4
INTRODUZIONE
Il recente sviluppo della tecnologia informatica, unito al rapido
diffondersi dell’utilizzo dei sistemi di comunicazione telematica, ha
indotto il legislatore – a livello planetario – a dover affrontare il
problema derivante dalla necessità di dover disciplinare ambiti prima
inesplorati.
Le ricadute economiche prodotte dalla commissione dei reati c.d.
informatici ha richiesto un tempestivo intervento delle autorità statali e
comunitarie al fine di regolamentare un settore in progressiva espansione.
La diffusione dell’uso di Internet, la “rete delle reti”, richiede risposte
certe soprattutto in termini di legislazione penale, risposte che devono
essere coordinate a livello di comunità sovra statali atteso che trattasi di
un fenomeno non circoscrivibile ad un singolo Stato.
Negli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo le macro aree che hanno
cominciato ad affrontare il problema in termini sistematici sono state il
Nord America e l’Europa.
L’approccio degli U.S.A è stato quello di partire da una definizione dei
termini utilizzati per descrivere tali fattispecie, per poi individuare entro
quali ambiti dover intervenire. Pur dovendo operare un netto distinguo tra
legislazione federale e quella prodotta dai singoli Stati, occorre dire che
l’attenzione è stata posta sui computer e sui sistemi telematici mentre la
normativa non ha intaccato l’ambito, residuale, dei sistemi elettronici.
In Europa, a parte la Gran Bretagna, che ha imboccato negli anni ’90 una
propria strada, individuando una serie di ipotesi di comportamenti
delittuosi, l’input è venuto dalla legislazione comunitaria che ha fatto da
pungolo verso gli Stati membri.
In Italia, la stessa legge n. 547 del 23.12.1993, è stata promulgata sulla
spinta di una Raccomandazione del Consiglio di Europa del 1989.
L’iter che ha portato alla promulgazione della legge n. 547 del 1993 è
stato lungo e laborioso ed ha visto la partecipazione di molteplici giuristi
oltre che di esperti informatici.
5
Partendo dalle due liste, minima e massima, stilate dal Comitato di
esperti nominato dal Consiglio d’Europa, nel 1989 fu istituita in Italia, su
iniziativa del Ministero della Giustizia, una commissione composta da
giuristi ed informatici, con il compito di valutare – in prima battuta – se
fosse possibile inserire talune delle fattispecie criminali in preesistenti
fattispecie penali oppure se era necessario provvedere ad una
elaborazione di nuove forme di reato.
La difficoltà di elaborare figure delittuose estremamente specialistiche,
legate al difficile contemperamento tra fattispecie penali “passate” con
concetti “nuovi” relativi all’I.C.T (Information communication
tecnology) ha condotto, come esito finale, alla introduzione nel codice
penale di figure nuove di reato, anche se alcune ricalcate, almeno in
parte, su vecchi canovacci.
Il risultato di tale lavoro fu la promulgazione della legge n. 547 del 1993,
titolata “Modificazioni e integrazioni delle norme del codice penale e del
codice di procedura penale in materia di criminalità informatica”.
Il legislatore italiano ha introdotto, quindi, nel codice penale nuove
fattispecie incriminatici tra le quali la frode informatica, di cui all’art.
640-ter. Per valutare la reale portata di tale norma occorre innanzitutto
chiarire l’esatto significato dei termini tecnici utilizzati per designare
l’oggetto materiale: il “sistema informatico e telematico”, i “dati”, le
“informazioni” e i “programmi”.
Sotto questo profilo, la norma italiana presenta alcune peculiarità rispetto
alle corrispondenti disposizioni adottate in altri Paesi, sia nel fare
riferimento al “sistema informatico o telematico” e non già al “processo
di elaborazione dati” che il sistema è predisposto a svolgere, sia nel
menzionare congiuntamente i “dati”, le “informazioni” e i “programmi”,
laddove i legislatori stranieri hanno per lo più optato per il solo binomio
“dati e programmi”, oppure per quello “informazioni e programmi”.
Ciò emerge chiaramente ponendo l’art. 640-ter a confronto con la
disciplina sulla frode informatica prevista dall’ordinamento francese,
spagnolo, tedesco ed anglosassone.
Da tale comparazione si evidenzia pure un altro dato importante,
ovverosia la globalità del fenomeno oggetto di trattazione.
