5
Introduzione
A partire dai primi anni ottanta lo studio della cultura comincia ad essere
influenzato in maniera sostanziale da numerose ricerche e lavori di diversi autori
appartenenti ad un nuovo sapere emergente, i Cultural Studies.
Per cercare di comprendere l’intento che accomuna questi autori e il percorso
storico che ha posto in essere la cristallizzazione di questa nuova corrente di
pensiero, non si può certamente prescindere dal contestualizzare la radice più
profonda dalla quale i Cultural Studies provengono. In effetti, la nascita dei
Cultural Studies risale alla fine degli anni cinquanta, quando in Gran Bretagna
diversi autori, tra i quali il critico letterario Richard Hoggart, il sociologo
Raymond Williams, lo storico Edward P. Thompson, ma soprattutto il sociologo
Stuart Hall, hanno cominciato a proporre ricerche originali ed innovative su
questioni inerenti lo studio dei fenomeni che riguardano la produzione e il
consumo della cultura nelle moderne società di massa: dai messaggi riportati sui
quotidiani a quelli diffusi dai generi letterari più popolari. Già da questi primi
studi si può intuire che uno degli intenti prioritari degli studiosi legati alla corrente
dei Cultural Studies è stato quello di cercare di comprendere le contraddizioni che
riguardano i rapporti tra cultura e potere nelle società moderne, evidenziando
qualsiasi fenomeno culturale ritenuto politicamente significativo. Con questo
presupposto molti degli autori legati ai Cultural Studies, sin dalle proprie origini,
hanno cercato di mettere a fuoco i testi, le immagini, le istituzioni e i discorsi di
cui si dota il potere per imporre il proprio dominio sulla società, cercando di non
sminuire ed identificare tutte quelle pratiche e rappresentazioni culturali che
producono i gruppi e i soggetti subalterni nei loro tentativi di sottrarsi a
quell’universo di (con)senso diffuso dalle ideologie dominanti come dalle
condizioni materiali di subordinazione e sfruttamento
1
.
E’ evidente che la complessità e la pluralità degli oggetti ed argomenti che
possono interessare questo tipo di ricerche, hanno richiesto un evidente
1
Cfr. Pasquinelli, Carla, Mellino, Miguel, 2010, Cultura. Introduzione all’antropologia, Roma,
Meltemi, pag. 238.
6
promiscuità e sovrapposizione disciplinare e metodologica, tanto da confluire in
un sapere del tutto inedito, ibrido. In maniera generale, dunque, i Cultural Studies
si sono configurati come un campo di studi del tutto nuovo, privo tanto di confini
disciplinari chiaramente identificabili quanto di oggetti e metodologie di ricerca
prestabiliti. Un sapere certamente atipico, caratterizzato da un approccio
transdisciplinare, appunto, che si dota liberamente e selettivamente di concetti,
teorie, approcci e metodi provenienti da diverse discipline sociali tra le quali la
storia, la sociologia, l’antropologia, la psicologia, la linguistica, la filosofia, la
critica letteraria e le scienze politiche. Come suggerisce Mellino, in effetti
Cultural Studies si sono imposti come un’anti-disciplina “aperta”, “ibrida”,
“contingente” ed “indeterminata” che coglie la sua essenza e la sua forza nella
loro intrinseca e permanente incompiutezza e instabilità
2
.
In questo modo, le riflessioni generate in seno ai Cultural Studies, racchiudendo al
loro interno anche progetti intellettuali molto dissimili e spesso conflittuali tra
loro, hanno consentito di portare alla luce oggetti di studio, fenomeni e rapporti
del tutto ignorati dalle scienze sociali tradizionali. Attraverso la lente dei Cultural
Studies le discipline umanistiche classiche vengono smascherate quali veri e
propri pilastri dell’eurocentrismo, poiché queste, dotandosi di categorie
epistemologiche per niente neutrali, hanno contribuito in maniera sostanziale alla
diffusione di quella metanarrazione umanistica occidentale che per secoli ha
imperato, dominando, sulle storie e le culture, sulle stesse soggettività degli Altri
non-occidentali.
