7
INTRODUZIONE
Dall’estate del 2007 il sistema finanziario internazionale è sottoposto a forti tensioni. La
crisi, che ha seguito uno sviluppo complesso e in parte inatteso, è giunta a colpire i bilanci
del sistema bancario. Si stima che le perdite complessive legate al segmento subprime
1
siano comprese tra i 400 e i 500 miliardi di dollari; dall’inizio della crisi le banche hanno
registrato perdite per circa 350 miliardi di dollari ripartite pressochØ equamente tra banche
statunitensi ed europee.
La crisi economica del 2007, originata negli Stati Uniti, ha avuto luogo dai primi mesi del
2008 in tutto il mondo. Gli Stati Uniti, l’economia piø grande del mondo, sono entrati in
una grave crisi creditizia e ipotecaria che si è sviluppata a seguito della forte bolla
speculativa immobiliare (mutui subprime) e del valore del dollaro molto basso rispetto
all’euro e alle altre valute.
Dopo diversi mesi di debolezza il fenomeno è collassato tra il 2007 e il 2008 causando il
fallimento di banche ed entità finanziarie e determinando una forte riduzione dei valori
borsistici e della capacità di consumo e risparmio della popolazione.
A settembre 2008, i problemi si sono aggravati con la bancarotta di diverse società legate al
credito ed alla finanza immobiliare, come la banca di investimenti Lehman Brothers, le
società di mutui Fannie Mae e Freddie Mac e la società di assicurazioni AIG.
Il governo nordamericano è intervenuto iniettando liquidità per centinaia di miliardi di
dollari con l’obbiettivo di salvare alcune di queste società, ma a causa delle banche, il
____________________
1
I subprime sono mutui immobiliari concessi senza troppe garanzie, ma con tassi d’interesse molto alti e pesanti
come macigni per tutte quelle famiglie americane non in grado di sostenere un tale onere. Per questo le banche hanno
cominciato a “cartolarizzare” ovvero a trasformare i mutui immobiliari in titoli negoziabili portando ad una
speculazione azzardata poichØ, a differenza delle banche, le finanziarie non conoscevano per nulla i propri clienti. La
psicologia ha fatto il resto; tutti gli investitori, spaventandosi della discesa, hanno cominciato a vendere anche a
prezzi ridicoli per paura di non riuscire a pagare e così il prezzo delle abitazioni è continuato a scendere, ma quello
che ha fatto fallire diverse banche americane è il fatto che molti proprietari con mutuo, hanno cominciato a smettere
di pagare le rate preferendo così lasciare le case alle banche che avevano concesso il mutuo che, in questo modo, si
sono trovate proprietarie di case di poco valore senza la restituzione dei soldi concessi.
8
fenomeno si è espanso velocemente in diversi paesi europei poichØ, le banche e le
istituzioni finanziarie che hanno investito sui mutui subprime, sono le società che
maggiormente risentono della crisi.
Vi sono però limiti a quanto possono fare le banche centrali per riportare i mercati al
loro normale funzionamento. ¨ prioritario che il rischio di controparte sia ricondotto
su valori piø contenuti attraverso la trasparenza dei bilanci e, ove necessario, la
ricapitalizzazione; che l’operatività di alcuni mercati venga ristabilita attraverso la
semplificazione dei prodotti scambiati e una valutazione piø appropriata. Sarà così
possibile ripristinare condizioni ordinate di finanziamento per gli intermediari e
contenere gli effetti restrittivi sull’economia di un innalzamento del costo del credito.
Uno degli aspetti rilevanti della recente crisi è evidenziato dagli strumenti volti a
valutare i rischi e, piø in generale, i sistemi di risk management degli operatori, i quali
hanno mostrato un ritardo rispetto al ritmo di sviluppo dell’innovazione finanziaria. Per
la complessità dei prodotti di credito strutturati si è determinata una sottostima del
rischio: rischio di credito, in primo luogo, ma anche di liquidità.
Vi è stata una fiducia eccessiva nella possibilità che i mercati possano trasformare i
prestiti bancari, intrinsecamente illiquidi, in strumenti negoziabili anche su orizzonti di
breve o di brevissimo periodo.