6
Di estremo interesse risulta, peraltro, l’applicazione pratica del reato de
quo. Più precisamente, s’incorre nella trattazione di un fenomeno
all’ordine del giorno dato dall’invio delle c.d. e-mail di phishing.
Il phishing nasce come un fenomeno di social engineering che, tramite
invio da parte di ignoti truffatori di messaggi di posta elettronica
ingannevoli, spinge le vittime designate a fornire volontariamente
informazioni personali. Esso comprende diverse fasi e diversi tipi di
attacchi, anche se il mezzo più comune per il deceptive phishing,
attualmente, è il messaggio di posta elettronica.
Una forma moderna di attacco è inoltre costituita dal phishing basato su
malware che comporta l’esecuzione di software sul computer dell’utente,
all’insaputa di quest’ultimo. Anche il phishing basato sul codice maligno
può assumere varie forme.
Un’evoluzione delle tecniche di attacco phishing è costituita dal
pharming, una tecnica di cracking utilizzata per ottenere l’accesso ad
informazioni personali e riservate, con varie finalità.
L’obiettivo finale del pharming è il medesimo del phishing, ovvero
indirizzare una vittima verso un server web “clone” appositamente
attrezzato per carpire i dati personali della vittima, come numero di conto
corrente, nome utente, password, numero di carta di credito.
Giunti a questo punto, occorre necessariamente inquadrare
giuridicamente il fenomeno del phishing sotto il profilo penalistico.
Ardua impresa quest’ultima, visto che, come noto, nell’ordinamento
giuridico italiano non esiste una norma incriminatrice che
specificatamente prenda in considerazione il phishing.
Sussistono, tuttavia, diverse norme incriminatici penali nel cui alveo
sembrano potersi ricondurre, ad una prima analisi, le varie condotte nelle
quali si esplica il fenomeno del phishing.
Risulterà, pertanto, necessario distinguere le condotte poste in essere con
l’invio delle e-mail di phishing da quelle realizzate con l’ingresso dei
criminali in diversi forum di mediazione on line e canali chat, da quelle
realizzate con malware ovvero con vari tipi di codici maligni, cercando
di ricondurre ogni tipologia in una precisa fattispecie incriminatrice.
7
7
PARTE I
CAPITOLO I
LA TRUFFA TRA EVOLUZIONE STORICA E DIRITTO
VIGENTE.
Sommario: 1. 1. Premessa Storica; 1. 2. Il vigente articolo 640 codice
penale: truffa;
1. 3. Art. 640 c.p.: la ratio della norma ed il bene giuridico tutelato;
1. 3. 1. Il soggetto attivo della truffa; 1. 3. 2. Il soggetto passivo della
truffa;
1. 3. 3. In particolare: il controverso caso della c.d. truffa processuale;
1. 4. La condotta: gli artifici o raggiri e il mendacio; 1. 4. 1.
Continuazione: il silenzio;
1. 5. Il nesso eziologico tra la condotta e gli eventi naturalistici di truffa;
1. 5. 1. L’induzione in errore; 1. 5. 2. L’atto di disposizione patrimoniale;
1. 6. Gli eventi consumativi di truffa: danno e profitto ingiusto;
1. 6. 1. La depatrimonializzazione del danno: la c. d. truffa contrattuale;
1. 7. L’elemento psicologico: un reato a dolo generico; 1. 8. Il momento
consumativo;
1. 8. 1. Il tentativo; 1. 9. Le sanzioni; 1. 10. Le circostanze aggravanti;
1. 11. Le cause di non punibilità ex art. 649 c.p.; 1. 12. Rapporto con altre
figure di reato.
8
1. 1. Premessa storica
La configurazione giuridica della truffa è recente, risalendo solo al XIX
secolo ed il termine “truffa” deriva dal tedesco “Trug” (inganno, frode).
Lenti sono stati l’evoluzione e l’inquadramento in una fattispecie
normativa, nonché il processo di autonomia di fatti e comportamenti che
nel diritto romano rientravano nella nozione di furtum e soprattutto in
quella di falsum.
Nella nozione di falsum erano, infatti, comprese molteplici fattispecie
aventi in comune l’elemento dell’inganno ed era considerato fraudolento
il fatto che, pur non violando direttamente una legge penale, poteva
ugualmente essere represso
1
.