Un’ulteriore sostanziale innovazione dei Cultural Studies sta nell’aver identificato
nei discorsi e nelle rappresentazioni culturali i luoghi fondamentali della lotta per
l’egemonia
3
. Non a caso l’esperienza dei Cultural Studies britannici,
intrinsecamente legata alla storia del Center for Contemporary Cultural Studies
dell’Università di Birmingham, già a partire dagli anni settanta, sotto la direzione
si Stuart Hall, appariva abbastanza orientata verso un compito teorico ben
2
Cfr. Pasquinelli, Carla, Mellino, Miguel, 2010, Cultura. Introduzione all’antropologia, op. cit.
pag. 237.
3
A tal proposito è interessante sottolineare che in Gran Bretagna la stessa costituzione dei Cultural
Studies si è verificata soprattutto grazie ai nuovi stimoli di ricerca che richiedevano le
rivendicazioni e le insorgenze delle comunità di migranti oppresse dalle politiche discriminatorie
promosse dallo Stato britannico. Infatti, buona parte delle ricerche dei Cultural Studies si è
concentrata sulle politiche di resistenza culturale promosse dalle varie minoranze oppresse.
7
definito, quello di mettere a punto una “teoria materialista della cultura” libera da
ogni tipo di determinismo. E’ attraverso i lavori dei ricercatori di Birmingham che
il temine di cultura verrà sempre meno inteso come un valore morale o come
concetto tipicamente estetico e intellettuale e sempre più associato ai processi
sociali collettivi attraverso cui gli uomini costruiscono giorno per giorno i propri
significati
4
. In tal modo, gli autori legati a questo campo di studi hanno potuto
prendere in considerazione anche il contesto politico e sociale nel quale i
fenomeni culturali si manifestano, mettendo da parte tutte quelle analisi che
considerano la cultura come un’entità reificata, a sé stante, circoscrivibile e del
tutto scissa dal contesto politico e sociale. Con i Cultural Studies la cultura
diviene un fenomeno che non è mai completamente compiuto, un processo sempre
in atto, mai esauribile che si costituisce all’interno e non dall’esterno dalle
rappresentazioni. Oggetti dei Cultural Studies divengono in questo modo le
“pratiche culturali” vale a dire tutte quelle “pratiche di significazione” attraverso
le quali i gruppi, le classi, e i soggetti costruiscono i propri significati e le proprie
visioni del mondo; un complesso insieme di fenomeni, discorsi, processi, eventi e
pratiche che si costituiscono all’interno di un campo di forze attraversato da
rapporti di potere e tensioni materiali, ma anche da opportunità che consentono
molteplici forme d’identificazione
5
. Così, l’approccio dei Cultural Studies
permette di intravedere che le espressioni culturali non costituiscono mai dei meri
riflessi delle condizioni materiali e, allo stesso modo, che i fenomeni culturali non
possono non prendere in considerazione le condizioni materiali entro cui vengono
prodotti. In altre parole, quello che gli autori dei Cultural Studies sottolineano è
che ciò che determina i significati e le pratiche culturali non è mai qualcosa di
intrinseco prefissato una volta per tutte, bensì un gioco di relazioni e congiunture.
E’ in base a questo che le culture non possono considerarsi, in modo
“essenzialista”, come immutabili, chiuse, capaci di determinare dall’esterno la vita
dei soggetti e dei gruppi facenti parte. Con i Cultural Studies la cultura diventa
qualcosa di estremamente fluido ed instabile, un processo in continua evoluzione
soggetto a lotte continue dovute ai conflitti tra (sotto)gruppi e (sotto)classi, alle
4
Cfr. Pasquinelli, Carla, Mellino, Miguel, 2010, Cultura. Introduzione all’antropologia, op.cit.
pag. 248-249.
5
Ibid. pag. 244.
8
fratture del consenso nel tessuto sociale e alle dimensioni soggettive dei processi
di significazione
6
.
L’approfondimento di molte delle tematiche proposte dai Cultural Studies,
connesso ad un crescente interesse per l’analisi degli effetti legati ai rapporti
coloniali instauratosi tra l’Occidente e i sui Altri, ha poi permesso l’ascesa di un
ancor più nuovo campo di studi, mi riferisco ai cosiddetti Postcolonial Studies. Si
tratta di una corrente di pensiero che è andata legittimandosi sin dai primi anni
novanta, ancora una volta nel mondo anglosassone.
