2.2 I poli Olimpici come interventi settoriali.
Nella storia delle Olimpiadi le città ospitanti i giochi in genere hanno individuato diversi
settori della città per ospitare i “poli Olimpici”, aree dEstinate ad ospitare una o più
attività sportive. Questa soluzione consente di dotare la città di nuove strutture ubicate
nelle aree in cui vi è maggiore necessità.
Monaco nel 1972 per la prima volta sperimenta la concentrazione delle attività in un
unico luogo: Il complesso Olimpico. I vantaggi derivarono da fatto che gli atleti e gli
spettatori non dovevano percorrere lungi tragitti per raggiungere gli impianti, inoltre
l’area risultò essere molto funzionale e suggestiva.
La città con maggiore dispersione e distanza tra i “poli Olimpici” risultò essere Los
Angeles, dove le distanze tra il Villaggio Olimpico e gli impianti potevano raggiungere
anche i 40 km.
2.2.1 Roma 1960: interventi settoriali e mal coordinati.
Le opere e gli interventi compiuti per l’edizione della XVII Olimpiade sono stati
molteplici e hanno interessato diversi ambiti e settori della città: aeroporto, strade di
collegamento, sistemazione delle strade esistenti, comunali e provinciali e naturalmente
gli impianti sportivi ove si sono svolti i giochi.
La mole delle opere esperite mette in luce la situazione di arretratezza in cui versava la
città di Roma, sia per quanto concerne l’aspetto urbanistico sia per gli impianti sportivi,
dove la pubblica amministrazione aveva provveduto a programmare e discutere numerose
infrastrutture non riuscendo a portarne a compimento nessuna.
2.2.1.1 Aspetti urbanistici.
Per quanto concerne l’aspetto urbanistico le scelte adottate hanno definito le aree
d’espansione a Ovest e a Sud, dotandole delle infrastrutture viarie necessarie: la Via
Olimpica. Il concetto di strada a grosso scorrimento tangente alla città era ritenuto
necessario per alleggerire la pressione dal centro storico fortemente congestionato dal
traffico. Purtroppo tale concetto è stato applicato arbitrariamente, pregiudicando cosi’ la
velocità di percorrenza della strada. Alcuni tratti previsti interrati sono stati realizzati in
superficie, favorendo fenomeni di speculazione edilizia attraverso la fruibilità di aree
private ancora da edificare o edificate in parte e stravolgendo in molti casi il Piano
vigente all’epoca risalente al 1931.
L’unico centro direzionale, l’EUR ubicato a Sud, subì una notevole espansione e di
conseguenza le strade di accesso ad esso risultavano fortemente rallentate dal traffico.
Gli interventi al sistema viario caratterizzati dai sottopassaggi sul Lungotevere effettuati a
ridosso del centro, hanno avuto come effetto un leggero aumento della scorrevolezza del
traffico nelle zone interessate , pur non risolvendo i grossi problemi legati alla
circolazione molto caotica.
L’infrastruttura di collegamento con la nuova aerostazione di Fiumicino, realizzata su
doppia carreggiata e priva di incroci a raso rese possibile il collegamento veloce del
centro città con aeroporto. L’Aerostazione, notevolmente ampliata e rimodernata con
nuove strutture, veniva ad assumere importanza internazionale.
Opera imponente assoggettata a critiche, soprattutto per via dei costi elevati dovuti alla
bonifica del sito acquitrinoso.
Un’altra opera importante fu rappresentata dal Viadotto del Corso di Francia che consentì
un agevole collegamento con le strade consolari della Flaminia e della Cassia, anche se in
casi di traffico intenso creò intasamenti notevoli nei pressi del Villaggio Olimpico.
Le opere urbanistiche realizzate per le Olimpiadi del 1960 risentirono talvolta di evidenti
pressioni provenienti da speculatori privati (zone dell’EUR e tracciato Via Olimpica), in
altri casi da errori dovuti alla mancanza di lungimiranza dell’Amministrazione
Comunale.