Tuttavia la natura di delitto pubblico del crimen falsi portava alla
conseguenza dell’impunità per non pochi episodi diretti alla lesione di
interessi privati in quanto estranei alla previsione della sanzione penale o
perseguibili attraverso l’azione di dolo.
Con le Costituzioni imperiali emanate all’epoca dei Severi, si affacciò
una nuova e del tutto particolare figura criminosa: lo stellionatus, così
denominato da stellio, il nome di un rettile velenoso la cui pelle assume
diverse colorazioni in relazione al mutamento della luce
2
.
La figura era indubbiamente suggestiva ed era prevista come crimen
extraordinarium:
si tentava, quindi, sia pure in modo approssimativo, di enucleare
situazioni che solo faticosamente erano state fatte rientrare nel falsum.
In effetti lo stellionatus nacque nel contesto di quella tendenza, tipica del
diritto romano, di render pubblica l’azione penale e di assegnare ad ogni
azione di diritto privato una corrispondente azione criminale pubblica. Lo
stellionatus tra appunto origine dall’azione pretoria privata
3
.
1
Si esprime in questi termini LA CUTE G., voce Truffa, in Enc. dir., vol. XLV, Milano,
1992, p. 237 ss.
2
Si veda in particolare SCHAFSTEIN F., Das Delikt des Stellionatus in der
gemeinrechtlichen Strafrechtsdoktrin. Eine Studie zur Entstehungsgeschichte des
Betrugstatbestandes, ora in Abhandlungen zur Strafrechtsgeschichte und zur
Wissenschaftsgeschichte, Aalen, 1986, p. 171 ss.
3
Così TOLOMEI C., Della truffa e di altre frodi, Roma, 1951, p. 51 ss.
9
La figura dello stellionatus, pur potendo essere considerata un chiaro
precedente della truffa, intendeva perseguire tutti quei comportamenti
diretti ad ingannare, con modificazioni della realtà;
rivestiva una evidente funzione sussidiaria nei confronti del falsum, con
confini ampi ed imprecisi, sicuramente oltre le frodi di natura
patrimoniale
4
.
La stessa pena, di fronte ad una figura di reato così generica e
polivalente, non era determinata, ma affidata alla discrezionalità del
giudicante; ma non si andava oltre la sanzione dei lavori penali.
Nel diritto germanico non si rinvengono tracce della figura dello
stellionatus; tuttavia, non mancano concreti riferimenti nel nostro diritto
intermedio; permaneva il carattere di sussidiarietà, in un equivoco
rapporto, con il reato di falsum, con la confermata maggiore capacità di
attrarre nei propri confini alcune situazioni che nel diritto romano
potevano rientrare nella figura dello stellionatus:
il reato era infatti caratterizzato unicamente dalle forme fraudolente delle
offese ed era posposto a tutela di qualunque interesse per il quale
mancava una specifica incriminazione
5
.
L’autonomia del reato di truffa deve essere ascritta al merito dei
compilatori del codice francese del 1810, che ipotizzava come reato il
fatto di “escroquer la totalitè ou la partie de la fortune d’autrui”
6
.
La frode patrimoniale attraverso la “mise en scène” influenzò il codice
toscano che, peraltro, denominò truffa il fatto di appropriarsi
indebitamente di cose altrui e designò come “frode” quella categoria di
reati in cui l’usurpazione dei beni altrui si commette con l’inganno e con
raggiri fraudolenti: si giustificò la scelta in quanto la parola truffa era
intesa, nel linguaggio comune, per designare una speciale categoria di
reati commessi mediante l’astuzia ed il raggiro sulla vittima, mentre il
vocabolo frode era preferibilmente usato per caratterizzare i fatti che
4
Si veda in particolare BERTAZZOLI F., Decisivarum consultationem sive
responsorum iuris in criminalibus et poenalibus controversis emissi Libri, Francoforte,
1602, p. 374 ss.
5
Così RICHERI D., Universa civilis et criminalis iurisprudentia, Lodi, 1829, p. 137 ss.;
Così FARINACCIO A., Praxis et teorica criminalis, Lugduni, 1635, p. 33 ss.