Alla stregua dei Cultural Studies, i Postcolonial Studies si presentano come un
imponente e vasto campo di studi e ricerche multidisciplinare, trasversale, la cui
condensazione si è verificata a partire dalle sovrapposizioni di elementi, approcci
e prospettive provenienti appunto da diverse discipline umanistiche. Tuttavia, a
differenza dei Cultural Studies, e sebbene, come sottolineato, questi costituiscano
indubbiamente una delle sue importanti radici, i Postcolonial Studies si
sviluppano attraverso origini molteplici, transnazionali, ibride. In effetti, come
evidenzia ancora una volta Mellino, la complessa genealogia che ha posto in
essere la condensazione di questo campo di studi affonda le proprie radici anche
nel pensiero anticoloniale classico, nella critica all’imperialismo dispotico
occidentale prodotta nel processo di decolonizzazione, nei Black Studies e nel
radicalismo politico afro-americano, così come nelle riflessioni intellettuali
proposte dal pensiero antirazzista e dall’irruzione delle nuove questioni poste
dalle femministe nere e non-occidentali. Insomma l’eterogeneità della
composizione storica dei Postcolonial Studies non permette una chiara
identificazione della figura di un singolo fondatore, di una teoria o corrente
specifica, si tratta piuttosto di concepirli come un sapere molto più complesso,
nato una miscela di prospettive interrelate, spesso conflittuali, tra le quali anche il
marxismo, il post-strutturalismo, il postmodernismo, il femminismo e la
letteratura proposta da numerosi scrittori neri e/o di origini non-occidentali
7
. I
Postcolonial Studies si sviluppano, in questo modo, sia come una vera e propria
sfida epistemologica ai saperi e alle specializzazioni accademiche delle scienze
6
Cfr. Pasquinelli, Carla, Mellino, Miguel, 2010, Cultura. Introduzione all’antropologia, op. cit.
pag. 249.
7
Ibid. pag. 258.
9
umanistiche tradizionali, che come un inedito, eclettico approccio alla
contestualizzazione dei rapporti storici e culturali tra l’Occidente e i suoi Altri
8
.
E’ con questi propositi che i Postcolonial Studies hanno riesumato il colonialismo
in quanto episodio chiave della storia dell’umanità. Il colonialismo, infatti, viene
riscoperto dai Postcolonial Studies come il momento storico più significativo, non
solo per quanto riguarda la produzione dei rapporti dominio politici-materiali
messi in atto dall’Occidente sulle colonie, ma soprattutto in quanto episodio
focale che ha segnato la proliferazione di segni, simboli, rappresentazioni e
pratiche che hanno in qualche modo organizzato l’esistenza, l’esperienza e la
produzione materiale e culturale all’interno delle società coloniali. In altre parole,
attraverso la prospettiva dei Postcolonial Studies gran parte delle immagini, dei
discorsi e delle stesse ricerche proposte dalle discipline umanistiche tradizionali,
che hanno segnato il periodo coloniale, vengono identificati quali elementi
imprescindibili alla strutturazione stessa del potere materiale e culturale
dell’Occidente sui suoi Altri. Non a caso è proprio a partire da questi che si è
potuta fornire una giustificazione ideologica e culturale dell’espansione e del
dominio coloniale; e non solo, la loro pregnanza e il loro potere ha prodotto e
costituito tipi determinati di soggettività. Imponendosi attraverso la forza e la
retorica, l’intero discorso coloniale ha proteso in ogni modo all’assoggettamento,
all’inferiorizzazione e auto-negazione vissuta. Il dominio coloniale è stato
insomma un potente dispositivo di coercizione interiore, che ha permesso di
disarticolare in modo violento le forme di vita caratteristiche e di immetterle
all’interno di un processo di rappresentazione esclusivamente imperiale ed
europeo
9
. In questo modo, diventa sempre più evidente che i rapporti generati
dall’impresa coloniale hanno prodotto una vera e propria frattura non solo
materiale, ma anche simbolica e culturale. In una prospettiva postcoloniale,
dunque, non è possibile studiare l’istituzione storica dell’Europa come “soggetto
sovrano” nell’età moderna senza prendere in considerazione l’incontro-scontro
8
Cfr. Pasquinelli, Carla, Mellino, Miguel, 2010, Cultura. Introduzione all’antropologia, op. cit.
pag. 247.