Inoltre, la crisi ha reso piø evidente l’esigenza che le prassi di gestione del rischio e
l’azione delle autorità mirino a rafforzare i meccanismi di assorbimento degli shock – il
capitale e la liquidità – per far fronte anche a scenari che in tempi normali possono
apparire implausibili.
Una valutazione retrospettiva di questi avvenimenti è condizione necessaria per
delineare gli interventi volti a rafforzare i mercati e gli intermediari. ¨ da questa
semplice considerazione che scaturiscono le raccomandazioni di natura piø strettamente
prudenziale fatte dal Comitato di Basilea e dalle autorità nazionali. Le raccomandazioni
su questo fronte riguardano la rapida adozione delle nuove regole prudenziali di Basilea
II e il rafforzamento della vigilanza sul patrimonio, sulla liquidità e sulle prassi di
gestione dei rischi degli intermediari, unitamente a un aumento dei requisiti
patrimoniali.
Le altre aree in cui vengono raggruppate le raccomandazioni riguardano: il
miglioramento della trasparenza sui rischi dei prodotti piø complessi e sui criteri di
valutazione adottati; il miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle agenzie di
rating, con particolare riferimento alle informazioni sui criteri adottati per l’attribuzione
9
dei rating, e la soluzione di eventuali conflitti di interesse nell’assegnazione dei giudizi.
Si ritiene che la crisi abbia già innescato, a prescindere dagli interventi regolamentari,
un cambiamento nei comportamenti degli operatori e delle autorità. Dai primi ci si
attende il ripristino di una crescita piø equilibrata del proprio business; il miglioramento
delle tecniche di gestione dei rischi anche per tener conto di possibili meccanismi di
interazione tra loro; l’aumento del patrimonio; una migliore gestione della liquidità. Le
autorità, invece, mirano a un equilibrio piø soddisfacente tra efficienza e stabilità, pur
nel convincimento che sostenere i mercati in questa fase non significhi sostituirsi a essi
e che ostacolare tout court l’innovazione finanziaria renda da ultimo il sistema piø
povero.
Come ha sottolineato il Governatore della Banca d’Italia, “il sistema finanziario che
emergerà dalla crisi dovrà avere regole diverse, meno debito, piø capitale”.
L’impatto della crisi sulle banche italiane è stato piø contenuto che nelle altre principali
economie avanzate. A questo hanno contribuito piø fattori: in particolare, un modello di
operatività orientato piø all’attività di intermediazione tradizionale che a quella di
investimento e di trading. Le banche italiane sono state inoltre favorite da una raccolta
piø stabile, alimentata dalla clientela al dettaglio, sia nella componente dei depositi
che in quella delle obbligazioni. L’impatto limitato è riconducibile a politiche di
investimento caratterizzate da un adeguato frazionamento del portafoglio e dalla
previsione regolamentare di limiti all’investimento in titoli poco liquidi.
La Banca d’Italia ha seguito linee prudenziali ben prima dell’insorgere della crisi, nella
convinzione che il rischio di credito e quello di liquidità possano scaturire dalla
necessità per le banche di preservare la reputazione sui mercati, onorando i loro
impegni. Sono inoltre operative da alcuni anni norme che consentono di operare con
prodotti finanziari e derivati complessi solo a operatori con adeguati presidi
organizzativi e di controllo.
Tuttavia, dall’insorgere della crisi sono state avviate azioni di sensibilizzazione degli
operatori, volte a sottolineare la necessità che gli organi di governo dispongano di una
piena consapevolezza dei rischi delle operazioni di finanza strutturata; a rafforzare gli
strumenti per la valutazione dell’impatto di scenari avversi sulle posizioni di liquidità; a
ribadire la necessità di operare valutazioni in bilancio improntate al rigore con
riferimento a tutti gli strumenti di finanza strutturata che hanno risentito dell’effetto
della crisi.
10
In sintesi, possiamo affermare che il sistema bancario italiano ha fronteggiato
relativamente bene l’impatto delle turbolenze sui mercati creditizi e finanziari, ma
rimangono sfide, di natura piø strutturale, che le banche italiane sono chiamate ad
affrontare nel prossimo futuro poichØ rivestono un ruolo cruciale sia per la capacità
competitiva nel sistema economico sia per il benessere dei cittadini.
Ciò è particolarmente vero in Italia, che vive da anni una fase di bassa crescita e dove il
tessuto imprenditoriale è ricco di piccole e medie imprese che, per le loro esigenze di
finanziamento, si affidano prevalentemente al credito bancario. In questo contesto, un
corretto screening del merito di credito dei prenditori e un’allocazione efficiente
delle risorse finanziarie, che tendano a minimizzare i costi di offerta, sono
fondamentali perchØ il sistema bancario possa contribuire allo sviluppo dell’attività
produttiva.
11
12
Capitolo 1
FONDAMENTI TEORICI DELLA
STRUTTURA FINANZIARIA DELLE
IMPRESE
1.1 Le fonti di finanziamento delle imprese
Uno dei fattori fondamentali dell’attività economica è rappresentato dal capitale, che
assieme al lavoro, consente di creare, alimentare e portare al successo ogni impresa
economica, dalla piø piccola alla piø grande.
Il capitale rappresenta l’indispensabile supporto di ogni azienda e la sua disponibilità
rappresenta uno dei problemi fondamentali per ogni imprenditore. Trovare il capitale
nella giusta forma e nel giusto momento significa porre le basi migliori per ottenere il
successo.
Per questo motivo un’attenzione particolare va destinata alle problematiche che
riguardano le cosiddette “Fonti di Finanziamento”, cioè i canali attraverso i quali
l’azienda può raccogliere capitali liquidi da destinare alla propria attività produttiva e
alla copertura dei propri fabbisogni.
La copertura del fabbisogno finanziario può aversi o mediante ricorso al capitale di
rischio (Fonti Interne) o mediante ricorso al capitale di credito (Fonti Esterne). La
ricerca della misura ottimale tra le due fonti è argomento complesso sul quale gli
studiosi di teoria finanziaria si confrontano da sempre.
La diversa natura intrinseca connessa alla differente funzione del debito e dell’equity –
in cui la prima rappresenta essenzialmente un “prestito”, mentre la seconda un
coinvolgimento attivo all’iniziativa imprenditoriale in termini sia positivi sia negativi (si
parla appunto di capitale di rischio) – viene riflessa dalle caratteristiche economico-
giuridiche che contraddistinguono le due fonti di finanziamento:
13
1) Natura dei diritti sui flussi di cassa futuri: i titoli di debito conferiscono al
titolare il diritto a ricevere una serie di flussi di cassa che rimborsano il capitale
versato e gli interessi a differenza dei titoli azionari che prevedono un diritto
solo su eventuali flussi residuali.
2) Priorità di rimborso: i titoli di debito hanno priorità sia sui flussi di cassa
periodici sia sugli asset dell’impresa in caso di liquidazione.
3) Trattamento fiscale: è prevista la deducibilità per le aziende degli interessi
finanziari mentre i dividendi sono distribuiti sulla base di flussi di cassa al netto
d’imposte.
4) Rimborso del capitale investito: il debito (credito per le banche) prevede una
data di scadenza per il rimborso del capitale, mentre per l’equity non esiste
alcuna scadenza.
5) Controllo sul management: diversamente dal potere degli investitori azionari,
l’influenza dei titolari del debito sul management è limitata alla previsione di
covernant nei contratti di finanziamento
1
.
1.1.1 Le Fonti Interne
Per fonti interne di finanziamento si intendono le forme di raccolta di capitali realizzate
ricorrendo alle risorse dell’azienda stessa.
Rientrano in tale gruppo tre grandi categorie:
a) Autofinanziamento
L’autofinanziamento è l’eccedenza degli utili ottenuti rispetto a quelli distribuiti. Per
poter rappresentare una effettiva fonte di finanziamento, si deve trattare di eccedenza
costante nel tempo e di importo abbastanza fisso o addirittura crescente, poichØ
eccedenze temporanee alterate a periodi di perdite non consentono all’azienda di poter
fare affidamento sulle proprie capacità interne. E’ l’unica fonte non soggetta a rimborso
e non comporta alcun costo.
