5
Introduzione
«Gli argentini del XXI secolo dovranno farsi carico di
[molte delle contraddizioni] della loro identità […] Come
quella di avere cittadini con fortune immense, impossibili
da spendere, e cittadini che vivono con un dollaro al giorno.
Considerarsi eccezionali anche rispetto alla legge o sempre
vittime della sorte, senza accettare le proprie responsabilità.
Credere sempre di essere i migliori del mondo e che gli
errori sono parte del destino. Risparmiare poco anche se si
accumulano i debiti. Laici, poco praticanti della religione,
ma adolescenti nella ricerca permanente di dei, idoli o eroi.
Essere fanfaroni, ma solidali. Avere una capitale europea, ma
un territorio quasi deserto. Produrre alimenti per nutrire dodici
volte la propria popolazione, ma avere milioni di indigenti.
Essere amanti della famigli e degli amici, ma non credere
nella fedeltà. Incolpare di tutto i leader politici dai quali
sarebbero stati traditi, ma senza impegnarsi in movimenti politici
per sostituirli. Essere eleganti e superbi anche quando si è persa
la fede nel proprio destino come società. Difendere le cose
proprie come ossessione patriottica, ma sognare l’estero.»
1
Argentina? Paese dei paradossi. Si tratta di una definizione alquanto
scarna ma che esemplifica con precisione il carattere di questa nazione
sudamericana, della sua popolazione e della sua storia. Fra tutte le
contraddizioni legate all‟Argentina, la più eclatante è quella che riguarda
l‟andamento del suo sviluppo economico e il processo di decadenza che ha
vissuto il paese nel corso di gran parte del XX secolo, attirando l‟attenzione di
numerosi studiosi, quasi come un rompicapo senza via di uscita
2
.
«They once aspired to becoming one of the world’s advanced nations,
but they failed»
3
, e il fallimento è ancora più clamoroso, considerando che
l‟Argentina gode di un clima mite, possiede sconfinate estensioni di terre fra le
1
M. Seoane, Argentina: Il paese dei paradossi, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 230.
2
«It will never be completely understood how a country with tremendous potential has had
such a contorted past» (D. G. Erro, Resolving the Argentine paradox, London, Lynne Rienner
Publishers, 1993, p. 12); della Paolera e Taylor parlano invece di «Argentine puzzle» (G. della
Paolera e A. M. Taylor, a cura di, A new economic history of Argentina, Cambridge,
Cambridge university press, 2003, p. 2).
3
P. H. Lewis, The Crisis of Argentine Capitalism, Chapel Hill, The University of North
Carolina Press, 1990, p. 1.
6
più fertili al mondo, dispone di abbondanti risorse naturali, non escluso il
petrolio, e usufruisce di un privilegiato accesso al mare grazie alla lunghezza
delle sue coste. Inoltre la popolazione è sostanzialmente omogenea, nonché
ben istruita per gli standard dell‟America Latina e (fino a circa un secolo fa)
della stessa Europa. La vita culturale del paese è sempre stata vivace e lo è
tuttora, grazie a un discreto sistema universitario e all‟attività di numerose
personalità artistiche e scientifiche di livello mondiale; da segnalare, a titolo di
esempio, la sviluppata industria nucleare, la ricerca nel campo aerospaziale e,
ironia della sorte, la presenza di numerosi economisti che insegnano nelle più
prestigiose università mondiali. Tale disponibilità di risorse naturali e capitale
umano dovrebbero creare delle condizioni favorevoli a un‟economia fiorente,
ma l‟Argentina non è mai riuscita ad entrare nel club delle nazioni più
industrializzate ed anzi ha visto aumentare il gap rispetto alle economie più
avanzate.
Grafico 1. Evoluzione relativa del reddito pro capite dell’Argentina
Reddito pro capite argentino come percentuale del valore medio di quello di Stati Uniti,
Regno Unito, Francia, Germania, Belgio, Italia, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Brasile.
Fonte: P. Gerchunoff e L. Llach, Ved en trono a la noble igualdad. Crecimiento, equidad y
política económica en la Argentina, 1880-2003, Buenos Aires, Fundación PENT, 2003, p. 8.