Roma con questa impostazione urbanistica si è vista precludere numerose e più consone
alternative d’espansione. e’ altresì vero che il “piano delle Olimpiadi” sbloccò, seppur in
maniera verticistica, l’inadempiezza dell’Amministrazione romana nella realizzazione
della maggior parte dei servizi e delle infrastrutture necessarie quotidianamente alla città.
2.2.1.2 La situazione delle aree verdi.
Nella città di Roma la dotazione di aree adibite a verde pubblico era di 365 ettari su una
popolazione complessiva di 2.020.000 abitanti, pari a poco meno di due metri quadrati
per abitante. Tale rapporto, se posto a confronto con i rapporti di altre capitali mondiali,
evince un notevole divario: Parigi 7.5, Londra 10.5, Stoccolma 25, Amsterdam 30,
Washington 45.
Le aree verdi presenti nella città di Roma sono perlopiù parchi antichi che hanno resistito
ai duri colpi inflitti dall’agguerrita speculazione edilizia. L’unico parco nuovo creato a
Roma sul finire degli anni cinquanta era quello di Villa Ada, posto all’estremità Nord
della città, ai limiti dei quartieri Parioli e Salario.
Un importante polmone verde era rappresentato inoltre dal parco di villa Borghese
collocato a ridosso del centro cittadino. Le caratteristiche della viabilità interna,
percorribile in automobile, associata alla scarsa manutenzione del verde, determinarono
una notevole decadenza fisica sia della villa che del verde.
Tabella A: rapporto della dotazione di verde di alcune città relativa all’anno 1960.
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
ROMA PARIGI LONDRA STOCCOLM
A
AM STERDA
M
WASHINGT
ON
c ittà
ha/ab
Analoga situazione era riscontrabile nelle aree verdi del complesso monumentale
costituito dal Gianicolo, da Villa Doria-Panphili e dalla Via Aurelia Antica, che
versavano in una situazione preoccupante. La Via Aurelia Antica rappresentante
un’importante testimonianza dell’aspetto della campagna romana del sei-settecento,
fiancheggiata dal muro di Villa Panphili, fu spaccata in due dalla Via Olimpica. Inoltre
l’edificazione di palazzine e villini nei pressi dell’Aurelia Antica e della zona di Via
Gregorio VII e dei Monti della Creta, ha continuato a sottrarre zone verdi.
2.2.2 Monaco 1972: il “complesso Olimpico” all’interno della città.
L’Olimpiade tenutasi a Monaco nel 1972 si caratterizzò per le innovazioni che vennero
introdotte: per la prima volta si concentrarono tutte le strutture (impianti, alloggi per gli
atleti, strutture sussidiarie) in un solo luogo, ubicato nelle vicinanze del centro di
Monaco. Le principali caratteristiche dell’Olimpiade di Monaco possono essere così
riassunte:
1. I principali impianti sportivi (Stadio Olimpico, piscine, Velodromo, ecc.) sarebbero
sorti a pochi minuti di cammino dal Villaggio Olimpico. Monaco poteva fare in modo
che le distanze tra un impianto e l’altro fossero le più brevi nella storia delle Olimpiadi.
2. A disposizione degli atleti ci sarebbero stati oltre venti centri sportivi, per cui in
pratica ogni nazione ha avuto campi e piscine propri.
3. Monaco fu dotata di eccellenti sistemi di comunicazione.
4. Il finanziamento dei giochi fu garantito dagli impegni assunti dal Land di Baviera e
dal Governo federale; e l’organizzazione di Monaco fu così efficiente che il costo di
mantenimento pro capite non ha superato i sette dollari giornalieri (del tempo), contro i
dieci dollari in media delle precedenti edizioni.
2.2.2.1 Infrastrutture.
Le scelte urbanistiche compiute da Monaco di Baviera in occasione delle Olimpiadi del
1972 riguardarono tre tipi fondamentali di interventi. Quelli di ristrutturazione o di
nuova edificazione di impianti sportivi rientranti nel quadro normale della
programmazione urbana. Le opere di carattere eccezionale ma permanenti e quelle di
tipo transitorio. Tale complesso di costruzioni impegnò aree urbane ed extra urbane
disposte ancora attorno alla città sino ad una distanza di 60 chilometri. Il loro fulcro
furono i 140 ettari dell’OWF, il Parco Olimpico, posto a circa 4 chilometri a Nord del
centro storico, in una zona che era vuota, periferica e piatta all’inizio degli Anni quaranta,
poi ondulata da terre di riporto e popolata di varie importanti presenze tra cui la sede e la
fabbrica della BMW. Qui sorsero l’Istituto centrale dello sport, il Villaggio Olimpico,
capace di 4800 alloggi e l’immensa struttura a tenda di circa 75.000 mq. Ideata da Frei
Otto per proteggere il grande Stadio di 80.000 posti e gli stadi del nuoto e quello
polivalente.
Sempre nell’area dell’OWF, vennero collocati tra l’altro il Velodromo a tribune coperte,
il campo di hockey con tribune temporanee, la torre Olimpica e la città residenziale dei
giornalisti, con qualche migliaio di alloggi e un enorme supermercato, il tutto servito da
vari terminali di trasporto su gomma e rotaia, nella cornice di elaboratissime sistemazioni
paesaggistiche.
Altri nuclei furono, nel settore Ovest della città, la ristrutturazione delle installazioni per
il nuoto di Danteband e, nel versante Sud – Ovest, il Palazzetto – basket di 6.000 posti, la
pista ciclabile, l’importante complesso della Messegelände e in quello di Nord il bacino
delle regate a Feldmoching, il tiro ad Hochbrück, l’alta scuola di equitazione presso il
Castello di Nymphenburg quelli del tiro all’arco al Giardino inglese.
Nella zona est, ricordiamo il grande Stadio di equitazione a Riem. Fu uno sforzo di
coordinazione colossale che certamente dette una sferzata d’incentivi all’organismo
urbano a cui impose una salutare visione alla macroscala del territorio.
La parte più sensazionale fu comunque il Parco Olimpico, perno di una colossale
operazione speculativa immobiliare innescata dalle opere di urbanizzazione, dai
vastissimi settori residenziali, dall’architettura ora banale ora velleitaria, dalle attrattive
paesaggistiche sontuose e falsamente naturalistiche e dalla spettacolosa tenda che Frei
Otto realizzò assieme a Behnisch, Leonhardt e Andra, il gotha dello strutturalismo
tedesco.
Questa realizzazione comportò una spesa 13 volte superiore a quella preventivata, e
venne fortemente criticata per la sua gratuita megalomania. e tuttavia, di essa, non si può
non sottolineare il coraggio e l’impeto pionieristico che portò alla sperimentazione di
concetti, forme, tecnologie e materiali del tutto inediti.
L’obiettivo non fu quello di celebrare solo un avvenimento Olimpico. L’impiego delle
strutture dopo le celebrazioni fu della stessa importanza. Perciò le misure attuate per ogni
singola zona di gara furono orientate anche in funzione del loro impiego dopo la fine dei
giochi.
Era logico non costruire strutture solo per gli sport organizzati, ma fornire anche
abbastanza spazio per gli sport non organizzati o varie possibilità per le attività del tempo
libero. Questa concezione ha portato all’accettazione diffusa da parte della popolazione
di monaco di un parco per il tempo libero nonché per le attività sportive. Oltre alla parte
antica della città, la zona Olimpica raccoglie il maggior numero di visitatori a Monaco.
Infatti l’obiettivo principale divenne quello di progettare e costruire un’architettura nella
zona più interna della città dove aree collegate abbastanza liberamente potessero offrire
strutture per il tempo libero.
In contrasto con i precedenti progetti Olimpici: nessun’architettura monumentale,
nessuna località in “vecchio stile”, bensì strutture lineari ben posizionate nell’ambito di
noti paesaggi, e nessuna difficoltà di comunicazione.
