~ 7 ~
Introduzione
Forse l‟opera di nessun altro architetto è stata imitata come quella di Palladio, in
così tanti paesi e per così tanto tempo. Ciò è dovuto in parte alla divulgazione dei suoi
progetti e delle sue idee sull‟architettura grazie al trattato I Quattro Libri dell’Architettura
(Venezia, 1570), ma anche al fatto che la maggior parte dei suoi edifici, tuttora esistente,
testimonia la sua grandezza.
Il lavoro qui proposto è l‟esame di una sua creazione in parte sottovalutata, il
ninfeo di villa Barbaro a Maser. L‟obiettivo è quello di giungere ad una completa
conoscenza, mediante una lettura storica, strutturale e critica.
Molti sono gli studiosi che si sono interessati a questo manufatto, ma nonostante
ciò, in pochi sono giunti a delle conclusioni certe su di esso. Spesso si tratta di
considerazioni marginali o parziali su alcuni aspetti del ninfeo e sulle circostanze in cui
venne realizzato.
Le maggiori lacune riguardano lo studio delle fonti documentarie che solo Basso
ha indagato a largo raggio anche negli archivi ecclesiastici riunendo i risultati delle sue
ricerche nel volumetto Cronaca di Maser delle sue chiese e della villa palladiana dei
Barbaro, pubblicato nel 1968; per quanto riguarda l‟analisi critica della struttura
architettonica oltre agli apporti di Zorzi, del Burns, forse il più completo rimane quello di
Lionello Puppi e di Donata Battilotti, edito nel 2006. La Azzi Visentini, mediante i suoi
numerosi approfondimenti, ha reso possibile studiare in maniera esaustiva l‟ambito dei
giardini veneti nel Cinquecento, mentre il Lewis e la Kolb, affrontando la decorazione
scultorea del ninfeo e della grotta, hanno tentato di dare una lettura iconografica
pertinente e delle attribuzioni corrette.
Lo studio qui esposto è organizzato in tre parti: nella prima si analizzano le
vicende della villa e del retrostante giardino segreto, dal momento in cui i due
committenti affidarono l‟incarico a Palladio e al Vittoria, fino alle trasformazioni e alle
modifiche che vennero apportate nel corso del tempo passando di proprietà dai Barbaro ai
loro eredi. Nella seconda parte, dopo un‟analisi del giardino cinquecentesco in Veneto e
a Maser, si guarda al fulcro di questo elaborato, il ninfeo e la grotta, analizzando la
decorazione scultorea. La parte conclusiva termina con una comparazione tra l‟opera
palladiana e le influenze romane coeve, da villa Giulia, a villa Madama, oltre a villa
d‟Este di Tivoli.
~ 9 ~
ANALISI STORICA
~ 11 ~
1.1 I Barbaro: committenti di Andrea Palladio
I Barbaro
1
furono un‟importante famiglia patrizia veneziana passata alla storia per
aver avuto tra le proprie fila ben quattro Patriarchi e grazie ai meriti di alcuni membri
come i fratelli Marcantonio (1518-1595) e Daniele (1514-1570), i quali commissionarono
alla famosa triade Palladio, Veronese e Vittoria la costruzione della villa di Maser.
2
Le ricerche d‟archivio fatte finora dai vari studiosi per rintracciare l‟archivio
privato dei Barbaro sono risultate infruttuose. Eppure di tale archivio, il Cecchetti
dichiarava che “nel 1847 esisteva a Venezia presso la famiglia di Giovanni e Marcantonio
Barbaro un archivio privato”.
3
Apostolo Zeno annotava, invece, che i preziosi manoscritti
dei Patriarchi Ermolao e Daniele Barbaro erano custoditi, con molta precisione, dalla
famiglia Nani della Giudecca, alla quale erano pervenuti in eredità assieme agli atti e le
carte attraverso la famiglia Basadonna.
4
Il Cicogna, nel 1853, scriveva che la biblioteca
dei Barbaro era ricca di libri d‟arte e di storia, però: “venduti in parte anche sono”.
5
Alcuni di questi manoscritti furono donati dalla famiglia Nani alla Biblioteca Marciana,
dove tuttora si trovano.
6
Secondo l‟Agnoletti, la famiglia dei Barbaro, “nobilissimi veneziani”, comparve a
Maser nella metà del 1300.