6
Si veda GRAVEN J., L’escroquerie en droit pènal suisse, Basilea, 1947, p. 5 ss. ; Si
veda CHARTIER A., Figure della furfanteria. Marginalità e cultura popolare in
Francia tra Cinquecento e Seicento, Roma, 1984, p. 146.
10
hanno per loro fondamento la menzogna e l’inganno, con un significato
quindi più ampio e comprensivo
7
.
Significativa è l’identità della pena, nel codice toscano, tra la frode ed il
furto semplice.
L’art. 404 del codice toscano puniva, infatti, colui che otteneva qualcosa
con l’attribuzione di un nome, di una qualità, di una commissione che
non aveva, provocando speranze e timori; colui che dolosamente
vendeva, permutava, dava in pagamento od impegnava cose altrui come
se fossero proprie, o cose con scarso valore come se fossero preziose;
colui che alienava a due diversi acquirenti lo stesso immobile ed alienava
ad ipoteca come libero un immobile vincolato; colui che dolosamente
cedeva un credito già esatto o ceduto ad altri oppure pur essendo già stato
pagato il suo credito si faceva dolosamente riconoscere per creditore ed
esigeva nuovamente il pagamento; colui che dolosamente sottraeva la
cosa propria al detentore e poi chiedeva la restituzione e se ne faceva
pagare il prezzo ed infine, con una norma chiaramente di chiusura, colui
che dopo aver sorpreso l’altrui buona fede con artifizi, maneggi e raggiri
diversi da quelli precedentemente descritti, si procurava un ingiusto
profitto con altrui danno
8
.
Erano considerate inoltre frodi sia la sottrazione dolosa di cosa propria al
sequestro giudiziale, sia il furto di possesso nel ritogliere il pegno al
creditore.
Nel codice sardo, in vigore fino al codice Zanardelli, la truffa si
sostanziava nel farsi consegnare o rilasciare denaro, fondi, mobili,
obbligazioni, disposizioni, biglietti, quietanze non dovute, avendo carpito
la totalità o parte dei beni altrui, avendo agito sia facendo uso di falsi
nomi e di false qualità impiegando raggiri fraudolenti per far credere
l’esistenza di false imprese, di un potere, di un credito immaginario, per
far nascere il timore o la speranza di un successo, di un accidente o di un
altro accidente chimerico, o con qualsivoglia altro artificio o maneggio
doloso atto ad ingannare od abusare dell’altrui buona fede
9
.
7
In tal senso SBRICCOLI M., voce Truffa, in Enc. dir., vol. XLV, Milano, 1992, p.
236.
8
In tal senso, SBICCOLI M., voce Truffa, cit., p. 237.
9
Così TOLOMEI C., op. cit., p. 51 ss.
11
Nei lavori preparatori del codice Zanardelli, nel prevedere il reato di
truffa, si riflette tutta la cultura dell’ultimo scorcio del secolo XIX.
Il risultato fu l’art. 413 c.p. Zanardelli, che metteva in una formula
legislativa gli esiti ultimi di una risalentissima gestazione dottrinale:
“Chiunque, con artifizii o raggiri atti a ingannare o a sorprendere l’altrui
buona fede, inducendo alcuno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto
profitto con altrui danno, è punito con la reclusione sino a tre anni e con
la multa oltre le lire cento”.
Stabilite nello stesso articolo alcune aggravanti, vennero disciplinati a
parte, sempre nello stesso titolo, altri comportamenti fraudolenti quali la
dolosa distruzione di cose proprie, l’abuso delle passioni e
dell’inesperienza di persone incapaci, le frodi in materia di emigrazione,
l’abuso di foglio in bianco.
Il codice poneva anche chiare condizioni per separare e distinguere la
truffa dal millantato credito, dalla frode in commercio, dall’abuso
dell’altrui credulità e dall’appropriazione indebita, dal falso, dallo stesso
peculato
10
.
I compilatori del codice Rocco confermarono e recepirono le critiche
dell’autorevole dottrina nei confronti del metodo descrittivo analitico-
casistico
11
e confermarono le scelte per una formula decisamente
sintetica, sopprimendo nei confronti del codice Zanardelli solo la
qualificazione degli artifizi e dei raggiri che, secondo il codice del 1889,
dovevano essere “atti ad ingannare e sorprendere l’altrui buona fede” che
è, in realtà, ciò che si richiede alla fine; vale a dire l’attitudine
ingannatoria, una soppressione apparsa doverosa e necessaria, per i
compilatori del codice, per coerenza con le disposizioni di parte generale
sul tentativo e sul nesso di causalità
12
.
