I
INTRODUZIONE
Non è stato facile da parte di chi ha cercato di definire la posizione
assunta da Massimo Cacciari in ambito filosofico, qualificare un autore
restio, almeno nelle sue opere, a lasciar intendere al riguardo un qualche
principio chiarificatore.
Indubbiamente, oggi, l‟immagine del nostro rimanda a quella di un
intellettuale spesso scomodo per l‟impavido argomentare, segno di una
intelligenza indipendente che si confronta a più livelli e che sorprende, per
l‟afflato arguto e innovativo con il quale affronta, e molto spesso mina, gli
impianti filosoficamente più saldi della nostra tradizione filosofica e non
solo. La dimensione di un acuto ascolto polifonico, si riverbera nelle
tematiche più disparate fino al dibattito attualmente politico. Cacciari è
annoverato tra i filosofi collocabili all‟interno delle linee teoriche del
II
postmodernismo
1
. Se ci accontentiamo di individuare la caratteristica
peculiare di questo filone filosofico nella “persuasione secondo cui all‟interno
della modernità si sarebbe verificato, ad un certo punto, […]un radicale
mutamento […]nel modo di concepire la realtà”
2
, allora si è ben
autorizzati a parlare di Cacciari, non solo come di un “postmoderno”, ma
anche di uno tra i filosofi più sagaci della nostra contemporaneità e di
quella frattura, abitualmente indicata con l‟espressione “crisi dei
fondamenti”, da cui si sarebbe originata la cultura contemporanea.
L‟area postmodernista che si viene formando alla fine degli anni
Settanta, è la risultante di ben tre eredità: quella di derivazione milanese
orientata sulla filosofia dell‟ultimo Paci; quella torinese, collocabile attorno
alle posizioni ermeneutiche di Pareyson; ed infine l‟eredità della tradizione
marxista eterodossa, seguita da Aldo Gargani e Massimo Cacciari, i
quali, “attraverso una lettura personale del pensiero di Wittgenstein
1
I tratti fondamentali della filosofia postmoderna indicati da G. Fornero sono: 1) l’abbandono delle
legittimazioni “forti” o “assolute” della filosofia, a favore di forme “deboli” o “instabili” di razionalità; 2) il
senso della “fine della storia”; 3) la diffidenza verso ogni terapia salvifica; 4) il passaggio dal paradigma
dell’unità a quello della molteciplità.
2
G. Fornero, Postmoderno e filosofia, in Storia della filosofia, IV. La filosofia contemporanea, t. II, Torino 1994, pp.
389-434, cit.p.393.
III
provengono a posizioni che li avvicinano a quelle degli altri pensatori di
orientamento postmoderno.”
3
Massimo Cacciari è annoverato dunque tra i “postmoderni” italiani,
anche nel capitolo sul dibattito filosofico in Italia dal 1925 al 1990,
redatto da Franco Restaino per la insigne “Storia della filosofia” fondata
da Nicola Abbagnano
4
.
La cultura italiana si era nutrita per tutti gli anni Settanta del
dibattito attorno alla spinta teorica del marxismo, che in seguito aveva
coltivato anche, dopo l‟interesse per il pensiero di Lukács , quello per altri
pensatori di orientamento marxista eterodosso quali Horkheimer, Adorno,
Marcuse, Benjamin, Bloch e Korsch che avevano configurato il “marxismo
occidentale” degli anni Venti.
Ciò significa che tra gli anni Sessanta e Settanta avevano circolato in
Italia talmente tante forme di marxismo, che non desta meraviglia se, ad
un certo punto, il dibattito su di esse, fosse cessato improvvisamente, quasi
per conflagrazione, in concomitanza con la nascita dell‟interesse per autori
3
G. Fornero e F. Restaino, Il dibattito filosofico in Italia (1925-1990), in Storia della filosofia, cit., vol. 9, p.
514. (Edizione speciale realizzata per Gruppo Editoriale L’Espresso, 2006).
4
Cfr. F. Restaino, Il dibattito filosofico in Italia (1925-1990), in Storia della filosofia, cit., vol. IV, t. II, pp. 561-
758, spec. pp. 738-739.
IV
dell‟ “irrazionalismo” novecentesco quali Nietzsche, Heidegger e
Wittgenstein.
La maggiore circolazione delle pubblicazioni e dei dibattiti, favorita
sia dal crescente interesse dei media, sia dalla crescente attività della
convegnistica di quegli ultimi decenni, aveva comportato la diffusione di
quelle nuove riflessioni in tutte le aree culturali del Paese, fino alla
comparsa di nuove riviste ed opere che avevano contribuito all‟incontro tra le
diverse posizioni filosofiche.
E‟ in quest‟ambiente che fece la sua comparsa, nel 1976, presso
Feltrinelli, il libro di Massimo Cacciari “Krisis. Saggio sulla crisi del
pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein”, l‟opera che ha meritato a
Cacciari l‟inserimento nel postmodernismo e che gli diede la celebrità a metà
degli anni Settanta.