7
A sua volta, Francesco Zanotto, scriveva: “in questo grazioso
paesello la cospicua famiglia Barbaro veneziana fin dai primi tempi della Repubblica
aveva acquistato assai terre, attacchè, come risulta da antichissimi catasti, era riguardata
come principale posseditrice”
8
. I Barbaro possedevano in paese una casa di campagna,
prima della sontuosa villa palladiana fatta erigere dal Patriarca Daniele e dal fratello
Marcantonio, e ciò è storicamente accertato attraverso le denunzie fatte al fisco. Per Puppi
e Battilotti, alcuni interessanti indizi potrebbero consentire l‟avvicinamento ad un più
1
Vedi albero genealogico in appendice.
2
Basso, 1987, pag. 9 – 11
3
Cecchetti, 1880 - 1881, voll. II, pag .162
4
Zeno, 1829, pag. 206
5
Giolito de‟ Ferrari, 1559, pag. 833. Tipografo veneziano, considerato il più grande editore della
letteratura in volgare, il cui apporto è stato più volte menzionato dalla Azzi Visentini e dallo Zorzi.
6
Basso, 1987, pag. 10
7
Agnoletti, 1898, pag. 85
8
Zanotto, 1851, tavola XVII
ANALISI STORICA
circoscritto punto cronologico, sebbene gli incerti contorni potranno probabilmente essere
messi a fuoco solo quando sarà completamente agibile la sezione del Notarile di
Bassano
9
, depositato presso l‟Archivio di Stato di Treviso.
10
1.1.1 Daniele Barbaro
Daniele Matteo Alvise Barbaro è sicuramente una figura di spicco nel panorama
veneziano del XVI secolo: intellettuale di rilievo, poliedrico ed eclettico, fu un rinomato
diplomatico.
11
Figlio di Francesco Barbaro ed Elena di Alvise Pisani, nacque a Venezia l‟8
febbraio 1514. Durante la giovinezza coltivò le passioni per le scienze e le arti con buoni
risultati. Dopo aver compiuto gli studi primari nella sua città natale, dove frequentò la
celebre scuola di Rialto, s‟iscrisse all‟università di Padova dedicandosi ad alcuni filoni di
studio: filosofia; matematica, astronomia ed ottica; medicina e scienze naturali,
laureandosi nel 1540, nella facoltà delle arti. Nel 1545 ricevette il suo primo incarico
ufficiale: fornire il disegno del Giardino dei Semplici dell‟Università, creato con decreto
del Senato il 29 giugno di quell‟anno. Nel 1548 venne nominato Provveditore di Comun e
nello stesso anno è inviato come ambasciatore straordinario della Repubblica Veneta alla
corte di Enrico VIII in Inghilterra. Ritornato a Venezia, il 1° aprile 1550 pronunciò in
Senato la sua relazione, dopo la quale venne insignito della carica di storico ufficiale ed
incaricato di scrivere la storia della Repubblica in continuazione di quella del Bembo.
Nello stesso anno il Papa Giulio III lo innalza alla carica di coadiutore del Patriarca di
Aquileia, Giovanni Grimani, col titolo di “Patriarca eletto”,
12
in quanto non subentrerà
mai al suo predecessore e ciò gli permise di dedicarsi completamente agli studi. Subito
9
Tiepolo, 1990, pag. 41
10
Puppi, Battilotti, 2006, pag. 313 - 314
11
Manca a tutt‟oggi una monografia su Daniele Barbaro. L‟unico che ha preso in considerazione i diversi
aspetti della sua complessa personalità è stato P.J.. Laven, Daniele Barbaro, Patriarch Elect of Aquileia,
with Special Reference to his Circle of Scholars and to his Literary Achievements, tesi di Ph. D., University
of London, 1954
Per informazioni di carattere generale:
Basso, 1968, pag. 47-52
Marangoni, 1996, pag. 397 – 415
Zorzi, 1959, pag. 113 – 114
Zorzi, 1966, pag 161- 162
Zorzi, 1969, pag. 169 - 170
12
Significa che il Patriarca stesso designa il suo successore.
ANALISI STORICA
~ 13 ~
dopo, il Senato lo nominò come proprio rappresentante al concilio di Trento al quale
partecipò attivamente dall‟inizio del 1562 sino alla sua conclusione nel 1563.
Il Barbaro, fin dagli anni patavini, oltre ad aver contribuito all‟Accademia degli
Infiammati nel 1540, si dedicò a ricerche in campo naturalistico e filosofico ed occupa un
posto di primo piano pure nella trattatistica architettonica del „500. Prima della partenza
per l‟Inghilterra (1548), iniziò una nuova traduzione di Vitruvius Poliio I dieci libri
dell’architettura, una vera e propria summa del sapere tecnico – scientifico antico e
moderno, nella quale raccolse anche preziose notizie dei suoi viaggi e studi inserendoli
nei Commenti che illustrano quasi ogni periodo del testo vitruviano. Con questa
personalizzazione egli dimostra di conoscere i maggiori filosofi antichi e le opere più
recenti di estetica, d‟arte e di prospettiva; ricordò spesso l‟opera fondamentale
dell‟Alberti e quella di Gian Jacopo Leonardi, (ambasciatore a Venezia del Duca di
Urbino); il Durer (per la simmetria del corpo umano) ed il Serlio (per il suo trattato
d‟architettura). Studioso di architettura ed architetto “dilettante” egli stesso, il Barbaro
desiderava, per la grande opera alla quale egli stesso attendeva, la collaborazione del
Palladio, affermatosi a Vicenza in seguito alla vittoria per le logge del Palazzo della
Ragione e divenuto famoso in tutta la regione. Nell‟annotazione conclusiva dei suoi
Commenti dichiara: “…ne i disegni de le figure importanti ho usato l‟opera di Mes.
Andrea Palladio vicentino architetto…”
13
Palladio ed il Barbaro si conobbero probabilmente nel 1550. Nella nota all‟opera
I Dieci Libri di Vitruvio Pollione tradutti et commentati da Mons. Barbaro patriarca
eletto di Aquileggia, pubblicata nel 1556, Daniele dichiara che vi lavorò per 9 anni,
quindi l‟opera era iniziata nel 1547. Il Palladio invece si era fatto conoscere a Venezia già
dal 1548 grazie al suo protettore Giangiorgio Trissino. Fu proprio questo poeta ed
umanista a guidarlo nella sua formazione culturale improntata soprattutto sullo studio dei
classici, a condurlo, infine, più volte a Roma.
E‟ normale pensare che due figure di spicco come il Barbaro e il Palladio finissero
col conoscersi e iniziare la loro proficua collaborazione. Lo stesso Barbaro afferma che
l‟architetto vicentino gli era già stato particolarmente utile nelle visite di alcuni
monumenti antichi del Veneto, di cui era un grande conoscitore. L‟architetto infatti lo
accompagnò in un sopralluogo alle rovine del Teatro Berga di Vicenza e nei suoi
13
Nota alla fine del Libro I di Vitruvio tradotto e commentato dal Barbaro.
ANALISI STORICA
Commenti al tratto di Vitruvio il Barbaro riporta le stesse misure e quasi le stesse parole
usate dal Palladio.
L‟amicizia si era poi rinsaldata nel 1554 quando il maestro vicentino si era recato
a Roma
14
“con alcuni amici venetiani”
15
tra i quali dovettero esserci sia Daniele Barbaro e
il di lui fratello, Marc‟Antonio, oltre al poeta Maganza e al Thiene. Il suo soggiorno
romano durò fino al novembre dello stesso anno e fu sicuramente molto proficuo, è molto
probabile che avessero potuto vedere il progetto per la villa d‟Este a Tivoli, preparato dal
Ligorio, e villa Giulia, al cui ninfeo lavorava Bartolomeo Ammannati, che il Barbaro
aveva forse già conosciuto a Padova.
16
che diede poi spunti effettivi per la costruzione
della villa di Maser.
Nel marzo 1555 si assenta nuovamente da Vicenza, ma questa volta col premesso
dello stesso Provveditore alla costruzione delle Logge, Lodovico Trissino, al quale chiese
regolare “licentia di andar in certi soi servitii per servitio di alcuni signori venetiani”. Il
ritorno a Venezia è dovuta al fatto che il Barbaro stava allestendo la pubblicazione della
sua traduzione dei Commenti all‟opera di Vitruvio per la quale il Palladio doveva
preparare le relative illustrazioni. A questa collaborazione, oltre allo stesso Barbaro,
accenna anche una poesia di Gio.Battista Maganza indirizzata a Daniele Barbaro
contenuta nella prima parte delle sue Poesie rustiche pubblicate a Venezia nel 1558, e
nella quale il poeta parla del Palladio come “architetto eccellentissimo il quale si può dire
che è un nuovo Vitruvio”, accennando che il Barbaro
“senza Barba Andrea
Che g‟ha si certamente insegnolò
Quel bel Svertulio che g‟hi deschiarò
El se vede ivelò
In po de ferri ivrar le man e‟l becco
E la snatura che xe l‟archeteco.
E so de domene stecco
Que differentia xe caro Paron
Da vu a mi, da‟n Palazzo a un cason?”
17
14
I viaggi a Roma di Palladio furono numerosi: nel 1541 accompagnato dal Trissino, e vi ritornerà poi
anche verso la fine del 1545 assieme al Trissino, al pittore G.B.Maganza e al poeta Marco Thiene.
Nuovamente nel 1547, poi per un breve periodo nel 1549 e nel 1554, viaggio di cui parleremo
immediatamente.
15
Gualdo, 1959.
16
Azzi Visentini, 1995, pag. 159 - 172
17
Traduzione: “E senza l’aiuto di zio Andrea Palladio che così egregiamente ha interpretato quel bel
Vitruvio che voi avete chiarito si vede colà usare, in luogo di attrezzi, le mani e il becco (le rondini) e la
natura ne è l’architetto. E già, in nome di Dio, che differenza vi è, caro signore padrone, fra voi e me, fra
un palazzo e una cascina?” in Azzi Visentini, 1996, pag. 401
ANALISI STORICA
~ 15 ~
Dall‟accenno al Maestro fatto in questa poesia alcuni studiosi hanno ritenuto che
anche Villa Barbaro a Maser fosse stata eseguita prima del 1558, ma tale ipotesi non è
stata confermata né da documenti né dal linguaggio architettonico.
Daniele Barbaro muore a Venezia il 12 aprile 1570, ma, per umiltà, non volle
essere seppellito nella cappella dei Barbaro in S.Francesco della Vigna, bensì “in campo
santo per mezzo l‟organo”, con due pietre sotto il capo, vestito da Patriarca con mitra,
anello e crosetta al collo. Il luogo dove era scavata la sua fossa non è più conosciuto.
18
Nel suo testamento si ricordò anche del Palladio.
1.1.2 Marcantonio Barbaro
Nato il 22 settembre del 1518, e quindi di qualche anno più giovane di Daniele,
anche lui come il fratello, era uno dei più affezionati estimatori e protettori del Palladio e
si occupava di architettura.
19
Marcantonio pratica la scultura “per sua ricreazione” tanto che il Ridolfi,
20
nelle
sue Meraviglie dell’arte gli attribuisce le statue esterne del ninfeo della villa di Maser.
Anche il Ceredi si occupa di questo intellettuale ed artista, in una pubblicazione del 1567,
afferma che si dilettava anche di “opere matematiche e meccaniche” e quindi egli aveva
potuto apprezzare anche una macchina mostratagli dal Palladio “per alzare le acque
da‟luoghi bassi”.
La sua giovinezza trascorse tra gli studi umanistici e giuridici, secondo l‟indirizzo
tradizionale della famiglia, ed alla maggiore età intraprese la carriera dei pubblici uffici.
Marcantonio fu soprattutto uno statista di spicco e uno straordinario uomo politico:
ambasciatore presso Caterina de‟Medici nel 1561 (reggente al trono di Francia durante le
guerra di religione) e dal Gran Visir dei Turchi Selim II alla vigilia della battaglia di
Lepanto (1571),
21
Provveditore all‟Arsenale, Procuratore di San Marco e Provveditore
del Sale, (magistrato al quale spetta il finanziamento di molte delle opere pubbliche,
18
Basso, 1968, pag. 52
19
Studi che offrono informazioni di carattere generale sono:
Berenson, 1960, pag 14 – 19
Tavernor, 1992, pag. 46
Zorzi, 1969, pag. 170
20
Ridolfi, 1648, pag. 75
21
Inviato alla corte ottomana come successore di Iacopo Soranzo. Durante la sua permanenza fu reso
prigioniero a Costantinopoli, ma riuscì a mantenere relazioni epistolari col governo veneziano collaborando
così alla pace del 1573.