Nel grafico qui riportato, utile per visualizzare l‟evoluzione storico-
economica in cui si colloca il periodo analizzato dalla presente tesi, il reddito
7
pro capite argentino è confrontato con la media del reddito di nazioni di prima
industrializzazione (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Belgio), di
nazioni assimilabili al paese sudamericano per vicende storiche e
caratteristiche strutturali (Australia, Canada, Nuova Zelanda) e di Stati legati
all‟Argentina per ragioni migratorie (Italia) o commerciali (Brasile).
Il quadro che emerge è a dir poco sconfortante: difatti nel 1910,
centenario del primo governo nazionale, l‟Argentina era la decima economia
mondiale, il suo PIL rappresentava il 50% di tutta l‟America Latina ed il suo
interscambio ammontava al 7% del commercio totale globale
4
. Nel 1913 il PIL
pro capite superava quello francese, era il doppio di quello italiano e quasi
cinque volte di quello giapponese
5
; quasi un secolo dopo, nella classifica
mondiale dei paesi in base al reddito pro capite della popolazione, l‟Argentina
si colloca nel 2008 intorno al cinquantesimo posto
6
.
Fino agli anni Cinquanta l‟Argentina veniva definita come «the stirring
Colossus of the South, destined infallibly to become one of the world’s greatest
nations»
7
e grandi aspettative forgiavano il suo futuro, ma nel XXI secolo di
quel paese florido e di quelle lodi e promesse è rimasta soltanto l‟amara
coscienza della decadenza, per aver dissipato in meno di un secolo la propria
ricchezza.
La peculiare situazione di un paese una volta sviluppato, poi decaduto,
fa dell‟Argentina un interessante oggetto di studio per gli economisti, un
«laboratorio straordinario», come scrive Francesco Giavazzi
8
, oppure un
gigantesco campo di prova per testare la validità delle teorie economiche,
4
Cfr. J. I. García Hamilton, Historical Reflections on the Splendor and Decline of Argentina,
in «Cato Journal», XXV (2005) n. 3, p. 528.
5
Cfr. A. Maizels, Industrial growth and world trade, Cambridge, Cambridge University
Press, 1963, p. 17.
6
In base al PIL pro capite corretto tenendo conto della parità del potere d‟acquisto,
l‟Argentina nel 2008 occupa la 58° posizione secondo i dati del FMI e la 47° secondo le stime
della Banca mondiale.
7
D. Rock, Argentina, 1516-1987: From Spanish Colonization to Alfonsín, Londra, Tauris,
1987, p. xxi.
8
F. Giavazzi, Prefazione a V. Tanzi, Questione di tasse: La lezione dall’Argentina, Milano,
EGEA/Università Bocconi Editore, 2007, p. viii.
8
dove, come afferma cinicamente l‟economista argentino de Pablo, «what is a
cost for the population is a source of inspiration for economists»
9
.
E molti accademici hanno cercato di spiegare il declino argentino,
evidenziando come, oltre ad avere tutte le carte in regola per il successo,
preesistevano elementi che ne hanno frenato lo sviluppo. Emergono così dei
fili rossi presenti dai tempi dell‟indipendenza (o anche prima), lungo i quali si
susseguono gli eventi storici e che rappresentano chiavi di lettura utili per
interpretare anche i problemi attuali. I più importanti, sui quali ritornerò anche
nel lavoro di tesi, sono:
- l‟inefficiente organizzazione statale, con distorsioni e deficit
democratico nell‟amministrazione della cosa pubblica;
- la mancata strutturazione di un sistema politico in grado di guidare lo
sviluppo del paese, ostaggio dei diversi gruppi di interesse (fra cui i
militari) e impegnato – dalla seconda metà del XX secolo – a distribuire
risorse per mantenere il consenso (da cui un ipertrofico apparato
pubblico e un‟inflazione cronica);
- il conflitto, originante nella differente strutturazione geografica e
strategia di sviluppo perseguita, fra le province interne e la città di
Buenos Aires: emblema di questo scontro erano nel XIX secolo le
guerre civili, che poi hanno lasciato il posto ad un inefficiente sistema
di compartecipazione fiscale;
- la dipendenza nei confronti dei flussi di capitali internazionali, a causa
dei bassi livelli di risparmio della popolazione, e una storia
plurisecolare di indebitamento estero;
- un‟industrializzazione tardiva e inefficiente, la mancanza di una sana
relazione tra settore primario e manifatturiero e la continua distorsione
dei prezzi relativi, a scapito dei settori esportatori;
9
De Pablo continua affermando che «economists who live in Switzerland had to imagine the
effects of maxidevaluations, the impact of inflationary shocks or balance of payments
bottlenecks; in Argentina it was just a question keeping the eyes open... and translating
reality in the language of professional economists» (J. C. de Pablo, Economists and Economic
Policy: Argentina since 1958, paper presentato in occasione della XXXIV Reunión Annual de
la Asociación Argentina de Economía Política, Rosario,1999, p.13).