L’area olimpica fu collegata in modo eccellente con il centro di Monaco (solo sei
chilometri), rappresentando un aspetto decisamente positivo per le 10.000 persone che vi
vivono.
2.2.2.2 Trasporti.
Il problema più urgente da risolvere a Monaco in occasione dell’evento Olimpico, fu
quello dei trasporti. Le cifre parlavano chiaro: nel giro di un’ora, cinquantamila spettatori
potevano essere convogliati all’Oberwiesenfeld, dove stavano sorgendo gli impianti
Olimpici, con mezzi di trasporto su rotaia, e precisamente: venticinquemila mediante la
sopraelevata, e venticinquemila mediante la metropolitana. Anche le tramvie di Monaco
potevano dare il loro contributo, impedendo l’intasamento a opera dei veicolo privati, e
convogliando altri diecimila spettatori. In totale, si è avuta una capacità oraria di
ottantacinquemila persone, notevolmente superiore a quella che è stata considerata la
capacità massima del grande Stadio Olimpico (settantamila spettatori).
Gli atleti potevano raggiungere i rispettivi campi di allenamento e di gara servendosi di
scompartimenti riservati della metropolitana e della sopraelevata o mediante autobus.
2.2.2.3 Sistemazione del verde.
Il parco Olimpico, con il suo meraviglioso panorama di colline e prati, tra i famosi “tetti a
tenda” sopra lo Stadio, la sala olimpica e la piscina coperta, fu la zona più bella per il
tempo libero cittadino, oltre ai “Giardini inglesi” che furono una tradizionale area verde
nella parte vecchia della città.
Sin dal 1972 la compagnia Olimpica, responsabile dell’intera amministrazione dell’area,
ha registrato un giro d’affari di 125 milioni di marchi. Già all’esordio, la compagnia
olimpica iniziò a lavorare per ottenere una programmazione economica e sensata nonché
per preparare l’impiego post Olimpico. Una compagnia importante per i seguenti motivi:
amministrazione e strutture rimangono entrambe nelle stesse mani; decisioni elastiche e
rapide invece di strutture governative. Inoltre, una compagnia che è stata strettamente
collegata al campo delle attività del tempo libero. essa ha garantito la continuazione
dell’intera unità con creatività e servizi eccellenti.
2.2.3 Los Angeles 1984: recupero e pieno uso del patrimonio esistente.
Le Olimpiadi di Los Angeles sono state le prime Olimpiadi caratterizzate da
un’impostazione completamente privatistica e aziendale. Il comitato organizzatore volle
sperimentare la possibilità di strutturare un tale evento, di grandissime dimensioni, senza
ricorrere a stanziamenti di fondi pubblici. Il comitato organizzatore, il LAOOC ( Los
Angeles Olympic Organaninzing commitee) non ha legami ufficiali col governo, infatti la
decisione fu della città di Los Angeles che, con un referendum a decise che non ci
sarebbe stato alcun intervento pubblico.
Questo tipo di impostazione e le caratteristiche peculiari della “città regione” di Los
Angeles portarono ad effettuare ridottissimi interventi al sistema urbano nel suo
complesso, basti pensare che, per soddisfare le necessità olimpiche, furono costruiti ex
novo solo due impianti.
L’Olimpiade del 1984 mise in discussione alcuni aspetti “storici” tipici delle Olimpiadi.
In primo luogo, come già accennato fu completamente assente la partecipazione pubblica,
in secondo luogo si rivelò inattuabile la coincidenza tra luogo di realizzazione dell’evento
e una città, intesa come unità fisica, sociale, rappresentativa e amministrativa.
Gli interventi e le strutture realizzate si limitarono a rendere fruibili ed efficienti gli
spazi e i servizi esistenti.
2.2.3.1 Infrastrutture e trasporti.
Per comprendere l’impostazione generale delle Olimpiadi del 1984 si ritiene opportuno
descrivere la particolare situazione dello sviluppo della città, caratterizzata da una serie
di agglomerati urbani. Tali agglomerati risultano separati tra loro e distribuiti su
un’enorme area nella quale le comunicazioni sono assicurate da una gigantesca rete
autostradale che si sviluppa per oltre trecento chilometri nella città e per oltre mille
chilometri nell’area urbana.