9
Ibid. pag. 263.
10
avvenuto con l’Altro coloniale o a prescindere dalla violenza costitutiva che ha
messo in moto il contraddittorio processo di “alterizzazione dell’Altro”
10
.
In ogni caso, la riflessione postcoloniale identifica l’esperienza del colonialismo
non come un fenomeno che si è sviluppato a senso unico, privo di contraddizioni,
bensì come un rapporto altamente conflittuale e quindi profondamente instabile
che si è generato nell’incontro tra colonizzato e colonizzatori
11
. A partire da
questa constatazione, i Postcolonial Studies si sono prefissi il compito di cercare
di riportare alla luce anche tutte le resistenze promosse dai colonizzati, sul come
queste abbiano interrotto o modificato il dispiegamento del progetto coloniale,
sottoponendo a una permanente riflessività e criticità tutte quelle premesse,
categorizzazioni e concetti che hanno celato, in maniera funzionale
all’imperialismo occidentale, la non trascurabile risposta dei colonizzati.
La critica postcoloniale si è sviluppata quindi in base ad un presupposto
epistemologico piuttosto semplice, quello d’identificare nel progetto coloniale uno
degli episodi chiave della storia dell’umanità, nel senso più generale che questo
rappresenta certamente un fenomeno costitutivo da cui è sorto il nostro presente
12
.
In effetti quello che i Postcolonial Studies mettono ampiamente in evidenza è che
il colonialismo è stato un “sistema” fatto di variabili politiche, economiche e
culturali che ha segnato in maniera del tutto indelebile la storia e la coscienza
tanto dei colonizzati quanto dei colonizzatori. E’ in questo modo che gran parte
delle rappresentazioni ideologiche, politiche, culturali e scientifiche nate proprio
in quel periodo storico, possono esser fatte rinvenire anche nelle nostre società
contemporanee. Questa nuova attenzione donata al sistema colonialista, permette
d’intravedere e ricordarci che gli effetti del colonialismo non sono ancora stati
superati o cancellati totalmente. In tal modo, secondo la prospettiva postcoloniale,
ogni tipo di analisi politica, economica e culturali che si arroghi il compito arduo
di comprendere la nostra realtà, non può prescindere dal prendere in
considerazione gli effetti che il colonialismo ha prodotto nelle società. Tuttavia,
10
Cfr. Pasquinelli, Carla, Mellino, Miguel, 2010, Cultura. Introduzione all’antropologia, op. cit.
pag. 265.
11
Molto interessanti, a tal proposito, sono le riflessioni sulla resistenza messa in atto dai
colonizzati di H. Bhabha e G. Spivak. Cfr. Pasquinelli, Carla, Mellino, Miguel, 2010, Cultura.
Introduzione all’antropologia, op. cit. pag. 265-271.
12
Ibid. pag. 271.
11
come mette in luce Mellino, sarebbe certamente sbagliato considerare le nostre
realtà e società contemporanee come delle semplici prosecuzioni e quindi come
mere ripetizioni del sistema coloniale. Si tratta piuttosto di prendere in
considerazione queste riflessioni per contestualizzare quella che i Postcolonial
Studies chiamano la nostra “condizione postcoloniale”, cercando di rilevare la
pregnanza delle rappresentazioni coloniali nel mondo contemporaneo, e
riconoscendo che questa si dispiega sia attraverso rapporti di continuità che di
discontinuità con il passato, decomponendosi e ricomponendosi lungo assi
spaziali inediti e attraverso forme, pratiche e discorsi relativamente nuovi
13
.