9
Per risalire alle origini delle carenze del sistema Argentina, è necessario
fare qualche accenno all‟epoca coloniale. Molti autori incontrano in questo
periodo le risposte riguardo al differente grado di sviluppo fra Nord e Sud
America e, in particolare quelli anglosassoni, trovano nel fattore culturale
risolutive spiegazioni di questo divario.
Per quanto riguarda il fattore geografico, va detto che il territorio che
formerà gli Stati Uniti era in una posizione notevolmente favorevole rispetto a
gran parte del continente, in quanto a risorse, morfologia, accesso alle
principali vie di comunicazione. Questo fattore da solo non è per ovvie ragioni
(l‟Argentina in queste caratteristiche era molto simile al paese nordamericano)
sufficiente a spiegare le profonde differenze con il Sud; semmai bisogna far
riferimento a divergenze più profonde relative al tipo di società e dei suoi
componenti che si stava affermando a Nord e a Sud del Rio Grande.
Nell‟America Settentrionale emigravano famiglie intere, in territori
scarsamente popolati, mentre gli spagnoli trovarono le parti più densamente
popolate del Nuovo Mondo e scelsero di mischiarsi con i locali. Vi erano
inoltre differenze di prospettiva politica: i coloni nordamericani provenivano
da una società di dissidenti ed erano moderatamente più aperti alle nuove idee,
mentre gli spagnoli non erano certo venuti per rompere con la tradizione; al
contrario, intendevano servirsene per diventare ricchi. Scrive Landes a
proposito: «in questo simulacro di società iberica, la capacità, la curiosità, le
iniziative e la coscienza civile del Nord America erano tutte assenti. La stessa
Spagna era deficitaria sotto questi aspetti, a causa della sua docilità e
omogeneità spirituale, della sua ricchezza e vanagloria, ed esportò di
conseguenza oltre oceano le proprie debolezze»
10
. Sempre sul piano politico,
l‟indipendenza in America Latina non scaturì dall‟ideologia e dall‟iniziativa
politica dei coloni, ma bensì dalle debolezze e sventure interne della Spagna e
del Portogallo; i coloni nordamericani invece fecero la loro rivoluzione e, una
volta battuta la Gran Bretagna, possedevano già un proprio senso d‟identità e
uno spirito nazionale.
10
D. Landes, La ricchezza e la povertà delle nazioni: Perché alcune sono così ricche e altre
così povere, Milano, Garzanti, 2002, p 313.
10
Sul piano economico, riferendosi all‟America Latina, Rock sottolinea la
continuità fra sistema coloniale basato sul tributo e sul monopolio delle risorse
e quello ottocentesco della rendita, con un passaggio senza soluzione di
continuità tra l‟encomendero del XVI secolo e l‟estanciero del XIX, il quale
nelle vesti di caudillo faceva il bello e cattivo tempo in un contesto di
apparente repubblica democratica
11
.