Los Angeles nel secolo scorso era dotata di un’efficiente rete di trasporto pubblico su
rotaia realizzata e gestita interamente da privati. Il modello di sviluppo della città, a bassa
densità e a macchia d’olio, rese poco conveniente il sistema di trasporto collettivo, che si
trovava a coprire lunghi percorsi per servire insediamenti a bassa densità e basso
numero di viaggi. Tale sviluppo, agli inizi di questo secolo, incoraggiò l’uso
dell’automobile, che divenne il mezzo di trasporto più utilizzato a scapito del trasporto
pubblico. Le infrastrutture realizzate nel corso degli anni, furono quindi le “freeways”,
grosse strade di scorrimento a grandi maglie, senza convergenza in un centro. Nel 1984 i
veicoli privati circolanti nella sola Contea di Los Angeles erano oltre 5 milioni per 7.5
milioni di abitanti, mentre per quanto concerne il trasporto pubblico automobilistico con
un milione di passeggeri al giorno rende accessibile in tempi ridotti un territorio con 11.5
milioni di abitanti.
Le “freeways” rappresentano l’espressione più sintetica della struttura e della forma
della comunità regionale, essendo mezzi di movimento senza alternativa e quindi
impossibili non utilizzarle. La dotazione elevata di infrastrutture non richiese la
costruzione, in occasione delle Olimpiadi, di nuove strade.
La distanza media delle principali sedi di competizione dal centro dell’area urbana era di
25 chilometri, escludendo le localizzazioni estreme. Del canottaggio e dell’equitazione
che si svolsero a 134 e 90 Km dal centro. La distanza delle stesse sedi dai due Villaggi
Olimpici, residenza degli atleti risultò mediamente di 25 km e 36 km.
2.2.4 Lillehammer 1994 e l’ambiente.
La Norvegia ha ospitato i Giochi Olimpici invernali nel 1952 e questo evento ha lasciato
segni importanti ancora evidenti sul territorio.
Emblematico in tal senso è il trampolino di Holmenkollen, segno forte nella immagine
della città di Oslo, visibile da gran parte del fiordo.
Da sempre le Olimpiadi sono state un evento particolare che ha comportato, proprio per
la sua eccezionalità, interventi speciali sul territorio. Tutte le nazioni quando vengono
prescelte per un’Olimpiade programmano e realizzano vasti interventi sul territorio mirati
non solo a rispondere all’impatto di un grande afflusso di atleti e di pubblico, ma anche
ad esprimere le capacità imprenditoriali e tecnologiche proprie di quella nazione.
Questo sforzo economico non è finalizzato solo alla trasmissione di un messaggio o di
un’immagine ma consente di fare investimenti per edifici e infrastrutture che avranno
successivamente un uso sociale.
La Norvegia pur muovendosi secondo questi criteri ha introdotto, nella fase preparatoria
dei Giochi, novità sostanziali soprattutto per quanto riguarda la protezione ambientale.
I XVII Giochi Olimpici di Lillehammer sono ricordati come quelli in cui, per la prima
volta, il “Movimento Olimpico” ha acquisito una terza dimensione: accanto alle parole
sport e cultura comparirà la parola ambiente. Su proposta del Parlamento norvegese,
ampiamente recepita e fatta propria dal Lillehammer Olympic Organization Comeetee
(LOOC), i Giochi di Lillehammer 1994 si sono svolti sotto l’influenza del rispetto e
della salvaguardia ambientale e la loro organizzazione, da questo punto di vista, ha
potuto costituire un modello esemplare per gli organizzatori delle future Olimpiadi e per
il Comitato Olimpico Internazionale.