Espressione tipica dell’autofinanziamento sono le riserve sociali, alimentate da utili non
distribuiti ai soci.
b) Eccedenza di ammortamenti
Il processo di ammortamento delle immobilizzazioni può essere effettuato sia in forma
ordinaria, sia in forma accelerata. In questo secondo caso si realizza una forma indiretta
____________________
1
De Marchi, G. (1996) I Fidi Bancari, II edizione, Milano, Giuffrè editore per il professionista e per l’azienda.
14
di autofinanziamento attraverso l’accumulo di fondi di importo superiore al necessario.
c) Eccedenza di accantonamenti
L’accantonamento periodico a fronte di eventi negativi (perdite su crediti, perdite su
cambi) o a fronte di esborsi futuri (fondo liquidazione per il personale) può costituire, al
pari dell’ammortamento, una fonte di autofinanziamento se effettuato in misura
superiore alle effettive necessità.
1.1.2 Le Fonti Esterne
Per fonti esterne di finanziamento si intendono le forme di raccolta di capitali che
consentono di ottenere disponibilità liquide all’infuori dell’azienda stessa.
Rientrano in tale gruppo tre grandi categorie:
a) Capitali di rischio
Sono i capitali forniti dal titolare dell’azienda individuale o dai soci di una società. Nel
primo caso rappresentano il patrimonio aziendale, nel secondo costituiscono il capitale
sociale.
Vengono così definiti in quanto sono soggetti al rischio dell’integrale perdita nel caso di
cattiva gestione aziendale: l’imprenditore che ha investito il proprio patrimonio
nell’impresa che dirige e l’azionista che ha sottoscritto azioni di una società possono
perdere i loro risparmi se si verifica un fallimento. Tuttavia assicurano il controllo
dell’azienda e offrono la possibilità di conseguire rilevanti utili nel caso in cui gli affari
vadano bene.
L’entità del capitale proprio dipende, per ogni impresa, dalle disponibilità dei soci, dalla
convenienza ad investire, dal costo del denaro, dalla situazione del mercato finanziario.
L’ammontare di capitale di rischio concorre in modo rilevante alla stabilità della
gestione essendo capitali impiegati durevolmente nell’impresa.
Il capitale di rischio nella sua globalità concorre a determinare il grado di indebitamento
che tanta importanza ha nel valutare la bancabilità di una azienda, la stabilità della
gestione e la redditività in capo al soggetto economico. Se un’impresa opera con elevato
grado di indebitamento è esposta al rischio destabilizzante di un improvviso fabbisogno
finanziario (vedi ultra teoria del trade-off). Il capitale di rischio mostra la sua natura di
risorsa strategica per sostenere idee valide e potenzialmente generatrici di valore, senza
dover ricorrere al credito e sostenere ulteriori oneri. L’azienda sottocapitalizzata risulta
maggiormente esposta ad ogni accadimento negativo tra cui una riduzione di
15
flessibilità
2
, aspetto oggi essenziale per la stabilità della gestione e per ottenere vantaggi
competitivi.
b) Capitali di prestito
Sono i capitali forniti da persone o enti al di fuori dell’azienda, con un contratto in base
al quale l’azienda s’impegna a pagare periodicamente gli interessi ed a rimborsare il
capitale (o con rimborsi parziali nel tempo, o integralmente alla scadenza). Essi sono
pertanto disponibili per l’azienda solo per un periodo prefissato di tempo.
I capitali di prestito non partecipano al rischio d’impresa, anche se in certi casi estremi
la posizione dei creditori può risultare abbastanza simile a quella dei soci, con la perdita
integrale del credito a causa del fallimento dell’azienda. Essi rappresentano un costo
fisso per l’azienda (pagamento degli interessi) e possono essere raccolti con diversi
vincoli di tempo (a breve, medio o lungo termine).
A seconda delle modalità tecniche, si distingue ancora il capitale di prestito
“negoziabile” (obbligazioni) da quello “non negoziabile” (prestito bancario, mutuo).