Nel frattempo al Nord fu favorito con vigore l‟arrivo di nuovi
immigrati, la gran parte dei quali proveniva dalle isole britanniche e
dall‟Europa nordoccidentale; quasi tutti erano istruiti ed erano attratti dalla
prospettiva degli economici appezzamenti demaniali di piccole dimensioni
nonché degli alti salari e ben pochi si stabilirono nel sud schiavista. In
Argentina, il paese latinoamericano meno popolato, l‟immigrazione fu
osteggiata per lungo tempo e prese piede solo verso la fine del secolo,
costituita principalmente da persone originarie dell‟Europa meridionale in fuga
dalla povertà. Una volta giunti sulle rive del Río de la Plata gli immigrati, a
differenza dei coloni nordamericani, non entravano in possesso di terre, perché
erano già divise in lotti giganteschi tra l‟oligarchia terrateniente.
Fra le eredità più durature dell‟epoca coloniale altri autori, oltre al già
citato Landes, sottolineano gli aspetti culturali della società ispanica, rispetto a
quelli degli anglosassoni. Con eccessiva generalizzazione Crassweller afferma
che «Perón was the personification of Argentina’s Hispanic and Creole
civilization in which qualities like authoritarianism, intolerance, hierarchy,
corporatism, personalism, machismo, honor and individualism are inherited
from Spain»
12
. Anche García Hamilton (argentino) addossa alla perversa
attitudine spagnola molte colpe, a partire dalla chiusura religiosa fino alla
xenofobia, passando per la stratificazione sociale e il mancato rispetto della
legge, mentre sul piano politico ed economico i lasciti più evidenti sono
l‟assolutismo e il mercantilismo
13
.
11
Rock, Argentina, 1516-1987, cit., p. xxv.
12
R. D. Crassweller, Perón and the Enigmas of Argentina, citato in Lewis, The Crisis of
Argentine Capitalism, cit., p. 5.
13
Cfr. García Hamilton, Historical Reflections on the Splendor and Decline of Argentina, cit.,
pp. 530-533.
11
Sicuramente, d‟accordo con Fukuyama, risulta difficile ridurre il tutto a
una supposta superiorità culturale della società anglosassone rispetto a quella
ispanica e fra gli elementi riconducibili alla passata esperienza coloniale utili a
spiegare la disparità tra le due Americhe, acquista un‟importanza fondamentale
il diverso affermarsi delle istituzioni, intese come stato di diritto, indipendenza
del potere giudiziario, rispetto del diritto di proprietà, lotta alla corruzione
14
.
Sul piano istituzionale, quindi, lo Stato in Argentina si ritrovò ad essere
ostaggio di interessi incrociati particolari e ad operare in maniera inefficiente,
e finì per costituire uno strumento da utilizzare per soddisfare scopi personali.
Come scriveva Borges nel 1930, «el argentino, a diferencia de los americanos
del Norte y de casi todos los europeos, no se identifica con el Estado. Ello
puede atribuirse al echo general de que el Estado es una inconcebible
abstracción; lo cierto es que el argentino es un individuo, no un ciudadano.
Aforismos como el de Hegel “El Estado es la realidad de la idea moral”, le
parecen bromas siniestras»
15
Allo stesso modo la transizione verso un sistema realmente democratico
e pluralista in Argentina non si è ancora realizzata; ciò è dovuto all‟inettitudine
del sistema politico di catalizzare virtuosamente le istanze sociali. All‟inizio
del XX secolo, dominavano gli oligarchi e i conservatori, mentre si stava
formando un ceto medio urbano esteso e istruito oltre che una classe operaia.
Tuttavia i settori popolari rimasero al di fuori della contesa politica fino
all‟avvento di Perón. La sua figura congelerà il sistema nei decenni seguenti
impedendo ulteriori evoluzioni. Un sistema dove il ruolo del protagonista è
giocato dai gruppi di pressione (militari, sindacati, industriali, latifondisti,
investitori/creditori esteri) e il successo del governo dipende dall‟aver
soddisfatto o meno le richieste di tali poteri corporativi. L‟espansione
dell‟apparato pubblico, con la conseguenza dei deficit crescenti e dell‟alta
inflazione, risponde pienamente a questa logica.