10
Si veda in particolare Relazione a S. M. il Re del Ministro guardasigilli Zanardelli
nell’udienza del 30 giugno 1889, per l’approvazione del testo definitivo del Codice
Penale, Roma, 1889, p. 156 ss.
Così Relazione della Commissione della Camera dei deputati, in Lavori preparatori del
codice penale italiano del 1889, Torino, 1889, p. 233.
Così Relazione al Senato del Regno, in Lavori preparatori del codice penale italiano
del 1889, Torino, 1889, p. 291.
11
In tal senso TOLOMEI C., op. cit., p. 180 ss.; Così MANCINI P. S., La truffa nel
codice penale italiano, Torino, 1930, p. 5 ss.
12
Si veda in particolare Relazione del Guardasigilli, in Lavori preparatori del codice
penale e del codice di procedura penale, V, pt. II, Roma, 1929, p. 459.
12
In effetti già la giurisprudenza, nell’applicazione dell’art. 413 del codice
Zanardelli, distingueva in relazione all’idoneità del raggiro i casi di
tentativo da quelli di truffa consumata, pervenendo spesso alla
conclusione di ritenere irrilevante ogni indagine sulla idoneità degli
artifizi e dei raggiri in caso di truffa consumata
13
.
Appare evidente come il sistema penale posto a tutela del patrimonio si
presenti come uno strumento di protezione di un valore e di un interesse
privato ed interviene nel caso di trasgressione di regole extrapenali poste
per regolamentare lo svolgimento dei rapporti privati
14
.
1. 2. Il vigente articolo 640 codice penale: truffa
Il vigente codice penale, nel Capo II “Dei delitti contro il patrimonio
mediante frode” del Titolo XIII “Dei delitti contro il patrimonio” del
Libro II “Dei delitti in particolare”, comprende l’art. 640 c.p. che
disciplina il delitto di truffa.
L’articolo recita: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in
errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 51 a €
1.032.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da € 309 a
€ 1.549 :
1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o
col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un
pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un
ordine dell’Autorità;
2bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo
61, numero 5).
13
Cfr. Cass., sez. II, 15 maggio 1902, Leggeri, in Cassazione unica penale, 1902, XIII,
1360; Cfr. Cass., sez. II, 14 dicembre 1898, De Vitis, in Corte suprema, 1898, 724.
14
In questi termini SGUBBI F., Reati contro il patrimonio, in Enc. dir., vol. XXXII,
Milano, 1992, p. 337 ss.
13
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra
taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un’altra
circostanza aggravante”.
1. 3. Articolo 640 codice penale: la ratio della norma ed il bene
giuridico tutelato
L’adozione di una formula decisamente sintetica appare strutturalmente
rivolta ad affrancare la figura criminosa della truffa da possibili ostacoli e
difficoltà applicative, considerando la norma come una “clausola
generale di tutela del patrimonio, inteso in tutti i suoi aspetti economici
ed in tutte le implicazioni giuridiche che ne derivano”
15
, avuto riguardo a
ben delineati comportamenti la cui dimensione operativa risulta appunto
caratterizzata da precise note tipicizzanti modali.
In particolare, i rapporti intercorrenti tra l’esigenza di tutela del
patrimonio, la libertà delle dichiarazioni negoziali ed il contenuto della
disposizione in oggetto sottolineano in modo nettissimo come
l’operatività della norma non sia in nessun caso identificabile con una
generica forma di tutela nei confronti di qualsiasi attentato fraudolento
all’integrità e consistenza patrimoniale, ma che, viceversa, la protezione
apprestata dall’ordinamento per il tramite dell’art. 640 c.p. si manifesta e
si esprime in relazione alle specifiche “modalità che contraddistinguono
l’aggressione condotta contro la sua integrità”
16
.
Sotto questo profilo, l’ambito di estensibilità della norma non appare
quindi suscettibile di interpretazioni estensive rivolte ad attribuire
prevalente rilievo all’elemento della libertà dispositiva dell’soggetto
passivo, per altro verso, a prendere in considerazione il danno
patrimoniale determinatosi a seguito di un comportamento fraudolento di
un terzo, senza tenere conto dell’intrinseca struttura del mezzo o “del
15
In tal senso, TOLOMEI C., op. cit., p. 180 ss.