Gli obiettivi che il LOOC si è prefissato di raggiungere nelle fasi di preparazione e
svolgimento dei Giochi sono riconducibili a cinque punti principali: dare un taglio di
qualità ambientale a tutti gli aspetti durante le fasi dei Giochi, promuovere una profonda
consapevolezza ambientale, salvaguardare gli interessi della comunità nella regione,
realizzare uno sviluppo di queste aree in pieno rispetto dell’ambiente, creare le basi per
un sostenibile sviluppo e una crescita economica.
Tutti i progetti possono essere ricondotti a due tematiche principali: la sensibilizzazione
alle problematiche ambientali e la protezione dell’ambiente.
Per gli inserimenti edilizi sono stati varati i progetti: ”Luoghi, architettura e scelta dei
materiali”, “Valutazione di impatto ambientale”, “Risparmio energetico”, “Strutture
temporanee”. Gli aspetti che si volevano salvaguardare riguardavano: la conservazione
dell’ambiente antropizzato, il mantenimento delle tradizioni norvegesi, la coerenza
culturale nell’inserimento di nuovi edifici, i risultati formali del costruito anche in
rapporto alle preesistenze storiche, la protezione dell’ambiente dagli effetti negativi
dovuti allo sfruttamento, alla produzione e al consumo delle risorse.
Con questi progetti il LOOC ha senza dubbio influito profondamente sia sulle
amministrazioni locali che sui progettisti degli impianti sportivi e degli edifici accessori
dando specifiche direttive per quanto riguarda la localizzazione, la progettazione dei
singoli organismi edilizi e il contenimento dei consumi energetici.
Il problema della scelta della localizzazione degli edifici in accordo con le indicazioni del
LOOC, si è posto in maniera significativa ed emblematica nel comune di Lillehammer,
dove la concentrazione di impianti e servizi di supporto poteva incidere in modo rilevante
sul territorio. In questo caso specifico precise ragioni di convivenza tra gli impianti e i
luoghi hanno imposto non solo la stesura di un nuovo piano urbanistico, ma anche e
soprattutto la necessità di analisi preliminari ad esso sia per stabilire la natura e le valenze
del territorio, sia per decidere la localizzazione degli insediamenti coerentemente con le
caratteristiche del paesaggio culturale e di quello naturale dei siti. Queste analisi, quindi,
prima ancora che nel piano urbanistico, si sono materializzate e hanno assunto un senso
compiuto in uno studio a livello comunale e comprensoriale che ha sintetizzato gli
elementi caratteristici del paesaggio e ha dato indicazioni coerenti per l’uso del territorio.
In questo caso particolare l’analisi delle vocazioni culturali e paesaggistiche, anche per la
peculiarità del luogo e le finalità prefissate, è stata svolta con un taglio tale da risultare
un’occasione per sperimentare una nuova metodologia di approccio alle problematiche
del rispetto ambientale.
Lo studio è stato articolato in due fasi: nella prima, analitica, è stato reperito il materiale
e, sulla base della valutazione di alcuni parametri, si è proceduto ad una zonizzazione
della stato di fatto del paesaggio distinguendo le zone destinate all’agricoltura, alla
forestazione, alle riserve naturali e ai manufatti di interesse storico – culturale. Gli ambiti
individuati e le loro caratteristiche peculiari sono stati riportati su carte tematiche.
Sulla base di questa cartografia analitica è stata attuata la seconda fase che è consistita
nell’elaborazione di un piano che sintetizzava i valori del paesaggio antropizzato e
naturale con una zonizzazione, articolata in cinque diversi tipi di zone, che analizzando e
puntualizzando il pregio naturalistico–culturale dei singoli siti, dava indicazioni
sull’atteggiamento che il progettista doveva avere nei loro confronti.
Un primo tipo di zona individuata è stata quella del “paesaggio di particolare valore” che
includeva siti con particolari valenze storiche che erano già protetti o che necessitavano
subito di una protezione.
Un altro tipo di zona, definita come “paesaggio di valore”, era quella costituita dagli
ambiti agricoli più recenti, importanti nell’equilibrio paesaggistico e che non dovevano
essere distrutti.
