasmissione di contenuti, la funzione
metacomunicativa riguarda il modo in cui il messaggio deve essere interpretato. Tale
funzione consiste nel qualificare l’atto di comunicazione stesso, vale a dire una
comunicazione inerente alla comunicazione, e nel caratterizzare anche le relazioni tra
gli interlocutori. Riguarda in parte la coerenza tra messaggio trasmesso attraverso il
linguaggio verbale e attraverso i segnali non verbali. Spesso, quando si parla, non
s'intende dire ciò che è trasmesso verbalmente con determinate parole o frasi, ma si
chiede all’interlocutore di “leggere tra le righe” di ciò che si sta dicendo: ciò significa
che se il ricevente vuole capire quale sia realmente il significato del messaggio
trasmesso deve interpretarlo tenendo conto di alcuni segnali non verbali co-occorrenti
all’enunciato verbale. Così, una frase di rimprovero pronunciata con un sorriso può
assumere un significato opposto al messaggio che si sta inviando con le parole; e, a
volte, questa sorta di contraddizione serve all’emittente per inviare informazioni
all’altro sul proprio atteggiamento nei suoi confronti o sul tipo di relazione che si vuole
avere con lui.
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Per finire, il linguaggio non verbale in relazione a quello verbale assolve funzioni sia
interpersonali sia intrapersonali. Le prime riguardano le informazioni che i
comportamenti non verbali trasmettono agli altri; le seconde riguardano invece gli scopi
non comunicativi dei comportamenti non verbali.
Un esempio di segnali non verbali che appartengono alla prima categoria sono quelli
che svolgono una funzione di regolamentazione dell’interazione e di conduzione e
controllo del flusso della conversazione. Alcuni segnali di cessione del turno sono: un
cenno del capo; un tono di voce discendente che indica la fine della frase; l’interruzione
dell’uso dei gesti da parte del parlante; il rivolgimento dello sguardo verso
l’interlocutore. Esempi opposti che indicano la volontà di non cedere il turno o di
interrompere l’altro sono: il continuo gesticolare del parlante; evitare di rivolgere lo
sguardo al proprio ascoltatore; innalzamento del tono della voce.
I diversi segnali non verbali contribuiscono anche ad assolvere una funzione di
feedback per entrambi gli interlocutori al fine di influenzare l’andamento
dell’interazione: cenni della testa che sottolineano assenso o interesse sono un rinforzo
per il parlante; mentre guardare altrove, scuotere la testa, mostrarsi assenti, inviano
segnali opposti che, se colti dal parlante, possono sollecitarlo a ravvivare il contenuto
dei suoi discorsi o chiudere il turno.
Per quanto riguarda i segnali non verbali che svolgono una funzione intrapersonale
un esempio è offerto dal ruolo dello sguardo nella conversazione, analizzata in diversi
studi: il parlato e la direzione dello sguardo risultano essere parti di un sistema
comportamentale integrato.
Un parlante, in una conversazione, deve eseguire contemporaneamente diversi compiti
cognitivamente impegnativi, tra cui pianificare e formulare le espressioni verbali e
monitorare i propri interlocutori attraverso segnali visibili che mostrerebbero la
comprensione di ciò che viene detto. Quando le esigenze di pianificazione del parlato
sfruttano maggiormente le risorse cognitive, il parlante distoglierà lo sguardo
dall’ascoltatore per ridurre gli stimoli visivi che si aggiungerebbero al carico del
trasferimento dell’informazione.
Anche lo stretto legame tra gestualità e linguaggio parlato riguarda l’integrazione tra
comunicazione verbale e non verbale con funzione intrapersonale. In quest'ambito la
teoria di riferimento è certamente la teoria dell’integrazione gesti-parlato di McNeill
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(1992), secondo cui i gesti delle mani sono una parte naturale, significativa e sempre
presente del discorso parlato, tanto che è possibile affermare che i gesti e il parlato
formano un sistema fortemente integrato durante la produzione e la comprensione del
linguaggio: il parlato è convenzionalizzato e arbitrario, segue cioè regole prestabilite
condivise che hanno un rapporto di contiguità tra significato e significante; mentre i
gesti sono la parte ideografica e immaginativa del linguaggio, cioè rappresentano
iconograficamente, attraverso la forma e il movimento delle mani, la “figura” di oggetti
o concetti ai quali si riferiscono nel discorso verbale. Le due modalità catturano e
riflettono aspetti diversi di un processo cognitivo unitario sottostante. La produzione
discorsiva è il frutto di un processo dinamico caratterizzato dalla coordinazione di questi
due tipi di attività mentali: pensiero per immagine (imagistic) e pensiero sintattico
(syntactic). Il pensiero sintattico costituisce la parte linguistica, è lineare e segmentato;
il pensiero per immagini costituisce la parte gestuale del linguaggio. Questi due aspetti
cooperano alla costruzione del senso e della struttura complessiva del discorso. I gesti e
il parlato possono quindi essere considerati come due canali diversi da cui poter
osservare lo stesso fenomeno discorsivo, in quanto i gesti partecipano, insieme alle
parole, alla realizzazione della pianificazione linguistica. Così, secondo McNeill (1992).
Gesti e parole si combinano per rivelare il significato che non è mai pienamente
catturato da una sola della due modalità.
A sostegno di tale teoria e dell’esistenza di un sistema integrato tra gesti e parole sono
stati presentati diversi studi. Uno dei primi è stato quello dello psicologo Bernard Rimè
(1987) dell’università di Louvain in Belgio. Rimè notò durante la sua ricerca che
quando nel dire qualcosa si gesticola, il movimento anticipa sempre la parola e inoltre
quando i soggetti venivano immobilizzati, presentavano delle difficoltà ad esprimersi e
provavano molto spesso la sensazione di avere una parola sulla “punta della lingua”.
Sempre durante lo stesso studio, è emerso che numero e ostentazione nei gesti cambino
in relazione all’argomento di conversazione: sono minori quando ci si riferisce a un
concetto astratto; per contro, sono più vivaci ed espressivi mentre si descrivono scene,
azioni o oggetti concreti. Inoltre, se si deve illustrare gli aspetti spaziali di qualcosa e si
è impossibilitati o inibiti ad usare i gesti, il discorso risulta più impreciso e meno
particolareggiato.
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Per concludere, la tendenza oggi è quella di considerare la comunicazione un
fenomeno multimodale, pertanto lo studio delle sue modalità e delle sue funzioni deve
considerare sia gli aspetti verbali che quelli non verbali che partecipano entrambi al
processo della costruzione del significato. Come ulteriore prova di ciò riporto qui di
seguito la scoperta che Albert Mehrabian (1972) (uno dei primi studiosi ad occuparsi
del linguaggio corporeo) fece nel 1972. Ciò che viene percepito in un messaggio vocale
può essere così suddiviso:
Movimenti del corpo (soprattutto espressioni facciali) 55%.
Aspetto vocale (volume, tono, ritmo) 38%.
Aspetto verbale (parole) 7 % .
L’efficacia di un messaggio dipende pertanto solamente in minima parte dal significato
letterale di ciò che viene detto, e il modo in cui viene percepito è influenzato
pesantemente dai fattori di comunicazione non verbale.