16
Si veda in particolare MARINI G., Delitti contro il patrimonio, Torino, 1999, p. 126
ss.; Così GALLO M., L’elemento oggettivo del reato, Torino, 1963, p. 132 ss.; Così
CARNELUTTI F., La tutela penale della ricchezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1961, p.
7.
14
collegamento richiesto dal legislatore, fra il verificarsi di un certo evento
psicologico ed il prodursi di un danno”
17
.
La rilevanza dell’aggressione all’altrui integrità patrimoniale si pone in
coerenza con la funzione svolta dalla norma nel sistema, laddove appunto
il disvalore della condotta posta in essere assume senso e significato in
relazione al constatato verificarsi di ben delineati eventi e risultati
pregiudizievoli.
Il bene protetto nell’art. 640 c.p. va identificato nel patrimonio in quanto
offendibile attraverso il ricorso alla frode: per cui l’intangibilità dei beni
patrimoniali viene salvaguardata riguardo alla libertà di disporne al riparo
da capziose intromissioni altrui
18
.
Una prima concezione del patrimonio valevole anche nel delitto di truffa,
come bene giuridico tutelato, è fornita dalla prospettazione giuridica del
Binding e del Merkel che si rifacevano ad un concetto strettamente legato
al diritto civile e perciò identificato con la somma dei diritti soggettivi
patrimoniali facenti capo ad una persona.
Secondo la prospettazione economica il patrimonio è definito come
l’insieme dei beni economicamente rilevanti appartenenti ad un soggetto.
Le cose devono possedere un valore di scambio secondo la logica del
mercato, ma è indifferente che la vittima possa esercitare su di esse un
diritto soggettivo
19
.
Il concetto di patrimonio può anche ricomprendere mere aspettative
fattuali di guadagno, pretese non ancora esigibili o invalide dal punto di
vista giuridico.
Tende a prevalere la concezione economico-giuridica secondo la quale il
patrimonio è caratterizzato tanto dalla effettiva rilevanza economica,
quanto dalla dimensione giuridico formale delle cose che ne fanno
parte
20
.
17
Si esprime in questi termini MARINI G., Profili della truffa nell’ordinamento penale
italiano, Milano, 1970, p. 132 ss.
18
In tal senso FIANDACA G., MUSCO E., Diritto penale. Parte speciale. I delitti
contro il patrimonio, vol. II, tomo II, V ed., Bologna, 2007, p. 161 ss.
19
Si esprime in questi termini RIONDATO S., Commento art. 640 c.p., in
Commentario breve al codice penale, a cura di Crespi A., Forti G., Zuccalà G., VI ed.,
Padova, 2009, 1846 ss.
20
Si veda in particolare MANTOVANI F., Diritto penale. Parte speciale II. Delitti
contro il patrimonio, III ed., Padova, 2009, p. 135 ss.; Così ANTOLISEI F., Manuale di
diritto penale. Parte speciale, vol. I, XV ed., Milano, 2008, p. 153 ss.
15
Secondo altri nel patrimonio oggetto di tutela ex art. 640 vanno inclusi
solo i beni economici, i diritti e gli obblighi che costituiscono interessi
comunque tutelati dall’ordinamento giuridico e che siano suscettibili di
una valutazione economica.
La valutazione non può essere fatta dall’interessato, ma dal terzo con un
giudizio concreto, fondato sulle circostanze e sulle esigenze concrete di
una generalità di soggetti
21
.
In giurisprudenza è stato affermato che la ratio della punibilità della
truffa risiede non solo nell’interesse patrimoniale del singolo, tutelato
dalla disciplina civilistica dei contratti, ma piuttosto nell’interesse
pubblico affinché non sia stata intaccata la libertà del consenso delle parti
contraenti
22
.