Il terzo tipo di zona “paesaggio di scarso valore” includeva luoghi ed ambiti parzialmente
costruiti o abbandonati e sui quali gli eventuali cambiamenti avrebbero prodotto effetti
circoscritti sull’immagine esistente.
Un quarto tipo di zona inglobava tutte le unità vegetative che formavano un ambito
chiuso per il quadro paesaggistico, includevano riserve con vegetazioni caratteristiche e
zone boschive importanti per il clima della città.
Da ultimo c’erano le zone caratterizzate dall’ambito costruito che potevano essere
ulteriormente edificate senza che però la struttura verde fosse danneggiata.
Con questo iter progettuale si è voluta dare una risposta in termini globali alle esigenze di
salvaguardia ambientale in modo che il nuovo fosse relazionato strettamente con il
paesaggio naturale, costruito e culturale.
Le indicazioni che sono emerse sono state recepite dagli architetti in fase di progettazione
dei singoli impianti sportivi e degli edifici di servizio e hanno influito profondamente
sulle soluzioni progettuali. Le risoluzioni prese hanno riguardato in modo particolare la
localizzazione degli impianti, il loro rapporto con il terreno, la conservazione dell’assetto
del territorio e il risarcimento dei siti interessati dalle nuove costruzioni.
Per quanto riguarda la localizzazione, gli edifici e gli impianti in genere sono stati posti il
più vicino possibile ai centri abitati, senza occupare terreni di rilevante valore e quando
possibile in prossimità di organismi già esistenti. esemplificativa in tal senso è la Håkons
Hall posta vicina alla preesistente Kristin Hall e l’Hamar Olympiske Amfi situata vicino
alla Storhamarhall.
In molti casi, comunque, la localizzazione è stata concordata con le organizzazioni
ambientali come ad esempio per la Hamar Olympiahall che sorge nella riserva naturale di
Åkersvika.
Nel rapportare gli edifici o le piste con il terreno i progettisti hanno sempre cercato di far
sì che essi non lo dominassero mai, ma si adattassero ad esso. esempi in tal senso sono la
Håkons Hall che è stata parzialmente interrata, i trampolini del salto poggiati per la
massima parte sul pendio naturale, la pista del bob che è stata per la massima parte
scavata nel terreno così che non fosse visibile dalla strada europea E6 e comunque dalla
valle. Sempre in questa ottica, mirante talvolta al mimetismo, i cavi dell’alta tensione e le
tubazioni degli impianti di refrigerazione sono stati interrati.
A questi interventi volti anche a non mutare radicalmente l’assetto del territorio, si sono
aggiunti interventi mirati specificatamente a conservarlo apportando il minimo disturbo
possibile alla vegetazione e alle foreste esistenti. In alcuni casi i progetti hanno subito
modificazioni o addirittura sono stati radicalmente cambiati solo per salvare degli alberi.
In altri casi, con funzione di deterrente per le imprese costruttrici, sono state imposte
delle penali per l’abbattimento non programmato di alberi o per danni alla vegetazione in
genere; esempi significativi in tal senso sono state le penali pari a 10.000 corone (2,5
milioni di lire), nei lavori del Birkebeiner SkiStadion, e pari a 50.000 corone (10 milioni
di lire), nei lavori per la realizzazione della pista di bob, per ogni albero abbattuto oltre a
quelli di progetto o per parti di terreno danneggiato.
Particolare cura è stata poi posta nel risanamento dei siti varando programmi di
rimboschimento e di ripristino di terreno e humus in zone di particolare interesse
paesaggistico e progettando barriere verdi che facessero da protezione tra gli impianti e il
territorio circostante; esempio in tal senso è il piccolo bosco di betulle al quale è stato
affidato il compito di mitigare il contatto tra la Hamar Olympiahall e l’ambiente naturale
circostante. La conservazione e il rispetto del terreno è stato oggetto di attenzione anche
nei movimenti di terra: gli scavi sono stati ridotti al minimo e il materiale scavato è stato
quanto possibile riutilizzato in loco.