Sotto il profilo dell’origine, i capitali di prestito si distinguono in: credito commerciale
(dilazioni di pagamento sugli acquisti di merce ottenute dai fornitori); credito bancario
(ottenuto dalle banche attraverso varie forme tecniche) e prestiti obbligazionari (ottenuti
grazie all’emissione di titoli di credito – obbligazioni – collocati sul mercato
finanziario).
Il capitale di credito non dovrebbe svolgere una funzione suppletiva del capitale di
rischio e, per essere ben impiegato, richiede una adeguata consapevolezza
dell’andamento della gestione da parte del finanziatore (un’accurata analisi del merito
di credito).
c) Capitali d’uso
Sono i capitali forniti da società esercitanti la cosiddetta “locazione finanziaria”
(leasing), immessi in azienda sotto forma di beni strumentali (macchinari, impianti,
fabbricati) in base ad un contratto a motivo del quale l’azienda s’impegna a pagare un
canone d’utilizzo periodico ed a riscattare il bene alla scadenza. Sono una forma
anomala di finanziamento, effettuata mediante beni reali anzichØ mediante capitali
liquidi
3
.
____________________
2
Per flessibilità s’intende la capacità dell’impresa di adattarsi o di confrontarsi proficuamente con le mutevoli
situazioni del mercato dove essa opera. Cfr: A.Giampaoli in La programmazione finanziaria nelle imprese
industriali, Milano, Cusl, 1984, pag. 88.
3
Chinetti, P. (2001) Come Finanziare l’Azienda, strumenti per analizzare la situazione finanziaria, Milano, Edizioni
FAG.
16
1.1.3 Conclusioni
Per completezza di argomento, accenniamo brevemente all’utilizzo dei capitali
all’interno del ciclo produttivo aziendale.
I fondi raccolti possono, in linea generale, essere impiegati in: immobilizzazioni
tecniche (investimenti fissi in beni strumentali; per il loro finanziamento è
indispensabile il ricorso a fonti di raccolta di lunga durata); scorte di magazzino (per il
loro finanziamento è sufficiente qualunque forma a breve termine); crediti (il
finanziamento può avvenire anche con capitali di prestito a breve) e titoli
(partecipazioni in altre società – finanziamento tramite capitale proprio - o titoli di varia
natura detenuti a puro scopo d’investimento finanziati anche con capitale di prestito a
breve termine).
Queste riflessioni non hanno una validità assoluta in quanto sebbene il credito a breve
dovrebbe finanziare le attività liquide e il credito a medio – lungo termine ed il capitale
proprio dovrebbero finanziare le attività fisse, è altrettanto vero che possono esservi
eccezioni che non comportano problemi per l’azienda. Si tratta di piø finanziamenti,
ognuno dei quali è giuridicamente autonomo, ognuno dei quali ha una sua scadenza, ma
che, presi nel loro insieme, non si estinguono mai finchØ l’azienda produce
4
.
Un’ultima precisazione riguarda il fatto che non si può esattamente collegare un
impiego con la “sua fonte di finanziamento”, in quanto l’insieme dei flussi di capitale
che entra nella disponibilità aziendale concorre a finanziare l’insieme dei beni e delle
attività: l’azienda è un tutto unico non scindibile.
1.2 Principali teorie sulla struttura finanziaria ottimale
Una volta analizzate le principali fonti di finanziamento e le relative caratteristiche, il
passaggio successivo consiste nel tentativo di determinare la struttura finanziaria
“ottimale” per l’impresa, ovvero nello stabilire quale sia il miglior rapporto possibile tra
capitale proprio e capitale di debito. Lo scopo del management di un’impresa è quello di
rendere il valore dell’impresa il maggiore possibile, poichØ tale struttura è quella piø
vantaggiosa per gli azionisti dell’impresa
5
.
L’obbiettivo dello studio della struttura finanziaria dell’impresa consiste nel trovare una
____________________
4
Paci, I. (2003) Temi di Finanza Aziendale. A cura di Ivano Paci, Milano, FrancoAngeli.
5
Ross, S.A et al. Westerfield, R.W. & Jaffe, J.F. (1997) Finanza Aziendale. A cura di L. Caprio, Bologna, Il Mulino.