Dopo aver affermato che il patrimonio è inteso come complesso di diritti,
rapporti e situazioni giuridiche a contenuto patrimoniale e che pertanto,
per patrimonio può intendersi un complesso di diritti valutabili in denaro,
cioè come complesso di beni economicamente valutabili
23
, la
giurisprudenza ha più recentemente precisato che ai fini penalistici “per
patrimonio deve intendersi il complesso dei rapporti giuridici
economicamente e talora anche soltanto finalisticamente valutabili, di cui
un determinato soggetto abbia la titolarità”
24
e che nella nozione di
patrimonio sono comprese anche quelle cose che seppur prive di reale
valore di scambio, rivestono interesse per il soggetto che le possiede
25
.
Parte della dottrina rileva che i vizi della volontà nei rapporti basati sul
libero consenso delle parti mettono in pericolo la solidarietà sociale
26
.
Secondo altri il bene patrimonio è da considerarsi funzionale allo
sviluppo della personalità, sempre più correlata alla tutela di posizioni
economiche individuali
27
.
21
Così CORTESE G., La struttura della truffa, Napoli, 1968, p. 76 ss.
22
Cfr. Cass., sez. II, 1. 2. 1983, Pivari, in Giust. pen., 1983, II, 692; Cfr. Cass., sez. II,
25. 3. 1983, Picchi, in Cass. pen., 1983, 1446; Cfr. Cass., sez. II, 24. 10. 1983,
Mercandini, in Cass. pen., 1983, 1387.
23
Cfr. Cass., sez. II, 26. 2. 1980, Casulli, in Cass. pen., 1980, 281; Cfr. Cass., sez. III, 3.
3. 1980, Villani, in Giust. pen., 1980, II, 300.
24
Cfr. Cass., sez. II, 23. 3. 1985, Galente, in Foro it., 1985, II, 273.
25
In tal senso anche MAGGINI A., La truffa, Padova, 1988, pag. 73 ss. .
26
Si esprime in questi termini MARINI G., Profili della truffa nell’ordinamento penale
italiano, Milano, 1970, pag. 132 ss.; Così SAMMARCO G., La truffa contrattuale, II
ed., Milano, 1988, pag. 86 ss. .
27
Così MANTOVANI F., Diritto penale, cit., pag. 154.
16
Non si tratta soltanto di un reato contro il patrimonio ma anche di un
reato a tutela della libertà del consenso: una fattispecie che avrebbe
potuto essere inserita tra i reati di falso visto che ha come oggetto sia la
persona umana e sia un bene reale come il patrimonio di quest’ultima
28
.
Secondo autorevole dottrina il legislatore non ha ritenuto di dover
configurare una fattispecie generale di frode, ma ha previsto la truffa a
tutela della libertà del consenso nel caso che provochi un danno di natura
patrimoniale.
Secondo altri si è di fronte ad un reato che colpisce la personalità
intellettuale della vittima.
La condotta antigiuridica e contro buona fede altera l’equilibrio
contrattuale deviando dai normali criteri di utilizzabilità, inducendo la
controparte a prestare un consenso viziato e lesivo di interessi protetti
dall’ordinamento giuridico, sia ponendo in essere un comportamento
pregiudizievole non voluto, sia trasformando la fonte creatrice del
rapporto in un dannoso mezzo di ingiusto profitto
29
.
La truffa è un fatto lesivo dell’attività economica che non può svolgersi
in contrasto con l’utilità sociale ed in modo da recare danno alla libertà e
alla dignità umana ex art. 41, II comma, Costituzione. La truffa
rappresenta un comportamento inequivocabilmente dannoso per
l’organizzazione della vita comune
30
.
Di attività economica collettiva ha parlato parte dell’autorevole dottrina
come risultante dai rapporti economici che si stringono tra i singoli: il
suo punto di equilibrio riposa sulla libertà delle determinazioni che
animano questi rapporti, ossia sulla libertà volitiva dei contraenti nei
negozi giuridici che li fissano e li realizzano. Allora chi turba la volontà
di un contraente creando un falso motivo per disporre in un senso
qualsiasi della sua cosa, mobile od immobile, attenta al normale
svolgimento dell’economia collettiva e privata insieme, attentando alla
28
Si esprime in questi termini LA CUTE G., voce Truffa, in Enc. dir., vol XLV,
Milano, 1992, 237 ss.
29
In questi termini SAMMARCO G., La truffa contrattuale, cit., pag. 73; Così LA
CUTE G., voce Truffa, cit., pag. 56.
30
Si esprime in questi termini RIONDATO S., Commento art. 640 c.p., cit., pag. 43 ss.