Come ho sottolineato in precedenza uno degli impulsi sostanziali che ha permesso
l’ascesa di questo campo di studi sono state le teorie anticoloniali, antimperialiste
nate durante periodo della decolonizzazione. Certamente una delle figure più
interessanti, contestualizzabili in quel determinato momento storico, è stata quella
di Frantz Fanon, un personaggio poliedrico, spesso incompreso, essenzialmente
scomodo. E’ così che, da qualche anno a questa parte, i Postcolonial Studies
hanno riportato in primo piano l’intera sua opera poiché particolarmente vicina
alle tematiche sviluppate in seno alla cosiddetta critica postcoloniale. In effetti, le
sue innumerevoli intuizioni politiche, socio-antropologiche e psico-esistenziali,
dedite costantemente alla comprensione del progetto coloniale e del probabile
sistema postcoloniale, si rivelano particolarmente pregnanti nell’identificare molte
delle caratteristiche, rappresentazioni e logiche che oggi suscitano l’interesse dei
molti studiosi legati alla corrente dei Postcolonial Studies. Tuttavia, vi è da dire
che una prima rilettura di Fratz Fanon si è concentrata essenzialmente su uno dei
suoi tesi più famosi, parlo di Pelle Nera, Maschere Bianche
14
. In un primo
momento, infatti, la riproposizione di Fanon, soprattutto tra i Cultural Studies e
all’interno dei Postcolonial Studies anglosassoni, ha significato concentrare
l’attenzione sulle sue teorie riguardanti le cause e gli effetti dell’alienazione e
della “interiorizzazione” culturale; insomma nei suoi confronti prevalevano letture
eccessivamente psicoanalitiche. Negli ultimissimi anni, invece, sono tornati ad
13
Cfr. Pasquinelli, Carla, Mellino, Miguel, 2010, Cultura. Introduzione all’antropologia, op. cit.
pag. 273.
14
Fanon, Frantz, 1952, Pelle nera. Maschere bianche: il Nero e l’Altro, trad. M. Sears, Milano,
TropeaEditore, 1996.
12
essere oggetto di grande discussione anche i suoi scritti “scomodi”, più
“maledettamente” politici, mi riferisco a I dannati della terra
15
, Per la rivoluzione
africana
16
e L’anno V della rivoluzione algerina
17
. Si tratta di testi rimasti a lungo
“rimossi” all’interno del mainstream delle scienze sociali, ma che oggi
rivendicano la loro grandissima rilevanza storica e interpretativa nell’analisi del
sistema coloniale, del razzismo, delle lotte di liberazione, sulle derive e i
paradossi postcoloniali. Oggi la “ri-contestualizzazione” di Fanon attraverso una
rilettura attualizzata di questi scritti, congiuntamente a quella di Pelle nera.
Maschere bianche, si rivela quindi di particolare interesse per molte delle nuove
ricerche postcoloniali.
Da parte mia con il presente lavoro di ricerca cercherò di estrapolare dal
complesso pensiero di Frantz Fanon tutte le riflessioni riguardanti la scienza
antropologica e quindi il suo concetto di cultura.
La metodologia di ricerca che adotterò sarà quella “rinvenire” nei e tra i suoi testi
il suo profondo interesse per le questioni riguardanti la cultura. Questo perché si
deve tener conto del fatto che il pensiero di Frantz Fanon si sviluppa a partire
dalle difficoltà che incontra, è contestuale, di conseguenza certamente non sempre
lineare; ma soprattutto perché quello che Fanon ci ha lasciato è un pensiero che
non si finisce mai di approfondire, poiché in continua evoluzione e mutamento.
Inoltre è importante sottolineare che Fanon non sarà mai orientato verso un
obiettivo esclusivamente culturale e antropologico, il suo percorso intellettuale si
muove su tematiche molteplici ed il suo intento è soprattutto politico. E’ per
questo motivo che il mio lavoro dovrà partire anche dal presupposto che
l’approccio multidimensionale adottato da Frantz Fanon, la mancanza di una netta
separazione tra le diverse discipline nei suoi scritti e il suo incredibile acume
verso stimoli “altri” sono dei limiti forti all’obiettivo che mi prefiggo.
Ciononostante, ho deciso di dividere il lavoro in base ad una schematizzazione
piuttosto semplice. Innanzitutto analizzerò la figura di Frantz Fanon a partire dalla
15
Fanon, Frantz, 1961, I dannati della terra, trad. C. Cignetti rivista da L. Ellena, Torino,
Einaudi, 2007.
16
Fanon, Frantz, 1964, Scritti Politici. Per la rivoluzione africana. Vol. I, Roma, Deriveapprodi,
2006.
17
Fanon, Frantz, 1959, Scritti politici. L’anno V della rivoluzione algerina. Vol. II, Roma,
Deriveapprodi, 2007.