“Krisis” infatti privilegiava la linea Nietzsche-Wittgenstein, insieme
alla crisi della fisica classica all‟inizio del XX secolo, segnando “la fine
della razionalità classica e dialettica e l‟emergere pieno, costruttivo,
rifondativo e non distruttivo[…]del pensiero negativo”
5
. Fungendo
insomma da spartiacque tra il precedente predominio del pensiero marxista
5
F. Restaino, Il dibattito filosofico cit., p. 739.
V
(al quale egli stesso aveva contribuito con un‟impostazione eterodossa
rispetto alle visioni approvate dalla sinistra ufficiale) aveva incrementato un
redivivo interesse tanto per Heidegger che per Wittgenstein
6
.
Secondo Restaino, la stessa tematica rintracciata da Cacciari era stata
ripresa successivamente da Aldo Gargani, sviluppandola nel volume
collettaneo “Crisi della ragione”, un classico del pensiero postmoderno in
Italia. I punti in comune ai due autori quali: l‟esegesi della crisi della
“razionalità classica”come riscatto da un ideale totalitario del sapere,
quindi l‟affrancamento da un ordine naturale, immutabile, statico, le cui
leggi sono state messe a nudo dalla ragione; un intervento creativo, che
impone un ordine alle cose, e che viene declinato in una molteciplità di
saperi; e in ultimo la forte attrazione per il clima culturale viennese del
primo Novecento ed il ricorso all‟eredità marxista -ma in una
riformulazione che esulava dal marxismo stesso-
7
per Restaino,
permetterebbero l‟incontro con il pensiero di Vattimo, nel comune rifiuto
della ragione classica e del moderno e nell‟adesione ad una cultura filosofica
antifondazionalistica.
8
6
G. Fornero e F. Restaino, Il dibattito filosofico, cit.pp. 514-527. (Ed., 2006).
7
Cfr. F. Restaino, Il dibattito filosofico, pp. 739-741.
8
Cfr. ibid., 741-742.
VI
Queste “somiglianze” tra Cacciari e Gargani rafforzano l‟inserimento
del primo nel postmodernismo italiano, sebbene le tematiche ed i modi con
cui il filosofo si approccia nello svolgimento, siano stimati decisamente come
originali.
In primo luogo Cacciari, più che enunciare proposizioni teoriche o
formulare giudizi di valore, fa emergere quella che per lui è l‟attuale
situazione del pensiero, mediante un‟ analisi “storica”, condotta con alta
maestria interpretativa, delle varie forme della cultura novecentesca,
dall‟epistemologia alla logica matematica, dalla letteratura alla pittura,
all‟architettura, dalla musica alla psicologia ed alla sociologia.
In secondo luogo, questo studio pluridisciplinare e comparativo, mira
ad evidenziare le costanti concettuali che sottendono le diverse espressioni
culturali del XX secolo e che si riassumono in un‟idea ben precisa: quella
costitutiva antinomicità, non “sintetizzabile” dialetticamente, del reale.
Tale visione “tragica” delle cose rappresenta uno, se non il principale, dei
fili conduttori che collegano da un capo all‟altro l‟itinerario speculativo di
Cacciari.
VII
In “Krisis” quindi il pensiero negativo assume una “funzione
demistificatrice di quanto di metafisico è presente ancora nelle filosofie
razionalistico-dialettiche, tra le quali il marxismo.”
9
Ma è lo stesso Cacciari a chiarire lo scopo e il significato delle sue
riflessioni: “Se questo libro significa qualcosa -dice- esso mostra la funzione
positiva, effettuale che il pensiero negativo svolge nella crisi del pensiero
classico[...]; esso liquida le separazioni astratte tra pensiero dialettico e
pensiero negativo, operate sulla base di una concezione di quest‟ultimo
come „irrazionalismo‟, oppure ideologia-apologia, oppure „liberazione‟,
discorso i im mm me ed di ia at ta am me en nt te e a-dialettico, utopia. In questo saggio il negatives
Danken [pensiero negativo] viene interpretato-criticato come processo
effettuale di crisi, messa a nudo di contraddizioni determinate, concreta
ricerca di rifondazione. Analogamente, il pensiero dialettico è colto nella
sua storia, cioè nelle sue crisi -soluzione determinata e perciò parziale,
implicitamente contraddittoria- né tradito , né „recuperabile‟ ”.
10
Scopo del libro, è la capacità di mostrare che la critica del sistema
dialettico, operata dal “pensiero negativo”, è alla base del modo di pensare
contemporaneo. L‟impossibilità di superare in una sintesi dialettica
9
G. Fornero e F. Restaino, Il dibattito filosofico, cit. p. 514, (ed. 2006).
10
M. Cacciari, Krisis, Feltrinelli, Milano, 1976, pp. 7-8.
VIII
definitiva i momenti di “crisi” nell‟ambito sia scientifico che sociale,
impossibilità teorizzata dal “pensiero negativo”, non ha il significato di
una disperazione nichilistica, ma al contrario tende a produrre “nuovi
ordini” teorici e pratici, a “rifondare” perennemente il sapere e l‟agire e
storicamente la prima tappa di questo processo, si ha nella critica
schopenhaueriana allo schematismo kantiano.
