11
II LE FONTI DEL DIRITTO DEL
COMMERCIO INTERNAZIONALE
Considerato che al contratto internazionale è potenzialmente
applicabile una pluralità di norme di origine differente, è
necessario individuare le fonti rilevanti in tal senso, compito non
semplice, data l'attuale fase di incompletezza del diritto
commerciale internazionale
14
(o transnazionale, come
preferiscono dire in molti).
Le grandi codificazioni dell' ottocento, frutto del
nazionalismo giuridico
15
, portarono al crollo della law merchant
come diritto comune, esistente già dal basso medioevo. Inoltre il
commercio internazionale, fenomeno economico più imponente
del secolo scorso, è stato palesemente ignorato dai legislatori
nazionali, non a caso bollati di "vergogna"
16
da David. Infatti, in
molti casi, norme valide all'interno non valgono all'esterno
dell'ordinamento, né risultano norme dettate specificamente per
il commercio internazionale. Eccezioni abbastanza isolate
riguardano quasi esclusivamente gli ordinamenti socialisti, che lo
sottopongono a regime speciale, includendo disposizioni che
tengono conto delle peculiari esigenze degli operatori
internazionali. Esempi importanti sono rappresentati dal codice
cecoslovacco del commercio internazionale del 1 aprile 1964;
dalla legge della Repubblica democratica tedesca sui contratti
economici internazionali del 5 febbraio 1976; dalla legge cinese
sui contratti economici con l'estero del 21 marzo 1985, benché
14
Lando O., European Contract Law, all’interno di Sarcevic P., International Contracts and Conflicts of Law,
1990
15
Galgano F., Storia del diritto commerciale, 1980
16
David, Il diritto del commercio internazionale, in Riv. dir. civ., 1976
12
quasi tutti i paesi socialisti europei abbiano dettato regole
particolari per il commercio internazionale
17
. Sono casi in cui si è
sentita la necessità sia di fornire una base comune alle imprese
di Stato che operano con soggetti stranieri, e sia di tutelare gli
interessi degli operatori stranieri, inserendo non a caso nozioni
ed istituti non presenti nei rispettivi ordinamenti ma che hanno
trovato cittadinanza in quelli occidentali.
Il commercio internazionale, per il quale una disciplina
uniforme è condizione essenziale, si muove comunque verso uno
spazio comune
18
. Le convenzioni internazionali offrono in questo
contesto una buona soluzione per salvaguardare le sovranità
nazionali, i cui ordinamenti restano tuttora la fonte principale per
la disciplina dei contratti internazionali
19
. Abbiamo già accennato
all’utilità delle legge statali emanate apposta per regolare gli
scambi transnazionali, ma importanza rilevante hanno acquistato
nel tempo i principi di diritto internazionale privato, le
convenzioni di diritto materiale uniforme e naturalmente gli usi,
le regole e gli istituti sviluppati nel tempo dagli operatori
commerciali, che confluiscono nella ormai formalmente
riconosciuta lex mercatoria
20
.
17
in Gazz. Val. comm. int., 1985, con commento di Bertinelli
18
Berger, The Creeping Codification of the Lex Mercatoria, 1999
19
Ademuni e Odeke, The Law of International Trade, 1999
20
Berger, The Creeping Codification of the Lex Mercatoria, 1999
13
2.1 LEGGI NAZIONALI E LEGISLAZIONE
EUROPEA
Laddove le parti non abbiano richiamato espressamente
delle fonti non nazionali
21
, il contratto internazionale sarà
sottoposto alla legge nazionale che risulterà applicabile in base
alle norme di diritto internazionale privato del foro.
Ciò non esclude che la giurisprudenza tenga poi conto del
contesto internazionale in cui è inserito il contratto e interpreti in
modo più elastico determinate norme non ritenute idonee per
regolare rapporti commerciali internazionali, dai quali spesso
derivano clausole particolari, all’interno del contratto, che non
troverebbero omologhi in rapporti interni.
Si riscontra spesso, quindi, da parte dei giudici arbitrali,
l’esigenza di interpretare la norma nazionale in modo più
flessibile, o di integrarla con principi esterni all’ordinamento o
tratti dalla prassi commerciale. La casistica non è povera di
esempi :
Sentenza arbitrale CCI. 7528/93: l’arbitro ha considerato
derogabili norme (imperative) francesi sulla sous - traitance
riguardo un contratto di subfornitura tra due imprese francesi da
eseguirsi in Pakistan.