14
Fukuyama confuta le tesi basate su fattori geografici o culturali e si sofferma sugli aspetti
istituzionali (Cfr F. Fukuyama, a cura di, Falling Behind: Explaining the Development Gap
Between Latin America and the United States, Oxford, Oxford University Press, 2008, pp.
268-280).
15
J. L. Borges, Evaristo Carriego, Buenos Aires, Alianza Editorial, 1976, p. 114.
12
Il meccanismo di partecipazione alla vita politica nazionale rimane
quindi debole (se slegato dalla rappresentazione dei gruppi) e favorisce la
ricerca di soluzioni populiste o antidemocratiche con il tentativo della lotta
armata da un lato e il continuo intervento dei militari dall‟altro. Nelle parole di
Lewis si ritrova il fallimento della realizzazione di un solido ordine politico:
«no democracy ever appears, only disorder; non solid authoritarian state, but
merely military regimes haunted by their lack of legitimacy and fearing
retribution for their crimes; no revolutionary situation, but terrorism»
16
.
Dall‟esperienza peronista si deriva una riflessione aggiuntiva
sull‟inadeguatezza della classe politica argentina: il populismo di Perón, così
come quello di Getulio Vargas in Brasile, fino ad arrivare a quello di Hugo
Chávez in Venezuela, costituisce l‟esempio di come in America Latina, ma
anche in altre parti del mondo ex coloniale, i militari «progressisti» hanno
avuto un ruolo di surrogato di un partito borghese riformista
17
. In questo
scenario sconfortante, la buona notizia è data dal fatto che le possibilità di
intervento da parte dei militari non offrono al giorno d‟oggi in Argentina
un‟opzione credibile e costituisce un rimarcabile progresso la circostanza che
in occasioni di gravi stravolgimenti sociali, come la crisi del 2001, le forze
armate siano rimaste nelle caserme.
Torniamo ora agli aspetti economici della transizione dal colonialismo
all‟indipendenza e delle differenze di sviluppo fra le due metà del continente.
Nell‟America del Nord prima dell‟indipendenza si erano già affermate le
prime attività manifatturiere (nel tessile), che grazie agli altri salari, dovuti alla
scarsità di manodopera, richiamavano molti immigrati e, sin dalla fine del
XVIII secolo, cominciarono ad essere introdotti negli Stati Uniti macchinari
volti ad affermare la standardizzazione industriale. Invece, per quanto riguarda
gli Stati ex colonie iberiche, le economie non cambiarono corso e l‟obiettivo
rimaneva quello di produrre surplus (agricoltura, allevamento, industria
mineraria, selvicoltura) da scambiare con manufatti esteri; laddove Alexander
16
Lewis, The Crisis of Argentine Capitalism, cit., p. 6.
17
Cfr. P. Moscato, Il risveglio dell'America Latina: Storia e presente di un continente in
movimento, Roma, Edizioni Alegre, 2008, p. 30.
13
Hamilton invitava gli Stati Uniti a sviluppare l‟industria, anche ricorrendo al
protezionismo, e a competere con l‟Europa, in America Latina per l‟industria
fu fatto veramente poco.
Nel XIX secolo l‟Argentina era la nazione latinoamericana dotata di
maggiori credenziali; sviluppatasi intorno al porto di Buenos Aires, prima
grazie al contrabbando (fino a quando la politica coloniale spagnola indirizzò
tutto il traffico commerciale in uscita da Potosí verso la via andino-pacifica)
poi grazie al riconoscimento nel 1776 del Vicereame del Río de la Plata,
possedeva un territorio immenso, in gran parte sconosciuto e prevedibile
fondamento per un futuro sviluppo. In effetti era il paese più simile agli Stati
Uniti per condizioni naturali e accessibilità, caratterizzato da distese adatte per
allevamento, bestiame e pecore, ottimo terreno per la coltivazione dei cereali e
alcune aree per colture di semi tropicali quali zucchero e cotone. Nel 1896 in
Argentina c‟erano solo 3,9 abitanti per ogni kilometro quadrato di terra fertile,
una proporzione sensibilmente inferiore rispetto a quella di altre economie di
frontiera come Stati Uniti (49 abitanti/km
2
) o Canada (39 abitanti/km
2
)
18
. Tale
condizione spinse naturalmente il paese verso un modello incentrato sulle
esportazioni agricole che lo allontanò dalla strada dell‟industrializzazione,
ponendo le condizioni per le quali l‟Argentina sarebbe retrocessa dal club delle
nazioni più sviluppate.
A dire il vero la scarsa popolazione (mercato ristretto) e la mancanza
proprio di quelle materie prime necessarie per avviare un processo di
industrializzazione (carbone, ferro) complicavano la situazione e richiedevano
un intervento dello Stato; ma nello stesso periodo altre economie di frontiera
con vocazione agro-esportatrice (Canada, Australia, Nuova Zelanda) avevano
già intrapreso dei processi di industrializzazione, ottenendo dei tassi di crescita
maggiori
19
.
18
Cfr. Gerchunoff e Llach, Ved en trono a la noble igualdad, cit., p. 3.
19
Questi sono i livelli di reddito di alcune economie di frontiera espressi in dollari del 1985:
nel 1890, USA 3.101, Argentina 1.515, Australia 3.949, Canada 1.846; nel 1913, USA 4.846,
Argentina 2.370, Australia 4.553, Canada 3.515; nel 1950, USA 8.605, Argentina 3.112,
Australia 5.970, Canada 6.112 (Cfr. Landes, La ricchezza e la povertà delle nazioni, cit. p.
332).
14
Specializzandosi nelle esportazioni, l‟Argentina ricalcava fedelmente il
modello dei vantaggi comparati, ma, come dice Bairoch, «in una certa fase
l‟industrializzazione diventa una scelta quasi obbligata per raggiungere un
elevato livello di sviluppo»
20
, anche da raggiungere con misure di stampo
protezionistico. Con le parole di Landes, «l‟economia teorica è qualcosa di
statico basata sulle condizioni dell‟epoca; quella pratica è un processo
dinamico, che costruisce sull‟astinenza di oggi l‟abbondanza di domani. Se i
tedeschi avessero dato ascolto a John Bowring… Questo straordinario
economista-viaggiatore inglese lamentò che quei pazzi di tedeschi volevano
produrre oro e acciaio invece di continuare a coltivare grano e segale e
comprare manufatti dalla Gran Bretagna. Se lo avessero ascoltato avrebbero
compiaciuto gli economisti e sostituito il Portogallo con il suo vino, sughero ed
olio d‟oliva, in quanto modello assoluto di razionalità economica. Ma
avrebbero finito anche con l‟essere molto più poveri»
21
.
In Argentina le prime forme di industrializzazione arrivarono tardi,
all‟inizio del nuovo secolo, portate avanti dal capitale straniero e
principalmente legate alla produzione agricola (industria alimentare); il paese
si rivelava altamente dipendente dai mercati e dai capitali di soggetti
economici esteri come il Regno Unito o gli Stati Uniti, additati per questo
come i responsabili di tutti i problemi che affliggevano l‟economia.
Una fase di industrializzazione vera e propria si installò nel paese solo a
partire dagli anni Trenta, a causa della contrazione del mercato mondiale. Si
trattava del modello dell‟industrializzazione per sostituzione delle importazioni
(ISI) caratterizzato appunto da una politica di sostituzione delle importazioni e
da alte tariffe, regolamentazioni discriminatorie, barriere non tariffarie alle
importazioni. Tali misure possono funzionare (v. Stati Uniti nel XIX secolo e
Giappone nel XX), se si perseguono standard competitivi di livello mondiale e
si preveda un‟apertura commerciale successiva. Tali stimoli in America Latina
sono mancati, generando un‟industria inefficiente e obsoleta.
20
P. Bairoch, Economia e storia mondiale: I miti e i paradossi delle leggi dell'economia in un
saggio polemico e provocatorio, Milano, Garzanti, 1998, p. 178.
21
Landes, La ricchezza e la povertà delle nazioni, cit. p. 325.