Le opere attraverso cui questa affascinante e dibattuta ermeneutica del
Novecento si svolge con maggiore vigore ed effetto sono, oltre a “Krisis”, i
saggi raccolti in “Pensiero negativo e razionalizzazione” ed “Icone della
legge”.
Dal negatives Denken, fino alla sua crisi, dagli interrogativi di
stampo esistenzialista, fino a quelli di carattere ontologico-religioso,
Cacciari giunge ad interrogarsi sul problema del primo “cominciamento”
filosofico, che scuote ogni impianto destinato all‟inerzia e ricorda il “compito
del pensare”e in cui si insinua anche il pensiero del divino.
Da qui, la sua indagine postula interrogativi mistici sul destino
dell‟anima, intercalati dalle posizioni rispettivamente assunte
sull‟argomento dalla filosofia e dalla teologia, che collega in un intreccio
inscindibile ciò che è Ultimo, all‟Inizio. Qui il “fare filosofia” infatti è
IX
l‟attingere ad un Inizio che non sia manifesto e che si ricollega al problema
della determinazione della libertà.
La sua ossessione per il linguaggio, nelle più disparate dimensioni, quella
volontà di fissare “ciò che non si può dire”, struttura l‟ indagine sul
linguaggio viennese, in cui Cacciari respira una conflittualità che chiede
conciliazione, ed innesca un percorso speculativo che indaga sul “problema
dei fondamenti”, mentre, sullo scenario di decadenza dei presupposti della
legge e dello sradicamento di ogni éthos, egli pone -analizzando le posizioni
assunte da Schmitt, Rosenzweig e Kafka- nell‟orizzonte del suo estenuante
interrogarsi, la prognosi di una sorte minacciosa che incombe nel mondo in
cui viviamo.
Dalle sostanze angeliche alle problematiche architettoniche, egli sviluppa un
edificio concettuale con “cupole e guglie” a segno di quel sistema, che
stimolano a riflessioni ed intuizioni che provengono da direzioni diverse e
da diverse temporalità.
Non solo non rinnegando un passato in cui militava all‟interno del
movimento extraparlamentare hegelo-leninista “Potere Operaio”, ma
recuperando il pensiero di Carl Schmitt -trascurato a lungo, in quanto
iscritto nel partito Nazionalsocialista tedesco- si accosta, con tinte nuove ad
X
una dottrina teologica della politica che si credeva ormai superata e che ben
lungi dal riconoscersi in atteggiamenti profetici, perlustra l‟itinerario che ha
stravolto la dimensione dei valori.
Il problema della tecnica che diventa valore e che permea completamente
tutto il tessuto collettivo del sociale -invadendo ogni dimensione etica dalla
scienza alla politica per trionfare nell‟economia- rintraccia una fitta
indagine storica sulla borghesia italiana nei successivi cicli dello sviluppo
industriale capitalistico, per meglio intendere i limiti (oltre che le virtù) di
un gruppo sociale che ha avuto importanti responsabilità nel processo di
modernizzazione del Paese, che si conclude con la diagnosi di un‟epoca di
transizione malata della sua fragilità.
Le tematiche affrontate da Cacciari, non si fermano ovviamente a queste;
egli costeggia altri grandi nomi del panorama filosofico che vanno da
Martin Heidegger per le problematiche inerenti alla tecnica, a Schelling, a
Simone Weil per la dimensione religiosa, Derrida, fino ai già mensionati
Schopenhauer, Nietzsche, Wittgenstein, e ancora Agostino, Meister
Eckhart, Platone, Plotino, Cusano e quanti altri appartengono al
vastissimo patrimonio culturale dell‟autore.
XI
Quel che interessa ancora ricordare, è l‟impegno profuso nella trattazione di
tematiche attuali, che sebbene trovino una genesi speculativa di grande
profondità filosofica, vengono spesso trattate dal nostro, quand‟egli deve
rivolgersi ad un pubblico di “non addetti ai lavori”, con una semplicità ed
una modestia che ne costituiscono i tratti distintivi.
Ci soffermeremo in questa sede, a rintracciare il pensiero di Cacciari sulla
sua Idea d‟Europa, tematica affrontata nelle due opere “Geo-filosofia
dell‟Europa” e “l‟Arcipelago”.
Dopo aver cercato di fondare un nuovo “inizio” gnoseologico attraverso
l‟analisi fenomenologia del “Negatives Denken”, la sua indagine lo aveva
portato ad approdare all‟interno dello stesso continente occidentale, al fine di
ricercare le origini della sua identità. Ciò che Cacciari ha in cuore di
chiarire, è il senso del “tramonto” che la nostra cultura porta in grembo fin
dalla sua origine, e che può, tanto destinarsi ad estinguersi come per
l‟umanità del sottosuolo di dostoevskijana memoria, oppure aspirare a
quella “risurrezione ontologica” che, riconosca in quell‟ atteggiamento di
profuso nichilismo, l‟artefice del declino culturale europeo.
XII
In questo tentativo di esaurire una simile spiegazione, l‟enigma
dell‟Occidente si palesa in tutta la sua interezza, come luogo dell‟incerto
confine e dell‟incerto destino, dall‟identità multiversa e perciò inquieta.