22
Sentenza arbitrale CCI 8486/96: l’arbitro ha affermato
che, nell’interpretare una norma olandese da applicare ad un
contratto internazionale, non si dovrà tener conto
dell’orientamento in vigore nei Paesi Bassi ma di quelli vigenti nel
21
Nygh P., Autonomy in International Contacts, 1999
22
in Yearbook, XXII-1977, pag. 125 ss.
14
diritto dei contratti internazionali, come quelli espressi dai
Principi UNIDROIT.
23
Sul piano del diritto comunitario, invece, a fronte di una
crescente importanza dello stesso nel regolare i rapporti
all’interno della comunità, si registrano ancora scarsi risultati
nell’armonizzazione della contrattualistica internazionale tra
imprese (diversamente buoni risultati si sono avuti riguardo ai
contratti tra imprese e consumatori) ,con un unico marginale
intervento in materia di agenti di commercio (direttiva CEE n.
86/653 del 1986).
Influenza notevole su determinati contratti o clausole, ha
invece la normativa antitrust europea, che condiziona
considerevolmente la libertà degli operatori.
In prospettiva, infine, è sicuramente da segnalare l’iniziativa
curata dalla commissione guidata dal professore Ole Lando, che
ha elaborato i “Principles of European Contract Law”, una
codificazione “privata” che potrebbe portare ad un futuro codice
europeo delle obbligazioni
24
( vedi 2.5.1).
23
in Clunet, 1998, pag.1047.
24
(The) Commission on European Contract Law, “Principles of European Contract Law” Parts I and II, 2000, e
Part III, 2003
15
2.2 CONVENZIONI INTERNAZIONALI
Nel vastissimo campo in questione possiamo focalizzare
l’attenzione su quelle riguardanti i settori di maggiore interesse
per la nostra ricerca :
Convenzioni di diritto internazionale privato
Le parti di un contratto possono scegliere in autonomia la
legge applicabile allo stesso
25
, mentre sono previsti criteri di
collegamento, per determinare la legge applicabile, laddove non
si sia proceduto in tal senso. Tuttavia le norme di diritto
internazionale privato possono variare sensibilmente da uno
stato all’altro
26
, col risultato che la stessa controversia,
sottoposta a giudici di paesi diversi, porti all’applicazione di leggi
sostanziali differenti.
Attraverso la convenzioni, gli Stati aderenti rendono
uniformi le proprie di discipline di diritto internazionale privato in
particolari settori, cercando di ottenere una omogeneità nei
criteri di decisione applicati nei vari fori.
Al 1955 risale la Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile
alla vendita internazionale, sostituita poi dal testo del 30 ottobre
1985. La prima convenzione prevede l’applicazione della legge
scelta dalle parti o risultante indubitabilmente dalle disposizioni
del contratto (art. 2). In assenza di scelta si farà riferimento, in
prima istanza, alla legge del paese di residenza del venditore,
oppure, se l’ordine è ricevuto da una sede del venditore in un
altro paese, alla legge di tale paese (art. 3., primo
comma).Qualora però l’ordine sia stato ricevuto dal venditore
25
Nygh P., Autonomy in International Contacts, 1999
26
Di Matteo Larry A., The law of international contracting
16
stesso, o da un suo rappresentante, agente o commesso
viaggiatore, nel paese del compratore, si applicherà la legge di
quest’ultimo paese (art. 3, secondo comma).
Una grave manchevolezza di detta convenzione appare
l’assenza di disposizioni per i contratti tra presenti, dando quasi
per scontata la trasmissione di un ordine, che non è tuttavia
l’unica modalità di vendita. Altro elemento di incertezza riguarda
la disciplina dei vizi apparenti, che prevede, salvo diverso
accordo contrattuale, l’applicazione della legge del paese in cui la
merce consegnata deve essere esaminata (art. 4). Sembra
opportuno esprimere in tal senso una espressa scelta
contrattuale di contenuto differente.
La successiva Convenzione del 1985 abbandona invece in
criterio del ricevimento dell’ordine, ed in deroga al principio
generale che prevede l’applicazione della legge del venditore,
laddove il contratto sia stato negoziato e concluso nel paese del
compratore, prevede l’applicazione della legge di quest’ultimo
(art. 8).
