5
INTRODUZIONE
Per la psicologia, ed in particolare la psicodinamica, diventa sempre più
importante, per non dire necessario, equipararsi alle altre discipline scientifiche
che vengono definite tali in base alla presenza di metodi di studio provati, leggi
obiettive e valide, procedure sperimentali ripetibili. Diciamo quindi che la
psicologia cerca la sua valenza scientifica e fa in modo di mantenerla. Oramai la
ricerca in psicologia adotta in toto il metodo scientifico, non senza trovare delle
difficoltà, dovute sostanzialmente all'oggetto di studio della materia: la psiche
umana, che ci si rivela solo tramite i suoi effetti sul mondo esterno, alla quale si
aggiungono tutti quei fenomeni complessi riguardanti la vita dell'uomo,
caratterizzati da molteplici variabili in continua evoluzione.
Già la psicologia si divide al suo interno in differenti branche, ognuna delle quali
trova il suo personale cammino verso la conoscenza dell'uomo e la risoluzione dei
suoi problemi, ci si trova pertanto di fronte ad una sfaccettatura interna alla
disciplina considerevole, i cui modi operandi acquistano valore in base alla loro
capacità di essere delle effettive misure che permettano di arrivare a dei risultati
arricchenti ed accattivanti (Cornoldi, Tagliabue, 2004) .
Sebbene molte nuove metodologie e tecniche si facciano avanti oggigiorno, anche
per quelle più datate emerge un rinnovato interesse, in quanto rimangono
comunque un contributo che non può essere abbandonato a se stesso ma va ad
occupare una posizione di prim'ordine nello sforzo di trovare nuove letture più
moderne e applicabili ai nostri giorni. È proprio per mantenere vivo e attivo
questo materiale prodotto in passato che oggi si ritiene utile e necessario
riprenderlo in mano e tentarne una modernizzazione, affinché non vada perduto e
dimenticato in primo luogo, assieme a tutto il lavoro che è stato fatto all'epoca
della sua creazione, ma possa anzi trovare utilità e applicabilità nell'ambito della
ricerca e nella pratica clinica (Lilienfeld, 2000).
A partire da questa motivazione, si è voluto tentare di muoversi nella stessa
6
direzione, riprendendo una delle più datate tecniche proiettive largamente
utilizzata ancora oggi, ma per la quale è stato abbandonato quasi del tutto
l'approccio psicometrico alla sua interpretazione, così come ogni tentativo di
applicarvi un sistema di scoring obiettivo (Vane, 1981). Questo lavoro, dunque,
dedica la sua attenzione alla tecnica proiettiva conosciuta con l'acronimo di TAT, il
Thematic Apperception Test (Murray, 1935).
Nel primo capitolo verrà introdotta la teoria fondamentale dei metodi proiettivi in
generale, riferendosi poi più in particolare ad un tipo di tecnica, quella che utilizza
come dato di analisi le narrazioni, delle quali verrà definito il ruolo nel rapporto
con la psicologia. Conclusione di questa parte teorica sarà il focus sul TAT,
sull'origine e la descrizione con le indicazioni d'uso del suo creatore, H. A. Murray
(1943), conclusione che adempie anche al compito di annunciare la seconda parte,
nella quale verranno esplorati diversi, ma non tutti, metodi di scoring e
interpretazione dello strumento, nonché vari altri lavori che hanno in qualche
modo contribuito alla conoscenza su di esso, sviluppatisi nell'arco degli ultimi
settant'anni di ricerca sul tema.
Il terzo capitolo sarà dedicato alla ricerca sul TAT, condotta mediante l’ausilio di
una nuova griglia di valutazione, la ORT-EF di Lis et al., 2002; sarà quindi
presentata nel dettaglio, verranno fornite indicazioni su obiettivi, procedure e
risultati, regole seguite per la somministrazione del test e metodologia della
ricerca verranno approfondite in modo tale che il procedimento seguito sia
riproducibile in altra sede.
Dai risultati ottenuti si proporrà una breve discussione, a commento degli stessi, e
si cercherà di trarre delle conclusioni che possano servire anche da spunto per
eventuali sviluppi futuri: sarà questo l'oggetto della parte finale del lavoro.
7
Capitolo 1
ASPETTI TEORICI
1.1 I METODI PROIETTIVI: CARATTERISTICHE E ORIGINI DELLA
RICERCA NELL'AMBITO
I metodi proiettivi sono strumenti che, assieme ai metodi carta-matita, vengono
classificati come test di personalità, sebbene a questo riguardo, fin dalla loro
introduzione in ambito di assessment, siano stati oggetto di critiche e dibattiti
(Eysenck, 1952; Dawes, 1994; Lowenstein, 1987).
Dopo un iniziale periodo di largo interesse e diffusione, fino agli anni Settanta, i
metodi proiettivi risultano abbastanza trascurati dalla letteratura scientifica, per
varie ragioni, la principale delle quali è la scarsa rigorosità metodologica nel loro
utilizzo. Si registra allora anche un calo nel loro utilizzo, ad eccezione dei clinici,
in particolare ad orientamento psicoanalitico, che preferiscono continuare a
servirsene applicandovi un'interpretazione clinico-qualitativa. In seguito, essi
riacquistano uno spazio e un'importanza all'interno della ricerca scientifica che ne
fa oggetto di studio e di acceso dibattito tuttora in atto (Lilienfeld, 2000).
Le questioni poste dagli studiosi (Anastasi, 1982; Gittelman Klein, 1986; Dawes,
1994) riguardano in particolar modo la possibilità, nonché l'adeguatezza
dell'applicazione di tali metodi per l'indagine della personalità, in quanto mancanti
di un fondamento scientifico-metodologico e di un corpus teorico unitario che li
renderebbe applicabili in qualunque contesto e che fornisca loro l'attributo di
validità. Per comprendere le ragioni che stanno all'origine delle questioni sollevate
in merito, diamo un accenno della storia e delle caratteristiche di questo tipo di
metodi.
8
1.1.1 DEFINIZIONI TEORICHE: IL CONCETTO DI PROIEZIONE
Innanzitutto si ritiene opportuno spendere qualche parola a proposito della
terminologia utilizzata. Una delle questioni che questo tipo di strumenti ha
generato è rappresentata già dalla loro denominazione: non tutti gli studiosi
(Holtzman, 1979) infatti, concordano sul fatto di definirli test, preferendo
l'accezione di metodo o tecnica. Questo capita perché la maggior parte di essi non
soddisfa i criteri tradizionali dei test psicologici; nello specifico, con alcune
eccezioni, in genere i metodi proiettivi non includono:
- stimoli standardizzati e istruzioni per il testing;
- algoritmi sistematici per lo scoring delle risposte agli stimoli;
- norme statisticamente valide per comparare le risposte con quelle degli altri
individui.
Come si vedrà nel corso della trattazione, questo rappresenta un primo aspetto che
rende difficoltoso l'approccio con le tecniche proiettive, con la letteratura al
riguardo e la loro interpretazione, poiché in tutti gli studi che negli ultimi
sessant'anni se ne sono occupati si sono utilizzati, sperimentandoli, differenti
stimoli, metodi di scoring e così via.
Detto questo, prendiamo in considerazione la teoria fondamento di questa
categoria di strumenti.
I metodi proiettivi prendono il nome dal concetto di “proiezione”, introdotto da S.
Freud nel 1896 e definito come un meccanismo psicologico per il quale un
individuo proietta al di fuori i propri sentimenti, immagina quindi che questi siano
esperiti da altri nei riguardi di sé stesso. È primariamente un meccanismo di difesa
inconscio con cui il soggetto reagisce ad eccitazioni interne spiacevoli da cui non
può fuggire negandole come proprie ed attribuendole a persone, come a cose,
esterne. Si assiste a questo fenomeno nella vita di tutti i giorni, ad esempio,
quando sogniamo, disegniamo o inventiamo una storia, queste forme di
immaginaria espressione di sé possono essere considerate come la proiezione nel
sogno, nel disegno o nella storia dei pensieri, dei sentimenti, dei conflitti, dei
desideri dell'individuo. Questo meccanismo psicologico si può notare quindi
anche al di fuori della patologia. Da questa teoria, prettamente psicoanalitica, si
9
definiscono i principi di creazione e di funzionamento dei metodi proiettivi: essi
nascono per provocare sperimentalmente la proiezione attraverso uno stimolo
esterno non strutturato, ovvero del materiale ambiguo, senza un preciso
significato, come potrebbe essere un disegno dai contorni mal definiti o una
sagoma umana in penombra, di cui non si possa capire né il sesso né l’età. La
proiezione avviene mentre si cerca di strutturare lo stimolo. Senza rendersene
conto, il soggetto attribuisce allo stimolo i propri timori, bisogni, conflitti,
“proietta” i suoi sentimenti nel mondo esterno, credendo quindi che tali sentimenti
in realtà siano espressi dal mondo esterno e rivolti a sé stesso. In questo modo si
potrebbero rivelare dimensioni della personalità. Secondo la tradizione dei metodi
proiettivi, meno strutturato e più ambiguo è lo stimolo, più un individuo può
esprimere i suoi più profondi desideri, ansie, conflitti. Se lo psicologo chiede al
paziente di “disegnare una persona” generica, questa esprimerà un sentimento più
profondo riguardo l'immagine di sé che se la richiesta fosse stata di “disegnare sé
stesso”.
L'ambiguità dello stimolo è quindi una caratteristica necessaria per la ragione
d'essere dei metodi proiettivi e per il raggiungimento del loro scopo. Tale
caratteristica li ha posti, però, in una posizione scomoda agli occhi del mondo
scientifico che innanzitutto sostiene il bisogno dell'elaborazione di regole e
principi più rigorosi, affinché acquisiscano un loro statuto teorico-metodologico
sia sul piano della ricerca che dell'applicazione clinica e possano quindi essere
utilizzati con più sicurezza, in secondo luogo sostiene la necessità di integrare agli
aspetti qualitativi che i metodi proiettivi indagano anche quelli quantitativi, al fine
di poterli considerare dei test veri e propri, quindi delle misurazioni e non delle
intuizioni.
D'altro canto i metodi proiettivi nascono ed acquisiscono inizialmente un'ampia
rilevanza proprio per l'insoddisfazione generata dai metodi carta-matita, ritenuti in
grado di rilevare prevalentemente gli aspetti più consapevoli e superficiali della
personalità (Murstein, & Mathes, 1996), mentre i primi fornirebbero, come già
esplicitato, una sorta di “radiografia” della personalità (Murray, 1943), e non solo,
ma sarebbero pure considerati come la “strada maestra” verso l'inconscio (Frank,
10
1939).
Proprio per la considerazione di cui godono tuttora, è stato ritenuto importante,
per la sopravvivenza di questi strumenti, il raggiungimento di un loro statuto
scientifico, mediante l'integrazione, con gli aspetti qualitativo-ideografici,
ampiamente studiati fin dalle origini, di aspetti quantitativo-nomotetici.
Le assunzioni fin qui presentate su caratteristiche e funzioni degli stimoli ambigui
e poco strutturati hanno permesso di proporre tentativi di interpretazione teorico-
metodologico-quantitativa del concetto di proiezione a partire dalle teorizzazioni
freudiane sulla struttura della personalità e sulla proiezione intesa come
meccanismo di difesa, tuttavia non si è assistito allo sviluppo di un modello
generale del concetto di proiezione. Da qui ha origine una duplice problematica
dai confini non ben delineati, che sfumano l'uno nell'altro: come il soggetto arrivi
a formulare la risposta alla consegna sullo stimolo ambiguo proposto e come tale
risposta ci fornisca informazioni sui soggetti e sulla loro struttura di personalità. In
altri termini ci si chiede come spiegare le relazioni tra il processo di risposta e le
caratteristiche di personalità, passando per uno stimolo ambiguo.
Riguardo questa questione sono partiti due filoni di ricerca che si appoggiano a
due teorie di riferimento in particolare: quella psicoanalitica (Freud, 1896) e
quella riferita al problem solving (Simon, 1986).
I ricercatori legati alla tradizione psicoanalitica (Rapaport, Gill, & Schafer, 1968;
Chabert, 1980; Shentoub, 1987) formalmente non si sono posti la questione di
esplicitare il processo di proiezione, ma sono passati direttamente alla tappa finale,
diciamo, concentrandosi soprattutto sull'interpretazione dei dati in base ai modelli
psicoanalitici. Per loro è implicito che le risposte date ad un metodo proiettivo
forniscano informazioni sulla struttura di personalità, che vanno interpretate ed
esplicitate. Modello interpretativo di questo tipo è quello sviluppato da Shentoub
(1987), che si vedrà più approfonditamente in seguito. Alla luce di quanto detto si
potrebbe affermare che, secondo le teorie psicoanalitiche, proiezione significa che
gli stimoli costituiscono un dato percettivo, che richiama il mondo fantasmatico
del soggetto, studiato rispetto a dimensioni psicoanalitiche della personalità. Si
glissa sul come e sul perché il soggetto risponda, passando direttamente
11
all'interpretazione dei dati. Più importanza viene data alla componente associativa,
senza comunque negare l'esistenza della percezione iniziale, a cui si fa comunque
riferimento attraverso la terminologia (come quando si parla di esame di realtà o
di adeguato funzionamento dell'Io nel Rorschach).
Il punto di vista del problem solving invece evidenzia la distinzione tra processo
di risposta e analisi e interpretazione dei dati rispetto ad una teoria della
personalità e cerca di inserire il concetto di proiezione all'interno sia del processo
di risposta che dell'analisi e interpretazione dei dati. Secondo gli autori di questo
pensiero (tra i quali il massimo esponente è Exner, che si è occupato in special
modo del Rorschach) hanno importanza sia l'aspetto associativo che quello
percettivo, che anzi, vengono separati e considerati singolarmente, esplicitandone
il rapporto. Exner (1986, 1993) afferma, a partire da studi sperimentali, che ci
sono due tipi di risposte proiettate: uno si forma nel momento di input-
classificazione, quando la proiezione provoca una qualche sorta di distorsione o
percezione errata; il secondo tipo è più frequente ed è di carattere immaginativo,
per cui i soggetti attribuiscono caratteristiche personalizzate a ciò che stanno
percependo, rivelando così molto del loro mondo interiore.
Le due correnti approcciano e intendono in maniera differente i metodi proiettivi,
tuttavia concordano su due idee (Lis, Zennaro, Giovannini, Mazzeschi & Calvo,
2002):
- essi consentono di rilevare una struttura multidimensionale della personalità;
- gli stimoli proposti avrebbero una certa salienza nel richiamare certi oggetti
mentali ed affettivi che la mente del soggetto potrebbe distorcere, arricchire,
abbellire in maniera personalizzata in base alle sue associazioni.
In conclusione di ciò, si potrebbe intendere il concetto di proiezione sia come
manifestazione della propria personalità che come modalità peculiare di porsi di
fronte a dati percettivi.
Si concorda inoltre in generale sul ruolo dell'inconscio: il soggetto nell'affrontare
una prova proiettiva non è del tutto consapevole di quello che ci sta comunicando.
Si può quindi sostenere che i metodi proiettivi consentano di indagare un lato della
personalità meno vicino alla consapevolezza, rispetto ai metodi carta-matita.
12
1.1.2 I METODI PROIETTIVI IN RICERCA E IN CLINICA
Nell'ambito dell'assessment della personalità non sono mancate controversie tra
gli studiosi (Lilienfeld, 2000), e nessuna questione in questo campo è stata più
discussa dello status scientifico delle tecniche proiettive. La polemica, fin dalle
loro origini, proveniva perlopiù dal filone positivista che, come si sa, si riflette, in
ambito di assessment della personalità, in un orientamento di tipo nomotetico,
giustificativo e quantitativo, mentre le tecniche proiettive, nate in contesto
psicoanalitico, si mantengono su un piano ideografico e qualitativo (Lis et al.,
2002). Proprio per tali caratteristiche queste ultime non godevano
dell'approvazione del mondo scientifico che le considerava innanzitutto carenti e
deboli dal punto di vista psicometrico e quindi non utilizzabili come strumento di
misura per la personalità.
D'altro canto i metodi proiettivi rappresentavano la modalità di indagare la
personalità maggiormente sostenuta, dai clinici secondo i quali “nel somministrare
un test ad un paziente per scopi clinici non stiamo solo misurando; osserviamo la
persona in azione, cerchiamo di ricostruire come riesce a gestirsi con i compiti che
gli proponiamo e cerchiamo di dare un significato clinico al suo comportamento”
(Mayman, 1964, p. 53). Per mettere d'accordo tutti, serviva, quindi, una nuova
concezione della ricerca e nuovi approcci metodologici all'assessment della
personalità, che lasciassero spazio alla qualità e alla soggettività, in modo da dare
un diverso spessore ai metodi proiettivi. In altre parole, affinché anche i metodi
proiettivi acquistassero uno statuto scientifico e fossero universalmente
riconosciuti come strumenti adeguati per l'indagine della personalità, occorreva
cercare la maniera di integrare agli aspetti qualitativi anche quelli quantitativi, in
modo da conferire loro uno specifico carattere teorico-metodologico, sul piano
della ricerca, come su quello dell'applicazione clinica. Per farlo essi dovevano
essere correttamente inseriti nel contesto dei fondamenti della metodologia, la
quale in ambito di assessment della personalità si propone di elaborare regole e
principi che consentano al ricercatore di individuare delle linee guida rispetto a
cui procedere nell'ordinare, sistemare, accrescere le conoscenze della personalità
13
sia normale che patologica (Bruschi, 1996).
Si sono sviluppate così una serie di ricerche focalizzate sull'individuazione di
regole e principi precisati che portassero ad esplicitare una loro identità teorico-
metodologica specifica.
Chi si avventura oggi nel tentativo di fare ordine nella complessa letteratura
sviluppatasi riguardo le tecniche proiettive, viene immediatamente confrontato
con un suggestivo paradosso: da un lato, durante gli ultimi cinquant'anni una serie
di ricerche nel campo dell'assessment della personalità (ad esempio Anastasi,
1982; Dawes, 1994) sono giunte a screditare l'affidabilità e la validità della
maggior parte dei metodi proiettivi; dall'altro i clinici di tutto il mondo continuano
ad utilizzarli con una buona regolarità e molti sostengono che siano indispensabili
per la loro pratica di tutti i giorni (Watkins, Campbell, Neiberding, & Hallmark,
1995). Il nodo del paradosso è stato incisivamente definito da Anastasi (1982, pag.
564), che osservò che “le tecniche proiettive presentano una curiosa discrepanza
tra ricerca e pratica. Quando sono valutate come strumento psicometrico, la
maggior parte mostra carenti risultati. Tuttavia la loro popolarità nell'utilizzo
clinico rimane inalterata”. E infatti, numerose indagini dimostrano questa
popolarità tra i clinici: Durand, Blanchard, e Mindell (1988) riportarono che il
49% dei direttori degli Istituti di Psicologia Clinica e il 65% dei responsabili dei
tirocini in psicologia clinica negli Stati Uniti ritengono che il training almeno di
base nelle tecniche proiettive sia indispensabile. E Watkins et al. (1995) trovò che
5 tecniche proiettive, tra cui il Rorschach e il TAT, erano tra i 10 strumenti più
frequentemente utilizzati dagli psicologi clinici.
Accanto a queste, si trovano però anche indicazioni del declino della popolarità di
alcuni metodi proiettivi. In una abbastanza recente indagine coinvolgente clinici
praticanti, Piotrowsky, Belter, & Keller (1998) riportano che parecchi tra questi
strumenti, Rorschach e TAT compresi, sono stati abbandonati da un considerevole,
seppur sempre in minoranza, numero di fruitori. Alcuni autori attribuiscono questo
recente calo da un lato alla nuova gestione delle cure, dall'altro all'impatto delle
critiche accumulato durante i decenni passati. Nonostante questo declino,
Rorschach, TAT e parecchie altre tecniche proiettive rimangono tra le più
14
frequentemente utilizzate almeno nella pratica clinica.
Dopo cinquant'anni di studi, si è propensi ad affermare che la questione non è
tanto se i metodi proiettivi siano validi o meno, quanto fino a che punto alcune
tecniche proiettive, e specifici indici derivati da esse, siano validi per raggiungere
lo scopo prefissato dai professionisti. Se gli strumenti psicologici, in definitiva,
non facilitano il trattamento in una qualche maniera misurabile, saranno di dubbia
utilità nel contesto clinico, sebbene potrebbero essere tuttavia utili per certe
ricerche o a fine predittivo.
Riassumendo, cinquant'anni di sviluppo di teorie e ricerche in merito non hanno
esaurito la questione della validità e dell'utilità dei metodi proiettivi in generale.
La ricerca inoltre non si è solo dedicata alla categoria nella sua totalità, ma si è
sempre tenuto conto delle distinzioni al suo interno in sottoclassi, composte a loro
volta dai singoli strumenti.
Generalmente riconosciuta è una prima ripartizione dei metodi proiettivi in due
categorie: quella che li definisce strutturali, in quanto compito del soggetto è dare
forma allo stimolo (come ad esempio nel Rorschach), e quella dei metodi
proiettivi tematici, poiché gli stimoli elicitano nelle risposte determinati temi che
il soggetto sviluppa sotto forma di storie, di disegni, ecc., come succede ad
esempio nel TAT.
Altre classificazioni sono state proposte, sempre sulla base del tipo di stimolo e di
compito da svolgere; tra queste, in voga negli Stati Uniti è la suddivisione di
Lindzey (1959), che distingue le tecniche proiettive in:
metodi di associazione (allo stimolo il soggetto associa un'azione, una
forma, descrivendolo a suo modo. Il Rorschach rientra in questo gruppo);
metodi di costruzione (di storie, di disegni... Tra questi è posto il TAT);
metodi di completamento (di frasi, di situazioni immaginate... Come
succede nel Washington University Sentence Completion Test; Loevinger,
1976);
metodi di selezione (al soggetto viene chiesto di scegliere o ordinare degli
stimoli, come delle foto o delle figure. Un esempio è il Lüscher Color Test;
Lüscher & Scott, 1969);