La Convenzione di Roma del 1980 (ratificata dall’Italia con
legge 975/84, ed espressamente citata dall’art. 57 della legge
218/95, che riforma il sistema di diritto internazionale privato)
oltrepassa il contratto di vendita e tratta delle obbligazioni
nascenti da ogni tipo di contratto. Anche qui è riconosciuta alle
parti di scegliere la legge applicabile, che può tuttavia risultare
anche “in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del
contratto o dalle circostanze” (art. 3). In mancanza di scelta,
l’art. 4 prevede l’applicazione del principio del “collegamento più
stretto” del contratto, o col paese in cui la parte che deve fornire
la prestazione ha residenza abituale, o, nel caso di beni immobili,
col paese in cui l’immobile è situato, o, per il trasporto di merci,
col paese in cui il vettore ha la sua sede principale, se detto
17
paese coincide con quello in cui si trova il luogo di carico o
scarico o la sede principale del mittente.
La scelta della legge sostanziale alla quale applicare il
contratto è quindi fondamentale e ben più precisa delle sole
decisioni riguardanti il foro competente o il luogo dell’arbitrato.
La giurisprudenza internazionale mostra infatti come gli
arbitri non diano per scontato che la legge da applicare sia quella
dello stesso paese sede dell’arbitrato. La sentenza arbitrale CCI
6345/91 è esemplare a questo proposito: in una controversia che
riguardava i membri (tedeschi e canadesi) di un consorzio, per
l’esecuzione di un’opera in Cina, la determinazione della legge
era rinviata al contratto principale. Sembrava quindi logico
applicare la legge cinese (paese col quale il contratto presentava
il collegamento più stretto), ma questa soluzione sarebbe stata
contraria alle intenzioni delle parti, essendo detta legge
oggettivamente inadeguata. Pertanto fu scelto l’arbitrato a
Stoccolma.
Tuttavia per giungere all’uniformità del diritto commerciale
internazionale, non è sufficiente creare convenzioni come quelle
enunciate, potendo le stesse leggi essere applicate in modo
diverso dai giudici di paesi diversi. Occorre applicare le leggi
uniformi in modo uniforme
27
. Questo principio è stato affermato
anche dalla Corte di Cassazione: “ non è consentito, sulla base di
una norma interna avente diversa area di applicazione, dare ad
una norma di derivazione internazionale diretta a regolare il
traffico internazionale un significato diverso da quello risultante
dalla formula per essa adoperata e dalla comune intenzione degli
Stati contraenti. La norma di derivazione internazionale [...] non
può essere interpretata per mezzo di una norma interna”.
28
27
Bonell Michael J., Non-Legislative means of Harmonization, in United Nations, uniform commercial law in
the twenty-first century, 1992
28
Cass. 24 giugno 1968, n. 2106, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1969, pag. 914.
18
Lo stesso orientamento viene ribadito dall’art. 2, comma 2,
della legge 218/95 sul diritto internazionale privato, secondo cui
nell’interpretazione delle convenzioni internazionali “si terrà
conto del loro carattere internazionale e dell’esigenza della loro
applicazione uniforme”.
Convenzioni di diritto materiale uniforme
Mirate a superare il problema della difformità tra le varie
leggi nazionali, e finalizzate a rendere irrilevante l’applicazione di
una legge nazionale piuttosto che di un’altra
29
, queste
convenzioni sono volte a stabilire norme uniformi relativamente
a singoli istituti o contratti, applicabili in tutti gli Stati aderenti
30
.
Mentre infatti la Convenzioni dell’Aja non contiene alcuna
disposizione riguardo la sua interpretazione
31
, la Convenzione di
Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci, contiene
una norma specifica a proposito
32
: “nell’interpretare la presente
Convenzione si deve aver riguardo del suo carattere
internazionale, e alla necessità di promuovere l’uniformità della
sua applicazione e l’osservanza della buona fede nel commercio
internazionale” (art. 7, comma 1).
La Convenzione di Vienna richiede, quindi, di essere
interpretata senza vincoli o influenze da parte di nessun
ordinamento nazionale, neanche nei casi in cui nel suo testo
ufficiale si siano impiegati termini o concetti peculiari di un dato
sistema nazionale
33
.
29
Ademuni e Odeke, The Law of International Trade, 1999
30
Carbone M. e Luzzatto R., Il contratto internazionale, 1994
31
Ferrari, La vendita internazionale, in Galgano F., Trattato di diritto commerciale e pubblico dell’economia,
vol. XXI, 1997
32
Enderlein F.e Maskow D., International Sales Law, 1992
33
Bonell, art. 7, in La convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili